Economia
Aziende italiane puntano su sostenibilità: ostacoli e...
Aziende italiane puntano su sostenibilità: ostacoli e opportunità
In occasione della sua partecipazione a Cop28, Sap presenta la III edizione dell’annuale Sustainability Study
Quasi 9 leader italiani su 10 (86%) prevedono di mantenere o aumentare i loro investimenti in azioni di sostenibilità entro il 2026. Sono i dati del Rapporto annuale sulla Sostenibilità di Sap, secondo il quale, nonostante queste previsioni, la strada per il progresso ambientale presenta alcune barriere. Lo studio globale condotto su oltre 4.700 manager d’azienda, di cui 200 in Italia, è la terza edizione dell’annuale Sustainability Study di Sap che esplora le motivazioni e le sfide principali che le organizzazioni devono affrontare per ridurre l’impatto ambientale su larga scala.
L’analisi di quest’anno rileva che, mentre il 34% delle aziende italiane afferma che l’azione ambientale sta già avendo un forte impatto sulle opportunità di profitto e crescita, oltre un terzo (34%) ha difficoltà a calcolare il ritorno sugli investimenti, rendendo più difficile dimostrare e sostenere i progressi a lungo termine.
In passato, le misure per la salvaguardia del pianeta da parte delle imprese potevano essere viste solo come un obbligo morale o etico, ma la sensibilità sta evolvendo e oggi le aziende italiane vedono anche altri vantaggi, a lungo termine, inclusi quelli finanziari. Infatti, un quarto (25%) degli intervistati dichiara che le opportunità di guadagno e di profitto sono una delle principali motivazioni che guida le azioni di sostenibilità delle loro organizzazioni. In un contesto di inflazione, problemi o interruzioni nella catena di approvvigionamento e aumento del costo della vita, i leader italiani sono fermi nei loro impegni ambientali e considerano l’azione di sostenibilità anche come un mezzo per compensare l’incertezza economica. Oltre la metà (57%) del campione si aspetta di vedere un ritorno finanziario positivo sui propri investimenti in sostenibilità entro i prossimi cinque anni.
“Il nostro studio - osserva Adriano Ceccherini, Chief Operating Officer di Sap Italia - dimostra che è giunto il momento che i leader si rendano conto che avere un solido piano d’azione per la sostenibilità ha senso per il business. È indispensabile per attrarre finanziamenti da parte di investitori che hanno bisogno di rendere il proprio portfolio più green e per ottenere un vantaggio competitivo, dato che i clienti richiedono prodotti sostenibili lungo tutta la supply chain”.
Tuttavia, nonostante il legame tra l’azione ambientale e la generazione di ricavi a lungo termine, la ricerca di Sap mostra che le aziende in Italia non coinvolgono spesso i responsabili finanziari nelle azioni di sostenibilità e questo potrebbe frenarne i progressi. Attualmente, solo il 6,5% delle aziende ha assegnato al proprio Cfo la responsabilità di definire la direzione strategica delle azioni di sostenibilità. La responsabilità ricade su altri ruoli, tra cui il Consiglio di Amministrazione (31,5%), i Chief Operating Officer (14%), i Ceo (12%) e i Chief Sustainability Officer (10%).
Altre barriere alla sostenibilità espresse dagli intervistati sono: mancanza di competenze (il 26% delle aziende italiane cita la mancanza di competenze necessarie come uno dei principali ostacoli all'adozione di azioni di sostenibilità); supporto degli stakeholder (il 21% non riesce a ottenere il sostegno degli stakeholder in posizioni apicali all’interno dell’organizzazione per intraprendere un’azione concertata); mancanza di fondi (il 20% cita il problema della mancanza di fondi per attuare azioni di sostenibilità).
In Italia, poi, le aziende continuano a ritenere che la misurazione sia un ostacolo al progresso e, in ultima analisi, ai ritorni economici. La situazione varia a seconda degli ambiti di misurazione: il 54% degli intervistati dichiara di essere in grado di tracciare le emissioni Scope 1 (le emissioni di gas a effetto serra prodotte direttamente) a un 'livello elevato', mentre solo il 20% dichiara di saperlo fare per le emissioni Scope 2 (le emissioni indirette associate all’energia acquistata dall’azienda) e il 16% per le emissioni Scope 3 (quelle prodotte indirettamente attraverso la catena di fornitura).
