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A Mauritius, la rinascita dei coralli per combattere l’erosione costiera

Assorbendo l’energia delle onde, le barriere coralline svolgono un ruolo di essenziale importanza. A Flic-en-Flac, 20.000 talee saranno quindi impiantate a una profondità di dodici metri.

La meravigliosa spiaggia di Flic-en-Flac, sulla costa occidentale di Mauritius, è il paradiso dei vacanzieri. Tuttavia, sotto le sue acque turchesi, il paesaggio è sempre meno idilliaco. Stressati dal riscaldamento globale e dalle attività umane, i coralli si trovano in condizioni disastrose.

Un’osservazione generale: secondo i dati del Governo mauriziano, il 75% delle barriere coralline che circondano le lagune di Mauritius è gravemente danneggiato. A Flic-en-Flac, il tasso di sbiancamento dei coralli, un fenomeno di scolorimento che può portare, nel peggiore dei casi, alla morte di quest’ultimi, raggiunge il 75%.

Va detto che la temperatura media annua dell’acqua del mare è passata da 29° C nel 2012 a 32° C nel 2015,  fino a 33° C in estate tra il 2018 e il 2020. Altrove sulla costa occidentale, così come a sud, è salito di 1° C.

L’ecosistema corallino è sconvolto anche dall’aumento delle costruzioni sulla costa, soprattutto nelle zone umide; dall’invasione della “Corona di spine” (Acanthaster planci), una stella marina che attacca i coralli; dalla pesca eccessiva… Per non parlare dell’impatto persistente di antiche pratiche come la rimozione dei coralli da parte degli hotel per creare aree di piacevole balneazione o la pesca con la dinamite.

A Flic-en-Flac, la lotta è ora in corso per cercare di riabilitare le barriere coralline, sotto la guida del ricercatore Nadeem Nazurally, docente di acquacoltura e biologia marina presso l’Università di Mauritius. Ecologi, pescatori, scienziati e volontari si incontrano da circa tre anni, davanti all’ incantevole hotel La Pirogue per poter impiantare il prezioso corallo. Si occupano di un vivaio di 3.000 m² che ospita 5.000 talee. Si prevede che questo numero salirà a 20.000 il prossimo anno. In definitiva, il tutto dovrà essere sommerso a dodici metri di profondità dietro la barriera corallina, nella speranza di vedere ricreare nuove splendide barriere coralline.

Il Centro di ricerca marina situato a La Pirogue vuole incoraggiare la condivisione di esperienze tra i ricercatori internazionali. Finanziato dalla Commissione per l’istruzione terziaria di Mauritius, questo progetto è supportato anche dall’Università dell’Australia Occidentale, dall’Israel Oceanographic Institute e dall’Unione Europea.

Test su cinque specie

“Abbiamo utilizzato cinque diverse specie di corallo per determinare quale è la più resistente al calore. I risultati sono interessanti. Le talee di 2 cm piantate nel 2013 a Trou-aux-Biches (nel nord di Mauritius) sono ora 35 cm e rifugiano tranquillamente i pesci ”, specifica Nadeem Nazurally, riferendosi ad un precedente programma da lui egregiamente gestito personalmente e che è tuttora oggi.in essere. I primi risultati per Flic-en-Flac mostrano che alcune talee sono cresciute da 2 cm a 8 cm entro due anni, il che è davvero promettente.

Un altro “nursery” corallina, è stata allestita a Pointe-aux-Feuilles (nel sud-est di Mauritius), anch’esso gestito dal team Nadeem Nazurally. Altri gruppi alberghieri dell’isola sono coinvolti in progetti simili, ma anche l’Albion Research Center, del Ministero dell’Economia Oceanica, che lavora lì da più di un decennio. I pescatori sono stati addestrati scrupolosamente nella cultura del corallo negli ultimi tre anni. Con il sostegno del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), questo Centro sta anche lavorando con l’Istituto Oceanografico di Mauritius per l’allevamento di coralli più resistenti al calore.

