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Sostenibilità

Palermo (Acea): “Termovalorizzatore valido contributo...

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Palermo (Acea): “Termovalorizzatore valido contributo per risolvere problema rifiuti”

Palermo (Acea):

“Siamo impegnati nello sviluppo di un progetto che vede coinvolta Acea insieme al meglio del know how, sia dal punto di vista tecnologico che dell'esperienza che c'è in questo campo. La soluzione proposta rappresenta un progetto all'avanguardia, una soluzione concreta che è stata messa a gara. Potrebbe essere un valido contributo per risolvere il problema rifiuti nella Capitale. Il progetto ha delle pietre miliari che sono state individuate nel bando di gara, noi al momento ci stiamo focalizzando sul presentare una proposta coerente con quanto messo a bando". Lo spiega l'Amministratore Delegato e Direttore Generale di Acea, Fabrizio Palermo, a margine della conferenza “Roma locomotiva d'Italia. Capitale pulita” presso la sede de Il Tempo a Palazzo Wedekind a Roma.

"Questo per noi è un progetto significativo. A differenza di altri concorrenti, Acea è stata in grado di presentare un progetto nei tempi stabiliti. Questa soluzione è molto all'avanguardia, siamo orgogliosi e stiamo investendo. Questo termovalorizzatore è un salto importante verso una gestione integrata. Un progetto lungo, sono previsti 30 anni, e quindi va considerata anche la gestione di un impianto del genere, non solo la realizzazione”, conclude Palermo.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Sostenibilità

Cambiamento climatico, presto saremo costretti a bere caffè...

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A rischio la metà delle colture entro il 2050: largo al caffè prodotto in laboratorio

Tazzina di caffè - Canva

A rischio la metà delle colture entro il 2050: largo al caffè prodotto in laboratorio

Per molti “la vita inizia dopo il caffè”. A breve, potrà iniziare dopo una bella tazza di caffè sintetico, caffè prodotto in laboratorio. Nessuna stregoneria o alterazione, ma solo una constatazione: nel mondo, ogni giorno vengono consumate circa due miliardi di tazzine e la produzione presto sarà insufficiente.

Resistere al suo profumo e alla caffeina è, per miliardi di persone, impossibile. Così come è impossibile non tenere conto della scarsa sostenibilità, sociale e ambientale, di questa bevanda. Un’analisi del Wall Street Journal spiega perché il passaggio, almeno parziale, al caffè sintetico è inevitabile.

Che cosa è il caffè sintetico

La definizione fa più paura di quanto non dovrebbe. Per caffè prodotto in laboratorio, o sintetico, si intende, infatti, coltivare i chicchi in ambienti artificiali, utilizzando gli stessi bioreattori che oggi vengono sperimentati per coltivare piante a bordo delle Stazioni Spaziali.

I rischi del cambiamento climatico sul caffè sono ben noti agli addetti ai lavori, tanto che la qualità più pregiata, l’Arabica, è stata sequenziata geneticamente per preservarla di fronte ai rischi di un clima sempre più estremo.

Una decina di aziende sta perfezionando la produzione di caffè in laboratorio, mentre grossi marchi commerciali, come Starbucks, stanno finanziando operazioni di rafforzamento genetico dei semi così da renderli resistenti al cambiamento climatico creando dei semi “proprietari”.

Il caffè in laboratorio a Seattle

Una startup di Seattle, Atomo Coffee, ha individuato e catalogato, le singole molecole che conferiscono al caffè le sue inconfondibili caratteristiche organolettiche. In seguito, le ha sostituite in laboratorio con sostanze di origine vegetale ottenendo una bevanda un po’ meno amara ma del tutto simile al caffè convenzionale. Questo perché “L’esperienza che otteniamo dal caffè – spiega Adam Maxwell, ceo di Voyager Foods - è in realtà guidata dal processo utilizzato per produrli”. Insomma, il gusto dipende più dalla tostatura che dal chicco in sé.

