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Poste: nel 2023 utile netto +22,1% a 1,9 miliardi, ricavi...

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Poste: nel 2023 utile netto +22,1% a 1,9 miliardi, ricavi +5,4% a 12 miliardi

L'ad Del Fante: "Forte performance finanziaria. Il gruppo continua a crescere grazie al suo modello di business diversificato, resiliente e sostenibile"

Poste: nel 2023 utile netto +22,1% a 1,9 miliardi, ricavi +5,4% a 12 miliardi

Poste Italiane ha conseguito nel 2023 un utile netto in crescita del 22,1% su base annua, a 1,9 miliardi. I ricavi sono stati in crescita del 5,4% a 12 miliardi, con un solido contributo da pagamenti e servizi finanziari. Inoltre, il risultato operativo (ebit) segna il record pari a 2,62 miliardi di euro (+9,4% rispetto al 2022), più che raddoppiato rispetto al livello del 2017 e in linea con la guidance del 2023 pari a 2,60 miliardi di euro. Sono alcuni dei principali risultati preliminari dell'azienda del quarto trimestre e dell'esercizio 2023.

Il gruppo Poste ha raggiunto nella divisione Corrispondenza, Pacchi e Distribuzione il break even di settore per l'esercizio 2023, in anticipo rispetto alle previsioni, con ricavi pari a 3,7 miliardi di euro nel 2023, in crescita del 2,6% su base annua. Inoltre, nei Servizi Finanziari i ricavi ammontano a 5,2 miliardi di euro, con le attività finanziarie investite pari a 581 miliardi di euro, supportate da una raccolta netta retail di oltre 1,2 miliardi di euro, trainate da una solida raccolta netta assicurativa, che ha conseguito una performance oltre il livello di mercato. Nei Servizi assicurativi Poste ha registrato risultati positivi, con una raccolta netta che conferma una performance ben al di sopra del livello di mercato e un tasso di riscatto ridotto in un contesto sfidante. I ricavi di pagamenti e mobile sono in crescita del 27,5% su base annua e pari a 1,41 miliardi di euro nel 2023. Le attività finanziarie investite sono in crescita nel 2023, pari a 581 miliardi di euro, con una solida raccolta netta retail di 1,2 miliardi di euro.

Poste Italiane propone un dividendo per l'esercizio 2023 di 0,80 euro per azione, per un ammontare totale di dividendi pari a 1,0 miliardi di euro, in aumento del 23% rispetto all'esercizio 2022. L'utile per azione (Eps) aumentato del 22% a 1,48 euro.

Il gruppo Poste Italiane nel 2023 ha registrato "una forte performance finanziaria". Il gruppo "continua a crescere grazie al suo modello di business diversificato, resiliente e sostenibile". Così l'amministratore delegato di Poste Matteo Del Fante, ha commentato nel corso della conference call con gli analisti in occasione della presentazione dei risultati del 2023. "Grazie ai forti risultati conseguiti Poste - sottolinea Del Fante - proporrà la distribuzione di un dividendo per il 2023 di 0,80 euro per azione", in aumento del 23% rispetto al 2022.

Il business dell’energia di Poste Italiane registra oltre 500 mila adesioni, in anticipo rispetto alla guidance prevista per il 2023. "L'offerta PosteEnergia è stata accolta molto bene dal mercato, raggiungendo alla data odierna circa 500mila contratti sottoscritti" commenta l'amministratore delegato e dg di Poste Matteo Del fante, nel commentare i risultati preliminari dell'esercizio 2023, approvati ieri dal cda.

"Siamo ottimisti" per quanto riguarda l'istruttoria avviata dall'Antitrust per accertare se il gruppo ha ostacolato la libera concorrenza nel mercato dell'energia. "Alla base della richiesta è una legge sulla concorrenza del 1990, ben 34 anni fa quando gli uffici postali erano tutta un'altra cosa rispetto ad adesso". Ora questo tipo di attività "è molto residuale rispetto alle nostre attività".

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Politica

Mentana: “Offeso da Lilli Gruber, La7 dica qualcosa o...

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Il direttore del Tg: "Dall'azienda mutismo da 24 ore, io non ho mai offeso nessuno"

Enrico Mentana

Enrico Mentana chiede un segnale a La7 dopo le parole "molto sgradevoli e offensive" pronunciate da Lilli Gruber nei confronti del direttore del telegiornale, 'reo' di aver sforato con i tempi ritardando l'inizio della puntata di Otto e mezzo andata in onda il 6 maggio.

