Salute e Benessere
Influenza, adolescenti ‘malati particolari’:...
Influenza, adolescenti ‘malati particolari’: dal pediatra ‘istruzioni’ per curarli
E' iniziata la stagione dell'influenza e delle infezioni respiratorie oltre al Covid. A letto finiscono anche gli adolescenti che spesso hanno fretta di tornare alla loro socialità e allo sport. Quindi sono 'malati' molto particolari da gestire anche dal punto di vista terapeutico. "L’età adolescenziale è una fase molto complessa: i ragazzi cominciano a essere indipendenti, vanno a scuola, vogliono gestirsi da soli. Di conseguenza l’adolescente tende a sfuggire alla somministrazione delle terapie da parte del caregiver, vale a dire del punto di riferimento all’interno della famiglia. Ciò significa che la gestione delle patologie deve necessariamente prevedere una collaborazione da parte del giovane. Uno dei requisiti necessari per ottenere questa collaborazione è rappresentato dal fatto che le terapie proposte siano facili, accettabili, comode, con pochi effetti collaterali e con elevata rapidità d'azione. Se si prescrivono terapie complesse, piuttosto che dei farmaci con un cattivo sapore si rischia di compromettere la compliance". Così Gianluigi Marseglia, professore ordinario di Pediatria e direttore Clinica pediatrica e Scuola di specializzazione in pediatria Università degli Studi di Pavia, spiega come approcciare il paziente influenzato.
"D’altra parte, i pediatri di libera scelta hanno un’arma in più: il fatto che c’è una conoscenza dall’età infantile del paziente e un rapporto di fiducia costruito negli anni è fondamentale quando si devono prescrivere le terapie a un ragazzo di questa età che vuole dire la sua, che vuole iniziare a decidere per conto proprio", ricorda. Quest’anno, considerando la circolazione sia del virus dell’influenza sia del Covid, oltre agli altri virus respiratori esistono sintomi caratteristici che possono suggerire che sia in causa uno o l’altro virus? "Purtroppo no. I sintomi che questi virus determinano sono comuni a tutti: tosse persistente, febbre, malessere e stanchezza generale, mal di testa, dolori muscolari diffusi e naso chiuso - risponde - Solo l’esecuzione del tampone può dare un nome al virus che ha causato l’infezione respiratoria".
"Suggerisco sempre di rimanere a riposo rispettando le misure di sicurezza che abbiamo imparato in questi anni. E' corretto l’uso di farmaci antiperitici-antinfiammatori per modulare la febbre e ridurre i sintomi generali. Una buona notizia - osserva - per gli adolescenti che hanno fretta di guarire. Un recente studio su un antiinfiammatorio a base di ketoprofene sale di lisina, ha confermato un’azione più rapida, accogliendo di buon grado le aspettative dei ragazzi".
I sintomi come mal di gola, febbre e tosse incidono sulla quotidianità degli adolescenti, cosa cercano nella risposta terapeutica? "La risposta è facile: la risoluzione più rapida possibile dei sintomi - avverte - A differenza del bambino e dell'adulto che possono essere più tolleranti, l’adolescente non lo è: se ha mal di testa gli deve passare immediatamente, la tosse limita le sue relazioni? Deve risolversi subito. Un concetto del 'tutto e subito' che però in medicina non è così automatico: a volte bisogna aspettare che la sintomatologia si risolva, perché la malattia deve fare un certo decorso. Quindi i giovani cercano la rapidità, vogliono stare subito meglio e vogliono una terapia che duri poco. Non reggono una terapia prolungata e fastidiosa. Proprio per questo motivo abbiamo provato a proporre una terapia rapida, con un farmaco rapido, di facile somministrazione, perché si scioglie in bocca e ha un’ottima palatabilità, con un’elevata rapidità d'azione".
