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Pubblicità, tra inclusione e nuovi riferimenti: come cambia...

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Pubblicità, tra inclusione e nuovi riferimenti: come cambia la famiglia (e la società)

Un papà che lava la maglia della figlia che gioca a calcio. Un altro papà che culla il figlio neonato. Un altro ancora che prepara la colazione, il pranzo, la cena. Il mondo della pubblicità ha sempre rappresentato la società, a volte restando indietro su alcuni trend, altre volte anticipandoli. In un panorama, quale quello contemporaneo, dove donne e uomini acquisiscono sempre più parità nella maggior parte dei settori, è quello casalingo, forse, il più difficile da livellare.

Profondamente legato al sentimento personale, al modo di vivere di ogni singolo individuo, così come al modo in cui si decide di impostare una relazione con un partner, un coinquilino, un figlio o, persino, con il proprio animale domestico, la sfera “casalinga” è quella più vicina alla percezione che si ha del cambiamento culturale in una società.

Donne ai fornelli, pronte a lavare, rassettare, pulire, sistemare, accudire figli e preparare pietanze da servire a tavola, oggi vengono sostituite nell’immaginario collettivo dagli uomini, o, almeno, il lavoro della cura della sfera domestica tende ad essere sempre più equamente diviso tra le parti. Non solo nelle pubblicità, ma anche nella realtà.

Un nuovo modello visivo

A tutti sarà capitato di vedere almeno una volta il noto spot dell’Esselunga. Una pesca come simbolo di riappacificazione sperata, regalata da una figlia di genitori separati al suo papà come “finto” dono viene offerta dalla bambina. La pubblicità ha creato un dibattito sulla necessità o meno di rappresentare questo tipo di famiglia nelle pubblicità. Rappresentazione che rispecchia una realtà esistente: il calo del numero di matrimoni e l’aumento del numero di separazioni e divorzi.

Secondo i dati Istat più recenti in materia di unioni, nel 2021, le separazioni sono state complessivamente 97.913 (+22,5% rispetto al 2020). Nello stesso anno, i divorzi sono stati 83.192, il 24,8% in più rispetto al 2019 e il 16,0% in meno, nel confronto con il 2016, anno di massimo relativo (99.071 divorzi), legato all’entrata in vigore (a maggio 2015) della legge sul ”divorzio breve”. Nel 2021, il tasso di separazione per 10mila abitanti (16,6 a livello nazionale) raggiunge il valore massimo in Campania (20,0), seguita da Sicilia (19,3) e Lazio (18,5), e il minimo nella Provincia Autonoma di Bolzano (10,8).

E mentre si discuteva del tipo di rappresentazione che al meglio poteva mettere in scena la “famiglia moderna”, gli spot pubblicitari hanno fatto un ulteriore passo in avanti. Sempre più sensibili alle tematiche genderfluid, alla parità di genere, all’inclusività negli sport, diversi sono gli esempi che negli ultimi mesi hanno messo da parte le polemiche e racchiuso in pochi minuti delle realtà già esistenti. Vediamone alcuni insieme.

Inclusione e sport

Uno dei settori che da sempre tende a incentivare l’inclusività è quello dello sport. A sostegno di un tipo di inclusione che rivolge ancora il suo sguardo alla parità di genere c’è l’ultimo spot Amazon per Uefa Women’s Football 2024. Ricco d’azione, lo spot ha come colonna sonora il brano Sweet Old Fashioned Girl di Teresa Brewer. Le atlete sono sempre al centro della scena, supportate da una selezione di prodotti disponibili su Amazon come, ad esempio, parastinchi, cerotti muscolari, canotte da allenamento e vasche per la crioterapia.

Oppure la Tim, che dopo aver lanciato uno spot pubblicitario contro la disuguaglianza di genere, ha usato l’allenatore Luciano Spalletti come promoter ufficiale dell’ultima campagna di marketing e una tifoseria al femminile con “Anna, grande fan degli azzurri”, come co-protagonista (a sottolineare che anche le donne occupano spazi sugli spalti degli stadi).

