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Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro....

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Terapia genica, mRna e le sfide per la medicina del futuro. Parla Auricchio, direttore Tigem

Dai progetti dell'Istituto Telethon di Pozzuoli al nodo della sostenibilità delle terapie per i malati rari. Gli studi sul taglia e incolla del Dna, ma anche il lavoro per trovare nuove missioni a 'vecchi' farmaci. "Vogliamo spingere per portare l'innovazione fino al paziente"

Alberto Auricchio da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem)

Era fine gennaio 2024 quando sul 'New York Times' veniva raccontata la storia di Aissam Dam, 11enne cresciuto in un abisso di silenzio che aveva potuto sentire la voce del papà per la prima volta, emozionandosi. Affetto da una forma di sordità ereditaria, Aissam è diventato la prima persona a ricevere negli Stati Uniti la terapia genica per questa patologia. Tutto ciò è stato possibile anche perché dall'altra parte dell'Oceano a diverse migliaia di chilometri di distanza - per la precisione in Italia al Tigem di Pozzuoli (Napoli) - un gruppo di scienziati si è messo al bancone del laboratorio e ha studiato un modo per superare uno dei limiti della terapia genica: l'impossibilità per i piccoli vettori virali utilizzati per il 'trasporto' di impacchettare geni di grandi dimensioni per portarli a destinazione dove dovranno correggere il difetto all'origine della patologia.

Fra quegli scienziati c'era anche Alberto Auricchio, che da metà aprile è il nuovo direttore dell'Istituto Telethon di genetica e medicina (il Tigem, appunto). E superare gli ostacoli e le questioni di 'taglia' che impediscono alla terapia genica in vivo di ampliare i suoi orizzonti è una delle scommesse del centro. Insieme a un'altra frontiera su cui si sta "investendo tanto": l'editing genomico, le famose 'forbici molecolari' per il taglia e incolla del Dna. Un ulteriore filone promettente, spiega ancora Auricchio all'Adnkronos Salute, è quello delle ricerche che puntano a trovare nuove missioni per 'vecchi' farmaci, molecole già approvate per le quali al Tigem si studia un riposizionamento. "Abbiamo gruppi di ricerca che si occupano di capire se farmaci già approvati per alcune malattie possano avere un effetto benefico anche in modelli cellulari di malattie genetiche di nostro interesse. E' il caso di alcune malattie del metabolismo che potrebbero beneficiare di alcune di queste piccole molecole di sintesi chimica. Ci sono diversi farmaci al vaglio, ma tre di questi stiamo considerando di portarli avanti, sottoponendoli a delle prove successive con l'eventualità di arrivare poi ai pazienti".

La ricerca in Istituto, racconta Auricchio, è organizzata in tre aree in cui lavorano gruppi di ricerca indipendenti. "Sono programmi che fondamentalmente ripercorrono i passaggi cruciali della ricerca sulle malattie genetiche. La prima area è 'Medicina genomica', e si occupa di comprendere le basi genetiche delle malattie ereditarie di nostro interesse con degli approcci innovativi di omica (genomica, trascrittomica, proteomica). Poi c'è l'area 'Biologia cellulare delle malattie genetiche' che invece si concentra su quali sono i meccanismi che vengono alterati come conseguenza della mutazione genetica in una specifica malattia. Infine, il terzo programma è quello della 'Terapia molecolare'", che si occupa proprio di sviluppare nuove opzioni terapeutiche, "è un programma principalmente di terapia genica ma anche di terapie farmacologiche", illustra l'esperto.

Si comincia dunque identificando la mutazione genetica, poi si studia il meccanismo della malattia, per poi arrivare alla terapia. Questo lo stato dell'arte oggi. "Da medico pediatra esperto di terapia genica ora vorrei poter fare la differenza su un aspetto: quello di spingere sulla parte traslazionale, cioè cercare di fare uno sforzo all'interno dell'istituto per identificare le scoperte fatte all'interno delle prime due aree, che possano avere maggiori possibilità di trasformarsi in terapie e aiutare anche a sviluppare queste terapie fino alle sperimentazioni cliniche", dice Auricchio.