“Resta da trovare le specie migliori che si adatteranno alle diverse regioni dell’isola”, sottolinea il Professor Rajeev Bhagooli, che ha studiato lo sbiancamento dei coralli in Australia, Florida, Hawaii e Giappone. “Ci vogliono almeno quindici anni per determinare se un allevamento di coralli soddisfa gli obiettivi. In questi giorni, i progetti vengono avviati senza un reale follow-up a lungo termine”, lamenta, riferendosi ai programmi Trou-aux-Biches e Flic-en-Flac. Gli allevamenti sviluppati a Mauritius sono programmati su tre, anche cinque anni e talvolta abbandonati per mancanza di finanziamenti o, come al momento per alcuni, a causa del coprifuoco sanitario legato alla pandemia da Covid-19.

“L’uso degli allevamenti di coralli per combattere lo sbiancamento è un buon inizio. Siamo nella fase di apprendimento. L’errore da non fare è tagliare talee con specie invasive”,  da parte sua avverte l’oceanografo Vassen Kauppaymuthoo.

Bacini di biodiversità

Straordinari serbatoi di biodiversità, i coralli svolgono un ruolo essenziale nella protezione della costa mauriziana assorbendo l’energia del moto ondoso e limitando i fenomeni di erosione. Tuttavia, l’innalzamento del livello del mare di 5,6 mm all’anno, mentre la media mondiale è di 3,3 mm, sottolinea l’urgenza della minaccia.

Per preservare le barriere coralline, il Professor Bhagooli raccomanda misure più generali riguardanti, ad esempio, i piani di utilizzo del suolo e l’uso di fertilizzanti sulla costa. Le autorità mauriziane sono consapevoli della necessità di agire senza indugio e una legge sul cambiamento climatico è stata approvata nel novembre scorso. I sacchetti di plastica monouso sono ora assolutamente vietati, per controllare meglio le fonti di inquinamento dannose per i coralli c’è una piú ferrea vigilanza.

Mauritius ha anche presentato all’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) un elenco di aree da evitare ai mercantili per evitare la riemissione della fuoriuscita di petrolio causata dalla MV Wakashio a Pointe-d’Esny, vicino al Parco marino di Blue Bay, nell’agosto 2020. Questa zona non è stata ancora rilevata, la prua del vettore minerario ad oggi  domenica 23 maggio, è ancora in fase di smantellamento.

“Stiamo collaborando con il Ministero dell’Economia Blu per la tutela delle zone costiere. Oltre alla creazione di aree marine protette che coprono un’area di 7.190 ettari, è stata creata una barriera artificiale a Mon Choisy (nel nord di Mauritius)”, sottolinea il Ministro dell’Ambiente, Kavi Ramano.

Una stella marina che sta scatenando il caos

Il cambiamento climatico sembra aver influenzato il ciclo dell’Acanthaster viola ( Acanthaster planci), nota anche come “Corona di spine”, che attacca i coralli a Mauritius e l’isola autonoma di Rodrigues. “Sfortunatamente, non ci sono stati studi scientifici per determinare se siamo di fronte a una proliferazione. Quando studiavo ad Okinawa, ne sono state raccolte interi camion” precisa il Professor Rajeev Bhagooli.

Questa specie carnivora di stella marina si nutre di corallo e le sue spine causano la necrosi della barriera corallina. La Corona di spine produce decine di milioni di uova a stagione e le sue larve possono spostarsi per centinaia di chilometri. Se l’Acanthaster viola si sta moltiplicando in questo modo, è anche a causa dell’abitudine dei mauriziani di utilizzare il suo predatore naturale, il Tritone gigante ( Charonia tritonis ) un mollusco gasteropode ricercato per le sue bellissime conchiglie, come elemento di decorazione e vendita ai turisti come souvenir. La reintroduzione e il divieto assoluto di pesca intensiva di questo mollusco gasteropode è allo studio.

