Salute e Benessere
Pediatra Midulla, ‘in Italia no aumento polmoniti...
Pediatra Midulla, ‘in Italia no aumento polmoniti bimbi come in Cina’
Il mycoplasma pneumoniae "è un germe che noi conosciamo molto bene, che si manifesta spesso nei bambini, che normalmente non dà delle malattie respiratorie gravi. Tanto che gli americani l'infezione da micoplasma la definiscono 'walking pneumonia', cioè la polmonite del soggetto che cammina, perché alla fine non sta malissimo. Ma non mi sembra che in questo periodo ci sia un aumento dei casi nel nostro Paese. Da noi non c'è la stessa situazione" segnalata dalla Cina. "Stiamo invece cominciando a vedere ora le tipiche infezioni virali" della stagione fredda, ma "rispetto all'anno scorso sono di meno e hanno anche posticipato. L'anno scorso in questo periodo avevamo già molti bambini con la bronchiolite, invece" anche la trasmissione più intensa del virus respiratorio sinciziale "sta cominciando in questi giorni". E' il quadro tracciato all'Adnkronos Salute da Fabio Midulla, presidente della Simri (Società italiana malattie respiratorie infantili), responsabile del reparto di Pediatria d'urgenza del Policlinico Umberto I di Roma.
Tornando al mycoplasma, questo germe "dà delle epidemie, e quindi succede che più persone nella stessa famiglia abbiano la tosse, che dura tanto tempo - spiega lo specialista - Tra le altre cose, essendo l'infezione da micoplasma una malattia infettiva con interessamento polmonare, il bambino ha spesso mal di testa, mal di gola, la voce rauca, altri sintomi simili all'influenza". Questi i possibili campanelli d'allarme. Ma "noi non rileviamo un incremento di queste polmoniti. Almeno nel nostro ospedale, ancora non c'è assolutamente lo stesso andamento epidemico" osservato in Cina.
Quanto alla resistenza di questo batterio agli antibiotici, di cui si è parlato riguardo alla situazione nel gigante asiatico, in Italia non si rileva al momento. "Vediamo che è sensibile ai macrolidi, quindi muore con l'azitromicina, con la claritromicina. Non vedo al momento forme resistenti. Il problema del micoplasma è che ci possono essere delle reinfezioni, perché è un germe che non dà un'immunità completa, quindi la stessa persona lo può riprendere più volte".
La situazione cinese sembra seguire una dinamica che si è verificata anche in Italia, analizza Midulla. "Noi durante il Covid abbiamo avuto una diminuzione dell'80% degli accessi in pronto soccorso per malattie respiratorie. Sono praticamente scomparse. Quando c'è stata la riapertura dal lockdown, parziale nel 2021 e totale nel 2022, abbiamo assistito come negli altri Paesi a una recrudescenza delle malattie respiratorie, quindi a dei picchi anticipati e con tanti casi".
In particolare, è successo con l'infezione da Rsv. "Ce lo siamo spiegato per due motivi: le mamme che hanno fatto la gravidanza durante il lockdown non hanno avuto modo di incontrare il virus e quindi non hanno trasmesso gli anticorpi ai bambini quando sono nati". E poi, c'è la questione del "debito immunitario", prosegue. "Avere qualche infezione respiratoria allena l'immunità innata e quindi il bambino" si costruisce "un'immunità che risponde meglio".
Quest'anno "la situazione è più tranquilla. Stiamo isolando qualche caso di Rsv, ma non tanti come l'anno scorso. E ci aspettiamo il picco nei tempi normali, come al solito a dicembre-gennaio - conclude Midulla - Anche perché il clima è stato finora sfavorevole per i virus. Le epidemie virali si manifestano quando fa freddo, è umido e piove. Abbiamo per esempio avuto dei casi di influenza, A o B, ma in numeri "normali. E poi tanti casi di rhinovirus. Fortunatamente la stagione è ancora rallentata. Di mycoplasmi ne stiamo isolando pochi, come capita normalmente, senza aumenti". E' dai prossimi giorni che gli specialisti si attendono "un aumento dei casi come succede sempre con l'arrivo di pioggia e freddo".