I campi più promettenti in cui si intravede ulteriore sviluppo? "Ce n'è uno che è relativamente recente ma in enorme espansione: l'editing genomico, sul quale anche noi stiamo facendo un investimento ingente", evidenzia. "Crispr-Cas e nucleasi simili possono andare in maniera molto mirata a tagliare il Dna in punti specifici e poi con interventi diversi si può correggere il Dna nel punto in cui è stato tagliato. Questo editing genomico lo definiamo 'in vivo' e anche la terapia genica che noi facciamo è fatta in vivo, cioè direttamente nel contesto di un tessuto di un paziente. Un esempio di questo approccio è l'editing genomico che facciamo per alcune malattie della retina, per alcune forme di cecità ereditarie che prevedono che gli strumenti per l'editing vengano introdotti attraverso dei vettori per terapia genica direttamente nella retina. Stesso discorso per il fegato. Sono i due organi target e i gruppi di malattie sono la cecità ereditaria e le malattie ereditarie del metabolismo".

Per il resto, continua lo scienziato a capo del Tigem "continuiamo a dedicarci alla terapia genica con delle piattaforme innovative. In altre parole, cerchiamo di sfruttare la nostra esperienza per mettere a punto delle piattaforme di terapia genica che superino alcuni ostacoli. Per esempio, il vettore che oggi in terapia genica si utilizza di più in vivo deriva da un virus che si chiama adeno-associato, è molto efficiente e contenuto in vari prodotti già approvati di terapia genica. Ma uno dei limiti di questo sistema - chiarisce - è che si tratta di una piccola particella che non può contenere grossi pezzi di Dna, è come se fosse un piccolo guscio all'interno del quale è difficile fare impacchettare un grosso pezzo di Dna".

Riuscirci è stata una sfida: "Abbiamo messo a punto delle piattaforme che ci permettono di utilizzare il vettore adeno-associato trasportando geni di grosse dimensioni, le stiamo utilizzando in laboratorio ma una in particolare sta per entrare in clinica per una cecità ereditaria. E' una sperimentazione che stiamo portando avanti in collaborazione con l'università Vanvitelli di Napoli e la Fondazione Telethon l'ha data in licenza a un'azienda americana che si chiama Akouos, di Boston", che l'ha già utilizzata per il caso di Aissam e la sordità ereditaria. Quindi questa realtà Usa ha fatto una sperimentazione "utilizzando una piattaforma che noi abbiamo messo a punto".

Trasportare geni di grandi dimensioni è una delle sfide, "non è l'unico limite - precisa Auricchio - però è un limite importante perché chiaramente se la mutazione" problematica su cui intervenire "è in un gene di grosse dimensioni, e se non c'è una maniera per farlo entrare efficientemente nelle cellule per poter restituire la funzione persa, non si riesce a fare la terapia genica".

MRna e forbici molecolari, le promesse di un inedito 'mix' - Dopo essersi guadagnata fama planetaria con i vaccini Covid, la tecnologia dell'Rna messaggero torna sotto i riflettori, in questi giorni, in una veste inedita: alcuni risultati scientifici hanno infatti acceso la speranza per una futura applicazione nelle malattie rare, la speranza che l'mRna possa realizzare la tanto attesa promessa di generare proteine ​​terapeutiche direttamente nell'organismo. Uno scenario esplorato di recente sulla rivista 'Nature' che ha guardato alle prospettive di questa scoperta da Nobel andando oltre i vaccini, ma evidenziando anche le sfide che restano (natura 'fugace' dell'mRna ed effetti collaterali sono quelle accennate). Sul fronte delle malattie rare, ragiona Auricchio, "ci sono due aspetti nei quali la terapia con mRna può essere utile".

Uno di questi in particolare è di interesse anche per gli scienziati del centro, spiega, cioè l'applicazione dell'Rna alle cosiddette 'forbici molecolari' che si usano per correggere il Dna in un preciso punto con un'operazione di taglia e incolla. Questa strategia potrebbe ovviare a un problema. L'ideale sarebbe che queste forbici molecolari quando hanno esaurito il loro compito svaniscano, non siano più operative. L'Rna in questo potrebbe aiutare, sarebbe strategico per un'attivazione 'a tempo'. "Se è un filone promettente? Assolutamente sì e anche noi al Tigem stiamo cominciando a utilizzare Rna con nanoparticelle proprio per l'editing del genoma al quale siamo interessati".