Un’altra minaccia incombe sulle barriere coralline, la rimozione dei Ricci di mare per rendere le spiagge “più pulite” e “soft”. Questo porta alla gravissima proliferazione di alghe che soffocano i coralli, secondo un attento e meticoloso studio  dell’Università di Mauritius.

Il viaggio non finisce mai…. Solo i viaggiatori finiscono, ma, anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione… Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e guardando l’infinità dell’oceano ha detto: «Non c’è altro da vedere!», sapeva, in cuor suo, che non era vero…” (José Saramago)

Una sofisticata esperta in viaggi, turismo e tempo libero, che esplora con passione le frontiere del settore turistico per fornire ai nostri lettori intuizioni uniche e consigli preziosi. Con una profonda conoscenza che va dalle destinazioni esotiche alle gemme nascoste locali, la sua competenza è indispensabile per chi cerca di trasformare ogni viaggio in un’esperienza memorabile. Le sue analisi ricche di sfumature e le sue raccomandazioni su misura sono fondamentali per offrire un panorama completo di tutto ciò che il mondo del turismo ha da offrire.

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Doug Pitt: l’uomo oltre il nome famoso

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Nel mondo delle celebrità, spesso i riflettori sono puntati su nomi familiari come Brad Pitt, ma dietro ogni grande figura c’è un intero universo di individui che contribuiscono in modo significativo al loro settore e alla società nel suo complesso. Uno di questi casi è quello di Doug Pitt, fratello minore dell’acclamato attore Brad Pitt. Ma Doug è molto di più di “il fratello di”. È un imprenditore di successo, un filantropo appassionato e una figura che merita sicuramente di essere conosciuta più a fondo. Personalità sfaccettata e di grande successo, ha un nome costruito grazie alle sue aziende votate alla tecnologia e alle numerose attività di filantropo nel corso degli anni.

Dal fratello di Brad Pitt all’individuo di successo

Nato il 2 novembre 1966 a Springfield, nel Missouri, Doug Pitt è soprattutto conosciuto perché condivide lo stesso sangue con l’attore hollywoodiano Brad Pitt. Spesso cresciuto all’ombra del più celebre fratello maggiore, Doug ha intrapreso una strada di successo contando sulle proprie capacità e i propri interessi. Dopo aver completato gli studi all’università della sua contea, infatti, ha iniziato una carriera tutta in salita nei settori immobiliare e finanziario, mostrando sin da subito il suo talento nel mondo degli affari. Risale all’aprile del 1991 la fondazione della sua prima azienda, la ServiceWorld Computer, occupata nella fornitura di servizi informatici. A soli 25 anni inizia così la scalata che lo porterà nel mirino del club dei milionari.

Nel 2007 decide di cedere il 75 per cento degli interessi dell’azienda a Miami Nations Enterprises rimanendone però il proprietario e principale partner operativo. Nel 2012 fonda quindi TSI Integrated Services in collaborazione con TSI Global. Nel 2013 Pitt e Miami Nations Enterprises decidono di fondere ServiceWorld con TSI Global. Nel 2017 Pitt ricompra la sua prima società di computer creando la nuova Pitt Development Group, società specializzata in sviluppi commerciali e territoriali. Con questa azienda si è proposto come leader indiscusso nel settore.

Imprenditore e Filantropo

Doug Pitt non è solamente un uomo d’affari di successo, ma un filantropo impegnato che usa i suoi mezzi a disposizione per intervenire in aree critiche del mondo. “Care to Learn”, di cui è il fondatore, è un’organizzazione benefica che fornisce risorse essenziali a bambini che vivono in contesti difficili. L’organizzazione si concentra su bisogni fondamentali come cibo, vestiti e attrezzature scolastiche, permettendo ai più giovani di crescere e imparare in un ambiente positivo e accogliente.

