Intervista a Mauro Cardinali: sarà nel cast di Indiana Jones 5 presentato a Cannes con Harrison Ford
Ha potuto formarsi come attore grazie ad una lunga gavetta svolta in teatro, al fianco di registi di fama internazionale come Ricci/Forte, Paolo Rossi, Filippo Timi, Marina Abramović, Emma Dante e Luciano Melchionna che gli hanno insegnato, spettacolo dopo spettacolo, i rudimenti e i segreti della recitazione. Diplomato attore-performer presso il C.U.T. di Perugia nel 2010 sotto la guida di Roberto Ruggeri, Sergio Ragni e Ludwig Flaszen del Teatr LAboratorium di Wroclaw, Mauro Cardinali è stato di recente nel cast dell’ultima stagione de La Porta Rossa, fiction di successo di Rai2. Un impegno a televisivo a cui ne seguiranno altri, come ci ha raccontato in questa intervista.
Con la preziosa collaborazione di Roberto Mallò e Sante Cossentino by Massmedia Comunicazione
Mauro, partiamo dal quinto capitolo di Indiana Jones, un progetto internazionale che la vede coinvolta. So che è un appassionato della saga. E’ sicuramente un’emozione far parte del cast, no?
“Una grande emozione, uno di quei progetti che sembrano capitare una volta nella vita. Ma chissà… Stiamo cercando di avere sempre più contatti con casting e produzioni internazionali. E’ fondamentale, però, continuare a lavorare bene qui in Italia, a costruire un buon nome per poterlo poi diffondere meglio oltreconfine. Mi piace confrontarmi con realtà straniere. Ho girato con il signor Ford e Phoebe Waller-Bridge. Ho conosciuto e passato del tempo con Mads Mikkelsen. Sono stato truccato dalla Premio Oscar Frances Hannon, storica truccatrice di Wes Anderson, e diretto dal grande James Mangold, anche se ovviamente mi avrebbe fatto piacere che ci fosse ancora Steven Spielberg. Quindi direi di sì, si è trattato di un grande regalo piovuto da chissà dove. Un’importantissima esperienza personale e lavorativa”.

Anche perché si lavora in maniera decisamente diversa dai set italiani…
“C’è una grande professionalità. C’è un’abnegazione, uno stakanovismo; è come se tutti fossero indirizzati verso un unico grande obiettivo, che era quello di lavorare al meglio. Nonostante le tante ore, si è mantenuta sempre una grande concentrazione e una grande energia. Ovviamente, stiamo parlando di produzioni stellari, ma non parlo solo della questione economica. C’era proprio la volontà e la conoscenza di stare facendo qualcosa di importante; che doveva essere fatta al meglio, al top”.
Avete girato in Italia?
“Sì, abbiamo girato in Sicilia. Io, personalmente, nella parte orientale dell’isola, ossia alla Tonnara del Secco, sotto Trapani. E’ capitato poi di girare a Londra negli storici studi Pinewood, tra i teatri di posa più importanti e famosi d’Europa, dove hanno girato Kubrick e la maggior parte dei film 007. E’ una sorta di grande Cinecittà, anche se non poetica e bella come la nostra. Lì abbiamo fatto le scene che era impossibile fare all’aperto. La troupe si è spostata poi in Marocco, in Scozia. Perché si è voluto tornare all’idea di portare Indiana Jones in giro per il mondo e di farlo in modalità live action”.

In che lingua ha recitato?
“Nel film interpreto Maximus – The Hero e le mie battute erano in latino. Senza spoilerare troppo, posso dire che Indiana Jones viaggerà nel tempo e incontrerà questo comandante romano, che parla appunto il latino incitando la sua truppa. Mi sono fatto aiutare per la lingua da amici e professori per non commettere errori. Si trattava di battute rapide e secche, bisognava trovare la giusta storicità a livello filologico. Non bisognava metterci dentro roba che non c’era, come a volte succede”.
Tralasciando Indiana Jones, sarà anche nel cast delle seconde stagioni di Blanca e di Lea – Un Nuovo Giorno, entrambe destinate a Rai Uno.
“Blanca ho appena finito di girarla; sarò il protagonista del quarto episodio per la regia di Michele Soavi. Lea è ancora in fase di riprese. In questo caso, si tratta di un personaggio che torna in più episodi”.