Tornando alle due vie che potrebbe seguire lo sviluppo dell'mRna in ambito di malattie genetiche rare, Auricchio approfondisce: "Da una parte l'mRna può essere utilizzato al posto del Dna. Cioè noi con la terapia genica mettiamo una copia del gene corretto all'interno delle cellule, mentre con la particella lipidica che contiene l'Rna metteremmo l'Rna per quella proteina. Qual è la differenza? Che con la terapia genica, mettendo il Dna, l'espressione della proteina durerà per molti anni o anche a vita. Se invece mettiamo l'Rna questa espressione durerà di meno perché questo verrà tradotto in proteina ma entrambi poi andranno via e non c'è il Dna che supporta la produzione successiva di Rna e proteine".

Questo significa però anche che operazioni di addizione o sostituzione "fatte con Rna per una patologia cronica come le malattie genetiche richiederanno più di una somministrazione. E' un po' un limite rispetto alla terapia genica", riflette Auricchio. Nature riporta il caso di una terapia progettata da Moderna che utilizza la tecnologia dell'mRna per ripristinare la funzione metabolica nelle persone affette da una patologia rara, l'acidemia propionica. Il farmaco che contiene due sequenze di mRna che producono ciascuna parti dell'enzima altrimenti difettoso va somministrato con infusioni ogni 2 o 3 settimane. In un piccolo studio i risultati iniziali appaiono incoraggianti. Andranno ora visti gli esiti di sperimentazioni più ampie.

"L'altro tipo di utilizzo per le malattie genetiche ha a che fare con l'editing del genoma - continua Auricchio - In altre parole se si vuole fare editing genomico e dare Crispr Cas alle cellule per curarle, in vivo o ex vivo che sia, se lo si fa con un vettore virale si avrà Crispr Cas espresso molto a lungo da queste cellule e non è una cosa buona. Perché Crispr Cas è un enzima che una volta che ha fatto la modificazione del Dna, che è una modificazione permanente, potrebbe tranquillamente andar via, scomparire, non c'è necessità che rimanga. Anzi al contrario la sua permanenza potrebbe creare dei danni 'off-target', in contesti che non sono quelli desiderati. Quindi si è pensato che se Crispr Cas lo si dà attraverso Rna questo garantirebbe che venga espresso in una finestra di tempo breve. Per cui fa quello che deve fare e poi l'Rna e la proteina vengono degradati. A mio avviso per le malattie genetiche l'applicazione principe dell'Rna è proprio questa: nel campo del genome editing". Insomma c'è ancora da lavorare, concordano tutti gli esperti. Ma, come afferma su 'Nature' la pioniera delle tecnologia a mRna, il premio Nobel Katalin Karikó, "è un primo passo nella giusta direzione".

Malattie rare e cure a rischio - Ma all'orizzonte non ci sono solo sfide e rebus scientifici. "La sostenibilità dei farmaci per le malattie rare e ultra rare, e in particolare dei prodotti di terapia genica, sta diventando un problema importante per il quale non esiste una soluzione univoca. Da una parte si può intervenire abbattendo i costi dello sviluppo clinico di questi farmaci, dall'altro si possono adottare modelli nuovi a valle dell'approvazione, dopo cioè che un prodotto è andato sul mercato. C'è molta discussione al riguardo, sui modelli da mettere in campo. Gli ingenti fondi messi a disposizione dal Pnrr", Piano nazionale di ripresa e resilienza, "potrebbero essere usati proprio in questa direzione, ma questo è avvenuto solo in parte", spiega Auricchio.

