Salute e Benessere
Dieta dei gruppi sanguigni, sì o no? Cosa dicono gli esperti
Dieta dei gruppi sanguigni, sì o no? Cosa dicono gli esperti
"Nessuna evidenza scientifica" supporta la teoria che divide il mondo in carnivori, agricoltori, nomadi e soggetti-enigma
Dimmi che sangue hai e ti dirò cosa mangiare. Su questa teoria il naturopata americano Peter D'Adamo ci ha costruito una carriera. I suoi libri negli anni hanno fatto proseliti: gli adepti della dieta dei gruppi sanguigni, appunto, che scelgono i cibi 'secondo genetica'. Fanno bene? "In un'epoca in cui il concetto di personalizzazione ha guadagnato terreno in molti aspetti della vita, dall'abbigliamento alla medicina", lo schema proposto da D'Adamo "ha offerto una promessa attraente di nutrizione personalizzata basata su un fondamento biologico apparentemente scientifico". Ma per chi si domanda se ci siano evidenze a conferma di questa affermazione, "a oggi la risposta è no". Lo spiegano i medici anti-fake news del portale 'Dottore, ma è vero che...?', curato dalla Fnomceo.
"La teoria alla base della dieta dei gruppi sanguigni - ricordano i dottori anti-bufale - parte dalla premessa che il sistema di classificazione del sangue nei gruppi A, B, AB e 0 riflette la storia dell'alimentazione umana e sostiene che i benefici per la salute derivanti dall'alimentazione sarebbero influenzati dal gruppo sanguigno di appartenenza". Come? "Gli individui 0 sono considerati i 'cacciatori'", geneticamente predisposti a "seguire un'alimentazione ricca di proteine animali, perché lo 0 sarebbe stato il gruppo sanguigno più comune fra i primi esseri umani, che vivevano come cacciatori e raccoglitori e si nutrivano prevalentemente di carne". Le persone con gruppo A sarebbero invece "gli 'agricoltori', perché la comparsa di questo gruppo sarebbe coincisa con la nascita dell'agricoltura", e "godrebbero di una salute ottimale se seguissero un regime alimentare a base di cibi di origine vegetale e privo di carne". Quanto al gruppo B, è quello dei 'nomadi', che come tali dovrebbero mangiare "il meglio del regno animale e vegetale" e sarebbero "gli unici a tollerare latte e latticini". Per il gruppo AB infine, indicato come "l''enigma', le raccomandazioni alimentari sarebbero una via di mezzo fra quelle del gruppo A e quelle del gruppo B".
C'è da crederci? "La dieta dei gruppi sanguigni ha avuto molto successo - prosegue l'analisi della Federazione nazionale Ordini dei medici - nonostante la comunità medico-scientifica abbia espresso pareri fortemente contrari al riguardo. Come ha concluso una revisione della letteratura scientifica, pubblicata nel 2013 sulla rivista 'American Journal of Clinical Nutrition', nessuno studio scientifico ha mai dimostrato che i gruppi sanguigni siano comparsi in seguito all'evoluzione di nuovi stili alimentari, né che siano in grado di influenzare gli effetti sulla salute di un certo tipo di dieta". Per gli autori della review servono "ulteriori studi che, all'interno di un determinato gruppo sanguigno, permettano di confrontare i presunti benefici della dieta dei gruppi sanguigni con quelli di un regime alimentare standard". Nessuno dei lavori esaminati, infatti, includeva un gruppo di controllo.
Ma se la dieta dei gruppi sanguigni è scientificamente inattendibile, allora perché molte persone che la seguono dicono di sentirsi meglio? Per i medici anti-fake news dipende dal fatto che "i 4 regimi alimentari consigliati ai diversi gruppi soddisfano, in linea di massima, i principi e le regole di un'alimentazione sana". Fra l'altro, "spesso chi decide di seguire la dieta dei gruppi sanguigni modifica la propria alimentazione in senso positivo: predilige cereali integrali, rinuncia ad alimenti ultra processati e ricchi di zuccheri semplici e incrementa il consumo di frutta e verdura. Ma le ricadute positive di queste scelte - puntualizzano gli esperti - sono indipendenti dal gruppo sanguigno".
"Uno studio pubblicato nel 2014 sulle pagine di 'Plos One' - chiariscono i dottori anti-bufale - ha preso in esame circa 1.500 persone, dimostrando che una dieta ricca di vegetali, come quella consigliata al gruppo A, riduce i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue, la pressione sanguigna e altri fattori di rischio cardiovascolari, anche se a seguire questa dieta sono persone che appartengono ai gruppi B, AB o 0". Non solo: dallo studio emerge inoltre che "anche le diete consigliate al gruppo 0 e al gruppo AB influenzano positivamente alcuni di questi parametri, a prescindere dal gruppo sanguigno di appartenenza". E "anche due studi clinici randomizzati che hanno coinvolto adulti in sovrappeso sono arrivati alle stesse conclusioni: una dieta ricca di frutta e verdura fa bene alla salute, senza che ci sia un legame con il gruppo sanguigno".
Ci sono controindicazioni per chi vorrà comunque sposare le tesi di D'Adamo? "Come avverte la Harvard Medical School - osservano i medici di 'Dottore, ma è vero che...?' - seguire un regime alimentare sulla base del proprio gruppo sanguigno potrebbe portare a scelte alimentari restrittive o interferire pesantemente con alcuni valori personali. Per esempio, chi appartiene al gruppo 0 e segue un'alimentazione vegetariana o vegana potrebbe trovarsi in difficoltà sapendo di dover consumare quantitativi elevati di carne e proteine animali per mantenersi in salute. Inoltre, la dieta dei gruppi sanguigni non si limita a raccomandazioni strettamente alimentari, ma dà una serie di consigli che riguardano anche il consumo di integratori, erbe e probiotici", nonché "la scelta di quale sia l'attività fisica più adatta a ciascun gruppo sanguigno. Il rischio, in questo caso - concludono gli esperti - è di spendere soldi inutilmente o, peggio, di seguire raccomandazioni che, in presenza di particolari condizioni di salute, col tempo potrebbero rivelarsi dannose".
Salute e Benessere
Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio
Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici
La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.
"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.
Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.
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Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...
Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.
Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".
Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".
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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...
E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.
In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".
Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.
La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.
"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".