Tra i lavori prossimi c’è anche La Lunga Notte con la regia di Giacomo Campiotti…
“Sì, uscirà in Rai a novembre, così come Blanca e Lea sono destinate all’inverno. Per il momento, lì ho un piccolo cameo, di un ruolo che crescerà nella seconda serie perché verrà raccontata la sua vita. Parlo del Colonnello Frignani, che arrestò Benito Mussolini per ordine del re nel 1943. La serie parla della storia di Dino Grandi, che era un gerarca, colui il quale chiese la sfiducia al Duce, cosa che poi accadde con la caduta del Regime. Fatto che porterà il re ad ordinare l’arresto di Mussolini, con Frignani che conclude tale compito e lo porta in cella, prendendosi le minacce del Duce. Evento che farà finire Frignani nella Resistenza, post caduta del Regime. Verrà poi arrestato, torturato davanti alla moglie, finché non verrà fucilato e sepolto nelle fosse Ardeatine. E’ un personaggio molto bello. Nella prima serie si racconteranno gli eventi fino all’arresto di Mussolini, nella seconda si arriverà, come ho già detto, alle fosse Ardeatine”.
Le è piaciuta come esperienza?
“E’ stata molto bella. C’è Duccio Camerini che interpreta Mussolini, mentre Luigi Diberti è il Re. Alessio Boni interpreta, invece, il protagonista. Un bel cast di attori bravissimi e moltonoti al pubblico”.

Il personaggio che ha portato in scena più a lungo è stato quello di Piero nella terza stagione de La Porta Rossa. Che cosa le ha lasciato quella serie, che è anche un piccolo cult per la Rai?
“E’ vero; la prima stagione mi piacque molto perché ero affascinato dalla figura di Cagliostro, che ha preso ispirazione dal Conte Cagliostro. Ricordo che rimasi attratto da questo nome. Sono stato dunque molto felice di poter prendere parte alla terza stagione. Lungo il tragitto, è stato cambiato il mio ruolo, che poi ha interpretato Paolo Mazzarelli. Per quanto quello di Mazzarelli fosse un ruolo più grande, come pose e così via, sono rimasto contento di avere interpretato Piero perché ha avuto un arco di trasformazione. Piero è stato una sorpresa: è partito in sordina, con un ruolo istituzionale da coprire, ma ha in seguito imbracciato un fucile, è stato arrestato ed ha avuto una crisi, una rottura. Noi attori speriamo sempre di vivere questa trasformazione, che ne La Porta Rossa è avvenuta nell’arco degli 8 episodi. Sarebbe stato ancora più bello farlo in tempi più lunghi; è stato difficile farlo nei tempi ristretti che abbiamo avuto, ma per me è stata una bella prova perché nel poco tempo è cambiato il personaggio”.
Cosa ricorda del provino per la serie?
“L’avevo fatto con Carmine Elia; è andato bene, ma Carmine non ha potuto continuare con la lavorazione ed è stato sostituito da Gianpaolo Tescari. Ho così dovuto affrontare un altro provino con lui, ma è andato bene lo stesso. Tescari è una persona molto gentile che riesce a guidarti bene. Quella ne La Porta Rossa era la mia prima esperienza grande ed è stata una fortuna avere lui per quest’occasione. Ho rotto le acque con il linguaggio televisivo, dopo anni di esperienza in teatro. Nei set successivi mi sono sentito più a mio agio e così sarà andando man mano avanti”.
Non a caso, dopo La Porta Rossa è arrivata l’esperienza nella serie iberica Nacho, dove ha interpretato Rocco Siffredi. Com’è stato confrontarsi con una persona reale e ancora in vita?
“Ho subito contattato Rocco; è stato sempre disponibile e gentile, si è instaurato tra di noi un bel rapporto. Nel frattempo, lui era a Budapest con Alessandro Borghi per girare Supersex. Alessandro ha avuto la fortuna di stare a stretto contatto con Rocco per interpretarlo. E’ quello che ciascun attore si auspica di poter fare quando porta in scena un personaggio ancora in vita. Io mi sono invece documentato, formandomi con interviste e documentari e chiamando Rocco quando era possibile. Tra l’altro, conosco personalmente Alessandro, che è una persona che stimo tantissimo, oltre che un attore che mi piace davvero tanto. L’idea che stessimo lavorando parallelamente sullo stesso personaggiomi ha dato molta forza e mi ha fatto molto piacere. Sono stato il primo a interpretare Rocco Siffredi, non era mai capitato. E a distanza di poco si è aggiunto Alessandro Borghi, che è un esempio e un faro di quello che è il mio lavoro. E so che il mio Rocco ha avuto dei feedback positivi. Ancora non ho finito di vedere la serie, ma ritengo che il personaggio sia uscito molto bene”.

