Napoli, Maradona ha la sua statua
Diego Armando Maradona, il Pibe de Oro, ha la sua, meritata, statua, nella città di Partenope.
Sui muri, sulle maglie ma soprattutto nei pensieri e nel cuore: Diego Armando Maradona è ancora ovunque a Napoli. E in occasione del primo anniversario della morte del “Pibe de Oro”, è stata installata una statua davanti allo stadio che porta il suo nome per celebrare il legame “eterno” tra la città e il più napoletano dei napoletani, ma argentino di nascita.
Alla stazione, o per le strade, si sente chiamare “Diegooooooo” il visitatore, il turista o il passante dai capelli che ricordano il Pibe de Oro. Sulle bancarelle, o allo store ufficiale del Napoli, fanno capolino le maglie o gli accessori con il volto della star deceduta un anno fa all’età di 60 anni.
Simbolo de “l’eredità lasciata dalla leggenda argentina”, le cui gesta sono ricordate per sempre, la casacca commemorativa è stata indossata dai giocatori del club Napoli nel mese di novembre. Prodotta in serie limitata, viene venduta a scopo non lucrativo, ma di “beneficenza”… e sold out sul sito del club stesso.
Per il visitatore, il turista o il semplice passano alla ricerca della memoria, l’immenso affresco con l’effigie del campione, realizzato negli anni ’90 nel cuore dei popolari “quartieri spagnoli” , costituisce generalmente la prima tappa del pellegrinaggio.
Il più delle volte, ci sono soste davanti a una folla di disegni sui muri e manifesti del film “La mano di Dio” – un riferimento all’espressione che è diventata cult del giocatore per qualificare il suo gol segnato volontariamente a mano, nelle semifinali del Mondiale 1986, l’omaggio di Paolo Sorrentino al Napoli degli anni Ottanta, nelle sale cinematografiche, ancora per poco, in questo periodo.
“Era importante venire a Napoli, si sono una ragazza, ma dai racconti dei miei genitori, ho amato di riflesso anch’io questo indiscusso campione”, assicura una ragazza di soli 17 anni, che ha sfidato la pioggia per venire a scoprire il famoso “murale”, su questa spianata dedicata al culto del “Dio” Maradona, con foto, bandiere, magliette e altre reliquie.
La giovane ragazza è venuta dalla Sicilia con la sua famiglia di origini napoletane, per dare degno saluto ad un intramontabile Campione.
“Si vede che non sono solo le maglie del Napoli, ma la maggior parte delle squadre con cui ha giocato e le foto del giocatore, ma anche dell’uomo. È interessante come le persone normali, non solo i tifosi, si siano legate a lui“.
Anche Facundo Perez, 26 anni, argentino residente in Europa, è venuto apposta a Napoli per “salutare” Maradona, un anno dopo la sua morte.
Nuove immagini dell’icona calcistica, sbocciano regolarmente ai piedi del Vesuvio. Lo street artist Mario Casti, già autore di “dieci” da un anno, era ancora impegnato questa settimana per ultimarne un nuovo lavoro, in occasione dell’anniversario.
Maradona, idolo di tutti i napoletani, ha ispirato anche lo scultore Domenico Sepe, la cui opera è stata installata davanti all’ex stadio San Paolo, ribattezzato lo scorso dicembre con il nome di Maradona.
“Dio greco”
“L’opera è nata da un’esigenza personale. All’annuncio della sua morte, qualcosa è venuto a mancare nella mia vita quotidiana e da tifoso e scultore ma anche napoletano, ho deciso di dare una mano, un’opera che gli offra l’eternità“, ha raccontato guardando compiaciuto la sublime scultura.
Scultore dalla vena classica, ha voluto fare di Maradona un “Dio greco”. Il bronzo con lo sguardo concentrato e le possenti gambe, lanciato in una folle corsa con la palla davanti al piede, su un campo. Spiegare questo monumento commemorativo è difficilissimo, ogni plausibile tentativo risulterebbe riduttivo, tale è la magnificenza che sprigiona.
Riconosciamo il “Diego” campione del mondo con l’Albiceleste nel 1986, ma con indosso la maglia partenopea, emblematica N.10 sulla schiena. Maradona, tutto muscoli, ci appare quasi a “dimensione reale”, precisa.
Perla città, la statua di Maradona è l’augurio di vincere lo scudetto, “scudetto” vinto solo due volte nella storia del Club Napoli, era il lontano 1987 e il 1990, si, naturalmente con “lui”, “Diego”…
“Lui, anche in allenamento ti faceva venire i brividi, tale era la sua abile destrezza…
Allora, durante una partita Juventus-Napoli nello spogliatoio ci dicemmo che l’unico modo per fermare Maradona, era menargli di brutto… Ma dopo dieci minuti in campo, ci guardammo e ci dicemmo che NO!!! Era troppo, troppo bello vederlo giocare…“
(Zbigniew Boniek)

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Attualità
Gene Hackman, un patrimonio da 80 milioni e un testamento che divide: quali spiragli per...