Nuovi papà

Un papà che culla il figlio, mentre con un amico guarda la partita del cuore, costretto a spostarsi in cantina, dove c’è la lavatrice, il cui movimento è l’unico strumento in grado di far addormentare il proprio neonato. La scena è il nuovo spot della Vodafone che promuove la rete del wi-fi che raggiunge gli angoli più remoti della casa. Quello rappresentato potrebbe essere un qualsiasi padre, lasciato solo. Il possibile riferimento nella realtà è quello delle famiglie monogenitoriali (2,9 milioni nel 2021, il 17% del totale dei nuclei; nell’20% dei casi composte da papà single).

Altro esempio è quello della Vanish, con un papà che si rivolge a degli specialisti per smacchiare la maglia della figlia, sporcatasi giocando a calcio. A parte la rappresentazione femminile di una bambina che gioca con il papà ad uno sport considerato per lo più maschile, lo scenario inaugurato già da diverso tempo è quello dei papà casalinghi. Un’analisi condotta nel 2023 dal Pew Research Center sui dati dell’U.s. Census Bureau ha rilevato che gli stay-at-home dad (i papà casalinghi) sono saliti dal 4% del totale del 1989 al 7% del 2021. Secondo i dati del report, aggiornati al 2021, i genitori casalinghi sono uomini solo nel 18% dei casi. In pratica, quasi uno ogni cinque.

E ancora, rimanendo in linea con i papà protagonisti, anche Mulino Bianco mette al centro del suo spot un padre che prepara la colazione e la merenda alla figlia, in assenza della mamma-moglie. Secondo gli ultimi dati dell’Eige (The European Institute for Gender Equality) tratti da un’indagine del 2022, è il 91% delle donne e l’86% degli uomini a fornire assistenza o cura ai propri figli di età inferiore ai 25 anni almeno quattro volte a settimana. I dati sono migliorano se rapportati all’indagine 2019 dove il lavoro di assistenza non retribuito risultava svolto dal 92% donne contro il 68% degli uomini. Ma in Italia, nello specifico, è solo il 35% delle famiglie a condividere tra entrambi i genitori la cura dei figli, mentre nel resto dei casi, questa incombenza ricade principalmente sulle donne.

Screen della pubblicità Ace con Borghese e Casa Surace

E per concludere, una delle più emblematiche è quella che riposiziona la donna ai fornelli dopo un giro di volta di uomini in programmi tv dedicati alla cucina. Volto dello spot di Ace sgrassatore universale è lo Chef Alessandro Borghese, al quale una donna affida la mansione di pulire: Antonella Morea del gruppo comico Casa Surace che con un “Però cucino io, tu pulisci”, strappa un sorriso sul tema della condivisione dei compiti casalinghi e degli stereotipi di genere.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Fondazione Gi Group e Valore D: ecco l’effetto della...

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L’effetto della maternità allarga ulteriormente il divario occupazionale con gli uomini e segna una frattura, a volte temporanea, a volte definitiva, nel percorso professionale di molte lavoratrici. È un fenomeno comune a livello europeo ma con un impatto particolarmente negativo in un Paese come il nostro, all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione femminile e con uno fra i più bassi tassi di fecondità. Se guardiamo infatti i dati (al 2022), da noi solo il 51,1% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora, contro una media UE27 del 64,9%, e il numero medio di figli per donna è 1,24, un valore molto al di sotto di Paesi come la Francia (1,79), la Svezia (1,53) e l’Olanda (1,49).

La posizione del nostro Paese non cambia se si considera l’occupazione femminile nella fascia di età 25-49 – il periodo della vita in cui tendenzialmente si entra nel mercato nel lavoro e si costruisce una famiglia – che vede le donne svantaggiate di circa 20 punti percentuali sugli uomini e di 14,6 sulla media UE.

La forte penalizzazione delle madri nel mercato del lavoro ha alle spalle un concorso di fattori sociali, demografici, culturali, normativi e legislativi che fa sì che da noi i carichi di cura siano ancora fortemente sbilanciati sulle donne, impegnate in media per 4,9 ore al giorno in questo tipo di attività rispetto alle 2 degli uomini, secondo gli ultimi dati pubblicati (2023), per un totale di 43,5 giorni in più all’anno.