"Ieri sera siamo andati un po' lunghi con il telegiornale, era una giornata cruciale, importantissima: la prospettiva di pace in Medioriente, la tragedia di Casteldaccia, vicino a Palermo, In più come ogni lunedì c'erano i nostri sondaggi e l'appuntamento con il Data Room di Milena Gabanelli. Come ogni lunedì siamo andati un po' lunghi, me ne scuso con i telespettatori. Un po' lunghi, come era prestabilito e concordato con chi dirige questa rete", dice Mentana chiudendo il tg di oggi.

"Chi ci ha seguito, Lilli Gruber, perché non mi piace di far finta di non sapere nomi e cognomi, ha avuto parole molto sgradevoli e offensive nei confronti del sottoscritto. Io mi siedo qui da 14 anni per fare questo tg, non ho mai offeso volontariamente nessuno e tantomeno i colleghi che lavorano su questa rete. Gradirei reciprocità a questo riguardo e gradirei da parte dell'azienda per cui lavoro che non ci fosse il mutismo che accompagna questa vicenda da 24 ore. Domani sera vedremo se c'è stato qualcosa, altrimenti trarrò conclusioni e dirette conseguenze", conclude.

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Cronaca

Roma, 17enne aggredito alla fermata della metro da 4...

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Al vaglio le immagini delle telecamere di videosorveglianza

Auto della polizia - Fotogramma

Ragazzo di 17 anni aggredito oggi, 7 maggio, a Roma, vicino alla fermata metro di San Paolo da 4 giovani che lo hanno preso a calci e a pugni e lo hanno poi colpito alla nuca con una pietra.

A scatenare la violenza, una banale discussione che due degli aggressori avevano avuto poco prima con la vittima. I due, non contenti dell'iniziale vantaggio numerico, hanno chiamato altri due amici perché li aiutassero nell'aggressione. Il ragazzo ha tentato di fuggire ma uno dei quattro lo ha rincorso fino ai binari colpendolo con la pietra.

Immediato l'intervento dei sanitari del 118 che hanno trasportato il ragazzo all'ospedale Sant'Eugenio dove è stato refertato come codice giallo. Sul posto gli agenti del commissariato Colombo impegnati nelle indagini. Al vaglio le immagini delle telecamere di videosorveglianza.

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Cronaca

Depistaggio, legale poliziotto: “Bo fedele servitore...

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L'avvocato Giuseppe Panepinto

(dall'inviata Elvira Terranova) - "Questo non è il più grande depistaggio dello Stato italiano ma il più grande accanimento che lo Stato italiano ha fatto. E' uno degli enormi errori giudiziari. Siamo davanti a uno Stato italiano che si vuole pulire la coscienza, ci si vuole pulire il coltello sulle spalle dei tre poliziotti. Il grande sconfitto e' lo Stato italiano". Parole dure, durissime, quelle dell'avvocato Giuseppe Panepinto, legale del poliziotto Mario Bo, ex vicequestore aggiunto oggi in pensione, uno dei tre poliziotti imputati per concorso in calunnia aggravata nel processo d'appello sul depistaggio sulla strage Borsellino, in corso davanti alla Corte d'Appello di Caltanissetta, presieduta da Giovanbattista Tona. Con Mario Bo sono alla sbarra Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, con l'accusa di avere istruito il falso collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino, a rendere dichiarazioni che sarebbero servite a sviare le indagini sulla strage di via d’Amelio. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. L’aggravante mafiosa resta l’ago della bilancia nel processo di appello, perché se dovesse nuovamente decadere, come già successo in primo grado, le imputazioni andrebbero ancora prescritte. La procura generale di Caltanissetta al termine della requisitoria aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

"Il mio assistito Mario Bo è una persona che non conoscevo prima di affrontare questo processo, ma nel corso di questi anni ho maturato stima e rispetto nei suoi confronti. Ne apprezzo le doti, il senso di abnegazione e quella che ritengo la dote più importante per una persona appartenente allo Stato, cioè il rispetto nelle istituzioni", ha detto nella sua arringa l'avvocato Giuseppe Panepinto. "Mario Bo ha dedicato la sua vita allo Stato italiano, alla Polizia di Stato, ha partecipato alle più grosse operazioni che hanno portato all'arresto e alla condanna di soggetti malavitosi", dice ancora. "Il grande valore che ha il dottor Bo non è solo sopportare la gogna mediatica, ma il fatto di dover sopportare il mettere in dubbio il rispetto che questo uomo per una vita ha portato allo Stato e il doversi difendere da questa accusa così infamante di avere tradito lo Stato italiano", aggiunge il legale di Mario Bo. Mario Bo è presente in aula, con i coimputati Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

Per l'avvocato Panepinto, "questo è un processo che poteva essere evitato già dopo la sentenza del cosiddetto 'Borsellino bis'. Quando gli avvocati degli imputati capirono e denunciarono nel corso del dibattimento, in quel processo, le anomalie nelle indagini nate dalle dichiarazioni di quelli che venivano considerati collaboratori di giustizia ma che in realtà erano falsi pentiti. Da loro non è nato il depistaggio ma un clamoroso errore giudiziario che vede oggi imputati dei fedeli servitori dello Stato".

