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Ragazzo ucciso a Palermo, fermati due fratelli: uno è...

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Ragazzo ucciso a Palermo, fermati due fratelli: uno è minorenne

Hanno 22 e 17 anni, il minore è accusato di omicidio. Era stato lui ha chiamare il 112 per dire di aver ucciso Rosolino Celesia dopo una lite in discoteca

Rilievi della polizia scientifica sul luogo dell'omicidio a Palermo

La Procura di Palermo, insieme con quella dei minori, ha disposto nella tarda serata di ieri il fermo per due fratelli, di 17 e 22 anni, per l'omicidio di Rosolino Celesia, il 22 enne ucciso nella notte tra mercoledì e giovedì davanti a una discoteca nel centro di Palermo.

Il minorenne è accusato dell'omicidio, mentre il fratello maggiore di detenzione illegale di arma da fuoco. Ieri pomeriggio era stato il minore a chiamare il 112 per dire di avere ucciso il ragazzo dopo una lite in discoteca. Ieri sera il fermo disposto dal Procuratore Maurizio de Lucia. Lo stresso magistrato ha disposto l'autopsia.

Fiaccolata in centro contro la violenza

Fiaccolata in pieno centro, ieri sera a Palermo, contro la violenza che da mesi attanaglia la movida. Un corteo, a cui hanno partecipato centinaia di persone, che era stato organizzato ben prima dell'omicidio di Celesia. Ha partecipato anche l'arcivescovo Corrado Lorefice. "Abbiamo bisogno di ritrovarci, di pensare e di capire, leggere che cosa sta accadendo. Ci sono ferite molto gravi che dobbiamo toccare e riconoscere, per trovare via radicali. E per questo è importante ritrovarsi e che sia la città stessa che prende in mano una ferita che ci appartiene", ha detto.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Spettacolo

Domenica In, ospiti di oggi 5 maggio: chi c’è in...

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Puntata tra musica e cinema per Mara Venier: le anticipazioni di Tv Blog

Mara Venier - Fotogramma /Ipa

Per 'Domenica In' nuova puntata oggi, 5 maggio 2024, a partire dalle 14.00 in diretta su Rai1 come sempre con Mara Venier al timone. Secondo le anticipazioni di Tv Blog, che ha pubblicato in anteprima la lista degli ospiti di oggi, la puntata partirà con uno spazio dedicato al ricordo di Toto Cutugno. Presente il figlio Niko Cutugno e tanti personaggi per rendere omaggio all'artista, da Alba Parietti a Ivana Spagna fino al giornalista Paolo Giordano.

Ancora musica, quindi, con Umberto Tozzi, protagonista di un medley musicale fatto dei suoi più grandi successi e l'annuncio del suo 'The final tour, l’ultima notte rosa', che segnerà il suo addio alle scene. Quindi il cinema, spiega ancora Tv Blog, con Michele Placido ed Ornella Muti sui 50 anni del film di Mario Monicelli “Romanzo popolare“. In studio con Mara Venier anche l’attrice Lina Sastri per parlare del suo film “La casa di Ninetta” di cui è anche regista.

Ritorno alla musica, quindi, Diodato a presentare il singolo 'Ti muovi' lanciato a Sanremo. Collegamento poi con l’Arena di Verona per il lancio dello show di mercoledì 8 maggio di Rai1 'Una nessuna centomila in Arena' condotto da Fiorella Mannoia e Amadeus.

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Esteri

Proteste pro Gaza in Usa, scontri filopalestinesi-polizia a...

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In manette 25 persone, gli scontri dopo che i manifestanti si sono rifiutati di rimuovere le tende dal campus universitario

Manifestanti pro Gaza nelle università Usa - Afp

Venticinque persone state arrestate all'Università della Virginia, dopo che la polizia si è scontrata con manifestanti filo-palestinesi che si erano rifiutati di rimuovere le tende dal campus. In una nota, il presidente della scuola, Jim Ryan, ha spiegato che ai manifestanti era stato detto che le tende erette nel campus erano proibite e che gli era stato chiesto di rimuoverle La polizia di Stato della Virginia è stata chiamata a intervenire quando, nel tentativo "di risolvere la situazione", si sono verificati "scontri fisici" con la polizia universitaria.