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Ospedale del futuro, Petralia (Fiaso): “Con...
Al congresso Aiic, 'digitalizzazione e Ai per una presa in cura unitaria'
Il futuro dei nostri ospedali "parte qui e ora, da ciascuno di noi che ci aspettiamo di essere presi in cura, prima ancora che essere curati. Gli ospedali non sono stati sempre soltanto luoghi di auspicabile guarigione, di cura di malattie, ma sono nati come luoghi di accoglienza, di ospitalità per viandanti e pellegrini. Con l'avanzare della tecnologia e della scienza sono diventati percorsi, spazi, prospettive di presa in carico e di cura", e in questo "un ruolo importante è giocato dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale". Così Paolo Petralia, vicepresidente vicario Fiaso e direttore generale Asl 4 Liguria, questa mattina a Roma, ha descritto l'evoluzione dell'assistenza ospedaliera al Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic) in corso nella Capitale fino a sabato.
Si tratta di "un modello di ospedale che sempre di più va verso il territorio - continua Petralia - e di territorio che va verso l'ospedale in una logica di circolarità e non di esclusività", che supera il concetto di "integrazione ospedale-territorio. Abbiamo bisogno di parlare di un percorso per le persone, di una presa in cura unitaria e che vada dall'ospedale al setting assistenziale intermedio e al domicilio, in una logica di continuità di assistenza e cura". Oltre ad essere un luogo "bello", nell'ospedale del futuro "non si è costretti a dover condividere la camera con altre persone e, grazie alla tecnologia", ci sarà "la virtualizzazione dei posti letto - spiega l'esperto - e non sarà più necessario dover dormire in ospedale per essere curati" perché, con la condivisione dei dati, "l'assistenza sarà fornita al bisogno, a domicilio". A livello tecnologico, "l'intelligenza artificiale potrà affiancare e sostenere gli operatori, ma anche i pazienti nell'esperienza di permanenza in ospedale per ottenere risposte che sono avanzate dal punto di vista dei contenuti clinici, ma anche sostenibili e gradevoli dal punto di vista della modalità con cui vengono erogati".
A fronte di un patrimonio edilizio ospedaliero spesso obsoleto, "possiamo immaginare, nel tempo, di riuscire" a lavorare per trasformare gli edifici attuali in "building adeguati in termini di struttura - conclude Petralia - che risparmino energia, che siano green, automatizzati, efficienti dal punto di vista dei percorsi, ma anche degli spostamenti, in una logica che dal monoblocco ritorna a padiglioni piccoli, immersi nel verde, capaci di essere flessibili nel loro utilizzo, come la pandemia ci ha insegnato".
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Ospedale del futuro, l’esperto: “Flessibile,...
Al congresso Aiic, 'organizzazione per intensità di cura'
"L'ospedale del futuro dovrà essere flessibile, modulare - anche perché, ci ha insegnato il Covid, ci può essere necessaria una riconfigurazione rapida dei posti letto - molto digitale, con intelligenza artificiale, senza reparti, con pochi professionisti" supportati al meglio, "in modo che il lavoro che adesso viene fatto da tanti in futuro venga fatto da pochi, e accogliente", con "tanto verde". Lo ha detto Giovanni Guizzetti, ingegnere clinico e direttore sociosanitario Asst Ovest Milanese, intervenendo questa mattina alla sessione dedicata all'ospedale del futuro, durante il Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic), a Roma fino al 18 maggio.