Lì ha recitato in italiano o in lingua spagnola?
“Ho recitato in spagnolo, italiano e inglese. Lo spagnolo e l’inglese li ho pronunciati non benissimo, esattamente come fa Rocco. Ho parlato in italiano soprattutto quando il personaggio si innervosiva e l’inglese quando nelle scene si confrontava con produttori americani e via dicendo. E’ stato un bel mix molto divertente”.
Quando ha deciso di diventare un attore e dedicarsi alla recitazione?
“Mi sono avvicinato alla recitazione quando ho deciso di fare qualcosa per me. Avevo bisogno di lavorare un po’ su me stesso; erano anni difficili e complessi. Diciamo che ho preso la via del teatro come una terapia, non immaginavo che sarebbe diventato un lavoro. Facendo teatro, in maniera quotidiana perché ho frequentato un’accademia, ho scoperto la meraviglia della catarsi teatrale. Da lì è stato un concatenarsi di situazioni ed eventi che mi hanno portato a farlo a livello professionale. Ho fatto tantissimo teatro, tantissime performance e, ogni tanto, piccole esperienze televisive e cinematografiche. Per esempio, Pasolini di Abel Ferrara o Che Strano Chiamarsi Federico di Ettore Scola. C’è stato poi un film molto particolare, intitolato I Figli di Maam, con la regia di Paolo Consorti e con Franco Nero. Lì ho fatto un diavolo che cambiava forma tante volte: un diavolo politico, un diavolo bohemienne, un diavolo avvocato – nello specifico di Erode interpretato da Franco Nero – ed un diavolo iconografico con un body panting rosso con le corna. La potenza che potevo tirar fuori attraverso il mio corpo è stata un po’ la mia cifra per lungo tempo. Inoltre, ho lavorato per diversi anni con Antonio Marras, sia nelle sue sfilate, sia nelle performance che ha realizzato. Facendo questo lavoro ho sempre vissuto delle emozioni fortissime; per questo ho deciso di investirci. E pian piano è diventato sempre più assiduo”.
So che è impegnato anche nelle attività teatrali dedicate al sociale…
“Sì, ho iniziato a lavorare con Giorgio Rossi, un danzatore della Sosta Palmizi. Ho cominciato ad assisterlo nei laboratori di teatro sociale e integrato. Ho avuto otto anni di lunga esperienza in tal senso, con spettacoli anche a New York e Londra. Un’attività, quella dei laboratori, che ho portato avanti finché ho potuto. In questi anni, dove ho girato tantissimo, non mi è stato più possibile. Inoltre, c’è stato anche il Covid a sospendere il tutto, anche se ancora oggi, quando posso, vado a un gruppo di lavoro di ragazzi con varie problematiche. Con loro, ho realizzato degli spettacoli unici, meravigliosi, con la potenza che hanno queste persone sia espressiva, sia emotiva. La loro sensibilità è qualcosa di unico;poter lavorare con queste persone, considerate spesso solo dei ‘matti’, è più gratificante, spesso, di lavorare con aspiranti attori, nonostante le difficoltà del caso. Perché c’è una libertà, una voglia, un amore. Ci sono anche varie difficoltà, ma lì sta a me, col mio lavoro, riuscire a creare qualcosa che li faccia sentire bene e a loro agio per raccontare delle storie partendo dalle loro esperienze, difficoltà e dalla loro rabbia. Così sono nati vari spettacoli che ho scritto e diretto di teatro integrato. Ed è un aspetto del mio mestiere che vorrei portare avanti, pensando magari a qualcosa di audiovisivo. Insomma, quello che sarà, sarà”.

Riassumendo, è quindi arrivato al teatro per un suo bisogno personale?
“Sì, sono arrivato al teatro come bisogno di crescita, di evoluzione; per chiarire e sciogliere qualche nodo. Credo, per questo, che il teatro sia una cosa che tutti debbano poter fare almeno una volta nella vita. Andrebbe assolutamente insegnato nelle scuole; è uno strumento utilissimo per formarsi e approcciarsi alle difficoltà della vita e personali”.
Lei utilizza Cardinali, il suo cognome materno. Posso chiederle per quale motivo?
“E’ un omaggio a mia madre, una donna che ha scelto di sacrificare tutto per me e mio fratello. Non ci ha mai abbandonati nel bene e nel male. Di male ne abbiamo vissuto tanto, ma è servito a crescere. E’ stato difficile, doloroso ma è andata così e va benissimo. La nostra vita da diverso tempo a questa parte è cambiata in positivo. Io e mio fratello stiamo bene e abbiamo dei figli meravigliosi. Piuttosto che fare girare Fiorucci, il mio cognome paterno, ho optato per quello di mia madre, in onore alla sua forza. Tante donne nel mondo nascondono una forza e un coraggio inimmaginabile”.
© Sbircia la Notizia Magazine, è vietata qualsiasi ridistribuzione o riproduzione del contenuto di questa pagina, anche parziale, in qualunque forma.

Cerchi qualcosa in particolare?
Pubblichiamo tantissimi articoli ogni giorno e orientarsi potrebbe risultare complicato.
Usa la barra di ricerca qui sotto per trovare rapidamente ciò che ti interessa. È facile e veloce!