Ore dedicate al giorno in media al lavoro di cura, uomini e donne, 2023

Invertire la rotta, per correggere uno dei principali fattori di insostenibilità del mercato del lavoro e dell’intero sistema Paese, è necessario e urgente. Una direzione la traccia lo studio di Fondazione Gi Group e Gi Group Holding, realizzato in collaborazione con Valore D “Donne, Lavoro e Sfide Demografiche. Modelli e strategie a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità”, che sarà presentato il prossimo 14 maggio a Milano nel Convegno organizzato all’Auditorium del Palazzo del Lavoro in Piazza IV novembre 5.

Il rapporto è unico nel suo genere perché combina, in un approccio multidisciplinare e multistakeholder, l’analisi della letteratura internazionale, uno sguardo comparato su sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna e Svezia) e l’ascolto della voce diretta delle imprese, PMI, grandi aziende e multinazionali.

Attraverso un corposo lavoro di analisi che ha visto la collaborazione di alcuni fra i massimi esperti italiani di temi di genere, demografici e occupazionali, lo studio evidenzia una serie di possibili soluzioni capaci concretamente di favorire occupazione, sviluppo professionale delle donne e genitorialità, coinvolgendo, in un’ottica di sistema, tutti gli attori: istituzioni, imprese, parti sociali, terzo settore.

Il Convegno, con avvio in streaming alle ore 10.30, sarà moderato da Fabio Insenga, Vicedirettore di Adnkronos, e introdotto da Chiara Violini, Presidente di Fondazione Gi Group e Barbara Falcomer, Direttrice Generale di Valore D. A loro seguirà l’intervento dello scrittore Alessandro D’Avenia, che rifletterà sul valore della genitorialità in un talk ispirazionale dal titolo “Generare o degenerare? Questo è il problema”.

I lavori proseguiranno con la presentazione dei principali risultati dello studio, a cura di Rossella Riccò, Responsabile Area Studi e Ricerche di Fondazione Gi Group e Ulrike Sauerwald, Responsabile del Centro Studi di Valore D. Interverranno inoltre Alessandro Rosina, Professore Ordinario di Demografia e Statistica Sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano e Dirigente del “Center for Applied Statistics in Business and Economics” e Francesco Seghezzi, Presidente ADAPT, che approfondiranno le principali evidenze demografiche e occupazionali della ricerca.

Spazio poi all’esperienza delle aziende in una tavola rotonda dedicata al racconto di alcune best practices. Interverranno: Annibale Baldari, Executive Director HR Transformation and Strategic Operation and DEI Champion Italy Hub di Eli Lilly, Donatella De Vita, Global Head of Engagement and Welfare and DEI di Pirelli, Valentina Pirrò, Recruiting, Employer Branding, Culture & Inclusion Manager di Vodafone, Stefano Fasani, Founder and Program Manager di Open-es.

Adnkronos Demografica sarà media partner dell’evento, che sarà trasmesso anche in live streaming su: https://youtube.com/live/XqroV7UFeoI?feature=share

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Una lavoratrice su cinque esce dal mercato del lavoro dopo...

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Una lavoratrice su cinque rinuncia al lavoro dopo la maternità. Il 72,8% delle dimissioni dei neogenitori è al femminile. Questi sono i dati emersi dal report Save the Children ‘Le Equilibriste – La maternità in Italia 2024’. Un quadro che conferma una tendenza già presente negli scorsi anni e che vede delle ripercussioni sulla carriera femminile a causa dell’inconciliabilità tra carichi di cura e vita professionale. Una conseguenza? Il calo il numero medio di figli per donna e l’aumento dell’età media che si sceglie per il primo figlio. Ma vediamo nel dettaglio cosa è emerso dal report.

Maternità e lavoro

Dai dati del Rapporto di Save the Children, emerge che in Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell’Unione Europea (65,8%) di ben 13 punti percentuali. La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello europeo pari a 9,4 punti percentuali.