"Per capire quale possa essere il futuro dell'ospedale - continua Guizzetti - dobbiamo capire qual sarà il futuro di tutte le assistenze sanitarie del cittadino e, quindi, anche come si arriverà alla trasformazione della sanità domiciliare e la sanità territoriale. L'ospedale del futuro dovrebbe essere un ospedale in cui, ad esempio, il paziente cronico non accede, se non in casi rarissimi". Tra le novità più importanti, spicca il fatto che non ci sarà una differenziazione fra un reparto e l'altro, ma in base all'intensità di cura. E servirà più contatto con la natura, quindi aree verdi, perché "questo, è dimostrato ampiamente, contribuisce anche al maggior benessere del paziente". Nell'ospedale del futuro "ci saranno molte camere singole", almeno la metà dei posti letto, "non solo per un maggiore comfort del paziente - precisa Guizzetti - ma anche perché questo permette di controllare meglio le infezioni ospedaliere. Soprattutto sarà un ospedale molto digitale, in cui le applicazioni di intelligenza artificiale senz'altro supporteranno tutto il processo di diagnosi e cura. Si è citato addirittura un ospedale senza posti letto, perché l'ospedale diventa il concentratore della sanità domiciliare, di pazienti che sono monitorati a casa loro e gestiti centralmente da una struttura in cui, professionisti multidisciplinari, gestiscono il paziente che si trova, invece, a domicilio".
La trasformazione "in realtà è già in corso - avvisa l'esperto - Non ce ne stiamo accorgendo, ma nel mondo ci sono già degli esempi. In Italia abbiamo tanti, troppi ospedali piccoli, che costano molti soldi di gestione e non permettono agli ospedali più avanzati di poter essere adeguatamente supportati. Certo, resta la necessità di avere una prossimità dell'ospedale, ma se consideriamo" l'evoluzione tecnologica e l'aumento "dei trasporti con mezzi a guida autonoma", è facile intuire che "anche l'accesso al luogo di cura, anche in modo autonomo", sarà una realtà.
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Medicina, studio italiano: chi è seguito da cardiologo ha...
Studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso dell'Anmco
Il cardiologo può allungare la vita. "Essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus. I cardiologi possono fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti". E' il risultato studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso nazionale di Cardiologia dell’Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, in corso a Rimini. "Il 'Bring-up Prevenzione' - spiega il Furio Colivicchi, past president Anmco e direttore Cardiologia clinica e riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma - ha finora incluso 4.790 pazienti provenienti da 189 centri cardiologici distribuiti su tutto il territorio nazionale. Si tratta di pazienti con storia di pregresso infarto o malattia coronarica o malattia ostruttiva degli arti inferiori o patologia cerebrovascolare. Da un’analisi preliminare dei dati raccolti, l’età media di questa popolazione è 67 anni ed il 20% è di sesso femminile. Dati allarmanti sono quelli correlati alla prevalenza dell’obesità, il 20% di questi pazienti sono obesi, e del fumo di sigaretta, infatti il 21% è fumatore".
"In generale, una percentuale significativa di pazienti, pur avendo una precedente diagnosi di malattia cardiovascolare, non ha una ottimale gestione di fattori di rischio, come appunto l’obesità e il fumo di sigaretta. Possiamo quindi migliorare la gestione di questa popolazione di pazienti - avverte Colivicchi - Fondamentale a tale scopo è la consapevolezza del rischio di nuovi eventi come infarto ed ictus ascrivibili a fumo, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e obesità. Inoltre, il 27% dei pazienti inclusi nello studio 'Bring-up Prevenzione' sono diabetici e nell’11% dei casi hanno una malattia renale cronica. Sebbene sia noto che il colesterolo è il fattore causale delle malattie aterosclerotiche, le statine, trattamento di prima linea per questi pazienti, erano impiegate inizialmente solo nel 68% dei pazienti prima della visita cardiologica. Dopo il controllo cardiologico la percentuale è salita al 98%. Questa variazione è espressione del fatto che essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus".
"I cardiologi possono quindi fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti. Ulteriori informazioni preziose verranno poi fornite da una dettagliata analisi della gestione terapeutica complessiva di questa popolazione di pazienti, che sarà disponibile alla conclusione dello studio", conclude Colivicchi.