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Cronaca

Ucraina, generale Di Grazia: “Pace possibile con...

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Ucraina, generale Di Grazia: “Pace possibile con soluzione coreana e congelamento conflitto”

Il Papa, Macron e gli Usa: pesi diversi nella riconosciuta 'impossibilità di continuare a combattere'

Il generale Biagio Di Grazia è autore del recente volume 'La Nato nei conflitti europei. Ex Jugoslavia ieri, Ucraina oggi

C'è una relazione tra la dichiarazione di Papa Francesco, che citava l’immagine della 'bandiera bianca' da parte dell’Ucraina come strumento per accedere a un negoziato con la Russia ponendo fine alla guerra, e le dichiarazioni del presidente francese Macron che "non esclude" l’invio di reparti francesi in Ucraina per combattere a fianco delle truppe di Kiev? "La relazione esiste e riguarda due fattori -spiega all'Adnkronos Biagio Di Grazia, generale di Divisione in pensione, già vicecomandante del Contingente italiano in Bosnia e addetto militare a Belgrado- In primo luogo le dichiarazioni sembrano ambedue 'pensate' e variamente 'concordate' all’interno della propria sfera di influenza. L’intervista del Papa risale a qualche settimana fa, e vi sarebbe stato tempo e modo di variarla o emendarla. Quanto al Presidente francese, una tale uscita che non fosse non concordata in ambito occidentale è impensabile".

Le parole del Pontefice sono state oggetto di indignazione e critiche fino all'accusa di 'putinismo', come se si trattasse di una legittimazione dell’invasione russa e delle pretese russe sui territori ucraini. "Il Segretario di Stato Vaticano Parolin ha cercato di smussare il significato di 'bandiera bianca' spiegandolo in quanto metafora. Ben pochi tuttavia hanno rilevato che alla bandiera bianca è storicamente associato il senso di 'venire in pace' e disarmati, che non implica consegnarsi al nemico. Personalmente ritengo però che l’interpretazione sia proprio quella che risalta dai termini senza alcuna variazione, cioè che l’Ucraina dichiari la propria sconfitta. Il Giappone si arrese ed espose bandiera bianca quando capì che la potenza atomica americana l’avrebbe distrutta alla radice. I tedeschi a Stalingrado ricevettero ordine di non indietreggiare di un metro e furono spazzati dai sovietici".

"In secondo luogo -prosegue Di Grazia, che è stato anche consigliere dell'Ambasciatore italiano per i problemi della Sicurezza e Difesa Comune Europea- le due dichiarazioni delineano la stessa diagnosi del conflitto, 'l'impossibilità di continuare a combattere', ma con prognosi diverse: il Papa propone di 'sedersi al tavolo della pace'; Macron, invece propone di 'intervenire direttamente con truppe combattenti su suolo ucraino; insomma una promuove la pace, l’altra promuove la guerra". (segue)

Chi promuove la pace, chi la guerra, chi si sta smarcando

Dunque qual è la soluzione possibile del conflitto? "E' lo stesso territorio di combattimento a suggerire quella più idonea: mai il fronte è stato più stabile; dopo mesi di lotta politica interna tra Zelensky e le autorità militari, che da tempo proponevano il passaggio all’azione difensiva, i due schieramenti sono ormai ambedue difensivi, invocano una tregua e un compromesso che tutti classificano come 'modello coreano'. Nessuno vince, nessuno perde, tutti e due hanno motivo di sperare in un futuro che soddisfi le proprie rivendicazioni. Il conflitto si congela sulle rispettive posizioni raggiunte; il seguito passa alla diplomazia".

Che guerra immagina il presidente Macron a supporto dell’Ucraina per raggiungere la vittoria: guerra nucleare o convenzionale? "Anche se in una dichiarazione, il Presidente francese ha evocato la disponibilità autonoma della 'Force de Frappe' nucleare, l’orientamento sembra quello di ingaggiare il confronto con i russi facendo leva su forze convenzionali europee. L’Italia, per bocca del ministro degli Esteri Tajani ha risposto: 'non se ne parla nemmeno di inviare truppe in Ucraina'".