Mamme contro Papà

Una spia delle difficoltà che le madri affrontano nel conciliare impegni familiari e lavorativi è rappresentata dal numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni: a fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%). Al contrario, per gli uomini della stessa età, il tasso di occupazione totale è dell’83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.

Una questione territoriale

Un’altra disparità, oltre quella di genere, si registra anche a livello territoriale. Le regioni più colpite dal fenomeno sono quelle del Sud d’Italia dove per le donne, l’occupazione si ferma al 48,9% per coloro senza figli (sono il 79,8% al nord e 74,4% al centro) e scende al 42% in presenza di figli minori arrivando al 40% per le donne con due o più figli minori (al nord sono il 73,2% e al centro 68,3%). Questa disparità vale anche per gli uomini, anche se con valori diversi: nel meridione gli uomini senza figli occupati arrivano al 61,5%, (sono 86,7% al Nord e 81,3%, al Centro), mentre quelli con figli minori raggiungono l’82,8% (96,7% al Nord e 94,5% al Centro).

Le dimissioni

Anche guardando ai dati delle dimissioni volontarie post genitorialità è evidente come la nascita di un figlio influisca sulla disparità di genere nel mondo del lavoro. A dimettersi sono principalmente le madri, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Nel corso del 2022, infatti, sono state effettuate complessivamente 61.391 convalide di dimissioni volontarie per genitori di figli in età 0-3 in tutto il territorio nazionale, in crescita del 17,1% rispetto all’anno precedente. Il 72,8% del totale (pari a 44.699) riguarda donne, mentre il 27,2% riguarda uomini (pari a16.692), con una crescita maggiore di quelle femminili rispetto all’anno precedente.

Anche quest’anno nelle motivazioni tra uomini e donne per le convalide, emerge una differenza significativa. Per le donne, il problema è conciliare lavoro e cura del bambino/a: il 41,7% ha attribuito questa difficoltà alla mancanza di servizi di assistenza, mentre il 21,9% ha indicato problematiche legate all’organizzazione del lavoro. Complessivamente, le sfide legate alla cura rappresentano il 63,6% di tutte le motivazioni di convalida fornite dalle lavoratrici madri. Per gli uomini, invece, la motivazione predominante è di natura professionale (78,9% cambia azienda e solo il 7,1% ha riportato esigenze di cura dei figli).

Donne in part time

Dai dati emerge inoltre che in Italia, mentre il lavoro a tempo pieno è più comune tra gli uomini rispetto alle donne, accade l’opposto per il lavoro part-time. In generale nel nostro Paese solo il 6,6% degli uomini che lavora, lo fa a tempo parziale, rispetto al 31,3% delle lavoratrici, che per la metà dei casi (15,4%) subisce un part-time involontario. Tra coloro che hanno figli, aumenta notevolmente la percentuale di donne impiegate a tempo parziale (36,7%) rispetto a quelle senza figli (23,5%). Tra gli uomini, invece, si passa dall’8,7% per chi non ha figli al 4,6% per i padri.

“In Italia si parla molto della crisi delle nascite – ha affermato Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia -, ma non si dedica sufficiente attenzione alle condizioni concrete di vita delle mamme, “equilibriste” di oggi, sulle quali grava la quasi totalità del lavoro di cura. Un Paese nel quale le madri sono ancora troppo in affanno, ancora diviso tra Nord e Sud, con regioni più o meno accoglienti per le donne con figli. Occorre intervenire in modo integrato su più livelli. Oggi la nascita di un bambino rappresenta nel nostro Paese uno dei principali fattori di impoverimento. Bisogna sanzionare ogni forma di discriminazione legata alla maternità, rendere obbligatorio il family audit e promuovere l’applicazione piena della legge sulla parità di retribuzione. Occorre, inoltre, assicurare ai nuovi nati l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia così come alle cure pediatriche. Gli esempi europei ci sottolineano come, affinché le riforme abbiano un effetto positivo sul benessere delle famiglie, e quindi indirettamente anche sulla fecondità esse debbano essere stabili. Le frequenti riforme e inversioni delle politiche familiari le rendono imprevedibili, poco affidabili e confuse, con un impatto potenzialmente negativo sulle famiglie e sulle donne in particolare”.

