Esteri
Biden-Netanyahu, rischio rottura su guerra a Gaza
Colloquio tra il presidente degli Stati Uniti e il premier israeliano
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, indica al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, che l'operazione militare a Rafah non dovrebbe avere luogo "senza un piano credibile ed eseguibile per garantire la sicurezza e il sostegno ad oltre un milione di persone che vi trovano rifugio". Lo rende noto la Casa Bianca, informando sul contenuto del colloquio telefonico tra i due leader. "Misure urgenti e specifiche per aumentare la portata e la consistenza dell'assistenza umanitaria ai civili palestinesi innocenti" a Gaza sono state chieste dal presidente degli Stati Uniti.
Nel corso della telefonata, Biden ha ribadito l'obiettivo "condiviso" di vedere Hamas "sconfitto" e di garantire la sicurezza a lungo termine di Israele e del suo popolo. I due leader hanno discusso poi degli sforzi in corso per garantire il rilascio di tutti gli ostaggi e Biden "ha sottolineato la necessità di sfruttare i progressi compiuti nei negoziati per garantire il rilascio di tutti gli ostaggi il prima possibile".
Tensione Biden-Netanyahu: "Rischio rottura"
Il colloquio è andato in scena in momento cruciale, secondo il quadro delineato dal Washington Post. Biden e i massimi collaboratori della sua Amministrazione "sono più vicini a una rottura" con Benjamin Netanyahu sulla guerra a Gaza e non considerano più il premier israeliano "un partner produttivo che può essere influenzato anche in privato", scrive il quotidiano.
Secondo il giornale, i collaboratori di Biden hanno incoraggiato il presidente a prendere le distanze da Netanyahu e a "essere in pubblico più critico nei confronti del primo ministro sull'operazione militare del suo Paese a Gaza", pur rimanendo a sostegno dell'iniziativa. Non a caso Biden negli ultimi giorni ha espresso alcune delle sue critiche più aspre nei confronti di Israele, definendo "esagerata" la sua risposta a Gaza dopo il 7 ottobre. Intanto un alto funzionario dell'Amministrazione Biden ha confermato alla Nbc News che c'è "una crescente divisione tra Stati Uniti e Israele", in particolare sulla potenziale operazione a Rafah.
Nella città, nel sud della Striscia, si calcola siano raccolti 1,4 milioni di civili. La popolazione è costituita in parte da persone costrette già a lasciare altre zone dell'enclave. Le forze israeliane "stanno lavorando" alla creazione di un passaggio sicuro per consentire l'uscita da Rafah dei civili palestinesi, garantisce Netanyahu, in una intervista alla Abc.
"Sono d'accordo con gli americani (quando dicono che non sosterranno una operazione israeliana a Rafah se non si si considera la sicurezza di chi ci vive, ndr). Lo faremo, garantendo un passaggio sicuro per i civili, per farli uscire. "Stiamo lavorando a un piano dettagliato", dice Netanyahu.
Nelle stesse ore, il premier israeliano ribadisce che la vittoria "richiede il nostro controllo di sicurezza e la responsabilità ultima in materia di sicurezza sull'intera area a ovest della Giordania, compresa la Striscia di Gaza".
"Non c'è nessun sostituto - dice visitando una base dell'esercito a Julis - Ci sarà sempre il controllo di sicurezza israeliano, e se ciò richiederà la nostra presenza all'interno (di Gaza, ndr), allora ci sarà una presenza all'interno".
Netanyahu afferma ancora che che la vittoria è "a portata di mano" e che, sebbene ci vorrà tempo, non serviranno anni. "È una battaglia difficile, ma una battaglia che stiamo vincendo, per la smilitarizzazione della Striscia".
Esteri
Iran dopo morte Raisi e tensioni con Israele: scenari, cosa...
Gli analisti: "Aumentano rischi e incertezze"
La morte in un incidente in elicottero del presidente iraniano, Ebrahim Raisi, di cui stamane sono iniziati i riti funebri a Tabriz, ha messo in moto una transizione della leadership che nel giro di meno di un paio di mesi porterà a un nuovo presidente, ma - secondo gli analisti - non imprimerà cambiamenti sostanziali alla direzione presa negli ultimi anni dalla Repubblica islamica.
Secondo i media ufficiali iraniani Raisi, ritenuto più un esecutore degli editti di Khamenei piuttosto che un attore indipendente, è morto a causa di un problema tecnico. Ma se ci sono dubbi sul decesso del presidente questi sono dovuti al momento in cui è avvenuto: a poco più di un mese da un confronto diretto tra Iran e Israele e nel bel mezzo della guerra a Gaza che è sfociata in una spirale di violenza che ha investito il confine meridionale del Libano, il Mar Rosso, Siria e Iraq.
Le tensioni del mese scorso tra Tel Aviv e Teheran hanno fatto temere lo scoppio di un conflitto su vasta scala in tutto il Medio Oriente. Tra i due rivali regionali "le vecchie regole del gioco sono saltate. E le nuove regole non sono completamente stabilite", ha dichiarato Ali Vaez, direttore dell'Iran project presso l'International Crisis Group, durante una tavola rotonda in Qatar. La morte di Raisi ha aggiunto "incertezza all'ambiguità che esisteva tra Iran e Israele, il che aumenta i rischi di errori di calcolo - ha aggiunto - il timore è che gli avversari dell'Iran nella regione possano vedere un'opportunità e superare i limiti".