Ryan ha definito l'episodio “sconvolgente, spaventoso e triste”, incolpando un piccolo gruppo di trasgressori delle regole per i problemi e sostenendo, senza prove, che tra loro ci fossero persone non affiliate all'università.

Non solo Usa, le proteste nel mondo

La protesta contro la guerra a Gaza sta incendiando le università americane, con proteste e occupazioni in oltre 60 campus dove da metà di aprile sono state arrestate oltre 2mila persone. E le immagini della polizia in tenuta antisommossa che sgombra la Columbia e Ucla stanno facendo il giro del mondo, dove si sta allargando la protesta, con università occupate in Europa, Asia, Oceania e Medio Oriente.

AUSTRALIA - Nelle ultime settimane, si sono registrate proteste pro Palestina in almeno sette università in Australia. In particolare all'università del Queensland a Brisbane si è creata una situazione di tensione tra due accampamenti, a circa 100 metri di distanza, uno degli studenti solidali con i palestinesi ed un altro, più piccolo, con le bandiere di Israele, animato da gruppi di studenti ebrei che accusano gli studenti pro Palestina di creare tensioni nel campus.

Il gruppo Students for Palestine UQ chiede ai vertici dell'Università di rendere pubblici tutti i rapporti con società israeliane e di tagliare quelli con l'industria bellica israeliana. Dal 23 aprile, da Brisbane la protesta si è diffusa in altri campus, tra i quali l'università di Sydney, dove sono state montate una cinquantina di tende con un centinaio di studenti che vi trascorrono la notte. Oggi un gruppo di studenti ebrei ha portato avanti una contro manifestazione contro quelle che definiscono "preoccupanti attività antisemite e anti Israele". Oltre 200 persone, con bandiere australiane e israeliane, si sono radunate nel campus di Sidney, ma non vi sono stati scontri con i gruppi pro Palestina.

REGNO UNITO - Manifestazioni in solidarietà con i palestinesi si sono svolte sin dall'inizio della guerra a Gaza, ma negli ultimi giorni anche in alcuni campus britannici sono iniziate occupazioni ed accampamenti. Alla Newcastle University, un piccolo accampamento con bandiere palestinesi è stato montato nel centro del campus da un gruppo che si definisce "una coalizione guidata da studenti per mettere fine alla partnership dell'università di Newcastle con le società di difesa israeliane".

Tende sono state montate anche da studenti che protestano nelle università di Leeds, Bristol e Warwick. Le proteste nei campus britannici sono state criticate dall'Union of Jewish Student che affermano che questi accampamenti "creano un'atmosfera ostile e tossica per gli studenti ebrei".

FRANCIA - A Parigi a fine aprile sono scoppiate le proteste a Sciences Po e alla Sorbonne. La polizia è intervenuta in entrambi gli atenei per sgombrare gli accampamenti. Ed oggi è intervenuta di nuovo a Science Po dove una cinquantina di studenti erano tornati ad occupare. "Siamo ispirati da Columbia, Harvard, Yale, Vanderbilt", ha detto una studentessa di Sciences Po, uno dei più prestigiosi atenei francesi, alma mater di diversi presidenti, tra i quali l'attuale, Emmanuel Macron. I

"Tutte queste università si sono mobilitate, ma la nostra solidarietà rimane prima di tutto e principalmente con il popolo palestinese", ha aggiunto Louise, parlando con la Cnn. Samuel Lejoyeaux, presidente dell'unione degli studenti ebrei di Francia, ha chiesto un maggiore dialogo con i dimostranti che devono - ha scritto in un articolo pubblicato ieri su Le Monde - "denunciare chiaramente l'antisemitismo". Alla stesso tempo, afferma ancora nell'articolo, "non sarò mai felice nel vedere la polizia antisommossa entrare in un'università, la cosa in cui credo di più è il dialogo".