Molto più dolce, invece, è il conto ambientale: l’esperimento di Atomo Coffee ha generato il 93% in meno di emissioni di carbonio e il 94% in meno di acqua utilizzata rispetto al caffè tradizionale.

Perché il caffè non è sostenibile

Questa preziosa bevanda non è sostenibile sia da un punto di vista sociale, che ambientale. Secondo la National Coffee Association, il caffè viene oggi coltivato in oltre cinquanta Paesi del mondo, per lo più situati nella cosiddetta “Bean Belt”, la “cintura dei chicchi di caffè”, che copre le zone tropicali di America, Africa e Asia.

Quasi il 90% della produzione mondiale si concentra in dieci Paesi guidati dal Brasile, seguito da Vietnam, Colombia, Indonesia ed Etiopia.

Spesso, chi è impiegato nella raccolta dei chicchi, lavora in condizioni climatiche avverse e subisce legislazioni nazionali poco attente alla tutela dei lavoratori. Per usare un eufemismo.

“Produrre in massa il caffè convenzionale incide negativamente sull’ambiente e implica lo sfruttamento del lavoro delle comunità locali”, sintetizza Heiko Rischer, del VVT Technical Research Centre, in Finlandia.

Il problema ambientale è altrettanto composito.

Presto il caffè non basterà più

Innanzitutto, a una crescente richiesta di caffè corrisponde una maggiore deforestazione, cui va aggiunto il consumo idrico richiesto dalle piantagioni.

Inoltre, secondo le analisi del Wall Street Journal, il cambiamento climatico potrebbe fare presto la sua parte per rendere impossibile, o molto difficile, la coltivazione del caffè. Se, come sembra, non ci sarà un calo del consumo, entro il 2050 circa il 50% delle terre che oggi producono caffè potrebbero diventare inadatte alla coltivazione e in Brasile, il primo Paese produttore, la percentuale potrebbe salire addirittura fino all'88%. Questo si tradurrebbe in una drastica riduzione dell'offerta, con un conseguente aumento dei prezzi. Fenomeno che, in parte, si sta già verificando.

Una pianta del caffé Arabica produce fra i 450 e i 900 grammi di materia prima l'anno. Questo vuol dire che se una persona beve due tazzine di caffè al giorno ha bisogno dell’intera produzione di circa 20 alberi di caffè ogni anno. Una produzione che il cambiamento climatico rende impossibile.

D’altronde il caffè non è da solo. Analoghe problematiche ambientali sono sempre più diffuse nel mercato della carne, il principale responsabile dell’emissione di gas serra, e del cacao, che ha raggiunto prezzi record. Le colture di cacao sono molto sensibili ai cambiamenti climatici: circa il 70% di questo alimento proviene dall’Africa occidentale, una delle regioni che sta subendo maggiormente gli effetti del cambiamento climatico.

C’è un rischio concreto che con il caffè avvenga la stessa cosa, in proporzioni persino maggiori. Le strade sono due: contenerne il consumo, e produrre il caffè in laboratorio. Meglio se utilizzate insieme, così da ridurre al minimo la necessità di creare caffè sintetico, che verosimilmente avrà costi piuttosto sostenuti. Il prezzo del caffè in laboratorio potrà essere più alto di quello attuale, ma molto più basso di quello del 2050.

Senza che l’effetto e il gusto del caffè subiscano chissà quali conseguenze. E soprattutto preservando le persone e il pianeta. Magari, qualcuno tra trent’anni guarderà il cielo e, sorseggiando la sua tazzina, si libererà in un canto: “Ah, che bell' 'o cafè, pure in laboratorio 'o sanno fa”.

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Sostenibilità

Energia, Iacono (Engie): “La transizione è una...

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Così Monica Iacono, Ceo di Engie Italia, in occasione dell’evento “La Transizione Efficiente: nuove soluzioni per l’energia del futuro”

Monica Iacono, Ceo di Engie Italia

"La transizione energetica è una responsabilità collettiva”. Così Monica Iacono, Ceo di Engie Italia, in occasione dell’evento “La Transizione Efficiente: nuove soluzioni per l’energia del futuro”, che si è tenuto oggi a Roma. “Nessuno – ha continuato Iacono – dice che sia facile da raggiungere ma, dobbiamo essere tutti d’accordo sul fatto che sia una sfida necessaria”. “Tutto ciò che dobbiamo fare – ha precisato Iacono – è renderla un’opportunità”.