Ci si chiede tuttavia se questa posizione sarà ancora salda nel caso che Francia, Polonia, Germania, Inghilterra, Paesi Baltici e Scandinavi attivino un confronto, rivolgendosi all’Italia. "Non sarebbe la prima volta che l’Italia si 'associa' a cose fatte e decise da altri: Libia, Iraq e Afghanistan ce lo insegnano. Ma si trattava di altri tempi e diverse circostanze con l’America che sosteneva gli alleati. Adesso non sembra intenzionata a proseguire nell’avventura ucraina, né a confrontarsi con la Russia. Quindi è fuori, mentre la Francia rivendica una leadership europea". (segue)

'Non siamo in grado si sostenere un coinvolgimento sul suolo ucraino'

Sgombrato il campo da ipotesi di conflitto atomico a guida americana -che ci vedrebbe coinvolti, ospitando noi un discreto numero di ordigni nucleari americani su suolo nazionale (Aviano, Ghedi, Sigonella)- saremmo in grado di sostenere un coinvolgimento sul suolo ucraino delle nostre Forze Armate? "Occorre riferirsi a quanto insegna il conflitto in Ucraina, dove si confrontano due eserciti nazionali in una lotta del tipo 'simmetrico' (contrariamente a quanto accade a Gaza, dove il conflitto è 'asimmetrico'), con due milioni di soldati sul campo, variamente divisi tra i due contendenti e modernamente attrezzati".

"Noi non abbiamo i numeri quanto a personale combattente, assetti logistici e materiali per entrare nel confronto. D'altra parte occorre ammettere che la stessa risposta dovrebbero darla molte altre nazioni europee (compresa la stessa Francia) che, come noi, da 40 anni si addestrano al 'peacekeeping' e non alla funzione 'combat'".

Come risolvere allora il problema in caso di un nostro coinvolgimento forzato o indotto a combattere in Ucraina? "Con la leva obbligatoria per chiamare alle armi almeno mezzo milione di giovani, addestrarli, fornire loro gli assetti necessari per condurre una battaglia in un clima operativo moderno. La leva non è stata abolita nel 2005, ma semplicemente sospesa. C'è la volontà politica di assecondare questo obiettivo? Ci sono le risorse economiche e i presupposti sociali con cui indurre i nostri giovani a non evocare l’obiezione di coscienza o a disertare la chiamata? Domandiamoci anche per chi e per cosa occorra fare tutto questo". (di Rossella Guadagnini)

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Calabria, a Cotronei la prima edizione di ‘Sila...

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Il sindaco Antonio Ammirati: "Questo evento scientifico, su cui puntiamo moltissimo per elevare il valore dell’offerta culturale e per la crescita del turismo, si ripeterà ogni anno"

Il Comune di Cotronei - Foto dal sito del Comune

"Oggi è iniziata un’alleanza tra la scienza e la comunità locale, per studiare, conoscere e valorizzare il territorio secondo l’approccio e il modello della One Health, fondato sul legame indissolubile tra la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema". Così la professoressa Domenica Taruscio, presidente del Centro studi Kos, già direttrice del Centro nazionale malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità e da poco cittadina onoraria di Cotronei (Kr), di cui è originaria, ha commentato l’avvio della prima edizione dell’evento culturale “Sila Scienza”.

Organizzato dal Comune di Cotronei e dal Centro studi Kos, patrocinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e dal Consiglio regionale della Calabria, si è tenuto nella mattinata del 27 aprile nella sala consiliare dello stesso municipio, con un fitto programma di relazioni scientifiche preceduto dal saluto delle autorità: il sindaco Antonio Ammirati; il presidente dell’lss, Rocco Bellantone; la presidente dell’assemblea consiliare cittadina, Antonella Borza; il parroco, don Francescantonio Spadola; la scienziata Amalia Bruni, consigliera regionale della Calabria; il consigliere provinciale Raffaele Gareri; il presidente dell’Uncem Calabria, Vincenzo Mazzei; il presidente del Gal Kroton, Natale Carvello; il presidente del Gal Sila, Antonio Candalise, e Domenico Cerminara, funzionario del Parco nazionale della Sila.

Il sindaco Ammirati ha sottolineato il nesso tra specificità del territorio, salute e benessere. Il professor Alberto Mantovani, tossicologo di fama internazionale e vicepresidente del Centro studi Kos, ha tra l’altro anticipato attività di osservazione e ricerca nel territorio comunale di Cotronei, "con l’obiettivo – ha chiarito – di valorizzarne e promuoverne le risorse, dall’aria più pulita d’Europa all’acqua di qualità, dal paesaggio alla biodiversità, all’agricoltura sostenibile e non intensiva".