Ci sembra doveroso condividere una storia che lascia molte domande in sospeso. Gene Hackman, attore iconico e vincitore di un Premio Oscar, non è più tra noi, e con lui se n’è andata anche Betsy Arakawa, la compagna che gli è stata accanto a lungo. Come testata, non possiamo evitare di ripensare alla complessità di un legame familiare che, alla fine, si ritrova racchiuso in un testamento controverso. E sono 80 milioni di dollari a fare da sfondo a questa vicenda.
Una fortuna che sembrava destinata alla moglie… e poi alla beneficenza
Le carte che circolano, documenti che abbiamo esaminato con attenzione, riferiscono di un’eredità inizialmente destinata alla moglie di Hackman. In seguito, sarebbe stato creato un trust finalizzato a supportare enti benefici e a coprire spese mediche. Ora che entrambi sono scomparsi, sembra che la rete di volontà e vincoli legali diventi sempre più intricata. Non sappiamo, con certezza assoluta, chi finirà per gestire davvero questi fondi, ma diversi esperti hanno già avanzato ipotesi su eventuali strascichi giudiziari.
Ci colpisce, però, il dettaglio più sconcertante: i figli di Hackman, nati dalla precedente unione con Faye Maltese, non sarebbero menzionati. Christopher Allen, 65 anni, avrebbe manifestato in passato difficoltà nel rapporto con il padre dopo il divorzio. Leslie, 58, ed Elizabeth Jean, 62, sembrano invece aver avuto contatti più regolari con lui, almeno stando ai racconti di chi li ha visti insieme a qualche prima cinematografica. Questa potenziale esclusione, in ogni caso, ha acceso le speculazioni su un conflitto legale che potrebbe aprirsi ora che né Hackman né la moglie sono in vita.
Un testamento del 2005 e l’ombra dell’Alzheimer
Gira voce che le ultime volontà dell’attore siano state firmate nel 2005, in un periodo in cui alcune fonti ipotizzavano una diagnosi di Alzheimer. La domanda che ci poniamo, e che forse anche voi condividete, è quanto questa condizione possa aver inciso sulle sue decisioni. Non esistono prove incontrovertibili, ma persiste un senso di incertezza sulle possibili motivazioni che avrebbero portato a escludere i tre figli.
Resta la prospettiva di un lungo iter per chiarire come questi 80 milioni verranno effettivamente ripartiti. Noi continueremo a seguire la vicenda, perché sentiamo che ogni ulteriore dettaglio potrà gettare nuova luce su una storia familiare carica di dubbi e lacune. E forse, soltanto il tempo riuscirà a diradare ogni sospetto.
Attualità
Jim Morrison, il fantasma che non trova pace? Il nuovo documentario risveglia l’enigma

Una storia che mette i brividi, quasi come se ci fosse una porta socchiusa nel passato pronta a riaprirsi. Potremmo persino dire che questa vicenda ci riporta a un bivio in cui ogni certezza traballa: si parla ancora di Jim Morrison. Non si tratta della solita leggenda metropolitana da bar, ma di una questione che è riemersa con vigore grazie al documentario Before the End: Searching for Jim Morrison, firmato dal regista Jeff Finn e disponibile su Apple TV+.
Guardandolo, saltano fuori sussurri, ipotesi, tracce polverose. E c’è una domanda, lì, che spiazza: Morrison è davvero morto a Parigi nel 1971 per un attacco di cuore, come afferma la versione ufficiale, oppure ha inscenato la propria uscita di scena per sfuggire ai riflettori?
Un documentario che sfida i referti
Il film di Finn fa qualcosa di audace: non si limita a riflettere sulla vita travagliata del frontman dei Doors, ma rilancia l’idea che il suo decesso possa essere stato, in realtà, un piano per sparire. Vecchie testimonianze, interviste raccolte nel tempo e voci che continuano a puntare su un uomo misterioso, un tale “Frank,” risvegliano antiche curiosità. Alcuni sostengono di aver incontrato questo sconosciuto negli Stati Uniti, in luoghi anonimi come un condominio di Syracuse, e di aver notato su di lui una cicatrice esattamente dove Jim aveva un piccolo neo in volto.
Una realtà capovolta
Diventa sconcertante pensare a un Morrison che abbandona tutto: musica, fan, ribalta mediatica. Cosa l’avrebbe spinto a tanto? Per alcuni, la pressione insopportabile di essere un’icona rock. Per altri, la semplice voglia di respirare una vita più normale, lontana dagli assedi dei paparazzi e dall’industria discografica. C’è chi considera questa ipotesi un’eresia, eppure il documentario s’insinua negli spiragli di dubbio come un’ombra tenace.
