“Save Your Thyroid”: una nuova speranza per i pazienti con noduli tiroidei
L’Ospedale del Mare dell’ASL Napoli 1 Centro e l’azienda californiana Pulse Bioscience, hanno avviato uno studio clinico finalizzato a valutare gli effetti della nuova tecnologia di ablazione dei noduli tiroidei, senza sviluppo di calore.
Il 13 aprile è stato un giorno importante: i primi quindici coraggiosi pazienti hanno iniziato la fase clinica sperimentale dello studio, sotto la guida attenta e professionale del dottor Stefano Spiezia, una figura chiave nella Chirurgia Endocrina dell’Ospedale del Mare. Questa fase ha ricevuto il benestare del Comitato Etico, che ne ha riconosciuto l’importanza.
L’essenza del progetto “Save your Thyroid” è semplice ma potente: condividere e far conoscere al mondo una tecnica rivoluzionaria, quella della termoablazione tiroidea. Questa nuova procedura non solo promette di essere innovativa, ma anche di ridurre significativamente gli interventi chirurgici che in molti casi potrebbero non essere necessari.
Cosa sono i noduli tiroidei
I noduli tiroidei rappresentano delle piccole formazioni o protuberanze inusuali che prendono vita nella ghiandola tiroidea, posizionata nella parte anteriore del collo. Interessante notare che, nonostante la loro presenza, molti di questi noduli rimangono “silenziosi”, spesso venendo alla luce solo durante controlli medici routinari o specifici esami come l’ecografia. Questa ghiandola, la tiroide, svolge un ruolo cruciale nel corpo, regolando il metabolismo attraverso la produzione di ormoni tiroidei.

I noduli tiroidei possono essere di diversi tipi. La maggior parte di essi è benigna, ma alcuni possono essere cancerosi. I noduli benigni sono generalmente costituiti da tessuto tiroideo normale e sono noti come noduli “adenomatosi” o “noduli colloidi”. In alcuni casi, i noduli possono diventare più grandi e visibili, causando un ingrossamento della ghiandola tiroide noto come “gozzo”.
La diagnosi dei noduli tiroidei richiede spesso una serie di esami, tra cui ecografia, biopsia con agoaspirato, e talvolta scintigrafia tiroidea. La maggior parte dei noduli benigni non richiede un trattamento immediato, mentre quelli sospetti o cancerosi possono richiedere interventi chirurgici o trattamenti specifici.
È importante monitorare regolarmente i noduli tiroidei per garantire che non diventino problematici o maligni. Un endocrinologo o un chirurgo tiroideo può fornire consulenza e cure appropriate per i pazienti con noduli tiroidei.
I noduli tiroidei sono una condizione molto comune, che colpisce circa il 5-10% della popolazione. La maggior parte dei noduli tiroidei è benigna, ma in alcuni casi può essere cancerosa.
Quali sono le terapie per i noduli tiroidei
La terapia tradizionale per i noduli tiroidei è l’intervento chirurgico, che consiste nell’asportazione di tutto o parte della ghiandola tiroidea. L’intervento chirurgico è un intervento importante, che può comportare complicazioni come la paralisi delle corde vocali o l’ipotiroidismo.
La termoablazione tiroidea è una procedura minimamente invasiva che utilizza onde acustiche per distruggere i noduli tiroidei. La procedura viene eseguita in anestesia locale, non totale, e non richiede il ricovero ospedaliero.
La termoablazione tiroidea ha diversi vantaggi rispetto alla chirurgia tradizionale:
- Evita la necessità di un intervento chirurgico
- Ha un basso rischio di complicazioni
- Permette una rapida ripresa
Il progetto “Save Your Thyroid” è un’iniziativa importante che potrebbe migliorare la cura dei noduli tiroidei. La nuova tecnologia di ablazione senza sviluppo di calore potrebbe rappresentare una svolta epocale, offrendo ai pazienti una nuova opzione terapeutica efficace e sicura.
I protagonisti del progetto “Save Your Thyroid”
L’Ospedale del Mare di Napoli è dunque all’avanguardia nel mondo perché è il primo centro in assoluto per la sperimentazione di nuove tecnologie di ablazione della tiroide senza applicazione di calore. Il team attorno a cui si è costruito il progetto, che ha il suo centro a Napoli, è internazionale.
