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Salute e Benessere

Ipotesi diverticolite per Kate, cos’è e quali sono i...

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Ipotesi diverticolite per Kate, cos’è e quali sono i rischi

Il gastroenterologo Vecchi: "Piccole ernie tipicamente nel colon si perforano e infiammano, 3 i sintomi spia e in una piccola quota serve operare"

La principessa Kate - Afp

Diverticolite. E' l'ultima ipotesi circolata per spiegare l'intervento di chirurgia addominale a cui è stata sottoposta Kate Middleton e le tempistiche di recupero citate nella nota di Buckingham Palace (10-14 giorni di degenza e riposo dalle attività pubbliche fino a dopo Pasqua). Una nota con cui però è stata anche alzata la barriera del massimo riserbo sulla situazione della principessa del Galles.

"Una delle ipotesi più accreditate che gira negli ambienti londinesi è che si sia trattato di un intervento dovuto ad una diverticolite acuta", ha detto il giornalista Antonio Caprarica, esperto di reali inglesi. Ma cos'è la diverticolite acuta e quali sono i rischi?

Diverticolite acuta, cos'è e quali sono i rischi

Lo spiega all'Adnkronos Salute Maurizio Vecchi, professore ordinario di Gastroenterologia all'università Statale di Milano.

"La diverticolite acuta - illustra l'esperto - è sostanzialmente un'infiammazione del diverticolo con una piccola o più grande perforazione. E in funzione anche della dimensione di questa perforazione l'evento infiammatorio può localizzarsi in un punto dell'addome o nei casi più gravi può diffondersi e portare anche a una peritonite diffusa". Come si manifesta? "Con la comparsa di dolori addominali molto intensi, in genere localizzati in basso nella fossa iliaca sinistra, perché lì è più frequentemente la sede dei diverticoli, piccole ernie della mucosa dell'intestino che possono presentarsi in tutto l'apparato digerente, ma più tipicamente nel colon", precisa Vecchi. "Nelle forme che si diffondono, poi, il dolore può estendersi anche a tutto l'addome. La comparsa del dolore acuto è accompagnata praticamente sempre da un'alterazione della funzione intestinale, cioè il paziente tende a occludersi, ma ci possono essere anche manifestazioni variabili e alternanti. A completare la triade della diagnosi è la febbre".

"Noi specialisti - continua il gastroenterologo - visitiamo il paziente, gli tocchiamo la pancia e sentiamo che è molto dolorabile, fa molto male soprattutto in basso a sinistra. E poi un segno importante di irritazione del peritoneo, quindi di iniziale peritonite, è che il paziente sente dolore quando gli schiacciamo la pancia, ma poi lasciando andare la mano sente ancora più dolore. E' un segno bruttino, perché vuol dire che effettivamente c'è stata una piccola o grande perforazione e il peritoneo ne sta risentendo". Al di là del fatto che "c'è un po' un abuso di diagnosi di diverticolite, nel senso che molti pazienti che sanno di avere i diverticoli (diverticolosi) appena hanno un dolore di pancia pensano di avere la diverticolite, ma magari non è vero, il rischio di andare incontro a questa problematica aumenta con l'avanzare dell'età".

I diverticoli possono essere anche "numerosissimi - prosegue Vecchi - e in tutto il colon, ma più frequentemente nel sigma", segmento "che si dispone a sinistra e in basso", appunto. E "in genere possono decorrere anche per tutta la vita senza dare neanche un disturbo: il paziente si accorge di averli facendo un esame per altri motivi, magari una Tac per vedere altre cose o una colonoscopia per screening".

Quando si rende necessario l'intervento? "In genere le diverticoliti acute possono regredire anche senza - puntualizza Vecchi - soprattutto se sono molto limitate, localizzate. Si ricovera il paziente, gli si somministrano degli antibiotici, lo si mette a dieta e si fa un'idratazione per vena, e nella maggioranza dei casi la diverticolite acuta può regredire senza bisogno di correre dal chirurgo. In una piccola percentuale di casi la necessità della chirurgia è legata al fatto che la terapia antibiotica e questo tipo di precauzioni non sono sufficienti, l'infiammazione si diffonde e quindi bisogna intervenire con la resezione di quel tratto di colon che ha i diverticoli infiammati, o magari anche un po' di più, e poi si ricollega il tutto".

I tempi dell'intervento, della degenza e del recupero dipendono "da com'è il paziente e da come arriva. La terapia chirurgica dura 2-3 ore, ma dipende se viene fatta in laparoscopia - meno invasiva - o laparotomia", aprendo cioè la parete addominale, descrive Vecchi. "Se la diverticolite è acuta e c'è molta infiammazione, spesso si fa in laparotomia. E allora questo vuol dire tempi di intervento più brevi, ma tempi di recupero più lunghi". L'intervento avviene in genere in urgenza. Ma può succedere che sia anche in elezione, cioè pianificandolo. "Un motivo per cui un paziente con i diverticoli può arrivare a un intervento in elezione - ragiona lo specialista - è che ha avuto già tanti episodi di diverticolite. Se ogni 3 mesi ha l'infiammazione, prende l'antibiotico, l'infiammazione regredisce, poi capita di nuovo e di nuovo ancora, allora si programma" la chirurgia.

Il 'caso' Kate

La durata della degenza prospettata per Kate sarebbe in linea con un'operazione per diverticolite acuta? "E' un po' tanto 14 giorni - risponde l'esperto - anche perché non parliamo di una persona anziana con altre patologie concomitanti" e rischi di complicanze più elevati, "ma di una giovane donna di 42 anni". Per un intervento magari più invasivo possono essere necessari "7-8 giorni al massimo".

L'età della principessa, infine, "sarebbe piuttosto precoce" per un'ipotesi di diverticolite acuta così seria, riflette Vecchi. Ma ciò non toglie che può succedere. "I diverticoli tendono ad insorgere col passare degli anni, quindi più andiamo avanti con l'età più c'è probabilità di averli, per esempio a 70 anni sono più frequenti del non averli. Il problema colpisce in maniera abbastanza uguale donne e uomini. A 42 anni è piuttosto presto, anche se va detto che ci sono pazienti che li hanno anche a questa età, pur se non frequentissimi: li darei intorno a una persona su 5. E a maggior ragione, l'idea che si siano infiammati così tanto apparirebbe una circostanza un po' sfortunata".

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Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio

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Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici

Uno sfigmomanometro per misurare la pressione - FOTOGRAMMA

La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.

"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.

Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.

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Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...

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Cardiologi:

Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.

Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".

Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...

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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom:

E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.

In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".

Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.

La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.

"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".

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