Doug è anche collaboratore di Waterboys.comWorldServe International e Africa 6000 International (a cui partecipa anche la sorella Julie), organizzazioni impegnate nella fornitura di acqua potabile nei paesi africani più in difficoltà, come Tanzania e Kenya. Nel 2010 l’allora presidente della Tanzania Jakaya Kikwete lo ha insignito del titolo di Ambasciatore di buona volontà per la Repubblica Unita di Tanzania. Con questo titolo opera in qualità di intermediario per tutte quelle aziende che vogliono contribuire alla rinascita economica e culturale del paese. Nel 2011 il presidente americano Bill Clinton lo ha premiato con l’Humanitarian Leadership Award.

Dietro le quinte dell’industria del vino

Oltre al suo coinvolgimento nel settore immobiliare e nell’ambito delle opere di beneficenza, Doug Pitt ha anche sviluppato una passione per il mondo del vino. È coinvolto nella gestione di “Pitt Vineyards”, un’azienda vinicola che produce vini di alta qualità. Questa dedizione per il vino riflette la sua grande curiosità e il suo interesse per settori imprenditoriali differenti.

Una vita riservata

La famiglia di primo piano non ha impedito a Doug Pitt di mantenere un profilo relativamente basso nel mondo dei media. Ha cercato, infatti, di proteggere la sua privacy e di concentrarsi sul suo lavoro e sulle sue passioni, piuttosto che sfruttare la sua connessione familiare per attirare l’attenzione dei riflettori. Nel 1990 ha sposato Lisa Pitt, conosciuta all’università, e insieme hanno tre figli: Landon, Sydney e Reagan.

Nonostante abbia sempre cercato di non farsi notare, in certe occasioni è apparso sui media presentandosi in modo scherzoso come il fratello del più celebre Brad. Ha girato diversi spot pubblicitari, come quello per Virgin Mobile Australia, e in alcuni ha vestito persino i panni del fratello, come nella pubblicità per Mother’s Brewing Company. In diverse interviste rilasciate (come quella all’emittente Nova FM) ha anche ammesso di essere scambiato per il fratello almeno 3 volte a settimana da sconosciuti che lo incontrano per strada. Questo perché i due fratelli oltre a condividere carriere di successo, hanno effettivamente un fisico e dei lineamenti molto simili.

L’eredità di Doug Pitt

La storia di Doug Pitt dimostra come dietro a ogni individuo ci siano esperienze, imprese e passioni diverse che meritano di essere riconosciute. Pur essendo spesso additato come “il fratello di Brad Pitt”, la sua dedizione per il mondo degli affari, il suo coinvolgimento nella beneficenza e la sua capacità di perseguire le sue passioni lo rendono un esempio di impegno e di successo. Il suo lavoro nel settore imprenditoriale e filantropico dimostra come sia possibile creare un’eredità significativa indipendentemente dal nome di famiglia e che ognuno ha il potenziale per influenzare positivamente sulla vita degli altri.

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Coronavirus

È finalmente nelle sale cinematografiche il film “Tic Toc”

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E continua anche il suo tour promozionale con vari appuntamenti.

Girato a Terni negli studios di Papigno, la commedia è stata diretta dal regista Davide Scovazzo mentre la produzione è stata affidata ad Anteprima Eventi Production e Management S.r.l. di Massimiliano Caroletti. Il film vanta un cast di eccezionali attori noti al pubblico tra cui Eva Henger, Maurizio Mattioli, Sergio Vastano, Fausto Leali, Donatella Pompadour, Valentino Marini, Paolo Pasquali alias Doctor Vintage, Cristiano Sabatini alias Bike Chef, Simone Bargiacchi alias Antonio Lo cascio, Samuel Comandini Alisa Zio_ Command, Fabio Stirlani alias Stirlo , Dimitri Tincano, Jennifer Caroletti, Antonella Scarpa alias Himorta, Vanessa Padovani alias Miss Mamma Sorriso, Chaimaa Cherbal, Claudia Letizia ,Elena Colombi , Paola Caruso, Luigi Iocca, Giuseppe Lisco, Rosy Campanale, Daniel Bellinchiodo, Francesco Aquila, Michela Motoc.