Questa preoccupazione - che Israele o altri possano usare la morte di Raisi come un'opportunità per orchestrare attacchi contro l'Iran - potrebbe portare a un "senso di vulnerabilità" nel Paese, ha sostenuto Hamidreza Azizi, esperto del German Institute for International and Security Affairs.
Qualunque siano le conseguenze interne dell'incidente, in ogni caso ci sono pochi segnali che la posizione regionale dell'Iran - la sua rivalità con Israele, la sua attenzione al miglioramento delle relazioni con i vicini arabi - cambierà. Tali politiche sono stabilite dalla Guida Suprema e portate avanti dai Guardiani della Rivoluzione. Il ruolo dell'esecutivo è stato "ridotto ad attuatore, a esecutore delle decisioni statali", ha concluso Azizi, aggiungendo che "ci sarà un periodo di ambiguità finché non si conoscerà il prossimo presidente".
Esteri
Assange, Amnesty: “Tentativo Usa di processarlo mette...
"Una buona notizia che potrà ancora appellarsi contro l’estradizione negli Stati Uniti"
“La decisione dell’Alta corte è una rara buona notizia per Julian Assange e per tutti coloro che difendono la libertà di stampa. Amnesty International ritiene che, in caso di estradizione negli Usa, Assange rischierebbe gravi violazioni dei diritti umani come l’isolamento prolungato, in contrasto col divieto di tortura e altri maltrattamenti”. E' il commento del consulente legale di Amnesty International, Simon Crowther, a seguito della decisione dell’Alta corte di Londra di garantire a Julian Assange la possibilità di appellarsi contro l’estradizione negli Usa.
“Il tentativo degli Usa di processare Assange - sottolinea Simon Crowther - mette in pericolo la libertà di stampa nel mondo e ridicolizza gli obblighi di diritto internazionale degli Usa e il loro conclamato impegno in favore della libertà d’espressione. Col tentativo di metterlo in prigione, gli Usa stanno inviando un messaggio chiaro: non hanno rispetto per la libertà d’espressione e minacciano i giornalisti ovunque nel mondo, che potrebbero essere presi di mira a loro volta, solo per aver ricevuto e diffuso informazioni riservate e pur avendolo fatto in nome dell’interesse pubblico”.
Le notizie e le informazioni condivise da Amnesty International e da altre organizzazioni sulla libertà di stampa e di espressione "evidenziano un pericolo crescente per i giornalisti e le testate che si occupano di abusi di potere, crimini di guerra, corruzione e di relazioni tra istituzioni e criminalità organizzata", avverte l'organizzazione. Casi simili a quello di Assange si verificano anche in diversi altri stati, a volte meno noti o con storie di persecuzione giudiziaria. È il caso del giornalista Alberto Amaro Jordán, di Maria Ponomarenko o di Nidal al-Waheidi e Haitham Abdelwahed e tanti altri.
"Abbiamo pensato che questa fosse una questione di diritti umani, di libertà di stampa, risolvibile dai giudici in modo rapido e giusto. Invece, Assange resterà ancora in carcere, con una salute in peggioramento, in attesa di affrontare nuovamente la giustizia britannica. È fondamentale che il governo degli Stati Uniti ritiri le accuse e annulli la richiesta di estradizione, liberandolo immediatamente. La vicenda Assange è un esempio emblematico di persecuzione contro chi ha rivelato malefatte e con il 5×1000 puoi aiutare Amnesty International Italia a difendere lui e gli altri giornalisti in pericolo nel mondo", ha aggiunto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Esteri
Caldo record in India, scuole chiuse e sabato voto...
Nel Paese da qualche anno il caldo estremo arriva sempre prima e dura sempre più a lungo
Caldo record ed emergenza in India. Le temperature soffocanti non danno tregua a Nuova Delhi. La colonnina di mercurio ha superato i 47 gradi e le autorità hanno imposto a tutte le scuole ancora aperte la chiusura "con effetto immediato" per le vacanze estive, come riportano i media locali. Nessuno dovrebbe tornare dietro ai banchi prima del 30 giugno. Istituti chiusi per le vacanze estive anche in altri stati (Punjab, Haryana, Madhya Pradesh e Rajasthan).
Sabato a Nuova Delhi gli elettori sono chiamati alle urne per le elezioni politiche. Il gigante asiatico, sottolineava il mese scorso la Cnn, ha creato una task force composta da funzionari della commissione elettorale, dell'Agenzia per la gestione dei disastri e da esperti del Dipartimento di meteorologia per discutere di come ridurre l'impatto delle ondate di calore sul voto. Tutto in un Paese, con una popolazione di 1,4 miliardi di persone, in cui in molti si spostano a piedi per votare e in cui oltre il 50% della forza lavoro è impiegata nell'agricoltura.
L'India è storicamente soggetta a ondate di caldo estremo tra maggio e giugno, ma da qualche anno il caldo insopportabile arriva sempre prima e dura sempre più a lungo. La crisi climatica, secondo alcuni studi, mette a rischio gli obiettivi di sviluppo.