Cultura
Diego Velazquez, all’asta ritratto della regina di...
Diego Velazquez, all’asta ritratto della regina di Spagna
Sarà in vendita il 1° febbraio 2024 da Sotheby's a New York con una stima di partenza di 35 milioni di dollari
Va all'asta il ritratto di Isabella di Borbone, regina di Spagna, dipinto dal grande artista spagnolo Diego Velázquez (1599-1660): sarà in vendita il 1° febbraio 2024 da Sotheby's a New York con una stima di partenza di 35 milioni di dollari. "E' l'opera più importante di Velázquez arrivata sul mercato da mezzo secolo a questa parte", ha annunciato oggi la casa d'aste. L'ultima volta che un ritratto di Velázquez di questo calibro è stato messo all'asta fu nel 1970, quando il suo Juan de Pareja venne venduto per 2,3 milioni di sterline, quasi triplicando il precedente record mondiale.
Dipinta in un momento di svolta nella carriera di Velázquez, la tela alta due metri raffigura la regina Isabella di Spagna (conosciuta prima del matrimonio con Filippo IV come Elisabetta di Francia), figlia di Enrico IV di Francia e della sua seconda moglie, Maria de' Medici. Raffigurata ventenne, si presenta con sicurezza in uno sfolgorante abito nero di corte; l'abbigliamento, la posizione e l'espressione pudica rafforzano il suo status imponente. In quel momento era all'apice dei suoi poteri: una regina amata e rispettata, ampiamente ammirata per la sua prontezza di spirito, la sua intelligenza e il suo spirito generoso.
Dato lo status del suo personaggio, il dipinto ha anche una provenienza illustre. Fu appeso per molti anni al palazzo del Buen Retiro di Madrid, come pendant del ritratto di Filippo IV in nero di Velázquez, ora al Museo del Prado. Dopo l'invasione napoleonica della Spagna nel 1808, fu portato in Francia, dove fu esposto nella galleria spagnolo del Louvre fino alla caduta di re Luigi Filippo dal potere nel 1838. Fu poi venduto al banchiere d'affari e noto collezionista di libri Henry Huth, che lo appese a Wykehurst Park nel Sussex, in Inghilterra, e nella cui famiglia rimase fino alla vendita nel 1950, l'ultima volta che fu messo all'asta. Dal 1978 è nella collezione privata degli attuali proprietari.
Prima della sua vendita a New York il 1 febbraio 2024, il ritratto "Isabella di Borbone, regina di Spagna" sarà esposto nel Regno Unito per la prima volta dopo mezzo secolo, presso le Gallerie di New Bond Street di Sotheby's dal 1° al 6 dicembre. La mostra, gratuita e aperta al pubblico, presenterà anche un raro dipinto riscoperto di Rembrandt, oltre a opere di spicco di artiste del XVII e XVIII secolo, tra cui Elisabeth-Louise Vigée Le Brun, la cui affascinante storia di vita è tracciata in una serie di opere intime e al tempo stesso splendide, guidate da un eccezionale autoritratto che si colloca tra i più grandi risultati dell'artista.
Cultura
“Preraffaelliti. Rinascimento Moderno”, la mostra a Forlì
Al Museo Civico San Domenico dal 24 Febbraio al 30 Giugno
La Mostra “Preraffaelliti. Rinascimento Moderno”, ospitata al Museo Civico San Domenico Forlì dal 24 Febbraio al 30 Giugno 2024, ricostruisce il profondo impatto dell’arte storica italiana sul movimento preraffaellita britannico tra gli anni Quaranta dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento.
Ideata e realizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, grazie alla Main Partnership di Intesa Sanpaolo, la banca guidata dal consigliere delegato e CEO Carlo Messina, l’esposizione e le sale del Museo Civico San Domenico ospitano oltre 300 opere appartenenti a molteplici correnti artistiche, tra cui dipinti, sculture, disegni, stampe, fotografie, mobili, ceramiche, opere in vetro e metallo, tessuti, medaglie, libri illustrati, manoscritti e gioielli.
“Intesa Sanpaolo sostiene con molta convinzione le mostre che ogni anno vengono presentate al Museo Civico San Domenico Forlì, perché ogni volta c’è un’idea che permette di affrontare un movimento, italiano o straniero, in una prospettiva nuova” ha dichiarato Giovanni Bazoli, Presidente Emerito di Intesa Sanpaolo.