"Per noi di Engie - ha aggiunto - è un impegno quotidiano che sentiamo verso le future generazioni”. “Per favorire la transizione energetica – ha sottolineato la Ceo di Engie - è necessario accelerare attraverso lo stanziamento di investimenti”. E ha concluso: “Noi di Engie abbiamo deciso di puntare sulla transizione energetica perché siamo convinti che questa sarà anche un’opportunità di crescita

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Sostenibilità

Scarsa decarbonizzazione per le quotate, con questo trend...

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Già a febbraio scorso potrebbero aver superato le emissioni previste per il 2026

Surriscaldamento climatico - Canva

Solo l’11% delle società quotate a livello mondiale è allineato con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, nonostante i maggiori impegni presi per contrastare il cambiamento climatico. È quanto emerge dalla nona edizione dell’Msci Net Zero Tracker, uno strumento che monitora regolarmente i progressi delle società quotate nel contenimento del rischio climatico attraverso l’Implied Temperature Rise dell’Msci Esg Research.

Nonostante si registri un certo avanzamento, i risultati ottenuti finora non sono ancora sufficienti. Secondo le stime dell’Msci Esg Research, le società quotate produrranno quest’anno circa 11,8 miliardi di tonnellate (gigatoni) di emissioni di gas serra Scope 1, praticamente senza nessun miglioramento rispetto al 2023. Il dato corrisponde a circa un quinto delle emissioni globali totali di gas serra.

Recenti dichiarazioni del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) delle Nazioni Unite hanno evidenziato che le emissioni globali di gas serra dovrebbero raggiungere il picco entro il 2025 e diminuire del 43% entro il 2030 per evitare gli impatti più gravi del riscaldamento globale. Tuttavia, al momento attuale, le traiettorie di decarbonizzazione delle società quotate a livello globale indicano che siamo diretti verso un aumento della temperatura del pianeta di 3°C rispetto ai livelli preindustriali e già l’anno scorso, per la prima volta, si sono toccati i +2°C sul periodo 1850-1900.

Migliora il reporting sulle emissioni Ghg

Per quanto riguarda il reporting sulle emissioni di gas serra (Ghg, ovvero Green house gases), Msci ha osservato notevoli miglioramenti. Quasi il 60% delle società quotate ha dichiarato le proprie emissioni Scope 1 e/o Scope 2 al 31 gennaio 2024, registrando un aumento del 16% rispetto ai dati di due anni fa. Allo stesso tempo, il 42% delle aziende ha reso note almeno alcune delle proprie emissioni Scope 3.

Le emissioni Ghg includono vari gas, come il biossido di carbonio (CO2), il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), che contribuiscono al riscaldamento globale e al cambiamento climatico quando sono rilasciati nell’atmosfera.

Vengono individuati tre tipi di emissioni: le Scope 1 rappresentano quelle dirette, prodotte da fonti controllate direttamente dall’azienda, mentre le Scope 2 riguardano quelle indirette, associate all’acquisto di energia elettrica, vapore o calore. Le emissioni Scope 3, invece, includono tutte le altre emissioni indirette, come quelle provenienti dalla catena di approvvigionamento, dal trasporto dei prodotti e dall’uso dei prodotti stessi.

Quanto tempo resta alle società quotate

A livello mondiale, le società quotate stanno procedendo verso una potenziale aumento della temperatura del pianeta fino a +3°C entro la fine del secolo, come indicato dal loro indice collettivo Msci Implied Temperature Rise. Questo indice, che riflette l’impatto climatico di un’attività finanziaria basato sulle sue emissioni di gas serra attuali e sulla prevista traiettoria di decarbonizzazione, evidenzia una situazione critica. Attualmente, solo il 38% delle aziende è in rotta per mantenere il riscaldamento a 2°C o meno, mentre un esiguo 11% è allineato con l’obiettivo più ambizioso di un aumento della temperatura di 1,5°C.

