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Salute e Benessere

Sla e Sma, inaugurati i primi 4 posti letto al Centro Nemo...

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Sla e Sma, inaugurati i primi 4 posti letto al Centro Nemo Bologna

All'Ospedale Bellaria, per la presa in carico multidisciplinare dei pazienti con patologie neuromuscolari rare: il primo passo verso la realizzazione di un intero reparto

Sla e Sma, inaugurati i primi 4 posti letto al Centro Nemo Bologna

E' realtà il primo nucleo di 4 posti letto che danno avvio al Centro clinico Nemo Bologna presso l'Ospedale Bellaria. Nell'Aula magna del Palazzo regionale, il primo passo concreto verso la realizzazione di quello che diventerà, entro i prossimi 2 anni, un intero reparto dedicato esclusivamente alla cura e alla ricerca sulle malattie neuromuscolari, secondo il consolidato modello multidisciplinare dei Centri clinici Nemo, già presenti in sette sedi su tutto il territorio nazionale.

Al Bellaria - si legge in una nota - si avvia dunque la presa in carico multidisciplinare a cura dell'équipe che ha seguito la formazione ricevuta in questi mesi dagli esperti dei Centri clinici Nemo. L'aspetto più innovativo, infatti, sono proprio il team dei clinici e degli operatori specializzati e integrati in un unico reparto. Al momento, i primi 4 posti letto sono situati nel reparto di Pneumologia (terzo piano Padiglione G dell'ospedale) e rappresentano il primo passo concreto di una riorganizzazione nella presa in carico di queste patologie complesse. Un progetto che evolverà nel primo luogo di cura a vocazione totalmente pubblica, nato sull'esperienza dei Centri Nemo che hanno dimostrato la loro efficacia prendendosi cura dal 2008 di 20mila famiglie in tutta Italia.

Sono circa 15 le figure del primo nucleo di professionisti (tra medici e operatori sanitari) che collaboreranno per rispondere in modo integrato ai bisogni complessi di cura dei pazienti con Sla, Sma, distrofie muscolari o sindromi atassiche, guidati da Rocco Liguori, direttore della Uoc Clinica neurologica e professore ordinario di Neurologia dell'Università degli Studi di Bologna, secondo il quale "la formazione che abbiamo iniziato nei mesi scorsi è stata frutto di una collaborazione preziosa e proficua con gli esperti dei Centri Nemo. I nostri operatori - sottolinea - hanno potuto toccare con mano cosa significhi integrare la competenza con un nuovo modello di cura e continueremo nei prossimi mesi a confrontarci ed apprendere in una formazione dinamica. Mettere il paziente al centro di ogni nostro operare è questa per noi la parte sfidante, la nostra stella polare".

"Il percorso di cura, altamente specialistico e multidisciplinare, che concentrerà presso l'istituto pazienti affetti da malattie neuromuscolari rare, in parte genetiche, rappresenta una sfida ed un'opportunità per i nostri ricercatori - evidenzia Raffaele Lodi, direttore scientifico dell'Irccs Istituto delle Scienze neurologiche di Bologna - La realizzazione del centro favorirà lo studio dei meccanismi di malattia attraverso le più aggiornate conoscenze e le ultime tecnologie disponibili. Inoltre ci consentirà di implementare la valutazione dell'efficacia di trattamenti innovativi a cui potranno essere sottoposti in sicurezza i singoli pazienti nelle fasi acute e croniche della malattia".

Dal punto di vista strutturale, la localizzazione definitiva del Nemo Bologna - dettaglia la nota - si inserisce nel piano di ristrutturazione che l'Ospedale Bellaria ha previsto con la valorizzazione dei fondi del Pnrr, secondo la 'Missione 6 - Salute, per un ospedale più sostenibile e sicuro'. Le planimetrie del progetto presentate - e già condivise con le associazioni dei pazienti AssiSla, Asamsi, Aism, Aisla, Aisa, Telethon e Uildm - prevedono che 2 dei 4 piani del Padiglione C in ristrutturazione saranno dedicati interamente al Nemo. Oltre mille metri quadrati per un'area di degenza con 14 posti letto: spazi completamente attrezzati per la movimentazione del paziente e l'accoglienza del suo caregiver; ambulatori, aree di attesa e accettazione e una palestra di 60mq per la riabilitazione motoria.

"Per tutti noi il Centro Nemo Bologna non è solo un cambio organizzativo, ma è prima di tutto un cambio culturale importante - afferma Paolo Bordon, direttore generale dell'Azienda Usl di Bologna - E' un cambio di paradigma del prendersi cura e questi primi 4 posti letto sono preziosi per permetterci di avviare un nuovo modello multidisciplinare, e così allenarci ad un metodo. Questo primo passo è ancora più importante perché siamo stati riconosciuti anche come Centro regionale di riferimento per le malattie neuromuscolari. Questo traguardo ci deve spingere a mettere in rete la diffusione della conoscenza tra professionisti per migliorare ulteriormente la cura e l'assistenza per i pazienti".

"Per la Regione Emilia Romagna questa sperimentazione nell'ambito dei ricoveri riabilitativi per i casi di malattie neuromuscolari rappresenta una sperimentazione e si integra alle attività già messe in campo - dichiara Raffaele Donini, assessore regionale alle Politiche per la salute - Il nostro obiettivo è quello di continuare ad assicurare le migliori cure possibili a chi si affida alle nostre strutture e, anche per questo motivo, realizzeremo uno studio prospettico osservazionale, in stretta connessione con il Programma Centro clinico Nemo, per una costante verifica dei risultati".

"L'ateneo supporta con convinzione tutte le iniziative, quali quelle meritorie del Centro clinico Nemo, in grado di fornire risposte concrete alla complessità dei bisogni assistenziali dei pazienti e alle necessità delle loro famiglie - rimarca il rettore dell'Università di Bologna, Giovanni Molari - Sotto questo profilo, l'università, anche attraverso la programmazione del proprio Dipartimento di Scienze biomediche e neuromotorie, non farà mancare il proprio sostegno mettendo a disposizione la propria capacità di far collaborare professionisti di altissimo livello in discipline complementari, quali la neurologia, la fisiatria e la pneumologia, contribuendo in modo decisivo alle attività di ricerca e di sviluppo di soluzioni innovative per le principali patologie neuromuscolari".

"Questa giornata celebra l'inizio di un nuovo viaggio per la nostra comunità neuromuscolare - commenta Alberto Fontana, presidente dei Centri clinici Nemo - Il progetto del Nemo Bologna diventerà presto il luogo fisico interamente gestito dalla pubblica amministrazione in cui i professionisti potranno accogliere le nostre famiglie, dando loro la sicurezza di sentirsi a casa. Questi primi 4 posti letto segnano l'avvio del cambiamento dell'esperienza di cura e insieme li proteggeremo, perché sono il laboratorio prezioso dove imparare a costruire l'integrazione delle competenze. Ringrazio le istituzioni di questa meravigliosa terra di innovazione per aver creduto ed investito nella possibilità di realizzare questo viaggio".

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Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio

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Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici

Uno sfigmomanometro per misurare la pressione - FOTOGRAMMA

La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.

"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.

Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.

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Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...

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Cardiologi:

Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.

Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".

Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom:

E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.

In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".

Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.

La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.

"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".

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