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Italia-Nato, Meloni oggi vede Stoltenberg: sul tavolo aiuti...

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Italia-Nato, Meloni oggi vede Stoltenberg: sul tavolo aiuti all’Ucraina e nodo spesa militare

L'Italia si appresta a varare il nono pacchetto a favore di Kiev

Jens Stoltenberg  e Giorgia Meloni - Fotogramma

Oggi, 8 maggio, il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg sarà a Roma, ricevuto dalla premier Giorgia Meloni alle 11.30. Tanti i dossier sul tavolo, dalla polveriera mediorientale alla crisi in Ucraina, con l'avanzata dei russi nel Donetsk e la crescente paura di un tracollo ucraino. Timori che alimentano le tensioni tra Mosca e i Paesi occidentali, con il Cremlino che evoca il rischio di un'"escalation diretta" dopo che il Presidente francese Emmanuel Macron è tornato ad avanzare la possibilità di inviare truppe al fronte e il ministro degli Esteri britannico David Cameron ha giudicato lecito per gli ucraini impiegare armi fornite da Londra per attaccare il territorio russo.

Focus sull'Ucraina

L'allarme è altissimo e incendia la campagna elettorale per le europee, mentre l'opzione di un intervento diretto dell'Alleanza in caso di coinvolgimento di uno Stato terzo nelle ostilità è ormai entrata a pieno titolo nel dibattito pubblico. Ma soprattutto nelle stanze della Nato.

Il tema degli aiuti militari all'Ucraina sarà tra i focus dell'incontro tra Meloni e Stoltenberg, mentre il governo italiano si appresta a varare -prima del G7 a Borgo Egnazia- il nono pacchetto di aiuti militari che dovrebbe includere, condizionale d'obbligo visto che il decreto è secretato, il sistema di difesa aerea e antimissile a medio-lungo raggio Samp-T, una batteria resa disponibile dopo la 'smobilitazione' dello scorso marzo dalla Slovacchia. E che risponde alla richiesta del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, perché unico mezzo, assieme ai Patriot americani, per fermare i missili balistici russi.

Il nodo 2% Pil per le spese militari

La mano tesa che l'Italia si appresta a tendere è una delle leve che Meloni, con ogni probabilità, userà nell'incontro con Stoltenberg per affrontare uno dei dossier più annosi sul tavolo: il raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari. Per la Nato è una pregiudiziale di cui si parlerà anche a Washington, nella riunione dei premier dei Paesi dell'alleanza atlantica in programma la seconda settimana di luglio. E che vede l'Italia in affanno, fanalino di coda: gli States sono ben oltre il 3%, la Gran Bretagna punta a superare il 2,5%, la Polonia è al 4, la Francia e la Germania hanno raggiunto il 2. Roma è sotto l'1,5%, nonostante abbia 'conteggiato' tutte le spese per le missioni, anche quelle non strettamente attinenti alla difesa. Una scelta che, a ben guardare, la Nato potrebbe anche contestare.

L'obiettivo del 2% doveva essere centrato per l'anno in corso, ma per l'Italia la deadline è slittata al 2028 per un compromesso siglato dal governo Draghi: un rinvio all'epoca reso necessario per sedare fibrillazioni e malumori che avevano messo a dura prova la maggioranza, terremotata dal guanto di sfida lanciato da Giuseppe Conte. Da allora lo scenario internazionale si è fatto ancor più fosco, e visti i tempi difficili il traguardo del 2% appare un 'must' non più rinviabile.

Non ne fa mistero il ministro della Difesa Guido Crosetto. "Senza bisogno che arrivi Trump alla presidenza americana - ha rimarcato a Pescara, alla conferenza programmatica di Fdi -, vedrete quanto saranno duri con chi non arriverà al 2% del Pil per la spesa per la difesa, a quel punto" chi non adempierà alla percentuale "diventerà una nazione non di serie B ma addirittura che non potrà sedersi ai tavoli internazionali", perché “nessuno passerà più sopra questa cosa e diventerà una parte fondamentale per avere credibilità nel mondo”.

Ma le casse a Roma languono e il tentativo, fallito, di scorporare le spese militari dai parametri del Patto di stabilità ha reso ancor più ardua la partita. Qualche limatura al rialzo rispetto agli impegni presi nel Documento programmatico della difesa 2023-2025 non viene escluso: "vedremo", aprono fonti di governo, non escludendo uno sforzo, una piccola dote politica anche in vista del G7 in Puglia a guida italiana. Accompagnata a un'altra, ben più sostanziosa, che dimora nel nono decreto di aiuti a Kiev che il governo si appresta a varare.

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Milei chiama “corrotta” la moglie di Sanchez,...