INDIA - Proteste pro Palestina, e in solidarietà con gli studenti della Columbia, sono scoppiate anche nella prestigiosa Jawaharlal Nehru University (JNU) di Nuova Delhi, proprio nel giorno in cui era atteso nell'ateneo l'ambasciatore Usa, Eric Garcetti. La visita è stata poi rimandata. "Il nostro ateneo non deve fornire una piattaforma ad amministratori e personale che rappresentano nazioni complici del terrorismo e del genocidio commesso da Israele", si legge in una dichiarazione dell'unione degli studenti della Jnu, diffusa il 29 aprile, con un chiaro riferimento agli Usa. L'ateneo, uno dei migliori del Paese, è stato sempre all'avanguardia nei movimenti di protesta, tra i quali quello del 2019 contro la legge considerata discriminatoria contro i musulmani.

Solidarietà ai palestinesi è stata espressa anche dalla Federazione degli studenti dell'India, affiliata al partito comunista, che "denuncia la posizione assunta dal governo guidato da Bjp in sostegno di Israele, che devia da una posizione storica dell'India".

CANADA - Alla McGill University, nel centro di Montreal, studenti pro Palestina hanno montato un accampamento nel centro del campus, chiedendo - come stanno facendo praticamente tutte le università in rivolta - che l'ateneo dismetta i legami con società israeliane. La polizia ha tentato di disperdere i dimostranti, affermando di aver ricevuto la richiesta di intervento dai vertici dell'università dopo che è fallito il dialogo con i rappresentati degli studenti.

Ma nei giorni scorsi un giudice di una corte superiore del Quebec ha rigettato la richiesta di ingiunzione che avrebbe costretto i dimostranti pro Palestina a lasciare l'accampamento. Proteste sono in corsi anche all'università di Toronto e alla University of British Columbia a Vancouver.

LIBANO - Centinaia di studenti alla fine di aprile hanno iniziato a protestare all'American University di Beirut chiedendo che l'università boicotti le società che fanno affari con Israele. "Vogliamo mostrare al mondo intero che non abbiamo dimenticano la causa palestinese", ha dichiarato uno degli studenti che partecipano alla protesta ispirata a quella dei campus Usa.

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Esteri

Gaza, l’ottimismo dei mediatori e lo stallo di Hamas....

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Si attende ancora la risposta dell'organizzazione islamista all'ultima proposta di accordo: a che punto sono le trattative, i progressi e i nodi

Gaza - Afp

Mediatori ottimisti, ma l'accordo tra Israele e Hamas per una tregua a Gaza e il conseguente rilascio degli ostaggi in mano all'organizzazione dal 7 ottobre ancora non c'è. Nella lunga trattativa al Cairo a pesare al momento è l'indecisione di Hamas, che ancora ieri sera non ha consegnato una risposta ai negoziatori rispetto all'ultima proposta ricevuta. Una indecisione che ha portato Tel Aviv a scegliere di non inviare la sua delegazione in Egitto finché non arriverà una replica ufficiale.

Il punto sulle trattative al Cairo

Se i mediatori per tutta la giornata hanno parlato di "progressi significativi", l'organizzazione islamista - attraverso diverse dichiarazioni alla stampa - ha spiegato di aver messo al centro dei negoziati "l'insistenza" del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affinché lo Stato ebraico entri a Rafah indipendentemente da un potenziale accordo. Questo l'"elemento chiave" in discussione nei colloqui del Cairo secondo il portavoce di Hamas Osama Hamdan, che ieri ha precisato come "sfortunatamente, c'è stata una chiara dichiarazione" da parte del premier "secondo cui, indipendentemente da ciò che potrebbe accadere, se ci fosse o meno un cessate il fuoco, vi sarà l'attacco. Ciò è in contraddizione rispetto ai colloqui in corso", le parole del portavoce.

"Vogliamo almeno sapere esattamente cosa significa la dichiarazione" di Netanyahu, ha quindi aggiunto Hamdan. "Ciò che noi intendiamo è che qualsiasi raggiungimento di un cessate il fuoco significa che non ci saranno più attacchi contro Gaza e Rafah", la richiesta.