"Abbiamo valutato il farmaco sui sintomi principali delle infezioni delle alte vie respiratorie. Se la terapia non funziona subito il teenager te lo dice in modo diretto - prosegue il pediatra - Gli aspetti più interessanti emersi dal recente studio sono la rapidità con cui il farmaco agisce su tutti i sintomi valutati e la tollerabilità. È stata osservata una risoluzione dei sintomi in tempi brevissimi, a conferma della rapidità del farmaco, caratterizzato da una rapidissima diffusibilità rispetto ad altri antinfiammatori non steroidei. Inoltre, abbiamo ottenuto dei risultati veramente importanti in termini di compliance e di tollerabilità, perché nessun paziente ha interrotto la terapia e nessuno ha avuto alcuno degli effetti collaterali valutati. Un altro aspetto - conclude - da sottolineare è la rapidità con cui il farmaco agisce sulla tosse, riconducibile all’attività antinfiammatoria di ketoprofene sale di lisina sulla mucosa a ulteriore sostegno del potentissimo effetto antinfiammatorio di questo farmaco".
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Ospedale del futuro, Petralia (Fiaso): “Con...
Al congresso Aiic, 'digitalizzazione e Ai per una presa in cura unitaria'
Il futuro dei nostri ospedali "parte qui e ora, da ciascuno di noi che ci aspettiamo di essere presi in cura, prima ancora che essere curati. Gli ospedali non sono stati sempre soltanto luoghi di auspicabile guarigione, di cura di malattie, ma sono nati come luoghi di accoglienza, di ospitalità per viandanti e pellegrini. Con l'avanzare della tecnologia e della scienza sono diventati percorsi, spazi, prospettive di presa in carico e di cura", e in questo "un ruolo importante è giocato dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale". Così Paolo Petralia, vicepresidente vicario Fiaso e direttore generale Asl 4 Liguria, questa mattina a Roma, ha descritto l'evoluzione dell'assistenza ospedaliera al Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic) in corso nella Capitale fino a sabato.
Si tratta di "un modello di ospedale che sempre di più va verso il territorio - continua Petralia - e di territorio che va verso l'ospedale in una logica di circolarità e non di esclusività", che supera il concetto di "integrazione ospedale-territorio. Abbiamo bisogno di parlare di un percorso per le persone, di una presa in cura unitaria e che vada dall'ospedale al setting assistenziale intermedio e al domicilio, in una logica di continuità di assistenza e cura". Oltre ad essere un luogo "bello", nell'ospedale del futuro "non si è costretti a dover condividere la camera con altre persone e, grazie alla tecnologia", ci sarà "la virtualizzazione dei posti letto - spiega l'esperto - e non sarà più necessario dover dormire in ospedale per essere curati" perché, con la condivisione dei dati, "l'assistenza sarà fornita al bisogno, a domicilio". A livello tecnologico, "l'intelligenza artificiale potrà affiancare e sostenere gli operatori, ma anche i pazienti nell'esperienza di permanenza in ospedale per ottenere risposte che sono avanzate dal punto di vista dei contenuti clinici, ma anche sostenibili e gradevoli dal punto di vista della modalità con cui vengono erogati".
A fronte di un patrimonio edilizio ospedaliero spesso obsoleto, "possiamo immaginare, nel tempo, di riuscire" a lavorare per trasformare gli edifici attuali in "building adeguati in termini di struttura - conclude Petralia - che risparmino energia, che siano green, automatizzati, efficienti dal punto di vista dei percorsi, ma anche degli spostamenti, in una logica che dal monoblocco ritorna a padiglioni piccoli, immersi nel verde, capaci di essere flessibili nel loro utilizzo, come la pandemia ci ha insegnato".
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Ospedale del futuro, l’esperto: “Flessibile,...
Al congresso Aiic, 'organizzazione per intensità di cura'
"L'ospedale del futuro dovrà essere flessibile, modulare - anche perché, ci ha insegnato il Covid, ci può essere necessaria una riconfigurazione rapida dei posti letto - molto digitale, con intelligenza artificiale, senza reparti, con pochi professionisti" supportati al meglio, "in modo che il lavoro che adesso viene fatto da tanti in futuro venga fatto da pochi, e accogliente", con "tanto verde". Lo ha detto Giovanni Guizzetti, ingegnere clinico e direttore sociosanitario Asst Ovest Milanese, intervenendo questa mattina alla sessione dedicata all'ospedale del futuro, durante il Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic), a Roma fino al 18 maggio.