Msci evidenzia che, basandosi sulle emissioni di Scope 1, le società quotate potrebbero aver superato il budget globale per le emissioni di carbonio necessario per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C entro il 31 luglio 2026, già al 29 febbraio 2024. Per mantenere il riscaldamento entro questa soglia, le aziende dovrebbero collettivamente limitare le future emissioni Scope 1 a 28,9 gigatonnellate (Gt) di emissioni di CO2 equivalenti entro il 2050.

Senza alcuna riduzione delle attuali emissioni, che si aggirano intorno a 11,8 Gt all’anno, le società esaurirebbero il budget di emissioni rimanenti in 2 anni e 5 mesi. Per mantenere il riscaldamento entro i 2°C, le società quotate dovrebbero limitare collettivamente le future emissioni Scope 1 a 200 Gt di CO2 equivalenti entro il 2050.

Il mercato dei crediti di carbonio

In questo contesto assume particolare rilevanza il mercato dei crediti di carbonio che funziona attraverso un sistema di scambio di crediti e ha lo scopo di regolare e ridurre le emissioni di gas serra. Le autorità emittenti, come i governi o gli enti regolatori, stabiliscono un limite massimo alle emissioni di gas serra consentite per un determinato periodo di tempo, chiamato “budget di emissione”. Questo limite è spesso suddiviso in crediti di carbonio, o permessi di emissione, che corrispondono a una determinata quantità di emissioni consentite.

Le aziende e le entità soggette a queste limitazioni possono acquistare o vendere crediti di carbonio sul mercato aperto, consentendo loro di raggiungere i loro obiettivi di emissioni in modo più flessibile ed efficiente. Quelle che superano i limiti consentiti devono acquistare crediti di carbonio per compensare le loro emissioni e rimanere conformi alle normative.

D’altro canto, le aziende che riescono a ridurre le proprie emissioni al di sotto del limite consentito possono vendere i crediti di carbonio non utilizzati ad altre entità. Questo meccanismo crea un incentivo finanziario per ridurre le emissioni, poiché le aziende possono generare entrate attraverso la vendita di crediti di carbonio.

Inoltre, il mercato dei crediti di carbonio incoraggia l’innovazione e lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio, poiché le aziende sono motivate a trovare modi più efficienti ed ecologici per operare al fine di ridurre le loro emissioni e vendere più crediti di carbonio.

In sintesi, il mercato dei crediti di carbonio è un meccanismo che offre flessibilità alle aziende nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni e fornisce un incentivo finanziario per ridurre le emissioni e favorisce la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Per quanto riguarda il primo trimestre 2024, il report Msci rileva che le emissioni di carbonio sono rimaste più o meno allo stesso livello dello stesso periodo dell’anno precedente, ovvero 81 Mt. C’è stato, però, un rallentamento su base trimestrale dell’offerta di crediti (-26%), determinato principalmente da un calo delle emissioni REDD+ (che riguardano la riduzione delle emissioni da deforestazione), che sono scese del 74% (-30 Mt).

Quando si parla di “Mt” nel contesto del mercato dei crediti di carbonio, si fa riferimento ai “megatonnellate” di emissioni di gas serra, misurate in milioni di tonnellate. Questa unità di misura viene utilizzata anche per le riduzioni delle emissioni nel contesto del mercato dei crediti di carbonio e ottenere quindi il risultato netto.

Un Mt rappresenta un milione di tonnellate di emissioni di anidride carbonica equivalente o di altri gas serra, come il metano (CH4) o l’ossido di azoto (N2O). Le transazioni nel mercato dei crediti di carbonio coinvolgono spesso il commercio di queste unità di emissione, ma gli obiettivi globalmente enunciati dalle istituzioni e dalle aziende appaiono sempre più lontani.

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