E proprio Eva Henger con Massimiliano Caroletti insieme alla figlia Jennifer, al suo debutto sul grande schermo, sono ospiti della prestigiosa kermesse cinematografica Ischia Global Fest, e incontreranno il pubblico prima della proiezione con Doctor Vintage, anche lui nel cast della pellicola, nella serata del 13 luglio.

Filo conduttore del film il rapporto con i social. Tic Toc è una commedia che intreccia tante vicende e scopre tante realtà partendo dalla storia di quattro intraprendenti scansafatiche che per guadagnare qualche soldo decidono di rapire Eva Henger. Un progetto che frana a causa del Covid e che innesca un susseguirsi di intoppi divertenti: “Un gruppo di Sinti, una sorta di gang Fedeli al triste, ma vero, gioco di parole “è tutto LORO quello che luccica”, i quattro passano giornate ad invidiare le superstar di oggi , ovvero gli, e soprattutto le, Influencers, attribuendo a ognuno e a ognuna di loro vite principesche, fatte di limousines, jet privati, champagne della migliore categoria, ville gigantesche e stuoli di servitori, tutto ciò che, nella loro miseria, è loro negato dalla vita, in una maniera che, dal loro punto di vista, reputano ingiusta ed immorale. Stufi di raccogliere le briciole di quello che loro credono essere solo un mondo dorato e pieno di privilegi, i quattro mascalzoni vengono a sapere che la star Eva Henger inaugurerà una Escape Room (cosa che loro non hanno idea di cosa sia) a Terni, per cui a Zagaja, ma ben presto condiviso dagli altri pur se con qualche perplessità soprattutto da parte di Bike Chef, viene la “brillante” idea: appostarsi poco prima dell’entrata della Escape Room e rapire la Diva, che per lui è anche il suo sogno erotico da sempre, in modo da chiedere il riscatto ai suoi numerosi sponsor”, ha spiegato l’ideatore Fabio Stirlani. La trama affronta in chiave drammatica argomenti comici che riflettono l’attualità.

Un film che segna il grande ritorno al cinema di Eva Henger che per l’occasione ha interpretato se stessa. Un ruolo cucito alla perfezione su di lei: “Ho interpretato me stessa. Pensavo fosse facile, invece è stato difficilissimo. Quando si interpreta la propria persona ci si rende conto di non conoscerla realmente. Ho dovuto metterci dell’ironia, verve e passione, anche perché sarà un film comico, che farà ridere molto”. Assieme a lei sul set la figlia Jennifer Caroletti interessata a seguire le orme della madre.

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Attualità

Uber Eats in Italia: il tramonto di un gigante della consegna a domicilio

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Uber Eats è una delle più grandi aziende al mondo che offre servizi di food delivery, che ha attraversato il panorama globale lasciando una scia inconfondibile. Nata nel cuore pulsante della Silicon Valley, l’azienda è l’emblema dell’innovazione e della modernità: una storia di successo che ha riscritto le regole del gioco nel settore della ristorazione. Da una singola città statunitense, San Francisco, Uber Eats ha esteso le sue ali in oltre 30 paesi, portando la comodità di un pasto caldo consegnato alla porta di casa a milioni di persone in tutto il mondo.

La sua entusiasmante avventura in Italia ha avuto inizio nel 2016, un’incursione coraggiosa in un mercato storicamente dominato dalla cucina locale e da un amore per la tradizione culinaria. Eppure, Uber Eats ha saputo navigare tra le onde dell’innovazione e della tradizione, creando un ponte tra la comodità della tecnologia e la passione per il buon cibo.