Uno dei protagonisti di questa tecnica innovativa e quindi del progetto “Save Your Thyroid” è senza dubbio Stefano Spiezia, specialista in chirurgia generale ed endocrina, direttore dell’unità operativa di chirurgia endocrina. Il dott. Spiezia chiarisce: “La mia chirurgia endocrina è al lavoro da un anno su questo progetto, ora si è conclusa la fase I ed inizia la seconda fase. Siamo al lavoro per ridurre il numero di interventi chirurgici non necessari e migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da patologie tiroidee”.
A collaborare strettamente col dott. Spiezia è il professor Ralph P. Tufano dell’Università di Sarasota in Florida, tra i massimi esperti al mondo nel campo della chirurgia endocrina, così come la professoressa australiana Catherine Sinclair, chirurgo endocrino del collo e laringologa, tra le prime ad adottare l’ablazione con radiofrequenza sui noduli tiroidei benigni.
Altra pioniera del settore è la professoressa Jennifer Hong Kuo di New York e il dott. Carlos Neutzling Lehn. Tanti anche gli specialisti italiani coinvolti. Tra questi: Giovanni Mauri, Giovanni Antonelli, Chiara Offi e Claudia Misso.
Anche Ciro Verdoliva, direttore generale dell’ASL Napoli 1 Centro, è un sostenitore del progetto. Verdoliva spiega: “L’utilizzo delle più moderne tecnologie e delle tecniche messe a punto all’Ospedale del Mare permettono di aumentare la qualità di vita, riducendo drasticamente le complicanze che precedono e seguono l’intervento. Inoltre, con queste tecniche innovative si favoriscono tempi di recupero praticamente immediati”.
Pec: dir.san.ospmare@pec.aslna1centro.it
Email: dir.san.ospedaledelmare@aslnapoli1centro.it
Indirizzo:
Via Enrico Russo snc – 80147 – NAPOLI – Palazzina Direzionale, piano 2° ►Portami Qui

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Sentirsi a casa lontano da casa: a Roma nuova residenza Ail al Policlinico Tor Vergata

Per offrire supporto ai pazienti dell’Unità di Ematologia del Policlinico Tor Vergata che risiedono fuori dalla Capitale, è stata inaugurata oggi la Casa Ail ‘Residenza Oriana Daniello’, situata in via Cesare Brandi, nelle immediate vicinanze dell’importante centro ospedaliero. La nuova residenza nasce dal dono di una madre in ricordo della figlia. L’immobile, infatti, è stato acquistato da Ail (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma) Roma nell’aprile 2024, grazie alla generosa donazione della signora Anna Tenore, mamma di Oriana Daniello, giovane paziente scomparsa prematuramente, alla quale sarà intitolata la Casa Ail come segno tangibile dell’atto di sensibilità e solidarietà.
La giornata è iniziata con un incontro, moderato dal giornalista Fabrizio Paladini, sul tema ‘Accoglienza e cura’ nell’aula anfiteatro del Policlinico di Tor Vergata. Dopo i saluti istituzionali di Nathan Levialdi Ghiron, rettore dell’università degli Studi di Roma Tor Vergata, e di Isabella Mastrobuono, commissario straordinario del Policlinico Tor Vergata, hanno presentato il progetto Adriano Venditti, direttore del Dipartimento di Ematologia del Policlinico Tor Vergata; Maria Luisa Viganò, presidente Ail Roma; Giuseppe Toro, presidente nazionale Ail. Sono intervenuti Maria Stella Marchetti, presidente associazione L’arcobaleno della speranza, e Angelica Carnelos, segretario generale Enel Cuore. Anna Tenore, mamma di Oriana Daniello, ha portato la sua preziosa testimonianza.
La nuova residenza è stata realizzata anche grazie al prezioso sostegno di Ail nazionale che ha ricevuto la donazione dalla signora Tenore e destinato i fondi al progetto della Sezione Ail di Roma per l’acquisto dell’immobile. La ristrutturazione e l’adeguamento sono stati finanziati da Ail Roma grazie anche al sostegno di Enel Cuore Onlus, della maratona radiofonica di raccolta fondi ‘Radio Rock for Ail Roma’ e di Ail nazionale. I fondi stanziati complessivamente sono stati pari a 500mila euro.