Partiamo dal primo punto, l'abbattimento dei costi di sviluppo: come si fa? "Una possibilità - risponde Auricchio - sono i progetti cosiddetti 'piattaforma', che cioè usano uno stesso approccio, ad esempio lo stesso tipo di vettore per terapia genica, per più malattie contemporaneamente, permettendo di abbattere alcuni costi di sviluppo, seguendo una strategia concordata con le agenzie regolatorie".

"L'altro problema, inaspettato fino a poco fa - continua il direttore del Tigem - è quello osservato in alcuni casi, a valle dell'approvazione, con aziende che dismettono farmaci approvati perché non più sostenibili per loro, considerato il ristretto numero di malati che ne beneficiano. E' stato questo - ricorda - il caso recente di un farmaco di terapia genica che la Fondazione Telethon, in particolare il Tiget, aveva sviluppato per una malattie rara e che è stato dato in licenza ad un'azienda che aveva il compito di produrlo e distribuirlo dopo l'autorizzazione. Questa azienda lo ha poi dismesso e la Fondazione, in maniera coraggiosa ed assolutamente innovativa, si è ripresa in carico il farmaco organizzandone la produzione e distribuzione, e rendendolo quindi disponibile di nuovo ai pazienti. Questa iniziativa ha avuto una grossa risonanza nel mondo scientifico ed anche imprenditoriale. Sebbene la Fondazione stia per seguire lo stesso percorso anche per un secondo prodotto simile, dubito che riesca a farlo per molti altri ancora - osserva Auricchio - essendo una organizzazione non-profit e non un'azienda".

Insomma, il dibattito resta aperto. E per quanto riguarda i finanziamenti alla ricerca, ammette lo scienziato, "la situazione nel nostro Paese non è rosea, l'Italia non è un Paese che investe in ricerca e non offre possibilità di accedere a fondi in maniera programmata e competitiva. Al Tigem siamo fortunati - evidenzia il direttore - in quanto applichiamo a fondi che la Fondazione Telethon ci mette a disposizione dopo una valutazione rigorosa fatta da una commissione internazionale di esperti. Inoltre ci impegniamo nel procurarci fondi esterni, soprattutto provenienti dalla Comunità europea. Negli anni siamo diventati sempre più efficaci in questo senso grazie al nostro Ufficio scientifico che supporta i nostri ricercatori nella stesura dei progetti di ricerca. In particolare i grant della Comunità europea 'a cordata', che prevedono la partecipazione allo stesso grosso progetto di più ricercatori di diverse nazioni europee. Siamo stati anche bravi ad assicurarci i prestigiosi e competitivi fondi dell'Erc (European Research Council): ad oggi al Tigem abbiamo vinto 16 finanziamenti dell'Erc, un numero non comune considerate le dimensioni del nostro istituto".

"Stiamo parlando comunque di fondi adatti a portare avanti ricerca di base e preclinica. Ma non quella ricerca traslazionale, che prevede poi uno sviluppo clinico. In quel caso - conclude Auricchio - bisogna trovare dei modelli diversi. Uno che la Fondazione ha recentemente adottato è la partnership con il fondo di investimento Sofinnova-Telethon che ha selezionato alcune delle ricerche fatte all'interno dell'ecosistema Telethon, principalmente Tigem a Napoli e Tiget a Milano, e ha investito creando delle spin-off, cioè delle piccole biotech che hanno spesso questo obiettivo di portare in clinica alcune delle nostre ricerche più avanzate, utilizzando fondi e competenze che non sono tipici di ambienti di ricerca accademica".

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Salute e Benessere

Covid, AstraZeneca ritira autorizzazione vaccino in Ue:...

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Cosa ha detto l'azienda anglo-svedese all'Adnkronos Salute. Cavaleri (Ema): "Ci aspettiamo ritiro vaccini non più usati"

AstraZeneca

"Considerata la quantità di vaccini disponibili ed efficaci per le nuove varianti di Covid-19, non c'è più stata domanda per il vaccino Vaxzevria che di conseguenza non è più stato prodotto ne distribuito. Non prevedendo quindi una futura domanda" per il prodotto, "AstraZeneca ha pertanto deciso di ritirare l'autorizzazione all'immissione in commercio per Vaxzevria all'interno dell'Ue". Lo precisa l'azienda anglo-svedese all'Adnkronos Salute.