Seguita da un pubblico attento e numeroso, la prima giornata di “Sila Scienza” è stata dedicata all’approfondimento sul rapporto tra ecosistema, biodiversità, salute e benessere nel territorio silano, tema declinato sotto diversi aspetti e da scienziati di primo piano; pure con riferimenti ai benefici, per l’organismo umano, delle piante officinali della Sila, dell’olio extravergine di oliva della zona e dei prodotti del sottobosco. Domenica 28, l’evento scientifico è proseguito nella vicina località Trepidò, all’Hotel del Lago, con sessioni di approfondimento su ambiente, biodiversità e filiere agroalimentari e un’escursione guidata nel Parco nazionale della Sila, a cura del gruppo “Il barattolo” e della guida ufficiale Giovanni Vizza, finalizzata anche all’osservazione scientifica dei partecipanti.

"Nel prossimo autunno – ha concluso il sindaco di Cotronei – ci sarà la seconda parte di “Sila Scienza” su questioni diverse. Questo evento scientifico, su cui puntiamo moltissimo per elevare il valore dell’offerta culturale e per la crescita del turismo, si ripeterà ogni anno, con la supervisione dell’Istituto superiore di sanità, via via con argomenti nuovi legati al territorio e agli studi sul campo".

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“Meglio in carcere che con mia moglie”, 33enne...

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Un 33enne è stato arrestato per evasione dai carabinieri e ora attende la decisione del giudice

Sbarre di un carcere - (123RF)

"Meglio in carcere che a casa con mia moglie". Con questa spiegazione, un 33enne del centro storico di Napoli, sottoposto alla detenzione domiciliare, è finito in manette ieri. Durante un controllo di routine, i carabinieri non lo hanno trovato in casa, nonostante fosse peraltro agli arresti domiciliari. Nessuna autorizzazione a permettergli l’uscita ma solo un litigio con la moglie che l’avrebbe motivato a lasciare le quattro mura. Durante le ricerche, il 33enne si è presentato all’ingresso della caserma Pastrengo, sede anche della stazione Carabinieri di Napoli San Giuseppe. Lì ha chiesto di parlare con un maresciallo: non voleva più scontare la pena in casa ma in carcere, lontano dalla moglie. L’uomo è stato arrestato per evasione e ha trascorso la notte in camera di sicurezza, in attesa di conoscere la decisione del giudice sul suo prossimo collocamento.

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Cronaca

Malaria tornerà in Italia? L’esperto: “No...

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L'analisi del biologo Paolo Gabrieli: "Oggi poche anofele e manca un serbatoio però attenzione al fattore clima"

Una zanzara (Fotogramma)

In Italia ritornerà la malaria? Alla domanda rispondono gli esperti dopo che in Puglia sono stati scoperti esemplari di zanzare della malaria. "Le condizioni attuali non giustificano un allarme immediato", perché le zanzare anofele vettrici dell'infezione "oggi ci sono, ma sono troppo poche per sostenere il ciclo di trasmissione della malattia. Se però dovessero verificarsi condizioni propizie a un'esplosione della popolazione di questi insetti, allora certamente la domanda dovremmo farcela". Quindi "guardia alta", è il monito del biologo Paolo Gabrieli, professore di Zoologia dell'università Statale di Milano, una carriera dedicata allo studio delle arbovirosi. Dopo che l'Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata ha scoperto in Puglia esemplari di zanzare della malaria non più rilevate da oltre 50 anni, l'esperto spiega all'Adnkronos Salute perché "è fondamentale continuare a seguire il comportamento di questi insetti e controllarne la proliferazione". Soprattutto, avverte, con un cambiamento climatico in corso.

Fino agli anni '60 del Novecento, ricorda Gabrieli, l'Italia era un Paese malarico e qualche zanzara anofele nello Stivale è rimasta. "Abbiamo ancora zanzare appartenenti al cosiddetto complesso maculipennis, un gruppo di 7-8 specie molto simili fra loro - illustra lo scienziato - che sono potenziali vettori di malaria. Sono diffuse in diverse zone della Penisola, soprattutto nelle aree costiere del Centro-Sud Italia e nelle isole, dove un tempo erano di casa. In questo momento stiamo dunque vivendo quello che viene definito 'anofelismo senza malaria'". Due le ragioni. La prima è che "avere la zanzara giusta non basta perché ci sia anche la malattia", la seconda è che le anofele italiane "oggi non sono sufficienti".

