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L’appello delle donne delle Nazioni Unite

Parità di genere

La disuguaglianza di genere, acuita dalla crisi climatica, rappresenta una delle principali sfide del nostro tempo. Le sue conseguenze si estendono alla vita, ai mezzi di sostentamento, alla salute e alla sicurezza delle donne e delle ragazze in tutto il mondo. Tuttavia, le recenti statistiche di genere dipingono un quadro scoraggiante di progressi lenti e insostenibili. Senza un intervento significativo, raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 5 sull’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne entro il 2030 appare sempre più difficile.

Al contrario, l'inclusione piena delle donne nell'economia porta una serie di vantaggi: creazione di posti di lavoro, innovazione, crescita economica sostenibile e il rispetto dei diritti umani delle donne. L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere stima che il progresso dell'uguaglianza di genere potrebbe aumentare il PIL pro capite dell'Unione europea dal 6,1% al 9,6%.

Appello per la riforma finanziaria

Riconoscendo la necessità di un cambiamento sistemico nell'architettura finanziaria globale, UN Women sottolinea l'urgenza di riorientare i sistemi finanziari per servire sia le persone che il pianeta. Attualmente, 3,3 miliardi di individui vivono in paesi in cui la spesa pubblica per il servizio del debito supera gli investimenti in sanità e istruzione. Mentre la finanza pubblica rimane cruciale, il coinvolgimento del settore privato è fondamentale per finanziare il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. UN Women, come unica entità delle Nazioni Unite dedicata all'uguaglianza di genere, sta guidando gli sforzi per esplorare meccanismi di finanziamento innovativi in linea con l'agenda di Addis Abeba.

I mercati finanziari attuali offrono numerose opportunità per utilizzare strumenti finanziari al fine di promuovere l'uguaglianza di genere nei luoghi di lavoro, nei mercati e nelle comunità. Con l'aumento degli investimenti a impatto sociale e della finanza sostenibile, sempre più investitori adottano una prospettiva di genere per ottimizzare i rendimenti, ridurre i rischi e promuovere l'uguaglianza di genere. Tuttavia, mentre il mercato ha focalizzato l'attenzione dalla governance alla mitigazione del rischio, c'è un urgente bisogno di migliorare la misurazione, la trasparenza e la responsabilità per garantire che gli investimenti contribuiscano in modo tangibile all'uguaglianza di genere e all'emancipazione delle donne.

'Empowering women, building sustainable assets’

Da questa esigenza nasce il rapporto 'Empowering women, building sustainable assets: Strengthening the depth of gender lens investing across asset classes’ promosso da UN Women, Politecnico di Milano, Università Bocconi e Phenix Capital Group, che riflette su una vasta gamma di modelli e pratiche di investimento in ottica di genere, evidenziando potenziali sfide e contraddizioni rispetto alle agende femministe. Il report sottolinea il ruolo dei fondi a impatto nel rafforzare gli investimenti con obiettivi di genere (GLI) per promuovere uno sviluppo inclusivo e sostenibile. Basandosi sui dati dell’AXA Research Lab on Gender Equality dell’Università Bocconi e dell’Impact Fund Database di Phenix Capital Group, lo studio rivela che solo il 17,2% dei fondi dà priorità esplicita all’SDG 5.

Il rapporto sottolinea la mancanza di un consenso sulla definizione di uguaglianza e inclusione nel contesto finanziario, evidenziando l'urgente necessità di una migliore alfabetizzazione finanziaria. Si identifica il miglioramento dell'educazione finanziaria come un passo fondamentale per incorporare le questioni di genere nelle decisioni di investimento. Gli investitori, sempre più consapevoli, riconoscono l'importanza di misurare e rendicontare l'impatto dei loro investimenti, adottando pratiche di misurazione che coinvolgono questioni di genere e uguaglianza, contribuendo attivamente al successo e all'impatto positivo di tali iniziative.

I risultati chiave del rapporto forniscono una panoramica dettagliata del mercato degli investimenti miranti all'Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 5 delle Nazioni Unite, che promuove la diversità di genere. A luglio 2023, il capitale investito ha raggiunto la cifra notevole di 56 miliardi di dollari USA, evidenziando una crescente domanda per i fondi di investimento d'impatto legati all'SDG. Il private equity si conferma come la strategia ad impatto più matura, vantando il maggior numero di fondi di investimento (41) e un significativo capitale allocato. Anche gli investimenti in asset reali, immobiliari ed infrastrutturali, sebbene con un numero limitato di fondi, hanno registrato un aumento di iniziative nel 2022.