La denatalità come conseguenza?

Il 2023 ha registrato un nuovo calo storico delle nascite in Italia, ormai stabilmente ferme sotto le 400mila unità, con un decremento del 3,6% rispetto all’anno precedente. Tra i 15 ei 49 anni, il numero medio di figli per donna è di 1,20. Molto lontano dal dato del 2010, quando il numero medio di figli per donna aveva raggiunto il massimo relativo registrato nell’ultimo ventennio, pari a 1,44. La contrazione della natalità che accompagna l’Italia da decenni, ormai coinvolge anche la componente straniera della popolazione (nel 2023 meno 3mila nati rispetto all’anno precedente).

L’Italia è anche il Paese europeo con la più alta età media delle donne al momento della nascita del primo figlio (31,6 anni), con una percentuale rilevante di primi nati da mamme over 40 (8,9%, tasso inferiore solo a quello della Spagna). L’età media delle madri al parto rimane quasi invariata rispetto all’anno precedente (32,5 anni nel 2023 e 32,4 nel 2022).

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Tumore ovarico, in Italia 6mila diagnosi l’anno

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Il tumore ovarico, una delle forme più insidiose di cancro che colpiscono le donne, è oggi più che mai al centro dell’attenzione globale in occasione della Giornata Mondiale che ricorre l’8 maggio. In Italia, circa 6mila donne si ammalano di questa malattia ogni anno, mentre a livello mondiale si prevede che entro il 2050 colpirà 12 milioni di donne e causerà otto milioni di decessi. Questo avversario silenzioso può manifestarsi in vari modi e spesso viene diagnosticato tardivamente, rendendo le cure più complesse e diminuendo le probabilità di sopravvivenza.

Cos’è il tumore ovarico

Il tumore ovarico è un cancro che origina nei tessuti delle ovaie, due organi dalle dimensioni di una grossa mandorla, situati ai lati dell’utero e connessi alle tube di Falloppio. Le ovaie svolgono un ruolo cruciale nella produzione di ormoni sessuali femminili, come gli estrogeni e il progesterone, e nell’ovulazione, il processo mediante il quale un ovocita viene rilasciato mensilmente per essere eventualmente fecondato.

Il cancro dell’ovaio è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule dell’organo, il più delle volte le cellule epiteliali, ovvero non quelle che producono gli ovuli) (come specificato dall’AIRC). Questo tipo di tumore rappresenta circa il 3% di tutte le diagnosi tumorali e si colloca al decimo posto tra le forme tumorali più diffuse.

Esistono diversi tipi di tumore ovarico: epiteliale, germinale e stromale. I tumori epiteliali sono i più comuni, costituendo più del 90% dei casi, mentre i tumori germinali e stromali sono meno frequenti. La sua natura subdola deriva dal fatto che i sintomi iniziali possono essere vaghi o essere scambiati per altri problemi di salute, come disturbi gastrointestinali o urinari. Questo ritarda la diagnosi e rende più difficile il trattamento efficace.

Mentre le cause esatte del tumore ovarico non sono completamente comprese, ci sono alcuni fattori di rischio noti, come l’ereditarietà (in particolare la mutazione genetica BRCA1 o BRCA2), la storia familiare di tumori ovarici o del seno, l’età avanzata e l’assenza di gravidanze. Altri fattori di rischio includono l’obesità, la durata del periodo ovulatorio, l’età della prima mestruazione e della menopausa. Al contrario, avere più figli, allattare al seno e utilizzare contraccettivi orali a lungo termine possono ridurre il rischio di sviluppare questa malattia.

Le mutazioni genetiche nei geni BRCA1 e BRCA2 rappresentano un importante fattore di rischio. Si stima che tra il 6 e il 25% dei tumori maligni dell’ovaio presenti una mutazione in questi geni, aumentando il rischio di sviluppare il cancro ovarico del 15-45% nelle donne con mutazione BRCA1 e del 10-20% nelle donne con mutazione BRCA2.