Cultura
Beethoven, svelato dopo 200 anni il motivo della sua sordità
I risultati di uno studio Usa pubblicato su "Clinical Chemistry" dopo l'analisi di una ciocca di capelli del compositore
Dopo 200 anni, la scoperta di sostanze tossiche in due ciocche di capelli di Ludwig van Beethoven (1770-1827) potrebbe finalmente risolvere il mistero della sordità del leggendario compositore, che si manifestò quando ancora non era trentenne: sarebbe stata causata dall'alta concentrazione di piombo nel sangue, che avrebbe assunto bevendo continuamente vino di scarsa qualità, dove veniva aggiunto per renderlo più gradevole. E' quanto ipotizza un nuovo studio americano pubblicato su "Clinical Chemistry", che ha anche escluso una teoria popolare: l'avvelenamento da piombo come causa della morte dell'autore della "Nona Sinfonia".
Il gruppo di ricerca diretto da Nader Rifai, professore di patologia alla Harvard Medical School, ha accertato altissime dosi di piombo nella capigliatura del compositore, che sarebbe stata identificata come la causa della prematura sordità e dei suoi ripetuti disturbi gastrointestinali e renali. Il risultato delle analisi è stato sorprendente: una delle ciocche di Beethoven aveva 258 microgrammi di piombo per grammo di capelli e l'altra 380 microgrammi. Un livello normale nei capelli è inferiore a 4 microgrammi di piombo per grammo. I capelli di Beethoven presentano anche livelli di arsenico 13 volte superiori alla norma e livelli di mercurio 4 volte superiori alla norma. Ma le elevate quantità di piombo, in particolare, potrebbero aver causato molti dei suoi disturbi.
Il gruppo di ricerca ha recentemente autenticato diverse ciocche di capelli del compositore, nell'ambito di un progetto di sequenziamento del genoma di Beethoven. Tra queste c'erano due ciocche di capelli, note come ciocche Bermann e Halm-Thayer. Entrambe le ciocche erano precedentemente in possesso di Alexander Wheelock Thayer, un famoso studioso di Beethoven. La ciocca Halm-Thayer è in particolare l'unica ciocca di capelli che ha una catena di custodia completamente documentata, passando da Beethoven al compositore austriaco Anton Halm, prima di entrare a far parte della collezione di Thayer. Le ciocche di Bermann e Halm-Thayer sono state sottoposte a nuove analisi e hanno rivelato concentrazioni di piombo circa 64 e 95 volte superiori al normale contenuto di piombo nei capelli. Utilizzando formule costruite dai centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, i ricercatori hanno stimato che la concentrazione di piombo nel sangue di Beethoven sarebbe stata probabilmente compresa tra 69-71 µg/dL (microgrammi per decilitro). "Si tratta di un livello molte volte superiore a quello normale per gli adulti ed è associato a vari disturbi gastrointestinali e renali, oltre che a problemi di udito. Tuttavia, questi livelli non sono abbastanza elevati da essere considerati l'unica causa della morte del compositore", ha detto il dottor Paul Jannetto, direttore del laboratorio di ricerca.
David Eaton, tossicologo e professore emerito dell'Università di Washington che non ha partecipato allo studio, ha dichiarato al "New York Times" che i problemi gastrointestinali di Beethoven "sono del tutto coerenti con l'avvelenamento da piombo". Per quanto riguarda la sordità di Beethoven, ha aggiunto, "alte dosi di piombo colpiscono il sistema nervoso e potrebbero aver distrutto l'udito. "Se la dose cronica sia stata sufficiente a ucciderlo è difficile da dire", ha aggiunto il dottor Eaton.
Nessun studioso suggerisce che il compositore sia stato avvelenato deliberatamente. Ma Jerome Nriagu, esperto di avvelenamento da piombo nella storia e professore emerito dell'Università del Michigan, ha affermato al "New York Times" che nell'Europa del XIX secolo il piombo era usato nei vini e negli alimenti, oltre che in medicine e unguenti. Una probabile fonte degli alti livelli di piombo di Beethoven era il vino a buon mercato. Il piombo, sotto forma di acetato di piombo, chiamato anche "zucchero di piombo", ha un sapore dolce. All'epoca di Beethoven veniva spesso aggiunto al vino di scarsa qualità per renderlo più gradevole. Il vino veniva anche fatto fermentare in bollitori saldati con il piombo, che si sarebbe disperso con l'invecchiamento del vino, ha detto Nriagu. Inoltre, ha aggiunto, i tappi delle bottiglie di vino venivano imbevuti di sale di piombo per migliorare la tenuta.