"Nel ciclo di trasmissione di patogeni come quello della malaria - precisa Gabrieli argomentando il primo punto - le zanzare fungono solo da vettori. Quando nascono, tendenzialmente sono sane. Per poter trasmettere il patogeno devono prima infettarsi loro stesse e affinché ciò accada ci deve essere un serbatoio della malattia che in Italia ancora non abbiamo. Anche se pungessero una persona tornata infetta da un Paese malarico, potrebbero al massimo originare qualche caso di trasmissione locale, ma non certo un'epidemia su larga scala". Quanto al secondo punto, prosegue il biologo, è legato a "un parametro che viene chiamato 'capacità vettoriale delle zanzare'. E' simile all'R0 delle malattie infettive e permette di capire quanto una popolazione di zanzare sia in grado di trasmettere una determinata malattia". Questo indice "dipende da tantissimi fattori, ma uno dei più importanti è la probabilità effettiva che le zanzare possano incontrare (e pungere) l'uomo. Meno le zanzare anofele sono numerose, e oggi in Italia lo sono molto poco, e meno è probabile che l'incontro con l'uomo avvenga".

Insomma, poche zanzare anofele da un lato, nessun vero serbatoio umano o animale dall'altro. Ecco perché, sul fronte malaria, secondo Gabrieli "al momento possiamo stare relativamente tranquilli". Ma in futuro? Se ad oggi "la probabilità che possa esserci una trasmissione sostenuta dell'infezione in Italia è bassa - ribadisce l'esperto - è assolutamente importante mantenere alta la guardia".

Innanzitutto c'è il fatto che "noi uomini - riflette lo scienziato - tendiamo a creare le condizioni ottimali per la proliferazione delle zanzare senza rendercene conto": dal sottovaso sul terrazzo ai depositi di acqua piovana, sono diversi i possibili habitat 'a misura di insetto' che nella vita quotidiana rischiamo di creare. E poi c'è l'emergergenza clima: "Umidità e caldo" alle zanzare piacciono, si sa, e la tropicalizzazione del meteo anche alle nostre latitudini "sicuramente non aiuta". Anche gli esperti riuniti a Barcellona per il Congresso della Società europea di microbiologia clinica e malattie infettive (Escmid) hanno lanciato l'allarme: "Se le emissioni di carbonio e la crescita della popolazione continueranno ad aumentare ai ritmi attuali, entro il 2100 saranno a rischio di malaria e Dengue 4,7 miliardi di persone in più nel mondo". Italiani compresi.

Gabrieli concorda e invita a scongiurare soprattutto un pericolo: il rischio di 'bissare' quanto è accaduto in passato con la zanzara tigre, specie aliena divenuta in poco tempo invasiva in tutta Italia. "La preoccupazione - conclude il biologo - non riguarda tanto le zanzare anofele di casa nostra, perché alla fine le conosciamo e sappiamo come si comportano. Bisogna stare attenti, piuttosto, a non creare delle condizioni che favoriscano la diffusione di nuove zanzare invasive che possono portarci malattie dall'estero. Comprese altre zanzare in grado di trasmettere la malaria".

"In Italia vive una zanzara Anopheles labranchiae che è in grado di trasmettere la malaria. Il fatto che in Puglia sia stata trovata l'Anopheles maculipennis ci dice che dobbiamo stare un po' più attenti ma nulla di più - sottolinea all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e professore ordinario di Malattie infettive Università Tor Vergata di Roma - Quest'ultima zanzara è solo 'più competente' rispetto alla prima nel trasmettere la malaria ma va chiarito che alcuni casi di malaria in Italia, la maggior parte di importazione, ci sono e non hanno mai portato a focolai o situazioni endemiche. In più questa scoperta risale a due anni fa e non mi pare sia successo nulla di drammatico. La circolazione della Anopheles maculipennis va monitorata ma senza allarmi", dice Andreoni tornando sullo studio dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata che ha scoperto in Puglia esemplari di zanzara della malaria dopo oltre 50 anni.

Per Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive ospedale policlinico San Martino di Genova, il fatto di avere trovato una zanzara del genere Anopheles in Puglia "non deve allarmare la popolazione perché non c'è un rischio immediato di trasmissione della malaria però pone problema che si inserisce in un discorso globale sulle zanzare e i cambiamenti climatici che stanno favorendo la proliferazione. L'Anopheles però pone il problema della malaria per il futuro e del controllo delle zanzare: spero che questa scoperta in Puglia serva a lavorare meglio su tutti i generi di zanzare attraverso larvicidi e pesticidi. Chi dice oggi di far crescere l'erba senza tagliarla per difendere la biodiversità, spero stia scherzando perché le zanzare sono vettori di Dengue, West Nile, Chikungunya e poi, appunto, della malaria".

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