I responsabili delle aziende italiane faticano anche ad adottare un quadro di rendicontazione standardizzato, con un quarto degli intervistati che non ha una metodologia coerente per calcolare l'impatto ambientale dei propri prodotti. La situazione è ulteriormente aggravata dall'uso di metodi di misurazione contrastanti per la rendicontazione. Le aziende intervistate utilizzano soprattutto misurazioni dirette per monitorare le emissioni di energia (95%), la disponibilità di risorse (78%), la disponibilità di acqua potabile (64%), i rifiuti solidi e l’uso di materiali (81%), e si affidano a stime per l'inquinamento atmosferico (90%), la perdita di risorse naturali (86%), l'inquinamento idrico (76%) e l'impatto della catena di approvvigionamento (71%). Questo porta quasi nove leader su dieci (85%) a segnalare difficoltà nella raccolta o nell'analisi dei dati per la conformità alle normative, in un momento in cui le aziende in Italia si trovano a dover gestire una serie di regolamenti, tasse e imposte in continua evoluzione associate all'impronta di carbonio.
“In un clima in cui normative più severe impongono alle aziende di comunicare il loro impatto ambientale, i leader che non sono in grado di riportare accuratamente questi dati rischiano di essere accusati di greenwashing o di incorrere in multe e danni all’immagine -ha dichiarato Adriano Ceccherini - Concentrarsi sull'implementazione di un quadro di rendicontazione standardizzato garantisce alle aziende di comprovare le proprie credenziali, di effettuare misurazioni corrette e avviare iniziative di impatto a lungo termine. Le organizzazioni possono utilizzare questi dati per riprogettare i prodotti, riutilizzare i materiali, ridurre i rifiuti e rigenerare i sistemi naturali lungo la catena di fornitura, dando così impulso all'economia circolare”. “La connessione tra azioni di sostenibilità e performance finanziarie giocherà un ruolo cruciale nel plasmare il progresso ambientale in futuro", rimarca Edward Manderson, docente di Economia Ambientale presso l’Università di Manchester.
Economia
Arriva Wishew, il nuovo social ‘made in Italy’...
Il social network italiano ha raccolto oltre 50 mila iscritti in sole due settimane prima del lancio. Un record per una startupi italiana che ha in Lmdv Capital il principale investitor
E' ormai questione di ore il debutto negli Stati Uniti di Wishew (pronunciato 'wish you', all’americana) il social network italiano che ha raccolto oltre 50 mila iscritti in sole due settimane prima del lancio. Un record per una start up tutta italiana che ha in Lmdv Capital il principale investitor. Lmdv Capital, infatti, ha sposato il progetto di 3 giovani imprenditori italiani diventandone il principale investitore. Fondato da Giacomo Vose (39 anni) Antonino Risicato (29) e Vincenzo De Caro (29), Wishew permetterà di postare video chiedendo agli altri utenti un dollaro (o più) per realizzare il sogno di una vita.
"Wishew porta il mondo del crowdfunding su un altro livello - spiega Giacomo Vose-. Vogliamo offrire a miliardi di persone la possibilità di realizzare un sogno al di là delle loro possibilità: un viaggio ai tropici, un pianoforte, un master universitario; qualunque cosa. Basterà postare il proprio video e chiedere l’aiuto della comunità: abbiamo ‘bannato’ i ‘like’, ma ci sarà un tasto per donare 1 dollaro e l’algoritmo premierà chi dona di più e più spesso". Il primo orizzonte di Wishew sarà gli Stati Uniti, dove si concentra il 49% del crowdfunding mondiale: il business model di Wishew partirà da questo primato, trattenendo una piccola quota delle donazioni ed offrendo pacchetti di sponsorizzazione dei desideri.
"Qui ci concentreremo per i prossimi due anni prima di rendere la App disponibile in Europa", riprende Vose. "Wishew sarà, soprattutto, una comunità di persone con un sogno nel cassetto che chiede l’aiuto delle altre per realizzarlo ed è, nel contempo, pronta a donare il proprio. È uno strumento partecipativo, è uno strumento genuino, è un social network che cambia in un colpo solo la focalizzazione: non più 'l’apparire' ma l’altruismo, la reciprocità e i desideri più profondi. Sappiamo che ci saranno molti utenti facoltosi che doneranno senza chiedere, ma il nostro target sono le persone della classe ‘media’ che si scambieranno esperienze e donazioni".