Beethoven beveva abbondanti quantità di vino, circa una bottiglia al giorno, e più tardi nella sua vita anche di più, credendo che fosse un bene per la sua salute e anche perché ne era diventato dipendente. Negli ultimi giorni prima della sua morte i suoi amici gli davano vino a cucchiaiate. Il suo segretario e biografo, Anton Schindler, descrisse la scena del letto di morte: "Questa lotta per la morte era terribile da vedere, perché la sua costituzione generale, specialmente il petto, era gigantesca. Bevve ancora un po' del vostro vino Rüdesheimer a cucchiaiate fino alla morte".
"Sebbene le concentrazioni rilevate non supportino l'idea che l'esposizione al piombo abbia causato la morte di Beethoven, è possibile che abbia contribuito ai disturbi documentati che lo hanno afflitto per gran parte della sua vita", ha dichiarato Rifai. "Crediamo che questo sia un pezzo importante di un puzzle complesso e che permetterà a storici, medici e scienziati di comprendere meglio la storia medica del grande compositore".
Allora, cosa ha ucciso Beethoven, se non l'avvelenamento da piombo? Recenti studi genomici hanno rilevato che il compositore presentava un forte rischio genetico di malattia epatica, che potrebbe essere stato aggravato dall'uso di alcolici e da una nota infezione da epatite B. Combinando le conoscenze acquisite da questi studi genomici con ulteriori analisi dei capelli del compositore, i ricercatori sperano di restringere una valutazione più precisa del rischio di malattia e della possibile causa di morte.
Cultura
Libri, ‘Destra maldestra’ di Alberto Mattioli...
Edito da Chiarelettere, è un pamphlet sulla 'spolitica culturale' del governo Meloni
Dall’insediamento di Giorgia Meloni, alla fine del 2022, una politica culturale di destra, degna di questo nome, non si è ancora vista. Del resto il bacino da cui attingere, nota lo scrittore e giornalista Alberto Mattioli, autore di 'Destra maldestra', edito da Chiarelettere, "è quello che è": non c’è proprio l’imbarazzo della scelta; piuttosto, sono le scelte a suscitare imbarazzo.
Tra i (mis)fatti di cronaca che hanno finora scandito l’operato del governo in carica alcuni sono memorabili, dalle nomine ai vertici delle istituzioni, fino alle gaffe di alcuni nomi illustri. Uno su tutti, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che nelle vesti di giurato al Premio Strega candidamente dichiarò di non aver letto nessuno dei libri in lizza.
Ma c'è anche Vittorio Sgarbi, la cui presenza "inarrestabile, invadente, inevitabile" cerca di colmare, in modo spesso inopportuno, i vuoti nelle file degli intellettuali "di area". Destra maldestra è un’irriverente ricognizione di un panorama desolato e desolante, da cui emerge come il governo Meloni, dimostrandosi "incapace di comprendere i meccanismi della cultura, stia sbagliando tutto". (segue)
"Questa destra così identitaria ha un problema di identità: la sua"
Tra rivelazioni e indiscrezioni, il verdetto di Mattioli è infatti impietoso: "Questa destra così identitaria ha un problema di identità: la sua". Il libro, edito da Chiarelettere, sarà presentato a Roma il 15 maggio (alle 18) al Libraccio di via Nazionale. Interverranno, in dialogo con l'autore, Roberto D'Agostino, Giancarlo De Cataldo e Federico Freni, A moderare interviene Francesca Schianchi.
Giornalista, ma soprattutto tra i maggiori esperti di Opera in Italia, Mattioli scrive per "La Stampa", "Il Foglio", "Il Secolo XIX". Il suo è un pamphlet caustico e brillante che - nonostante l’area conservatrice nella quale si colloca l’autore - critica aspramente il lavoro di smantellamento e impoverimento della sfera culturale italiana portata avanti dal governo di destra.
Quasi superfluo elencare gli esempi (anche recentissimi): dalla Times Square londinese, al clamoroso boomerang del 'caso Scurati'. Una citazione per tutte: "Sangiuliano & Friends non funzionano non perché forse sono ancora fascisti, ma perché sono sicuramente mediocri".