Ema: "Ci aspettiamo ritiro vaccini non più usati"

"L'autorizzazione del vaccino anti-Covid Vaxzevria" di AstraZeneca "sarà ritirata e il processo è già ufficialmente iniziato con la Commissione europea. Questo è in linea con le aspettative che vaccini non più usati e aggiornati vengano ritirati, come da nostra indicazione". A chiarirlo all'Adnkronos Salute è Marco Cavaleri, che all'Agenzia europea del farmaco Ema è responsabile Rischi sanitari e Strategie vaccinali e presiede la Task force emergenze (Etf). Le indicazioni a cui fa riferimento l'esperto sono quelle che l'Etf ha diffuso in due documenti, uno datato 16 febbraio e l'altro del 30 aprile scorso, in cui si entra nel merito della raccomandazione Ema di aggiornare la composizione dei vaccini anti-Covid per l'uso nella campagna vaccinale 2024-2025, nello specifico adattandoli alla famiglia di sottovarianti Omicron JN.1, l'ultima 'dinastia' dominante.

Gli esperti dell'Etf spiegavano che la composizione dei vaccini Covid è cambiata 3 volte dalla loro prima approvazione nel 2020, seguendo la rapida evoluzione del virus che lo ha portato ad accumulare tantissime mutazioni allontanandosi tanto dalla sua 'versione' iniziale. Nella nota diffusa dall'Ema per informare sui prossimi passi, si spiegava anche che i titolari delle Aic dei vaccini avrebbero dovuto contattare l'Ema per discutere gli aggiornamenti alle autorizzazioni all'immissione in commercio dei loro prodotti, essendo previsto che tutti aggiornino la composizione dei loro vaccini autorizzati, in conformità con la raccomandazione dell'Etf. "Ci aspettiamo che tutti i vaccini monovalenti con ceppo originale tipo Wuhan vengano ritirati", conferma Cavaleri. Che il vaccino a vettore adenovirale AstraZeneca andasse nella direzione del ritiro dell'autorizzazione, come spiegato dalla stessa azienda anche oggi, era 'scritto' nei numeri da tempo. Già i grafici finanziari rilasciati sul secondo trimestre 2023 mostravano una casella vuota: nessuna vendita registrata per il vaccino Covid nel periodo aprile-maggio-giugno.

"Stiamo lavorando con tutti produttori per sfoltire il numero dei vaccini approvati, così da gestire solo quelli che vengono regolarmente aggiornati come da nostre raccomandazioni", continua Cavaleri.

La ratio viene approfondita nel documento del 16 febbraio: "Mentre Sars-CoV-2 circola e si evolve, nuove varianti continuano ad emergere con la capacità per eludere l'immunità indotta da una precedente infezione o vaccinazione. Di conseguenza, i vaccini Covid richiedono aggiornamenti regolari dei ceppi, una situazione molto simile ai vaccini antinfluenzali aggiornati regolarmente", si legge. Oggi, continuavano gli autori nel documento, "il virus ancestrale e le prime varianti genetiche" di Sars-CoV-2 "non circolano più nella popolazione umana in misura significativa".

E, come ricorda anche l'esperto, si evidenziava che "si potrebbe ottenere un reindirizzamento preferenziale della risposta anticorpale verso le varianti attualmente circolanti mediante esposizione a vaccini contenenti la proteina spike di virus attualmente circolanti senza includere la Spike del ceppo originario, oramai distante dal punto di vista immunologico".

L'ammissione choc: "Vaccino anti covid AstraZeneca può causare trombosi rara"

Il primo maggio scorso, in una notizia diffusa dal 'Telegraph' e rimbalzata sui media britannici, l'ammissione choc dell'azienda. Il vaccino anti-Covid di AstraZeneca "in casi molto rari può causare Tts", la cosiddetta 'sindrome da trombosi con trombocitopenia', caratterizzata da coaguli di sangue e bassi livelli ematici di piastrine, ha ammesso per la prima volta il gruppo farmaceutico anglo-svedese, nell'ambito di una causa collettiva nel Regno Unito.