Nell'arco di due anni, rileva Leonardo Maria Del Vecchio che, oltre essere Chief Strategy Officer di EssilorLuxottica, è anche Presidente della Fondazione filantropica OneSight EssilorLuxottica Italia Ets, "ci apriremo al mercato globale ma non sarà questa l'unica novità: puntiamo ad arricchire Wishew con un intero nuovo livello dedicato alle charity e al mondo del volontariato. Sostenere un progetto che ha un modello di business articolato e può diventare anche motore di progresso e di miglioramento per le persone è l'ideale di imprenditoria che sto perseguendo con la mia azienda Lmdv Capital”.
Economia
Porti, Adsp Mtcs è definitivamente riconosciuta come porto...
Lo scorso 24 aprile è stato pubblicato nel Guce, la Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea, il regolamento Ten T che ha ufficializzato che l'Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale è definitivamente riconosciuta come porto Core. La chiusura formale di questo lungo percorso, tentato dal 1996 ma solo negli ultimi 3 anni chiuso con la Commissione prima e adesso anche con il Parlamento UE, permette finalmente ai porti di Roma e del Lazio di poter entrare dalla porta principale nei programmi di finanziamento europei.
"Aver ottenuto la chiusura formale della procedura e questo riconoscimento a livello europeo - sottolinea Pino Musolino Presidente dell'AdSP Mtcs - è motivo di grande orgoglio e soddisfazione e certifica, ancora una volta, che il lavoro che stiamo facendo sta dando i suoi frutti in tutti gli ambiti".
"Siamo di fronte - conclude Musolino - ad un risultato che è figlio di un grande lavoro istituzionale di squadra, sia a livello italiano che europeo. È sicuramente uno stimolo a fare di più e meglio per sfruttare le possibilità offerte dall'inserimento nella rete "Core", soprattutto per le autostrade del mare. Una occasione per lo sviluppo e la crescita occupazione del porto e di tutto il territorio".
Economia
Energia, Emanuela Trentin (Siram Veolia):...
“La transizione energetica e la decarbonizzazione sono processi necessari e irreversibili: rappresentano non solo una necessità ambientale per garantire una crescita sostenibile nel lungo periodo, ma anche, e soprattutto, una scelta urgente che nel breve consentirà ai nostri Paesi di rendersi autonomi dal punto di vista energetico”.
Ad affermarlo Emanuela Trentin, ceo di Siram Veolia, durante la G7 Industry Stakeholder Conference in corso oggi presso il Centro Congressi dell’Unione Industriali Torino.
"Parliamo di un cammino che ci vede direttamente coinvolti come player di lunga data e leader mondiale nella trasformazione ecologica e che, grazie a tecnologie, competenze e strumenti a nostra disposizione, possiamo percorrere fino in fondo - ha proseguito- attraverso interventi di efficienza energetica associati alla produzione di energia locale, stimiamo al 2030, a livello europeo, un potenziale di 400 GW di energia da sbloccare, pari alla domanda dell’Italia, con la possibilità di ridurre le emissioni di 420 Mt di Co2".
"Siamo consapevoli che le fonti energetiche green siano più costose, con una supply-chain più lunga, e che per questo necessitino di più ampi e condivisi incentivi per essere finanziariamente sostenibili, incentivi basati sulla performance energetica ed ambientale in una logica di pay by results - ha detto ancora - vediamo negli interventi di efficienza energetica, associati alla produzione locale di energia rinnovabile, la strada da perseguire; grazie ad una gestione consapevole del valore dei dati, alle avanzate tecnologie basate sull’intelligenza artificiale (Ai) unite alle competenze umane oggi ne assicuriamo un'ulteriore accelerazione” “Promuoviamo e stimoliamo la collaborazione tra i settori pubblico e privato con il supporto di tutti gli attori in campo, dalle istituzioni agli operatori del settore, passando per i luoghi accademici e di formazione. Sotto questo profilo, le aziende private possono portare know-how tecnologico, competenze e facilitare l’accesso ai mercati finanziari, accelerando gli investimenti - ha concluso Trentin - siamo certi che questa sia l’unica via percorribile per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti dall’Unione Europea e vincere le sfide ambientali, economiche, sociali che ci attendono".