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Madrid: "Gravissime le parole del presidente argentino alla convention di Vox"

Javier Milei (Afp)

"Gravissime" le parole del presidente argentino Javier Milei, che alla convention del partito di estrema destra spagnolo Vox oggi a Madrid ha definito "corrotta" Begona Gomez, la moglie del premier Pedro Sanchez. Per questo il governo spagnolo ha richiamato per consultazioni "sine die" l'ambasciatrice in Argentina, María Jesús Alonso. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Josè Manuel Albares, affermando che l'esternazione del presidente di estrema destra argentino "non ha precedenti nella storia delle relazioni internazionali", e ha chiesto da Milei "le scuse" per il suo attacco.

Durante il suo intervento alla convention 'Europa Viva 24', Milei ha detto: "Non sanno che tipo di società e di Paese il socialismo può produrre e che tipo di gente frega al potere e quali livelli di abuso può generare. Anche se la moglie è corrotta, diciamo sporca, si prende cinque giorni di tempo per pensarci".

Le parole del presidente populista argentino si riferiscono al fatto che Sanchez alla fine del mese scorso aveva annunciato di voler prendere del tempo per riflettere sulle possibili dimissioni dopo le accuse di corruzione rivolte alla moglie da un sindacato dell'ultra destra. Accuse archiviate come infondate nel giro di pochi giorni dalla procura di Madrid.

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Iran, poteri al vice presidente ed elezioni entro 50...

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I timori di un epilogo drammatico crescono ora dopo ora e gli osservatori analizzano lo scenario che si aprirà in caso di eventuale scomparsa di Raisi

Teheran (Afp)

L'Iran attende con il fiato sospeso notizie dal luogo dell'incidente dell'elicottero con a bordo il presidente, Ebrahim Raisi, e il ministro degli Esteri, Hossein Amir-Abdollahian. I timori di un epilogo drammatico crescono ora dopo ora e gli osservatori analizzano lo scenario che si aprirà in caso di eventuale scomparsa di Raisi. La Costituzione iraniana, in caso di morte improvvisa del presidente, prevede che ne assuma i poteri il primo vice presidente - che ora è Mohammad Mokhber - con l'approvazione della Guida Suprema, Ali Khamenei.

Secondo la gerarchia politica della Repubblica islamica, il capo dello Stato è la Guida e il presidente è considerato il capo del governo ed il secondo nella linea di comando. La Costituzione stabilisce inoltre, con in carica il primo vice presidente, che entro 50 giorni il Paese vada alle elezioni per eleggere un nuovo presidente.

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Raisi, il discepolo di Khamenei con ombre nel passato

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Venne eletto presidente al primo turno delle elezioni del 18 giugno 2021 con quasi 18 milioni di voti

Ebrahim Raisi (Fotogramma/Ipa)

Nato nel 1960 a Mashad, la seconda città più importante dell'Iran, Ebrahim Raisi - a bordo dell'elicottero da ore oggetto di ricerche delle squadre di soccorso nella provincia dell'Azerbaigian orientale - venne eletto presidente al primo turno delle elezioni del 18 giugno 2021 con quasi 18 milioni di voti (il 61,9% delle preferenze). E' stato studente di teologia e giurisprudenza islamica della Guida Suprema, Ali Khamenei. Appena ventenne - sulla scia degli eventi della rivoluzione - venne nominato procuratore generale di Karaj, uno dei sobborghi di Teheran.

Procuratore capo della capitale dal 1989 al 1994, vice capo della magistratura dal 2004, poi procuratore generale, nel 2016 Raisi venne messo da Khamenei a capo della 'Astan Quds Razavi', una delle più grandi fondazioni religiose del Paese che sovrintende al santuario dell'Imam Reza di Mashad. Tre anni dopo divenne capo della magistratura. Fa parte dell'Assemblea degli Esperti, l'organo che elegge la Guida Suprema.

Sposato con Jamileh Alamolhoda, docente all'Università Shahid Beheshti di Teheran, e padre di due figlie, può vantare anche un legame di parentela (è il genero) con la guida della preghiera del venerdì a Mashad, l'influente ayatollah Ahmad Alamolhoda. Sanzionato dall'Amministrazione Trump per i suoi presunti abusi nel campo dei diritti umani, per l'opposizione all'estero è legato indissolubilmente alla cosidetta 'commissione della morte', un tribunale speciale voluto dall'ayatollah Khomeini in persona che nel 1988 condannò al patibolo - secondo il Center for Human Rights in Iran - migliaia di prigionieri politici iraniani.

Intervistato sulle purghe, Raisi negò qualsiasi coinvolgimento e alla sua prima conferenza stampa dopo le elezioni sostenne di aver "sempre" difeso i "diritti umani". Assai più intransigente si mostrò verso gli attivisti dell'Onda Verde che nel 2009 protestavano contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. "A coloro che parlano di 'compassione islamica e perdono', noi rispondiamo: continueremo ad affrontare i rivoltosi fino alla fine e - diceva - sradicheremo questa sedizione".

Il 19 giugno, giorno della conferma della sua vittoria alle presidenziali, promise di fare del suo "meglio per migliorare i problemi della popolazione" e due giorni dopo rispose con un secco "no" a un giornalista che gli chiedeva se fosse disposto a incontrare il presidente americano Joe Biden.

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