PoliMi, Bocconi e Phenix Capital sottolineano che questo innovativo rapporto non solo rivela risultati importanti, ma evidenzia anche i profondi contributi che il Gender Lens Investing può apportare alla società. Allocando strategicamente il capitale per affrontare la disuguaglianza di genere, il GLI offre una soluzione pratica e potenzialmente impattante per affrontare il cronico sottofinanziamento delle iniziative di emancipazione delle donne e di parità di genere. Mentre il mondo si impegna a raggiungere gli ambiziosi obiettivi stabiliti dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, questo rapporto rappresenta un'importante testimonianza del potenziale del Gender Lens Investing come forza trasformatrice per un cambiamento positivo, capace di rompere barriere e aprire la strada a un futuro più inclusivo ed equo.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Sostenibilità

Tutela animali in Costituzione, ‘solo 20% degli atti...

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L'analisi di Legambiente: "L’80% dei provvedimenti approvati non ha dato seguito al principio costituzionale"

 - (Fotolia)

"A tre anni dall’inserimento del principio della tutela degli animali nella Costituzione, solo il 20,5% è in linea con la riforma del 2022". A fare il punto è Legambiente con un’analisi sull’attività di intervento legislativo.

“Su 617 atti legislativi definitivamente approvati da metà febbraio 2022 al 31 gennaio 2024, sono 91, appena il 14,75%, quelli in cui si parla di animali. Di questi 91, quasi l’80% dei provvedimenti approvati in questi tre anni non ha dato seguito al principio costituzionale: in particolare il 67,12% degli atti legislativi non ha tenuto conto di questa novità costituzionale e il 12,33% è andato addirittura contro, peggiorando la tutela per gli animali. Solo il 20,55% degli atti approvati è andato nella direzione indicata dall’art. 9 della Costituzione”, ricostruisce l'associazione. Non solo. Un altro alert riguarda lo stallo in cui si trovano nuove proposte e disegni di legge: “Quelli migliorativi (64 pdl e 10 ddl) sono al momento quasi tutti bloccati".

Più attenzione agli animali da affezione

Inoltre, quello che emerge dall’analisi di Legambiente, è "che a livello politico l’attenzione maggiore si concentra sugli animali d’affezione. Gli animali selvatici sono invece più quelli ‘sotto attacco’ a causa del bracconaggio e ancora privi di un’efficace e proporzionata tutela penale, a partire dalle specie protette”.

L'analisi su tre anni

Per scattare questa fotografia Legambiente ha analizzato le banche dati della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, per vedere come i nuovi principi fondamentali costituzionali siano entrati (con le norme già approvate) o stiano bussando alla porta, con le proposte presentate, nell’ordinamento giuridico. L'analisi, che va dal 12 febbraio 2022 al 31 gennaio 2024, ha compreso le proposte avanzate dai governi Draghi e Meloni, dai Gruppi parlamentari, dai singoli parlamentari, nonché da iniziative di legge popolare o dei Consigli regionali. Tra gli atti approvati, parliamo di leggi, decreti legislativi, decreti-legge, decreti del presidente del Consiglio dei ministri e decreti ministeriali.

Tre proposte

Con questa analisi, Legambiente vuole lanciare un invito a governo e Parlamento per il rispetto del principio costituzionale in fatto di tutela degli animali, “superando i ritardi accumulati in questi tre anni per la sua concreta attuazione e sbloccando l’iter delle diverse proposte di legge migliorative in stallo alla Camera e al Senato”.

Tre le azioni prioritarie che indica l’associazione: “Lo stop al bracconaggio con l’inserimento nel Codice penale del delitto di bracconaggio con pene da tre a sei anni di reclusione, estendendo la sanzioni anche ai traffici di specie protette, come previsto dalla direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente; un’etichetta ‘Cage Free’ per i prodotti di origine animale che, con chiarezza e trasparenza, permetta la libera scelta ai consumatori e aiuti gli allevatori che investono in pratiche più rispettose del benessere degli animali; cure veterinarie accessibili a tutti attraverso un Piano nazionale, approvato in Conferenza Stato-Regioni, per l’assunzione di veterinari pubblici, il sostegno alle cure veterinarie delle famiglie e la sterilizzazione dei randagi, come previsto dalla legge 281/1990 ma mai efficacemente attuato”.