Hamas, stando alle ultime indiscrezioni sui media, sarebbe comunque pronto a rilasciare 33 ostaggi israeliani durante la prima fase dell'accordo con Israele. "Alti funzionari israeliani affermano che ci sono prime indicazioni che Hamas accetterà di portare a termine la prima fase dell’accordo – il rilascio umanitario degli ostaggi – senza un impegno ufficiale da parte di Israele a porre fine alla guerra", l'annuncio su X del reporter di Axios, Barak Ravid. Un passo avanti visto che Israele, ribadiva ancora ieri un funzionario israeliano vicino ai colloqui, "non accetterà in alcuna circostanza la fine della guerra come parte di un accordo per il rilascio dei nostri ostaggi".

Intanto anche il leader di Hamas, Yahya Sinwar, ha discusso per la prima volta la proposta di accordo attraverso i suoi rappresentanti, affermando che si tratta dell'offerta più vicina alle richieste dell'organizzazione islamista, scrive il Wall Street Journal citando mediatori arabi. Secondo il quotidiano americano, Sinwar ha sollevato diversi avvertimenti e i mediatori arabi hanno affermato che Hamas dovrebbe presentare "presto" una controproposta.

Tra i passi avanti compiuti dalla Stato ebraico, ci sarebbe invece il rilascio di Marwan Barghouti. Un rapporto di Maariv, che citava il canale saudita Asharq, riporta infatti che Israele non si oppone più alla liberazione del detenuto ma insiste per rilasciarlo a Gaza e non in Cisgiordania. È stato anche riferito - scrive il Jerusalem Post - che Hamas dovrebbe richiedere il suo nome sulla lista della prima fase dell'accordo. Barghouti, ex leader dei Tanzim, una fazione militante del movimento palestinese Fatah, è stato condannato nel 2004 da un tribunale israeliano a cinque ergastoli cumulativi e 40 anni di prigione per atti terroristici in cui cinque israeliani furono uccisi e molti feriti.

Israele si divide su Rafah, la minaccia dell'estrema destra

Intanto il governo israeliano - nel mirino ieri sera delle proteste di migliaia di manifestanti a Tel Aviv, che sono tornati a chiedere il sì all'accordo ma anche elezioni anticipate - si divide sui negoziati e, in particolare, sulla annunciata operazione a Rafah.

Il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir ha lanciato infatti una nuova minaccia di lasciare il governo. In una dichiarazione, Ben Gvir ha accolto la decisione di Netanyahu per non aver inviato una delegazione al Cairo e ha detto di aspettarsi che il premier mantenga le promesse fatte presumibilmente quando i due si sono incontrati la scorsa settimana: “No a un accordo sconsiderato, sì a Rafah. Il primo ministro sa bene qual è il prezzo da pagare se non si onora questo impegno", le parole del ministro. In una dichiarazione simile, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich afferma che “un accordo di resa che porterà alla fine della guerra senza una vittoria totale è un disastro. Rafah adesso", la richiesta al primo ministro.

Cosa prevede l'ultima proposta di accordo: le tre fasi

L'ultima proposta di accordo prevederebbe una prima fase di durata fino a 40 giorni durante la quale 33 ostaggi tenuti a Gaza verrebbero rilasciati e l'Idf si ritirerebbe da parte della Striscia. La seconda fase si estenderebbe fino a 42 giorni durante i quali verrebbero rilasciati tutti gli altri ostaggi ancora in vita e le parti si accorderebbero sulle condizioni di un ritorno alla calma a Gaza. Durerebbe 42 giorni anche la terza ed ultima fase, dedicata alla consegna dei corpi senza vita.

Nel corso della prima fase è anche previsto il rientro della popolazione palestinese che si è rifugiata nel sud di Gaza nella parte settentrionale della Striscia: Israele, secondo gli Stati Uniti, avrebbe accettato un rientro senza limitazioni della popolazione nelle aree di provenienza.

Nel quadro dell'intesa è previsto inoltre il rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi. La fonte di Hamas citata da Channel 12 ha parlato di "compromessi raggiunti" sul numero di detenuti da rilasciare in cambio della liberazione di ciascun ostaggio. La notizia riportata ieri dal Times of Israel seguiva l'annuncio di Hamas che nella tarda serata di venerdì aveva reso noto che una sua delegazione si sarebbe recata al Cairo "determinata a raggiungere un accordo tale da soddisfare le richieste palestinesi".

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