Salute e Benessere
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Medicina: Angelo Santoliquido presidente Collegio italiano flebologia 2024-2026
Angelo Santoliquido, direttore della Uosd Angiologia e diagnostica vascolare non invasiva della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e docente di Medicina interna presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, è stato eletto presidente del Collegio italiano di flebologia per il triennio 2024-2026. Il Collegio riunisce le principali associazioni e società scientifiche di flebologia e linfologia italiane e la sua mission è quella di portare sotto la luce dei riflettori le patologie flebologiche, facendo awareness tra il pubblico, ma anche richiamando l'attenzione delle autorità sanitarie e delle istituzioni su una serie di argomenti inerenti a questo campo, dal riconoscimento della figura professionale del flebologo, alle problematiche connesse alla rimborsabilità. Tra i compiti del Collegio, anche quello di redigere linee guida scientifiche inerenti alle malattie delle vene.
"La malattia venosa - afferma Santoliquido - nelle sue diverse sfaccettature interessa il 60% della popolazione italiana; si va da problemi che sconfinano con la medicina estetica, come i 'capillari', alle vene varicose, a temi di grande rilevanza anche per la vita, come la patologia trombo-embolica venosa. I numeri delle patologie flebologiche sono dunque enormi e generano un grande mercato. Ma per occuparsi di queste problematiche in modo adeguato servono adeguate competenze, date da conoscenze mediche, chirurgiche e di fisiopatologia della malattia. Il medico deve conoscere le conseguenze derivanti dalla progressione della malattia venosa nel tempo e quindi proporre ai pazienti anche opportuni esami diagnostici e terapie. Non solo per alleviare i sintomi, ma anche per evitare complicanze quali tromboflebiti e ulcere varicose e per evitare la progressione della malattia".
I trattamenti di correzione del problema venoso, in caso di vene varicose, sono diventati sempre meno invasivi negli ultimi anni e si ricorre dunque meno di frequente ai classici interventi di chirurgia vascolare di flebectomia mediante stripping. "Oggi - spiega Santoliquido - si ricorre sempre più ai trattamenti di tipo 'ablativo', che non rimuovono le vene, ma le chiudono, escludendole e facendole 'scomparire'. Questo può essere ottenuto con la sclero-mousse (iniezione di una sorta di schiuma che chiude la vena interessata dall'interno), con la termoablazione a radiofrequenza o con il laser; infine, si può procedere ad una 'chiusura chimica' iniettando nella vena una sorta di 'colla'.
"Nel Lazio - sottolinea l'esperto - non esiste la visita 'flebologica', che dunque non viene rimborsata. Esiste la visita 'angiologica', ma non quella flebologica. E' questo un problema che abbiamo discusso di recente anche nell'ambito di un incontro scientifico a Palazzo Falletti, alla presenza del dottor Andrea Piccioli (direttore generale Istituto superiore di sanità), del dottor Francesco Vaia (direttore generale della Prevenzione sanitaria, ministero della Salute), della senatrice Elena Murelli, presidente Intergruppo parlamentare sulle malattie cardio e cerebro-vascolari e al quale ha preso parte anche il dottor Giuseppe Fioroni, vice-presidente dell'Istituto Toniolo. Sempre nel Lazio, inoltre, un altro problema è rappresentato dai rimborsi attribuiti agli interventi sulle vene, che sono del tutto inadeguati e insufficienti anche solo per coprire le spese. Questo porta nella nostra regione a limitare l'offerta nel pubblico di questi interventi, e questo rischia a sua volta di generare una migrazione sanitaria verso altre regioni".
L'impegno del gruppo dell'Angiologia di Fondazione Policlinico Gemelli Irccs - si legge in una nota - non è solo nel campo delle società scientifiche e di politica sanitaria, ma investe anche tutto il settore della formazione. "Con la Siumb (Società italiana di ultrasonografia in medicina e biologia), la società italiana più importante nel campo dell'ecografia - rimarca Santoliquido - abbiamo stipulato un accordo per portare avanti qui al Gemelli un corso teorico-pratico sul vascolare periferico (studio eco-doppler delle carotidi e degli assi arterioso-venoso degli arti inferiori e superiori) che rilascia un attestato abilitante per aprire e lavorare in un ambulatorio ecografico". E' "l'unica scuola pratica di questo tipo nel Lazio, insieme a quella dell'ospedale di Viterbo; in tutto il Centro-Sud Italia, oltre a queste due scuole nel Lazio, ce n'è solo un'altra a Napoli. Si tratta di un corso intensivo di quattro settimane, per il quale prendiamo al massimo due persone per volta per seguirle davvero da vicino".
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Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio
Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici
La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.
"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.
Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.
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Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...
Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.
Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".
Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".
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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...
E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.
In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".
Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.
La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.
"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".