L'allarme dell'ex presidente americano che critica l'attuale Joe Biden per la gestione dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente
Rischio "guerra mondiale" a causa dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. E' l'allarme rilanciato da Donald Trump, che in una conferenza stampa a Mar-a-Lago è tornato a denunciare "l'incompetenza" di Joe Biden, "un presidente che non riesce a mettere insieme due frasi" a causa del quale sta succedendo tutto questo. "Si potrebbe arrivare a una guerra mondiale tra Russia e Ucraina e a tutto il caos che ne consegue, ed è una cosa che non sarebbe mai dovuta accadere. Quello che sta succedendo con Israele potrebbe sfociare in una guerra mondiale", ha detto l'ex presidente, candidato alla Casa Bianca.
"Abbiamo un presidente che non riesce a trovare le scale per scendere dal palco. Abbiamo un presidente che non sa cosa diavolo sta facendo. E potremmo finire in una guerra mondiale", ha attaccato ancora Trump, secondo cui "abbiamo poco meno di sette mesi, prima del 5 novembre, ma è un'eternità quando le persone sono incompetenti".
Esteri
Corea del Nord taglia ogni collegamento con il Sud,...
Pyongyang ha annunciato che il confine sarà anche rinforzato con "forti strutture di difesa"
La Corea del Sud ha condannato con forza la decisione della Corea del Nord di tagliare tutti i collegamenti stradali e ferroviari al confine. Lo hanno riferito i media locali. Il ministero dell'Unificazione di Seul - ha riferito l'agenzia di stampa sudcoreana Yonhap - ha definito la decisione come una battuta d'arresto per le aspirazioni all'unificazione dei popoli di entrambe le Coree. Ieri, Pyongyang - come riferito dall'agenzia di stampa Kcna controllata dallo Stato - aveva annunciato l'intenzione di interrompere tutti i collegamenti stradali e ferroviari con la Corea del Sud, aggiungendo che il confine sarà anche rinforzato con "forti strutture di difesa".
Immagini satellitari recenti mostrano che la Corea del Nord ha iniziato a demolire strade e ferrovie nei pressi del confine che un tempo collegavano l'ormai chiuso parco industriale di Kaesong, una joint venture finanziata da Seul. Da quando Kim ha dichiarato alla fine dell'anno scorso che le due Coree sono ora "stati ostili", la Corea del Nord ha sistematicamente reciso i legami fisici al confine. L’esercito sudcoreano ha affermato inoltre che negli ultimi mesi la Corea del Nord ha piazzato decine di migliaia di mine lungo il confine.
"Condanniamo fermamente la misura della Corea del Nord come un atto anti-unificazione e antinazionale che respinge l'aspirazione all'unificazione del nostro popolo e dei residenti in Corea del Nord", ha dichiarato il Ministero dell'Unificazione sudcoreano. La chiusura da parte della Corea del Nord dei collegamenti di trasporto è considerata in gran parte simbolica, poiché da molti anni non vi è alcuno scambio diretto attraverso il confine pesantemente militarizzato tra i due paesi.
Stop obiettivo riunificazione
Martedì scorso, il leader nordcoreano Kim Jong Un aveva affermato di aver rinunciato alla riunificazione della penisola coreana, questione che - aveva spiegato - in Corea del Nord "non interessa più a nessuno". "Prima si parlava molto di liberare il Sud e di unirlo con la forza, ma ora tutto ciò non ci interessa e, da quando abbiamo fondato i due paesi, abbiamo ancora meno consapevolezza di quel paese", aveva detto, aggiungendo che la Corea del Nord è pronta ad adottare una nuova costituzione che designa il Sud come nazione "ostile" e ridisegna i confini marittimi. Un cambiamento che, avvertono gli analisti, potrebbe smantellare decenni di cauta diplomazia e aumentare le tensioni militari.
L'articolo 9 della Costituzione della Repubblica Popolare Democratica di Corea afferma che essa mira a realizzare il socialismo "nella metà settentrionale della Corea" e cerca "la riunificazione sul principio di indipendenza, riunificazione pacifica e grande unità nazionale". "Sono attesi emendamenti costituzionali che definiscano i legami intercoreani come due stati ostili e altre misure correlate", ha detto lunedì ai giornalisti Koo Byung-sam, portavoce del Ministero dell'Unificazione della Corea del Sud. Tuttavia, non è ancora chiaro quando esattamente la decisione verrà formalmente presa.
Modifiche alla costituzione
Gli analisti si aspettano che la costituzione modificata includa clausole che definiscano la Corea del Nord come uno "stato socialista separato", segnalando una rottura definitiva da qualsiasi legame storico o etnico con il Sud. Sebbene le relazioni intercoreane siano state altalenanti, queste modifiche costituzionali potrebbero ostacolare gravemente le prospettive di una loro ripresa nel medio e lungo termine, secondo Lim Eul-chul, professore di scienze politiche presso la Kyungnam University di Changwon.