Ma, come un tramonto dopo una giornata luminosa, Uber Eats ha recentemente annunciato il suo ritiro dal territorio italiano a partire dal 15 luglio 2023, ponendo fine a un capitolo avventuroso nella sua storia. Nonostante una crescita esponenziale a livello globale e un modello di business che ha riscritto le regole dell’innovazione, il suolo italiano si è rivelato essere un terreno difficile. Non una sconfitta, ma un ritiro strategico, un’opportunità per ripensare, rinnovarsi e affrontare nuove sfide.

Un capitolo si chiude, ma la storia di Uber Eats è ancora in divenire. Analizziamo insieme le ragioni di questa decisione e il profondo impatto che la sua presenza ha avuto sul nostro Paese.

L’evoluzione di Uber Eats in Italia

Uber Eats ha intrapreso la sua audace espansione nel cuore del Belpaese, prendendo le mosse dalle luccicanti metropoli di Roma e Milano, per poi estendersi ad altre 60 città di media e ampia estensione, scontrandosi con le potenze rivali di Glovo e Deliveroo, nonché confrontandosi con la labirintica tessitura delle normative locali e le acrimonie riguardanti i diritti dei lavoratori.

Ciononostante, malgrado queste sfide, Uber Eats è riuscita a rivendicare un ruolo di protagonista nel teatro della consegna a domicilio, abbracciando incessantemente una filosofia di innovazione. Uber Eats, infatti, ha perpetuamente introdotto e sperimentato funzioni inedite e diversificato i propri servizi con costanza.

Un’espressione vivida di tale indole innovativa è stata l’implementazione della possibilità di ritiro in loco presso il ristorante, offerte speciali e la consegna di viveri, oltre al consueto cibo preparato, durante il periodo del lockdown dovuto alla pandemia.

L’innovazione per Uber Eats

Già nel 2019, l’azienda aveva annunciato l’intenzione di utilizzare droni per le consegne a domicilio all’insegna della velocità e della tecnologia. Ha anche avviato una collaborazione con Apple e Google, offrendo come modalità di pagamento rispettivamente ApplePay e GooglePay. Sempre nel rispetto del suo spirito pionieristico, Uber Eats ha anche introdotto l’opzione di preordine per cenare direttamente nel ristorante, tuttavia questa funzionalità non è mai arrivata in Italia.

Ha sostenuto l’industria della ristorazione nel Paese collaborando con migliaia di ristoranti e permettendo loro di espandere la propria clientela, fornendo allo stesso tempo nuove opportunità di business.

L’impatto di Uber Eats sul mercato italiano

Pur considerando il ritiro, l’effetto di questa azienda sul nostro mercato è stato ed è tuttora significativo perché ha cambiato in modo in cui le persone hanno iniziato a richiedere il cibo pronto direttamente nelle proprie case. Ma ha anche creato nuove opportunità di lavoro per i consegnatari e nuovi canali di vendita per i ristoratori.

Le positive innovazioni hanno però anche sollevato questioni sui diritti e la sicurezza dei Riders e controversie sulla struttura fiscale delle commissioni.

Perché Uber Eats ha cessato di operare in Italia

Nonostante il successo, l’azienda ha affrontato nel nostro Paese numerosissime sfide, prima tra tutte la concorrenza con le altre applicazioni di consegna. Ma non bisogna dimenticare anche la complessità delle leggi locali e le controversie circa i diritti dei lavoratori e i contratti non adeguatamente definiti. L’azienda ha dichiarato in un comunicato stampa ufficiale di aver avuto sempre come modello quello di un business sostenibile, ma le prospettive di crescita non hanno rispecchiato le aspettative originali. L’insieme di questi fattori ha contribuito alla decisione finale di chiudere l’operatività nel nostro Paese.

Le conseguenze per i ristoratori e per i dipendenti

Il fatto che Uber Eats si sia ritirato dal mercato ha avuto un forte impatto sui lavoratori coinvolti e sui ristoratori che collaboravano con l’applicazione. Da una parte i fattorini che hanno dovuto cercare piattaforme alternative di consegna per continuare l’attività e i ristoratori che hanno iniziato a cercare altri canali per raggiungere nuovi clienti o quelli già acquisiti attraverso la app. Sono circa 40 i dipendenti che lavorano negli uffici di Milano ad essere stati licenziati e migliaia i rider sparsi in tutta Italia.