Poi l'avvocato Panepinto torna a parlare dei tre poliziotti, usando una metafora: "Oggi si chiede di pulire il coltello ancora intriso del sangue delle vittime sulla schiena di tre uomini che hanno fedelmente servito lo Stato italiano, servitori estratti quasi a sorte tra la pletora dei soggetti che sono stati coinvolti nella storia di questo processo. E vi chiedono di continuare a infangare il nome, per coloro che hanno ancora la fortuna di essere tra noi o ancora peggio di infangare la memoria di coloro che non sono più tra noi". "Mario Bo si deve difendere da una accusa così infamante come quella di avere tradito lo Stato", ha aggiunto Panepinto.

Ma per la Procura generale, i tre poliziotti sono "colpevoli" di avere "tradito lo Stato". "Un tradimento da parte degli apparati dello Stato che non può essere perdonato - aveva detto nell'aula della corte d'appello nissena il Procuratore generale Fabio D'Anna al termine della requisitoria- Perché questo depistaggio? L'unico interesse che spiega la pervicacia del gruppo investigativo Falcone-Borsellino è che loro sapevano perfettamente che con il loro comportamento stavano allontanando dalla verità delle indagini, vuoi per proteggere apparati dello Stato vuoi per proteggere apparati mafiosi".

Figura centrale è quella dell'ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto ventidue anni fa, a capo del pool investigativo sulle stragi di Palermo del 1992. Era proprio La Barbera il capo dei tre imputati e insieme, secondo l'accusa, avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino, piccolo delinquente della borgata Guadagna, a dare una ricostruzione dei preparativi della strage totalmente falsa accusando mafiosi che però con l'autobomba di via d'Amelio non c'entravano nulla.

Sempre oggi il legale di Bo ha parlato anche della "anomala collaborazione", come l'hanno chiamata i pm, con i magistrati da parte del Sisde sulle indagini di via D'Amelio. "Si è detto che è contro legge che il Sisde faccia azioni di polizia giudiziaria. Ma in questo processo non c'è un solo atto giudiziario fatto dal Sisde, o dai Servizi di sicurezza. Ha fatto solo quei tre appunti e basta. Non è stato svolto alcun tipo di attività da parte del Sisde, anche la sentenza di primo grado lo dice", spiega Giuseppe Panepinto. "Tutti i magistrati che abbiamo sentito, Ilda Boccassini, Annamaria Palma, e tutti gli altri, hanno escluso che qualunque delega di indagine svolta da loro, nessuna delega di indagine fu data al Sisde - dice ancora l'avvocato Panepinto - Loro non hanno avuto nessun tipo di rapporto con il Sisde. Anche la sentenza dice che non è possibile dimostrare il contrario. Cosa ha fatto? Si è limitato, come è naturale che fosse, a raccogliere per trasmettere al Nucleo centrale di Roma informazioni sullo stato delle indagini, su un fatto così grave, peraltro". Era stato lo stesso ex dirigente dei servizi segreti, Bruno Contrada, a raccontare anche in aula, al processo, e alla Commissione regionale antimafia, che era stato contattato dalla Procura di Caltanissetta, subito dopo la stra Borsellino, per chiedere un aiuto sulle indagini.

"La mattina del 20 luglio ricevo una telefonata del dottor Sergio Costa, genero del capo della Polizia di allora, il Prefetto Vincenzo Parisi, ed era anche lui un commissario di pubblica sicurezza, aggregato al Sisde. Costa mi dice: 'Don Vincenzo desidera che lei prenda contatti con il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra, per la strage che è accaduta, per la strage Borsellino, e io in quel momento seppi che il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta si chiamava Giovanni Tinebra, non lo sapevo…". Anche la Procura generale, nel corso della requisitoria, aveva parlato del Sisde: "Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona in particolare di Bruno Contrada''. ''C'è un incontro che avviene il 20 luglio all'indomani della strage, in cui c'erano Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra. Abbiamo una conferma di questa collaborazione negli appunti sull'agenda sequestrata a Bruno Contrada. La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali''. Ma oggi il legale di Mario Bo ribadisce che il Sisde non "fece alcun tipo di indagine su via D'Amelio".

Il processo è stato rinviato al 14 maggio, quando concluderà anche l'avvocato Giuseppe Seminara, legale di Ribaudo e Mattei. Nell'udienza successiva, probabilmente il 4 giugno, dovrebbe essere emessa la sentenza d'appello.

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