"La revisione costituzionale apre un nuovo capitolo nel deterioramento dei legami intercoreani, iniziato dopo il fallimento del vertice di Hanoi del 2019", ha affermato Lim, riferendosi all'incontro tra Kim e l'allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump. “Le tensioni probabilmente aumenteranno ulteriormente in un ciclo infinito di scambi di colpi di scena”, ha aggiunto. A gennaio, Kim ha dichiarato che, in caso di guerra, il Nord avrebbe dovuto occupare completamente il Sud e integrarlo nel suo territorio. Ciò segna un completo allontanamento dall'accordo quadro intercoreano del 1991, che aveva definito le relazioni come una "relazione speciale provvisoria" con la riunificazione come obiettivo finale. L'accordo prevedeva il riconoscimento reciproco dei rispettivi sistemi politici, l'impegno ad astenersi dall'aggressione militare e il perseguimento della riunificazione attraverso scambi e cooperazione graduali.
Esteri
Nobel Pace 2024, domani l’annuncio del vincitore:...
Le candidature sono 286, 89 delle quali sono organizzazioni
Domani, venerdì 11 ottobre, verrà annunciato il vincitore del premio Nobel per la Pace 2024. Quest’anno il Nobel Prize ha ricevuto 286 candidature, 89 delle quali sono organizzazioni. Per il 2023 ci furono 351 candidature. Il Time ha redatto un elenco di potenziali vincitori basato sulle quote del sito di scommesse Nicerodds.co.uk e sulla rosa dei candidati annuale creata da Henrik Urdal, direttore del Peace Research Institute Oslo (Prio).
Chi sono i favoriti tra i candidati
Fra i candidati al Nobel per la Pace, c'è l'Osce, per il lavoro che sta svolgendo per promuovere elezioni democratiche in Europa, Caucaso, Asia centrale e Nord America. "La democrazia - ha spiegato Urdal - è un tema quest'anno, poiché più della metà della popolazione mondiale vive in un paese che si reca alle urne, anche se non esclusivamente in democrazie. Poiché le elezioni sono una pietra angolare della democrazia, gli osservatori elettorali svolgono un ruolo fondamentale nel modellare le percezioni sulla legittimità dei processi elettorali. Un Premio Nobel per la pace assegnato agli osservatori elettorali invia un messaggio forte sull’importanza di elezioni libere ed eque e sul loro ruolo nella pace e nella stabilità".
"Mentre il 2024 segna il 75° anniversario delle Convenzioni di Ginevra riviste, sviluppate per proteggere i civili durante la guerra, l’assegnazione del Nobel per la Pace di quest’anno a un’iniziativa umanitaria meritevole come le Sale di Risposta alle Emergenze evidenzierebbe l’importanza fondamentale dell’accesso agli aiuti salvavita in tempi di conflitto", ha aggiunto Urdal. Un altro candidato è la Corte Internazionale di Giustizia (Icj), l’organo giudiziario delle Nazioni Unite che risolve le controversie globali tra gli Stati membri. La Corte è stata coinvolta in conflitti come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e all’inizio di quest’anno si è occupata di Israele e del "genocidio contro i palestinesi".
Lo scorso gennaio, la Corte Internazionale di Giustizia (Cig) ha ordinato a Israele di "prendere tutte le misure in suo potere" per fermare tali atti a Gaza. Ha inoltre riscontrato che Israele aveva una "presenza illegale" nel territorio palestinese occupato e ha consigliato a Israele di "cessare immediatamente tutte le nuove attività di insediamento e di evacuare tutti i coloni dai territori palestinesi occupati", in un parere consultivo di luglio.
Altro possibile vincitore del Nobel per la Pace è l'Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente, che ha aiutato i rifugiati ad accedere all’assistenza sanitaria, all’istruzione e ha fornito supporto in risposta alle emergenze durante i periodi di conflitto. L'organizzazione, guidata dal commissario generale Philippe Lazzarini, assiste i rifugiati palestinesi in Giordania, Libano, Siria, Striscia di Gaza e Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est.
L'Unrwa ha anche lavorato per rispondere al bombardamento israeliano del Libano, aprendo rifugi di emergenza per aiutare i rifugiati. Secondo il Ministero della Sanità libanese, quasi 2.000 persone sono morte in Libano. A gennaio, è stato affermato che membri dello staff fossero coinvolti nell’attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele. Un'indagine interna ha rilevato che nove casi, se le prove vengono verificate, "potrebbero indicare che i membri del personale dell'Unrwa potrebbero essere stati coinvolti negli attacchi del 7 ottobre".
Anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco), così come il Consiglio d’Europa, è tra i candidati al Nobel per la Pace. L'Unesco lavora per aumentare la pace e la sicurezza promuovendo il dialogo internazionale e la cooperazione tra gli Stati membri in settori quali l’istruzione, la scienza e la cultura. Anche il Consiglio d’Europa, che è stato "fondato sul presupposto che comprendere il passato è essenziale per costruire un futuro condiviso", si concentra sull’educazione storica. "L’Unesco sottolinea l’importanza di comprendere la storia in un contesto globale e di sviluppare prospettive regionali e complementari", ha affermato Urdal. "Un Premio Nobel per la Pace per la promozione della pace attraverso l’educazione storica sarebbe in perfetta sintonia con l’appello di Alfred Nobel alla "fraternità tra le nazioni".
Secondo il sito di scommesse britannico Nicerodds.co.uk, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è uno dei candidati con più possibilità al premio Nobel per la Pace. Il presidente dell'Ucraina è stato il volto della resilienza durante l’invasione russa del paese iniziata nel 2022. Urdal ha precedentemente dichiarato a Time, tuttavia, che è improbabile che il Premio Nobel per la pace vada a qualcuno che si trova nel mezzo di una guerra. C'è poi la politica bielorussa Sviatlana Tsikhanouskaya, che ha sfidato il leader dello stato bielorusso Alexander Lukashenko per la presidenza nel 2020 e che si è classificata in cima al sito di scommesse. La Tsikhanouskaya attualmente vive in esilio a causa del suo lavoro di sfida al regime, ma continua a incontrare i leader internazionali.
Quest'anno ha segnato il decimo anniversario della detenzione cinese dell'attivista per i diritti umani Ilham Tohti a causa della sua difesa degli uiguri. "Quando Ilham Tohti ha promosso la cooperazione e la coesistenza pacifica tra le comunità cinesi uiguri e han, il governo cinese ha risposto con la repressione e l’incarcerazione. La sua decennale incarcerazione rappresenta un’ulteriore macchia vergognosa nella difficile situazione dei diritti umani in Cina", ha affermato Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International, in un comunicato stampa di settembre. Tohti ha parlato apertamente della discriminazione della Cina, dei crimini contro l’umanità e del genocidio degli uiguri e di altri gruppi minoritari. Se vincesse, si unirebbe agli altri cinque vincitori del Premio Nobel per la pace che hanno vinto il premio mentre erano in prigione, compreso quello che l’ha ricevuto l’anno scorso.
L'attivista ambientale svedese Greta Thunberg ha scatenato il dibattito mondiale sui cambiamenti climatici quando ha organizzato lo "Sciopero scolastico per il clima" davanti al parlamento svedese nel 2018. La giovane attivista rimane coinvolta nel movimento, ed è stata addirittura arrestata a Bruxelles per aver protestato contro i sussidi ai combustibili fossili. Poiché il 2023 è stato l'anno più caldo mai registrato e i devastanti disastri naturali, come gli uragani, sono diventati più pericolosi a causa del cambiamento climatico, l'argomento rimane di grande attualità. Secondo la Bbc, l’attivista per il clima è stata nominata per il Premio Nobel per la pace ogni anno dal 2019 al 2023.
Esteri
Israele, pressing Usa “per sfruttare offensiva per...
Secondo il Wall Street Journal, per Biden sarebbe un'occasione per porre fine al predominio di Hezbollah ed eleggere un nuovo presidente. Colloqui Hamas-Fatah su Gaza, nessun accordo
Una svolta politica in Libano. Sarebbe la possibilità intravista dagli Stati Uniti mentre nel Paese dei Cedri proseguono le operazioni militari israeliane contro i combattenti del Partito di Dio, orfano del suo segretario generale Hasan Nasrallah. Secondo il Wall Street Journal, che cita funzionari Usa e arabi, l'Amministrazione Biden starebbe spingendo per sfruttare l'offensiva israeliana contro Hezbollah come un'occasione per porre fine al predominio del gruppo ed eleggere un nuovo presidente della Repubblica.
Un'elezione che il Libano attende dal 2022, dalla fine del mandato di Michel Aoun, nel mezzo dello stallo politico. Il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, ha sentito nei giorni scorsi i leader di Qatar, Egitto e Arabia Saudita per chiedere loro di sostenere l'elezione di un nuovo capo di Stato (che è anche il comandante delle Forze Armate), scrive il Wsj, e l'inviato Usa Amos Hochstein ha detto agli interlocutori arabi che l'indebolimento di Hezbollah, nel mirino della campagna militare israeliana, dovrebbe essere considerato un'opportunità per sbloccare potenzialmente lo stallo.
Secondo funzionari sauditi citati dal giornale, l'iniziativa Usa avrebbe il sostegno di Riad. Mentre, scrive ancora il Wsj, funzionari di Egitto e Qatar hanno riferito agli americani di considerare il piano irrealistico e anche pericoloso.