Qual è il futuro delle consegne di cibo a domicilio

Con la partenza definitiva di Uber Eats, il panorama delle consegne a domicilio nell’ambito food si prepara a un nuovo cambiamento. Aziende come Deliveroo e Glovo possono sicuramente consolidare la propria posizione per coinvolgere gli utenti orfani di Uber Eats ma allo stesso tempo potrebbero apparire nuovi attori sul mercato, nel tentativo di approfittare di questo nuovo “spazio” vacante.

Gig economy e diritti del lavoro

L’esempio di Uber Eats ha sollevato l’attenzione sulle questioni relative a un modello di lavoro basato su contratti flessibili e a chiamata, ma senza la tipica protezione dell’impiego tradizionale. Questo dibattito è destinato a intensificarsi e arricchirsi anche dal punto di vista normativo, per cercare un maggiore equilibrio tra flessibilità e sicurezza per i lavoratori temporanei.

Uber Eats e crescita sostenibile

Ma nella pratica, come e perché è stata raggiunta la decisione di uscire dal mercato? Lo studio circa la sostenibilità del business necessita di dati e indicatori che gli esperti di project management utilizzano per valutare le performance. Lo studio può includere analisi dei trend di crescita dei ricavi ma anche i costi necessari per acquisire clienti, le spese sostenute e le previsioni relative al mercato.

Come molte altre aziende della delivery, Uber Eats ha un modello di business con margini ristretti e a questo deve corrispondere necessariamente una crescita rapida e costante per coprire tutti i costi ed essere redditizio. In Italia, tuttavia, questo tipo di mercato è altamente competitivo e con protagonisti consolidati: la crescita così diventa più difficile.

E se la base di clienti di Uber Eats non sembra destinata a crescere in modo sufficientemente rapido o se l’acquisizione dei nuovi clienti rivela costi eccessivi (ad esempio attraverso sconti e promozioni che riducono ulteriormente i margini), la conseguenza è una ulteriore pressione sul profitto complessivo.

Cosa rimane di Uber Eats in Italia

Uber è la società madre che, prima di Uber Eats, si è inizialmente proposta come servizio di car sharing e quindi nel settore della mobilità, dove continua e continuerà ad essere protagonista anche nel nostro Paese. 

Uber garantisce diversi servizi che consentono agli utenti di prenotare viaggi in auto con un conducente direttamente da un’applicazione sullo smartphone, con la possibilità di scegliere anche la tipologia di aiuto. Anche questi servizi hanno dovuto affrontare diverse problematiche, tra cui si sono evidenziate le proteste da parte dei tassisti professionisti e la necessità di rispettare tutte le normative locali. L’azienda ha comunque continuato ad investire nel servizio di mobilità riconoscendo il potenziale di crescita. Ad esempio, in alcune città, gli utenti possono già scegliere di viaggiare con auto elettrica o ibrida ed inoltre l’azienda sta cercando ulteriori modalità per migliorare il proprio impatto ambientale.

L’uscita dal mercato di Uber Eats segna la fine di un’epoca ma il suo impatto sarà duraturo, offrendo riferimenti importanti sia nel settore della food delivery che della gig economy, per quanto riguarda le innovazioni nel mondo del lavoro flessibile e delle consegne a domicilio.

Il vuoto incolmabile che lascia Uber Eats nel nostro Paese

A dispetto di queste possibili prospettive, un senso di perdita pervade i cuori di tutti quegli italiani che hanno utilizzato la piattaforma in questi anni. La verità è che Uber Eats, con il suo servizio impeccabile e la sua presenza ubiqua, lascerà un vuoto che sarà difficile da colmare.