La fragilità di un mito
Tutto ruota attorno a un conflitto tra la storia che conosciamo e le supposizioni che resistono da decenni. Da un lato, abbiamo un certificato di morte che parla chiaro: insufficienza cardiaca. Dall’altro, individui che giurano di aver visto il leggendario artista ben oltre la data del 1971. Pura follia? Oppure frammenti di verità rimasti in sordina per mezzo secolo?
A ben pensarci, la fascinazione verso i miti eterni è una costante: tanti fan, forse, non vogliono accettare che il Re Lucertola se ne sia andato così presto. E Before the End rimescola le carte, trasformando una vecchia ferita in un nuovo motivo di stupore. Noi non pretendiamo di fornirvi risposte definitive, ma ammettiamo che questa storia – proprio come la voce di Morrison – sa risvegliare in chiunque un’indomita voglia di andare oltre ciò che appare.
Attualità
Blake Lively e Justin Baldoni, scontro giudiziario a Hollywood: l’attrice ottiene un...

Una vicenda che intreccia accuse gravi, contrattacchi e il timore che dettagli intimi finiscano in pasto alla stampa. Sembra un romanzo drammatico, invece è un fatto reale: Blake Lively, in lotta legale contro il regista e attore Justin Baldoni, ha ottenuto un parziale successo per tenere al sicuro alcune informazioni delicate. Non un trionfo definitivo, ma un primo passo per impedire che conversazioni private e dati strettamente personali possano raggiungere un pubblico affamato di scandali.
È una disputa che si sta consumando nei corridoi di un tribunale federale, dove Lively ha denunciato Baldoni con pesanti accuse di molestie sessuali e ritorsione. Come se non bastasse, Baldoni ha scelto di contrattaccare, portando in causa lei e Ryan Reynolds per diffamazione. Un intreccio complicatissimo di accuse incrociate, punteggiato da strategie legali sofisticate e decisioni giudiziarie che potrebbero fare giurisprudenza. Il giudice Lewis Liman, pochi giorni fa, ha parzialmente accolto la richiesta di Lively di mantenere “solo per gli avvocati” alcuni materiali di divulgazione. Parliamo di messaggi, piani e appunti creativi che Baldoni vorrebbe introdurre come prove per sostenere le proprie ragioni.
Perché mai limitare l’accesso soltanto ai legali?
La motivazione, in fondo, è semplice: proteggere segreti commerciali, piani di marketing, questioni di salute e persino i sistemi di sicurezza dell’attrice, che sarebbero esposti a un rischio enorme se condivisi liberamente. Senza dimenticare l’aspetto ancora più delicato: la salvaguardia di terzi estranei alle diatribe giudiziarie, i cui dati riservati potrebbero emergere involontariamente e generare danni irreparabili.
L’incubo della fuga di notizie aleggia come un’ombra su tutta la vicenda. Il giudice Liman ha sottolineato che quando in gioco ci sono star, addetti stampa e un case ufficiale di accuse pesanti, il pericolo di rivelazioni non autorizzate si alza vertiginosamente. Ciò che in teoria resta “riservato” rischia di finire nel circolo dei pettegolezzi – soprattutto all’interno della comunità artistica, dove una semplice allusione può devastare carriere e reputazioni.
Gli avvocati di Baldoni, dal canto loro, ammettono la necessità di proteggere materiale sensibile ma contestano l’idea di una condivisione esclusiva fra legali. Ritengono che un simile muro possa rallentare il processo, generando inevitabili attriti e continui ricorsi al giudice su ciò che dev’essere tenuto segreto e ciò che può essere trasmesso ai rispettivi clienti. Il tribunale, però, ha scelto un equilibrio: ha accolto alcuni punti avanzati dalla difesa di Lively ma non tutti. Ha fissato paletti precisi: niente divulgazioni che possano causare danni “significativi”, con un margine piuttosto ridotto di interpretazione.
Per ora la bilancia pende leggermente dalla parte dell’attrice, anche se il conflitto legale resta aperto e denso di sfumature da chiarire. Noi continuiamo a seguire l’evoluzione di questo caso sui generis, convinti che la verità, qualsiasi essa sia, emergerà tra i faldoni legali e la fermezza di chi vigila sul rispetto della riservatezza. Non è una storia con un vincitore annunciato, ma un racconto che si aggiorna di ora in ora, in un palcoscenico giudiziario dove la tensione è tutt’altro che scesa. E alla fine, la domanda chiave resta: fino a che punto si spingerà questo duello, e cosa accadrà se i segreti di Hollywood dovessero varcare i confini di quell’aula di tribunale?