In Libano - un Paese segnato da divisioni politiche e confessionali, con un governo ad interim da due anni e alle prese dal 2019 con una grave crisi finanziaria - Hezbollah è anche un partito politico influente. E, evidenzia il Wsj, l'Esercito libanese è più debole di Hezbollah. Secondo il governo di Beirut, per le operazioni militari israeliane contro il Partito di Dio si contano più di un milione di sfollati.
L'iniziativa Usa, sottolinea il giornale citando fonti diplomatiche, si concentra su leader libanesi di primo piano, come il premier Najib Miqati e il capo del Parlamento, l'inamovibile sciita Nabih Berri, necessari per mettere d'accordo le forze politiche per l'elezione di un nuovo presidente. "Quello che vogliamo da questa situazione è che il Libano sia in grado di rompere la presa che Hezbollah ha avuto sul Paese, spezzare la morsa di Hezbollah sul Paese e rimuovere il veto di Hezbollah su un presidente", ha detto ai giornalisti il portavoce del Dipartimento di Stato.
Alcuni nel Paese e nella regione temono che un pressing per rafforzare in questo momento un candidato alla presidenza possa innescare nuovi scontri come accaduto in passato.
Il capo di Stato viene eletto dal Parlamento (128 seggi), che non si riunisce da maggio e dove nessun blocco ha i numeri a sufficienza per andare avanti da solo. Senza il sostegno di Hezbollah e alleati non è chiaro come si possa arrivare a un consenso. Secondo il Wsj, nei colloqui con gli Usa da Egitto e Qatar hanno tra l'altro sostenuto che Israele non riuscirà mai a distruggere Hezbollah e che il gruppo deve far parte di qualsiasi soluzione politica del conflitto.
Dall'Egitto sarebbero arrivati anche timori che intromissioni nella politica libanese, durante la crisi, possano scatenare nuovi scontri interni nel Paese dei Cedri, frammentato in fazioni rivali dalla guerra civile. E per analisti e diplomatici chiunque prenda il potere a seguito delle operazioni israeliane in Libano potrebbe scontrarsi con una reazione negativa dell'opinione pubblica e delle forze politiche rivali.
"Quanto più un nuovo presidente libanese viene visto arrivare al potere sulla scia delle azioni militari israeliane con il sostegno americano, tanto più credo sarà screditato tra molti libanesi", ha sintetizzato Robert Ford, ex ambasciatore Usa in Siria e Algeria. Per il parlamentare Ibrahim Mneimneh, riformista, "manca una leadership che possa avviare un percorso che ci consenta di vedere la luce alla fine del tunnel".
Idf: "Uccisi due comandanti Hezbollah in Libano"
Le forze israeliane (Idf) hanno intanto confermato l'uccisione in raid aerei "mirati" di due comandanti degli Hezbollah libanesi. Su X le Idf danno notizia dell'uccisione di Ahmad Moustafa al-Haj Ali, indicato come comandante del 'Fronte Houla' e accusato di aver lanciato centinaia di razzi e missili anticarro contro la zona di Kiryat Shmona. "Eliminato" anche, fanno sapere i militari, Mohammad Ali Hamdan, descritto come il comandante dell' 'unità antitank' di Hezbollah nella zona di Meiss El Jabal e accusato di essere dietro attacchi con missili anticarro contro le località del nord di Israele. "Continueremo - ribadiscono le Idf - a eliminare i terroristi di Hezbollah che minacciano le vite dei nostri civili".
Gaza, colloqui Hamas-Fatah al Cairo: nessun accordo sul dopoguerra
"Fatah è per il proseguimento dell'attuale premier Muhammad Mustafa, nominato dal presidente dell'Autorità palestinese Mahmoud Abbas per la riforma, e Hamas rifiuta questa nomina". Lo ha detto al sito di notizie israeliano Ynet un funzionario di alto livello dell'Autorità palestinese all'indomani della notizia dei colloqui al Cairo tra Fatah e Hamas, incentrati - come precisato - sul dopoguerra nella Striscia di Gaza. "Non ci sarà un accordo sulla commissione di gestione di Gaza", ha affermato.
E, ha detto, "dai colloqui al Cairo non emerge nessun nuovo accordo". "Hamas - ha aggiunto - vuole un governo di unità nazionale per gestire Gaza e non una commissione come quella proposta da Abbas".
Ieri Hamas, che nel 2007 prese il controllo della Striscia, ha confermato i colloqui con Fatah al Cairo per parlare dell' "aggressione a Gaza, degli sviluppi politici e sul campo e degli sforzi di unificazione nazionale". Fatah, attraverso l'Autorità nazionale palestinese, mantiene un controllo amministrativo limitato sulla Cisgiordania.