L’importanza della diagnosi precoce

La diagnosi precoce è fondamentale per migliorare le probabilità di sopravvivenza e per rendere più efficace il trattamento. Purtroppo, non esiste uno screening di routine altamente efficace per il tumore ovarico come per altri tipi di cancro, come quello al seno o al colon. Ciononostante, alcuni studi hanno dimostrato che una visita annuale dal ginecologo che esegue la palpazione bimanuale dell’ovaio e l’ecografia transvaginale di controllo possono facilitare una diagnosi precoce.

Nelle fasi iniziali, il tumore ovarico può non presentare sintomi evidenti, il che rende difficile la sua identificazione precoce. Tuttavia, alcuni segnali di allarme includono addome gonfio, meteorismo, bisogno frequente di urinare, dolore pelvico, sanguinamento vaginale e sensazione di stanchezza estrema. È importante prestare attenzione a questi sintomi e consultare un medico se persistono o si manifestano improvvisamente.

Giornata mondiale del tumore ovarico

La Giornata Mondiale del Tumore Ovarico, che cade l’8 maggio di ogni anno, offre un’opportunità preziosa per educare il pubblico sui rischi, i sintomi e l’importanza della diagnosi precoce di questa malattia. È un momento per onorare le donne che hanno lottato contro il tumore ovarico, per sostenere coloro che attualmente combattono la malattia e per impegnarsi a lavorare insieme per trovare una cura.

In occasione della dodicesima Giornata Mondiale sul Tumore Ovarico l’Associazione Loto OdV in Italia promuove una serie di iniziative per sensibilizzare e coinvolgere la comunità nel combattere questa malattia. Anche il Senato della Repubblica si unisce all’iniziativa, illuminando la facciata della sede istituzionale di Palazzo Madama a Roma di azzurro Tiffany, simbolo di speranza e solidarietà.

La Giornata mondiale mira a sottolineare l’importanza di un’azione globale contro questa malattia, focalizzandosi su prevenzione, diagnosi, trattamento e cura. In questo contesto, l’Ovarian Cancer Coalition (Occ) ha lanciato la campagna “No Woman Left Behind“, che si propone di superare le disparità e le disuguaglianze nell’accesso alle cure e nei risultati terapeutici.

L’azalea della ricerca

In occasione della Festa della Mamma, il 12 maggio, l’Azalea della ricerca della Fondazione AIRC torna a fiorire, celebrando un traguardo importante: quarant’anni di impegno nella lotta contro i tumori che affliggono le donne. Da quattro decenni, questo fiore colorato non solo simboleggia la gioia della maternità, ma è diventato anche un forte sostegno per la ricerca oncologica. In questo lungo percorso, sono stati raccolti circa 300 milioni di euro, contribuendo significativamente al progresso della medicina e al miglioramento della qualità di vita e della sopravvivenza delle donne affette da cancro.

Oggi, grazie a questi sforzi, due donne su tre in Italia sopravvivono dopo cinque anni dalla diagnosi di cancro. L’azalea, nel festeggiare il suo quarantesimo compleanno, ci ricorda che il futuro della ricerca è nelle nostre mani. Circa ventimila volontari si mobilitano in oltre 3.500 piazze, distribuendo oltre 600mila piante di azalea in cambio di una donazione minima di 18 euro. Inoltre, è possibile acquistare la piantina su Amazon, contribuendo così alla causa.

Nonostante i progressi compiuti, il cancro continua a rappresentare una sfida diffusa e spesso dolorosa per molte donne. Tuttavia, la ricerca continua a essere un faro di speranza. Una recente indagine condotta su un campione di 800 donne conferma che il cancro colpisce trasversalmente, toccando direttamente o indirettamente la vita di molte.

Fortunatamente, la percezione del cancro come malattia incurabile sta cambiando: sempre più donne credono nella possibilità di guarigione, grazie alle cure disponibili e all’importanza della ricerca per sviluppare terapie sempre più efficaci.

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