“L’Italia in fatto di tutela degli animali - sottolinea Antonino Morabito, responsabile nazionale benessere animale di Legambiente - con il voto parlamentare all’unanimità nel 2022 ha dato un bellissimo segnale all’Europa e al mondo intero: l’ha pienamente integrata nei principi fondamentali della Costituzione, accendendo il faro che deve illuminare la strada da seguire per tutta la produzione legislativa. Purtroppo, sino ad oggi, non è stato così e i dati che emergono da questa ricerca lo dimostrano. A tutte le forze politiche chiediamo un’assunzione di responsabilità per la piena attuazione del principio costituzionale richiamato dall’art.9, a partire dal ridurre l’enorme divario esistente tra noi e altri Paesi nel deciso contrasto normativo al bracconaggio e alle organizzazioni criminali che vi lucrano. L’effettiva ed efficace tutela degli animali coincide anche con la tutela della salute delle persone e dell’ambiente”.

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Sostenibilità

Smog, 25 città su 98 oltre i limiti. Frosinone in testa....

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I dati del report di Legambiente Mal'aria. Con i nuovi parametri al 2030 il 71% delle città sarebbe oltre la soglia consentita per il Pm10

 - (Fotogramma)

Nel 2024, 50 centraline in 25 città su 98 hanno superato i limiti giornalieri di Pm10. In cima Frosinone (Scalo) con 70 giorni di sforamenti e Milano (Marche) con 68, seguite da Verona (Borgo Milano), 66, e Vicenza (San Felice), 64. Rispetto ai nuovi target europei previsti al 2030, situazione ancora più critica: sarebbero oltre i limiti il 71% delle città per il Pm10 e il 45% per l’NO2. È quanto emerge dal nuovo report di Legambiente 'Mal'Aria di città 2025' che l’associazione ambientalista lancia oggi, a Milano, nel giorno di avvio della sua campagna itinerante 'Città2030, come cambia la mobilità' che, fino al 18 marzo, attraverserà le città italiane per capire quanto manca alle aree urbane per avere un sistema di trasporto sostenibile, efficiente, accessibile e che renda le strade più sicure, a partire da pedoni e ciclisti.

Le 25 città oltre i limiti giornalieri

Il report Mal’Aria ha analizzato nei capoluoghi di provincia i dati relativi alle polveri sottili (Pm10) e al biossido di azoto (NO2). Nel 2024, 25 città, su 98 di cui si disponeva del dato, hanno superato i limiti di legge per il Pm10 (35 giorni all'anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo), con 50 stazioni di rilevamento, dislocate in diverse zone dello stesso centro urbano. In cima alla classifica Frosinone (Frosinone scalo) per il secondo anno di fila con 70 giorni oltre i limiti consentiti, seguita da Milano (centralina di via Marche) con 68. Nel capoluogo lombardo, anche le centraline di Senato (53), Pascal Città Studi (47) e Verziere (44) hanno superato il tetto massimo. Al terzo posto si posiziona Verona, con Borgo Milano a quota 66 sforamenti (l’altra centralina, Giarol Grande, si è fermata a 53), seguita da Vicenza-San Felice a 64. Anche altre centraline vicentine hanno superato i limiti: Ferrovieri con 49 giorni e Quartiere Italia con 45. Segue Padova, dove la centralina Arcella ha registrato 61 sforamenti e Mandria 52, mentre a Venezia via Beccaria ha toccato quota 61. Nel capoluogo veneto altre quattro centraline hanno superato i limiti: via Tagliamento con 54 giorni, Parco Bissuola con 42, Rio Novo con 40 e Sacca Fisola con 36.

Stando al report, non si sono salvate neanche le città di Cremona, Napoli, Rovigo, Brescia, Torino, Monza, Treviso, Modena, Mantova, Lodi, Pavia, Catania, Bergamo, Piacenza, Rimini, Terni, Ferrara, Asti e Ravenna. Una situazione di picco, quella dello sforamento del limite giornaliero di Pm10, che in molti casi ha riguardato molte centraline della stessa città. Un quadro, che secondo Legambiente, "rivela come l'inquinamento atmosferico sia un problema diffuso e strutturale, ben più esteso di quanto amministratori locali e cittadini vogliano ammettere".