“La generosità delle donazioni e dei lasciti è il motore che ci consente di realizzare progetti come la Casa Ail Residenza Oriana Daniello – afferma Viganò – Ogni donazione in vita e lascito solidale ad Ail è una promessa di supporto per il futuro. Questi fondi, così vitali, ci consentono di finanziare la ricerca scientifica, migliorare i servizi di assistenza ai pazienti e rafforzare il supporto ai reparti di Ematologia, al personale sanitario e a tutte le attività che quotidianamente aiutano i pazienti nella loro lotta contro le malattie ematologiche”.
“Questa iniziativa ha trovato nella Ematologia e nella direzione del Policlinico una grande accoglienza – dichiara Venditti – L’ospitalità, completamente gratuita e riservata a chi, provenendo da fuori Roma, non ha un reddito sufficiente a sostenere le trasferte onerose necessarie a ricevere cure e assistenza, è una risposta diretta alla presa in carico del paziente ematologico e della famiglia. Ail ha costruito nel tempo e da sempre iniziative realizzate a fianco dei più deboli. Per questo oggi siamo felici che questa Casa abbia scelto i malati del Policlinico Tor Vergata per essere vicino a chi viene da lontano, a chi è costretto a lunghe e ripetute permanenze lontano da casa, per misurarsi con la malattia e tutto ciò che ne consegue. Grazie per questa nuova opportunità di fare ancor meglio il nostro lavoro di curanti”.
La Casa Ail Residenza Oriana Daniello risponde ad una precisa esigenza dell’Unità operativa complessa di Ematologia del Policlinico Tor Vergata, che ha spesso in cura pazienti residenti in province diverse da Roma – da altre regioni e in alcuni casi anche da altre nazioni – per soggiorni anche lunghi, connessi ai cicli di terapia e alla necessità di cure prossimali in stretta contiguità assistenziale. Si tratta di un luogo confortevole e protetto, dove il paziente e il familiare che l’accompagna vengono accolti gratuitamente per tutto il periodo necessario alle cure.
Ospitata in una villetta a schiera con giardino, la nuova residenza replica il modello della casa Ail ‘Residenza Vanessa’ di via Forlì, afferente alla Uoc di Ematologia del Policlinico Umberto I. Potrà accogliere gratuitamente fino a 3 famiglie di pazienti in contemporanea, garantendo ad ognuno un ambiente accogliente e familiare: una camera privata con 2 letti e bagno, e la disponibilità di spazi comuni – angolo cucina, sala soggiorno-pranzo, lavanderia, giardino e terrazzo attrezzati – che permettono una vita di socialità e relazione tanto più necessaria quanto più lunga e complessa è l’esperienza da condividere.
I costi di mantenimento, miglioramento e gestione della residenza sono interamente sostenuti da Ail Roma, così come l’alloggio e tutti i servizi per gli ospiti. Importantissimo nella vita della casa il lavoro dei volontari di Ail Roma e dell’associazione L’Arcobaleno della speranza Odv, prezioso punto di riferimento per gli ospiti della casa.
La nuova Casa Ail Roma si aggiunge al circuito di case alloggio Ail in Italia, modello di accoglienza per i pazienti ematologici e le loro famiglie. Situate nei pressi dei maggiori centri di ematologia, le case alloggio Ail offrono ospitalità gratuita a chi, non residente, deve affrontare lunghi periodi di cura. Attualmente sono 38 le sezioni provinciali che offrono questo servizio, con 128 appartamenti e 5 residenze distribuite in 88 unità immobiliari, per un totale di 670 posti letto. Grazie a questa rete di solidarietà, ogni anno vengono ospitati 1.117 pazienti e 1.278 familiari, per un totale di 62.898 notti offerte.
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Rose Villain e l’odio per i suoni: “Impazzisco”. Cos’è la...

La cantante Rose Villain soffre di misofonia. Lo ha rivelato in un’intervista rilasciata ad Alessandro Cattelan per la nuova puntata di ‘Hot Ones’ che andrà in onda domani su Rai Play: “Io ho un problema con le persone, soffro di misofonia e se la gente fa dei rumori io impazzisco”.