"Il meccanismo causale" con cui il vaccino può provocare Tts "non è noto", ha precisato l'azienda nei documenti legali depositati in febbraio. "La Tts - ha puntualizzato inoltre AstraZeneca - può verificarsi anche in assenza della somministrazione del vaccino. Il nesso di causalità in ogni singolo caso sarà oggetto di prove da parte di esperti", ha aggiunto la società.

Il vaccino Covid-19 di AstraZeneca, Covishield - ricorda l''Independent' - è stato sviluppato dal colosso anglo-svedese in collaborazione con l'università di Oxford e prodotto dal Serum Institute of India. E' stato largamente somministrato in oltre 150 Paesi, tra cui Gran Bretagna e India. Alcuni studi condotti durante la pandemia avevano indicato per il vaccino un'efficacia anti-Covid del 60-80%, ma in alcune persone che avevano ricevuto l'iniezione sono stati segnalati casi di trombosi anche potenzialmente fatali.

I cittadini che in Uk hanno intentato la causa collettiva contro AstraZeneca sostengono che il vaccino Covishield ha provocato morti e lesioni gravi, chiedendo danni fino a 100 milioni di sterline per risarcire circa 50 vittime. Uno dei denuncianti ha riferito che il vaccino gli ha causato una lesione permanente al cervello, successiva a un evento trombotico, che gli ha impedito di lavorare. Pur contestando l'accusa, in uno dei documenti giudiziari depositati AstraZeneca ha riconosciuto che il vaccino può causare Tts in casi molto rari. Finora, invece, il gruppo farmaceutico aveva sempre tenuto il punto. Anche nel 2023, riporta sempre l'Independent, insisteva nel non accettare l'affermazione generale secondo cui la Tts è provocata dal vaccino.

L'Organizzazione mondiale della sanità, rammenta l'Independent, ha confermato che "dopo la vaccinazione con Covishield è stato segnalato un evento avverso molto raro chiamato trombosi con trombocitopenia, che comporta eventi insoliti e gravi di coagulazione del sangue associati a una bassa conta piastrinica". Secondo il Council for International Organizations of Medical Sciences, si definiscono effetti collaterali molto rari quelli segnalati in meno di 1 caso su 10mila. Per l'Oms, comunque, "nei Paesi con trasmissione Sars-CoV-2 in corso il beneficio della vaccinazione nella protezione contro Covid-19 supera di gran lunga i rischi".

"Dall'insieme delle evidenze raccolte negli studi clinici e dai dati del mondo reale, è stato continuamente dimostrato che il vaccino" anti-Covid "AstraZeneca-Oxford ha un profilo di sicurezza accettabile e gli enti regolatori di tutto il mondo affermano costantemente che i benefici della vaccinazione superano i rischi di effetti collaterali potenzialmente estremamente rari". Lo precisa un portavoce del gruppo farmaceutico.

"La nostra solidarietà - aggiunge AstraZeneca - va a chiunque abbia perso i propri cari o abbia riportato problemi di salute. La sicurezza dei pazienti è la nostra massima priorità e le autorità regolatorie hanno standard chiari e rigorosi per garantire l'impiego sicuro di tutti i farmaci, compresi i vaccini".

Le informazioni di prodotto relative al vaccino AstraZeneca-Oxford - disponibili al pubblico - sono state aggiornate nell'aprile 2021 con l'approvazione dell'agenzia del farmaco britannica Mhra, includendo l'eventualità che il vaccino possa, in casi molto rari, di essere un fattore scatenante di Tts.

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Ai cattivo pediatra, non riconosce i bimbi con ritardo di...

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Foto di repertorio - FOTOGRAMMA

L'intelligenza artificiale ha tante doti che possono e potranno rivelarsi utili in medicina, ma al momento mostra parecchie lacune quando si misura con questioni pediatriche come il sospetto di un ritardo di sviluppo nei bambini. A mettere alla prova ChatGpt, chatbot basato su Ai e apprendimento automatico, è uno studio presentato al Meeting Pas - Pediatric Academic Societies 2024, che si apre oggi a Toronto in Canada. Le performance di ChatGpt sono state valutate da medici certificati che per ora bocciano l'Ai nei panni di pediatra.