Ma, al 2030, sarebbero 70 le città oltre la soglia prevista dalla normativa Ue

Se per le medie annuali di Pm10 e NO2 nessuna città supera i limiti previsti dalla normativa vigente, lo scenario cambierà con l’entrata in vigore della nuova Direttiva europea sulla qualità dell'aria, a partire dal 1° gennaio 2030. Per il Pm10, sarebbero infatti solo 28 su 98 le città a non superare la soglia di 20 µg/mc, che è il nuovo limite previsto. Al 2030, 70 città sarebbero oltre la soglia prevista. Tra le città più indietro, che devono ridurre le concentrazioni attuali tra il 28% e il 39%, si segnalano Verona, Cremona, Padova e Catania, Milano, Vicenza, Rovigo e Palermo. Il quadro non migliora con il biossido di azoto (NO2): oggi, il 45% dei capoluoghi (44 città su 98) non rispetta i nuovi valori di 20 µg/m3. Le situazioni più critiche si registrano a Napoli, Palermo, Milano e Como, dove è necessaria una riduzione compresa tra il 40% e il 50%.

"Con soli cinque anni davanti a noi per adeguarci ai nuovi limiti europei al 2030, dobbiamo accelerare drasticamente il passo - dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente - È una corsa contro il tempo che deve partire dalle città ma richiede il coinvolgimento di Regioni e governo. Servono azioni strutturali non più rimandabili: dalla mobilità, con un trasporto pubblico locale efficiente e che punti drasticamente sull’elettrico e più spazio per pedoni e ciclisti, alla riqualificazione energetica degli edifici, fino alla riduzione delle emissioni del settore agricolo e zootecnico, particolarmente critico nel bacino padano. Le misure da adottare sono chiare e le tecnologie pronte: quello che manca è il coraggio di fare scelte incisive per la salute dei cittadini e la vivibilità delle nostre città”.

"I dati del 2024 confermano che la riduzione dell’inquinamento atmosferico procede a rilento - spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente - con troppe città ancora lontane dagli obiettivi target. Le conseguenze non si limitano all’ambiente, ma coinvolgono anche la salute pubblica e l’economia. Alla luce degli standard dell'Oms, che suggeriscono valori limite molto più stringenti rispetto a quelli di legge attuali e che rappresentano il vero obiettivo per salvaguardare la salute delle persone, la situazione diventa è ancora più critica: il 97% delle città monitorate supera i limiti dell'Oms per il Pm10 e il 95% quelli per l'NO2. L'inquinamento atmosferico, infatti, è la prima causa ambientale di morte prematura in Europa, con circa 50.000 morti premature solo in Italia".

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Sostenibilità

Aumenta lo spreco di cibo, buttiamo quasi 90 grammi a testa...

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I dati del Rapporto 'Il caso Italia' 2025 dell’Osservatorio Waste Watcher International diffusi alla vigilia della 12esima Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, in calendario ogni anno il 5 febbraio

 - (Fotolia)

Sale lo spreco alimentare nelle case degli italiani: gettiamo ogni giorno 88,2 grammi di cibo a testa (617,9 grammi settimanali vs 566,3 g di gennaio 2024) con un costo di 139,71 euro pro capite ogni anno. Sono i dati del Rapporto 'Il caso Italia' 2025 dell’Osservatorio Waste Watcher International diffusi alla vigilia della 12esima Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, in calendario ogni anno il 5 febbraio.

In testa alla hit dello spreco la frutta fresca (24,3 grammi settimanali), seguono il pane (21,2 grammi), le verdure (20,5 grammi), l’insalata (19,4 grammi), cipolle, aglio e tuberi (17,4 grammi). Lo spreco di filiera del cibo in Italia costa complessivamente 14,101 miliardi di euro, pari a un peso di 4,513 milioni di tonnellate di cibo gettato, dai campi dove viene prodotto alle nostre tavole (e pattumiere), passando per le fasi di distribuzione e commercializzazione. Il costo del solo spreco alimentare domestico è di 8,242 miliardi di euro. Dunque, stando ai dati, il 58,55% dello spreco di filiera, in valore, si genera nelle nostre case, il 28,5% nelle fasi di commercializzazione del cibo.