È un vuoto che va oltre la semplice assenza di un servizio di consegna cibo. È un vuoto che risuona con l’eco di momenti condivisi, di serate tra amici salvate da un pasto inaspettato, di incontri a tarda notte con il solo conforto di un pasto caldo portato alla porta. È un vuoto che parla di innovazione, di cambiamento, di una rivoluzione silenziosa ma palpabile nel modo in cui viviamo e consumiamo.

La partenza di Uber Eats è, in realtà, molto più di una perdita commerciale: è una ferita nell’anima del nostro Paese, un taglio profondo nel tessuto della nostra quotidianità. Si tratta di una perdita di ciò che era diventato un elemento così integrato nelle nostre vite da sembrare quasi scontato.

Non è solo una questione di convenienza, ma di connessione. Un po’ come un sentimento di familiarità, di un senso di comunità che viene meno. Un servizio che, pur essendo globale, ha sempre avuto il potere di farci sentire a casa, ovunque fossimo.

Certo, il mondo non si fermerà. Nuovi servizi emergeranno, vecchi servizi si adatteranno e la vita continuerà. Ma quel vuoto, quel senso di mancanza che Uber Eats ci lascia, sarà difficile da riempire.

E così, mentre ci prepariamo a dire “arrivederci” a Uber Eats, ricordiamoci di quello che era e di come ha cambiato il modo in cui mangiamo, di come ha unito le persone, di come ha toccato le nostre vite. Ricordiamoci di Uber Eats, non solo come un servizio di consegna di cibo, ma come un amico, un compagno, un pezzo del cuore del nostro Paese. Ad maiora!

Concludiamo questo articolo con la nota ufficiale pubblicata sul sito ufficiale, uber.com.

«Il nostro viaggio con Uber Eats è iniziato a Milano nel 2016. Nel corso di questi sette anni abbiamo raggiunto oltre 60 città in tutte le regioni italiane, lavorando con migliaia di ristoranti partner che hanno potuto beneficiare dei nostri servizi per ampliare la loro clientela e le loro opportunità di business, specie in periodi critici come quello dovuto al Covid. In questi sette anni migliaia di corrieri e delivery partner hanno avuto la possibilità di guadagnare attraverso la nostra app in modo facile e immediato. In questi anni, purtroppo, non siamo cresciuti in linea con le nostre aspettative per garantire un business sostenibile nel lungo periodo. Ecco perché oggi siamo tristi di annunciare che abbiamo preso la difficile decisione di interrompere le nostre operazioni di consegna di cibo in Italia tramite l’app Uber Eats. Il nostro obiettivo principale è ora quello di fare il possibile per i nostri dipendenti, in conformità con le leggi vigenti, assicurando al contempo una transizione senza problemi per tutti i nostri ristoranti ed i corrieri che utilizzano la nostra piattaforma. Nonostante questa difficile decisione vogliamo ribadire il nostro impegno verso l’Italia, che non intendiamo assolutamente abbandonare: questa decisione ci consentirà di concentrarci ancora di più sui nostri servizi di mobilità, dove stiamo registrando una crescita importante. Grazie al servizio Uber Black e all’accordo con It Taxi, infatti, ad oggi siamo presenti in 10 città italiane: negli ultimi 12 mesi oltre un milione di italiani e turisti ha utilizzato l’app Uber per muoversi nelle città dove operiamo e quasi 10 mila autisti, tra NCC e taxi, hanno avuto la possibilità di realizzare almeno una corsa sempre attraverso la nostra app. Non solo: dopo il lancio del servizio Taxi in Sardegna annunciato la settimana scorsa, prevediamo di aumentare ulteriormente la nostra presenza nel Paese e di lanciare quattro nuove città entro la fine dell’anno. Vogliamo ringraziare tutti quelli che, in questi anni, ci hanno dato la loro fiducia, collaborazione, affetto, dedizione e passione. Grazie a tutti.»

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The Family 2: scontri, rivelazioni e nuove prospettive su Canale 5

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