I ricercatori hanno esaminato come ChatGpt ha risposto a 108 preoccupazioni espresse da genitori che temevano un ritardo di sviluppo del loro bimbo, confrontando anche i responsi dell'Ai con quelli del medico in carne e ossa. E' risultato che "ChatGpt raramente classificava un caso come anomalo", dando ragione alle "preoccupazioni dei pediatri secondo cui" oggi "lo strumento non è preparato per essere affidabile" nella valutazione dei "modelli comportamentali dei bambini".

Rispetto ai medici umani, nel 36% dei casi l'intelligenza artificiale si è mostrata meno preoccupata di avere davanti un bimbo con possibile ritardo dello sviluppo. Solo nel 5% dei casi l'Ai ha espresso preoccupazioni maggiori, ma i pediatri veri hanno identificato circa il 30% in più di possibili ritardi di sviluppo rispetto a ChatGpt. Complessivamente, nel 41% dei casi l'intelligenza artificiale è arrivata a conclusioni diverse dal pediatra vero rispetto a un sospetto ritardo dello sviluppo. Ai e medici sono stati in disaccordo soprattutto quando gli elementi che preoccupavano i genitori erano di tipo sociale, emotivo e comportamentale, piuttosto che fisico, e quando riguardavano bambini maggiori di un anno.

"Gli strumenti di intelligenza artificiale come ChatGpt possono fornire informazioni accurate ai genitori riguardo allo sviluppo del loro bambino, ma non si comportano ancora come i medici" quando vengono chiamati a "determinati compiti", afferma Joseph G. Barile, assistente di ricerca presso il Cohen Children's Medical Center, Usa, l'autore che ha illustrato la ricerca al congresso.

In particolare, rimarca l'esperto, "questo studio indica che i pediatri sono più convinti di ChatGpt quando si tratta di definire alcuni ritardi dello sviluppo come anomali".

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Cure palliative pediatriche, torna il Giro d’Italia...

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Domani a Roma la presentazione della terza edizione - Il tour al via dall'11 maggio al 16 giugno lungo tutta la Penisola

Cure palliative pediatriche, torna il Giro d'Italia per dar voce alle Cpp

Domani, sabato 4 maggio, alle 16 a Roma sul Ponte delle Musica, sarà presentata la terza edizione del Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche. L'evento, patrocinato dal Comune di Roma, vedrà la partecipazione di Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità, e Alessandro Onorato, assessore allo Sport, turismo, moda e grandi eventi di Roma Capitale, e avrà come testimonial d'eccezione l'ex campione della nazionale di rugby italiana Andrea Lo Cicero. Dopo il grande successo delle prime due edizioni - che hanno visto la presenza di circa 35mila partecipanti, con più di 100 eventi in 17 regioni italiane e il coinvolgimento di oltre 200 associazioni - il 2024 si annuncia ancora più̀ denso di eventi. Obiettivo della terza edizione è promuovere lo sviluppo delle Reti di cure palliative pediatriche (Cpp) coinvolgendo la società civile e sensibilizzando i professionisti sociosanitari e le istituzioni al fine di renderle operative in tutte le Regioni.

"Questa iniziativa - dichiara Onorato - è molto nobile e sono contento di partecipare. In Italia sono 30mila i minori che hanno bisogno di cure palliative pediatriche ed è necessario sensibilizzare le persone sul tema. E non c'è modo migliore di farlo attraverso lo sport, veicolo ideale per diffondere le sane abitudini di vita e spingere le persone a prendersi cura di loro stesse. Salute e attività sportiva vanno di pari passo. Complimenti anche per l'idea di abbinare un messaggio così importante a una pedalata in questo scenario suggestivo".