Eppure, proprio mentre sprechiamo più cibo, si allontana l’accesso al cibo sano e sostenibile: l’indice Fies di insicurezza alimentare 2025 (Food Insecurity Experience Scale è uno strumento sviluppato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura delle Nazioni Unite - Fao) sale del 13,95% (era +10,27% nel 2024), in uno scenario generale in cui la povertà assoluta è aumentata in Italia dal 7,7% all’8,5% (5,7 milioni di persone nel 2023). L’insicurezza alimentare delle famiglie italiane colpisce soprattutto al Sud (+17%) e al Centro (+15%), le stesse aree dove si spreca più cibo nelle case (+16%, +4% rispetto alla media).

Obiettivo 2030: dimezzare lo spreco

"Mancano solo cinque anni al 2030 e 10 anni sono già trascorsi dall’adozione dell’Agenda di sostenibilità delle Nazioni Unite. Se ne parla spesso senza mai verificare a che punto siamo realmente - spiega Andrea Segrè, fondatore della Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare e direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International - Per questo nel 2025 la Giornata che sensibilizza in Italia sullo spreco alimentare lancia la sua sfida a tutti gli italiani: per arrivare nel 2030 a uno spreco pro capite di 369,7 grammi settimanali, ovvero la metà dei 737,4 grammi registrati 10 anni fa al momento dell’adozione dell’Agenda 2030, dobbiamo tutti tagliare, ogni anno dal 2025 al 2029, circa 50 grammi di cibo, così da arrivare nel 2030 a uno spreco alimentare pro capite che non superi i 369,7 grammi settimanali, il traguardo previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite che richiedeva all’Obiettivo 12.3 di dimezzare lo spreco di cibo fra il 2015 e il 2030. Una sfida ambiziosa, nella quale possiamo cimentarci con uno strumento pratico e gratuito, lo Sprecometro, che ogni giorno misura non solo lo spreco del cibo ma anche la nostra impronta ambientale, lo spreco dell’acqua nascosta e le emissioni correlate al cibo gettato".

#Tempodiagire, #Timetoact: questo lo slogan e il filo rosso del conto alla rovescia per dimezzare lo spreco alimentare fra il 2025 e il 2030. "L'obiettivo è ambizioso - dichiara il coordinatore del Rapporto 'Il caso Italia 2025', Luca Falasconi, docente all'Università di Bologna - ma insieme possiamo fare la differenza. Ogni piccola azione conta. Cinquanta grammi di spreco in meno ogni settimana significa un quarto di mela in meno nel bidone ogni settimana, o un quarto di bicchiere di latte in meno gettato negli scarichi, o una rosetta di pane in meno nell’umido".

Gli italiani in cucina

Secondo l'analisi Waste Watcher, l'86% degli italiani dichiara di avere a cuore e prestare molta o parecchia attenzione al cibo e alla sua preparazione in cucina, anche quando il tempo scarseggia mentre il 14% ha poco tempo e quindi dedica poca o pochissima attenzione alla preparazione del cibo. Quanto alle strategie antispreco: 6 italiani su 10 (60%) prestano attenzione prima ai cibi che considerano a ridosso di scadenza o congelano i cibi che non potranno mangiare a breve. Il 56% controlla il cibo prima di buttarlo anche se è già scaduto e, se è buono, lo utilizza comunque ma solo 1 italiano su 10 (11%) dona il cibo cucinato in eccesso a parenti o amici. Al 28% la percentuale di italiani che chiede al ristorante una bag per portare a casa il cibo avanzato. Malgrado l’aumento costante degli ultimi 3 anni, gli italiani ritengono però di essere attenti alla questione spreco: il 94% dichiara che la propria famiglia è attenta o attentissima, solo il 6% si dichiara consapevole di prestare scarsa attenzione al cibo gettato. Nel dettaglio, 6 italiani su 10 (63%) dichiarano di gettare cibo al massimo 1 volta alla settimana, 1 italiano su 5 ammette di gettarlo 3 o 4 volte a settimana e il 14% confessa di sprecare cibo quasi ogni giorno.

La mappa dello spreco

La soglia media di 617,9 grammi settimanali viene superata al Sud con 713,8 grammi pro capite e nell’area del centro Italia con 640,1 grammi. Più virtuosi a Nord con uno spreco medio di 526,4 grammi per cittadino. Nei piccoli centri (fino a 30mila abitanti) si spreca il 12% di cibo in più, le famiglie senza figli sprecano il 16% di cibo in più e le fasce socialmente svantaggiate sprecano addirittura il 26% di cibo in più.

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