"Per capire quale possa essere il futuro dell'ospedale - continua Guizzetti - dobbiamo capire qual sarà il futuro di tutte le assistenze sanitarie del cittadino e, quindi, anche come si arriverà alla trasformazione della sanità domiciliare e la sanità territoriale. L'ospedale del futuro dovrebbe essere un ospedale in cui, ad esempio, il paziente cronico non accede, se non in casi rarissimi". Tra le novità più importanti, spicca il fatto che non ci sarà una differenziazione fra un reparto e l'altro, ma in base all'intensità di cura. E servirà più contatto con la natura, quindi aree verdi, perché "questo, è dimostrato ampiamente, contribuisce anche al maggior benessere del paziente". Nell'ospedale del futuro "ci saranno molte camere singole", almeno la metà dei posti letto, "non solo per un maggiore comfort del paziente - precisa Guizzetti - ma anche perché questo permette di controllare meglio le infezioni ospedaliere. Soprattutto sarà un ospedale molto digitale, in cui le applicazioni di intelligenza artificiale senz'altro supporteranno tutto il processo di diagnosi e cura. Si è citato addirittura un ospedale senza posti letto, perché l'ospedale diventa il concentratore della sanità domiciliare, di pazienti che sono monitorati a casa loro e gestiti centralmente da una struttura in cui, professionisti multidisciplinari, gestiscono il paziente che si trova, invece, a domicilio".
La trasformazione "in realtà è già in corso - avvisa l'esperto - Non ce ne stiamo accorgendo, ma nel mondo ci sono già degli esempi. In Italia abbiamo tanti, troppi ospedali piccoli, che costano molti soldi di gestione e non permettono agli ospedali più avanzati di poter essere adeguatamente supportati. Certo, resta la necessità di avere una prossimità dell'ospedale, ma se consideriamo" l'evoluzione tecnologica e l'aumento "dei trasporti con mezzi a guida autonoma", è facile intuire che "anche l'accesso al luogo di cura, anche in modo autonomo", sarà una realtà.
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Medicina, studio italiano: chi è seguito da cardiologo ha...
Studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso dell'Anmco
Il cardiologo può allungare la vita. "Essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus. I cardiologi possono fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti". E' il risultato studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso nazionale di Cardiologia dell’Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, in corso a Rimini. "Il 'Bring-up Prevenzione' - spiega il Furio Colivicchi, past president Anmco e direttore Cardiologia clinica e riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma - ha finora incluso 4.790 pazienti provenienti da 189 centri cardiologici distribuiti su tutto il territorio nazionale. Si tratta di pazienti con storia di pregresso infarto o malattia coronarica o malattia ostruttiva degli arti inferiori o patologia cerebrovascolare. Da un’analisi preliminare dei dati raccolti, l’età media di questa popolazione è 67 anni ed il 20% è di sesso femminile. Dati allarmanti sono quelli correlati alla prevalenza dell’obesità, il 20% di questi pazienti sono obesi, e del fumo di sigaretta, infatti il 21% è fumatore".
"In generale, una percentuale significativa di pazienti, pur avendo una precedente diagnosi di malattia cardiovascolare, non ha una ottimale gestione di fattori di rischio, come appunto l’obesità e il fumo di sigaretta. Possiamo quindi migliorare la gestione di questa popolazione di pazienti - avverte Colivicchi - Fondamentale a tale scopo è la consapevolezza del rischio di nuovi eventi come infarto ed ictus ascrivibili a fumo, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e obesità. Inoltre, il 27% dei pazienti inclusi nello studio 'Bring-up Prevenzione' sono diabetici e nell’11% dei casi hanno una malattia renale cronica. Sebbene sia noto che il colesterolo è il fattore causale delle malattie aterosclerotiche, le statine, trattamento di prima linea per questi pazienti, erano impiegate inizialmente solo nel 68% dei pazienti prima della visita cardiologica. Dopo il controllo cardiologico la percentuale è salita al 98%. Questa variazione è espressione del fatto che essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus".
"I cardiologi possono quindi fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti. Ulteriori informazioni preziose verranno poi fornite da una dettagliata analisi della gestione terapeutica complessiva di questa popolazione di pazienti, che sarà disponibile alla conclusione dello studio", conclude Colivicchi.