Ma cos’è la misofonia? Letteralmente è l’odio per i suoni: c’è chi non sopporta il rumore della gomma masticata o del gesso sulla lavagna. Ma a livello scientifico è apparsa per la prima volta in un articolo del 2001 che porta la firma di due esperti in disturbi uditivi, Pawel J. Jastreboff e Margaret M Jastreboff. Nell’articolo il disturbo è distinto da altri già noti, come l’iperacusia e la fonofobia. Nell’iperacusia il malessere è causato da un’eccessiva attivazione del sistema uditivo in presenza di moltissimi suoni (anche in soggetti con un livello di udito normale), mentre la fonofobia è la paura di determinati suoni. Nella misofonia, invece, suoni specifici provocano una reazione di fastidio, soprattutto prodotti da bocca e naso. C’è tuttavia anche chi è sensibile a ticchettii ripetuti, come quello di una penna a scatto. Lo spiegano gli esperti dell’Airc nella pagina dedicata ai disturbi e sintomi più curiosi.
La maggior parte degli studi sulla misofonia è stato condotto a partire dal 2013. In quell’anno sono stati pubblicati i risultati delle ricerche premiate poi nel 2020 dall’IgNobel per la Medicina, il riconoscimento satirico alle ricerche più eccentriche e assurde, e anche i media hanno cominciato a interessarsi al problema. Si tratta di un disturbo ancora poco studiato e tante sono le domande rimaste senza risposta. Non sappiamo, per esempio, quale sia la sua prevalenza, cioè quanto sia frequente nella popolazione. Non sappiamo neppure se si manifesti in relazione con altri disturbi, né quale sia di preciso la sua natura. In genere gli specialisti non credono che vi sia implicata una patologia dell’apparato uditivo. Si ipotizza piuttosto che possa trattarsi di un disturbo di natura neurologica o psichiatrica, poiché da alcuni test preliminari sembra che l’ascolto dei suoni in grado di innescare le reazioni attivi precise aree cerebrali.
Tuttavia, sembra esserci anche una componente psicologica. Per esempio, molte delle persone con misofonia dichiarano nei questionari utilizzati dagli studiosi di aver cominciato in tenera età a provare disgusto sentendo i propri familiari masticare. La loro reazione a questi suoni potrebbe sottintendere anche un giudizio ‘morale’ che giustifica il disgusto. In pratica, molti misofonici considerano estremamente maleducato masticare rumorosamente. In altre parole, la misofonia potrebbe essere una forma di ipersensibilità che non riguarda lo stimolo in sé, bensì il significato che chi ne soffre gli attribuisce.
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Acciacchi di primavera? Sui dolori da cambio stagione ‘prove debolissime’

E’ primavera. La stagione dei fiori è cominciata ufficialmente alle 10.01 di oggi, 20 marzo. Un passaggio che per molti si accompagna a disturbi di salute tipici del periodo, dalle prime allergie ai problemi di sonno. Fra gli acciacchi attribuiti al meteo ballerino ci sono anche i dolori articolari, ma è davvero così? Se fa male il ginocchio, duole la spalla o ci si sente incriccati è veramente colpa della ‘maledetta primavera’? “Attribuire alle condizioni meteorologiche il peggioramento dei dolori a ginocchia e altre articolazioni è una credenza molto antica e popolare. Le prove di questa correlazione, però, sono debolissime”, sentenzia un’analisi di ‘Dottore, ma è vero che…?, il portale anti-fake news della Fnomceo, Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
“L’artrite e le altre patologie reumatiche – spiegano gli esperti – sono malattie complesse e riconducibili a più cause, come il logoramento dei tessuti in età avanzata, oltre a fattori genetici e ambientali. Comprendere i meccanismi biologici coinvolti e valutare l’impatto di fattori come la pressione atmosferica, l’umidità e la temperatura sui sintomi resta un obiettivo della ricerca”, anche allo scopo di “individuare trattamenti specifici per gestire (e prevenire) i dolori articolari e migliorare la qualità della vita dei numerosi soggetti colpiti, soprattutto in età avanzata”. Tuttavia, “la ricerca al momento non ha prodotto prove sul legame di causa-effetto tra il tempo che cambia e i dolori a ossa e articolazioni”.