La Rete di Cpp - riporta una nota - è un modello organizzativo previsto dalla legge 38/2010 che definisce attori e servizi per garantire la miglior qualità di vita possibile al minore con patologia inguaribile ad alta complessità assistenziale e alla sua famiglia. "Molteplici sono i bisogni a cui è necessario dare risposte corrette e adeguate. Nessuno da solo può fornirle tutte - sottolinea Silvia Lefebvre d'Ovidio, presidente della Fondazione Maruzza - Per questo è importante operare insieme favorendo la creazione e lo sviluppo delle reti. La disponibilità̀ di accesso ai servizi di Cpp in Italia è quanto mai eterogenea, con aree in cui l'organizzazione è carente o del tutto assente. Questo provoca un senso di smarrimento e di abbandono che impedisce ai piccoli pazienti di andare a scuola, praticare uno sport e condividere momenti di socialità, esperienze che sono uno stimolo importante e necessario di crescita e di confronto, e danno significato alla vita".

Lo studio PalliPed, recentemente pubblicato sull''Italian Journal of Pediatrics' - si legge nella nota - offre una panoramica sullo stato dell'arte dei servizi specialistici di Cpp in Italia, concentrandosi sulle strutture e le risorse dei 19 centri mappati di 12 regioni e 2 province autonome. Sono invece 7 le Regioni che hanno dichiarato di non avere centri o strutture dedicate ai servizi specialistici di Cpp. Per quanto riguarda le risorse impiegate nei centri, l'indagine rivela come il personale non sia sufficiente a coprire la richiesta: sono infatti 115 gli infermieri, 55 i medici, 31 gli assistenti sociali, 27 gli psicologi e 13 i fisioterapisti che lavorano in Cpp. Peraltro, alcune non dedicate a tempo pieno e spesso disponibili solo al bisogno o su base volontaria. E' emerso, inoltre, che il 77% degli infermieri non ha una formazione specifica, che solo 54% dei medici e il 30% degli psicologi ha conseguito un master degree in Cpp.

"Avere dei dati aggiornati relativi allo stato dell'arte delle Cpp in Italia, di come funzionano i servizi/strutture dedicate, delle risorse disponibili nonché della numerosità e tipologia di pazienti seguiti è fondamentale ed inderogabile per poter proporre ed organizzare azioni/interventi migliorativi - afferma Franca Benini, responsabile del Centro regionale veneto di terapia del dolore e cure palliative pediatriche, Dipartimento Salute della donna e del bambino Aou - interventi che possano portare ad un cambiamento di vita e di assistenza reale e proficuo per i pazienti e le loro famiglia".

Proprio in quest'ottica la Fondazione Maruzza - riferisce la nota - ha dato avvio a una seconda fase del progetto PalliPed, fase che si propone di monitorare in tempo reale l'evoluzione organizzativa delle Reti/Servizi di Cpp nelle diverse regioni italiane e della loro capacità di dare risposte appropriate alla moltitudine di bisogni che la malattia inguaribile in ambito pediatrico innesca. I dati di tale ricognizione saranno disponibili entro il primo semestre dell'anno in corso.

Il Giro d'Italia delle cure palliative pediatriche si svolgerà̀ dall'11 maggio al 16 giugno su tutta la Penisola (https://www.girocurepalliativepediatriche.it/), con eventi di carattere sportivo, scientifico, istituzionale, culturale e ricreativo per dare voce alle Cpp. Quest'anno il tema dell'iniziativa è 'Ciascuno a suo Nodo, insieme siamo Rete'. Verranno infatti esplorati 'nodi' necessari a costruire la rete assistenziale in grado di dare risposte efficaci ai bisogni dei bambini malati inguaribili e delle loro famiglie.

Le cure palliative pediatriche sono un approccio assistenziale in grado di garantire ai minori affetti da malattie inguaribili e alle loro famiglie la miglior qualità̀ di vita possibile, attraverso il lavoro di professionisti specializzati che si prendono cura dei bambini, preferibilmente a domicilio, sostenendo le famiglie in tutte le fasi della malattia, alleviando sofferenze fisiche, psicologiche, emotive e spirituali. Non solo: tali cure si occupano di un'ampia varietà̀ di patologie, molte delle quali rare o senza diagnosi, la cui natura specifica determina il tipo di progetto assistenziale per il singolo paziente e tutto il suo nucleo familiare.

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