“La credenza – ricorda il sito anti-bufale – è antica e molto diffusa: ne aveva parlato persino Ippocrate, medico greco vissuto circa 2.500 anni fa. Nel frattempo si sono effettuate moltissime ricerche cercando di capire i meccanismi biologici all’origine dei dolori prima della pioggia. I risultati però restano ipotesi. Una delle più accreditate per spiegare l’influenza del cattivo tempo sul fisico si riferisce alla pressione atmosferica, quella indicata dal barometro. Quando diminuisce, solitamente prima di un temporale, l’aria preme meno sui tessuti del corpo. I muscoli e i tendini, di conseguenza, si espandono irritando le articolazioni. L’umidità e il freddo, poi, agiscono sul liquido sinoviale, un fluido che ha il compito di lubrificare le estremità delle ossa. Se si altera, i legamenti si irrigidiscono. Conta anche la rapidità con cui cambia il tempo: se la pressione cala drasticamente, i dolori possono essere più acuti”. Queste teorie sono state formulate partendo da un dato empirico, ossia “un aumento delle richieste di visite” mediche “o di antidolorifici durante i cambiamenti meteorologici”. Ma per la scienza “tutto ciò non basta a provare che il maltempo influisca significativamente sulla salute di ossa, articolazioni e legamenti. E, purtroppo, non è sufficiente per individuare trattamenti specifici o strategie di prevenzione”.
“Molti studi – prosegue l’analisi – oggi sfruttano la tecnologia per coinvolgere decine di migliaia di pazienti per comprendere l’eventuale legame di causa-effetto” tra meteo e dolorini. Qualche esempio: “Nel Regno Unito oltre 10mila partecipanti avevano aderito a un progetto di lunga durata per comunicare il proprio stato di salute e la posizione geografica, giorno dopo giorno. Secondo gli autori dello studio esiste una relazione tra i dati di umidità, pressione atmosferica e vento e il malessere percepito. Si tratta però di autovalutazioni del paziente, che non consentono di conoscere come altri fattori possono aver scatenato il dolore. Un altro studio, condotto negli Stati Uniti, ha seguito oltre 1 milione e mezzo di pazienti anziani nell’arco di 4 anni. Non si è riscontrato alcun aumento delle visite ambulatoriali per dolori a ossa e articolazioni nei giorni di pioggia, rispetto alle giornate serene e di alta pressione. Ogni collegamento, quindi, ancora una volta, sarebbe casuale”.
Alcune abitudini adottate per il timore di un presunto ‘dolore da maltempo’ rischiano di peggiorare le cose, avvertono i medici. “In previsione di un peggioramento del tempo”, per esempio, “chi può si concede una giornata più sedentaria che però concorre a peggiorare la mobilità delle articolazioni. In più, temendo di soffrire, dopo aver dato un’occhiata al meteo si tende a notare fastidi sui quali prima non ci si sarebbe soffermati troppo”. Addirittura “esistono negli Stati Uniti siti che, insieme alle previsioni meteo, danno un bollettino sul rischio di peggioramento dell’artrite”. Ma “non essendoci nessuna convalida scientifica, consultarli può essere controproducente”.
Come si possono prevenire o lenire questi dolori? “Essere attivi mantiene muscoli, tendini e legamenti elastici e mobili”, è la prima raccomandazione. “Si può praticare stretching o yoga per aumentarne la flessibilità ed evitare di sentirsi ‘scricchiolanti’. Quando non si può fare esercizio fisico – suggeriscono gli esperti – è utile mantenere il corpo al caldo: una doccia o un cuscinetto riscaldante possono calmare il dolore lieve. Non esiste, però, una cura risolutiva per le artriti. Si ricorre perciò a trattamenti di diverso tipo (gli antinfiammatori da assumere per bocca o da applicare sulla parte interessata, la fisioterapia) che leniscono i sintomi e migliorano la mobilità”, ma “è sempre bene consultare il medico per evitare di prolungare troppo terapie che potrebbero essere nocive. Nei casi più gravi, infine, si procede con la sostituzione chirurgica dell’articolazione”.