Salute e Benessere
Italiani sempre più celiaci, ecco le linee guida per...
Italiani sempre più celiaci, ecco le linee guida per diagnosi e terapia
224mila i casi diagnosticati, ma quelli stimati sono circa 600mila perché spesso la malattia è asintomatica
Aumentano gli italiani celiaci. Sono 224mila i casi diagnosticati, ma quelli stimati sono circa 600mila perché spesso la malattia è asintomatica. Per loro, ma soprattutto per i medici di famiglia e i pediatri, è in arrivo una roadmap per districarsi nella diagnosi e nella terapia. Questa mattina a Roma in Senato sono state presentate le Linee guida nazionali per la diagnosi e la terapia e il follow-up della malattia celiaca e della dermatite erpetiforme, promosse dalla Società italiana di gastroenterologia ed endoscopia digestiva (Sige) e pubblicate dall'Istituto superiore di sanità (Iss). Il documento punta ad aiutare i medici e gli specialisti ad intercettare e gestire i possibili pazienti celiaci che hanno necessità di una diagnosi e di iniziare una dieta senza glutine.
"Le malattie dell'apparato digerente rappresentano la terza causa per ricovero ordinario in Italia - ha spiegato Luca Frulloni, presidente Sige e professore ordinario di Gastroenterologia dell'Università di Verona - e hanno un notevole impatto anche sull'attività di medicina generale. La stesura delle linee guida sulle malattie gastrointestinali più frequenti rappresenta un tentativo di fornire a tutti i medici uno strumento idoneo per migliorare la diagnosi e la cura dei pazienti e per contenere la spesa sanitaria".
I punti chiave
Tra i punti chiave evidenziati dagli esperti che hanno curato le linee guida: "Non iniziare la dieta priva di glutine prima di completare l'iter diagnostico" ed "eseguire la corretta sierologia degli anticorpi antitransglutaminasi IgA e IgA totali", ma soprattutto "non fidarsi dei test delle intolleranze alimentari". Questo documento presentato oggi "sarà utile per i medici di medicina generale e per i pediatri - ha sottolineato la senatrice Elena Murelli, componete della Commissione Affari sociali, sanità e lavoro pubblico e privato del Senato e promotrice dell'Intergruppo parlamentare su malattia celiaca e allergie alimentari - Serve fare informazione attraverso i media perché a rendere difficile la vita ai celiaci è ancora la discriminazione. Molti li guardano con sospetto, pensando che la dieta senza glutine serva solo a dimagrire".
"In caso di sospetta malattia celiaca e quindi in presenza di sintomi, patologie autoimmuni associate o anche solo per familiarità, un prelievo di sangue per la ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi IgA, associato al dosaggio delle Immunoglobuline IgA totali, indicherà se eseguire la biopsia intestinale per la valutazione del danno atrofico intestinale”, continua Fabiana Zingone, docente associato di Gastroenterologia dell’Università di Padova e curatrice delle Linee guida insieme a Federico Biagi, docente ordinario di Gastroenterologia all’Università di Pavia.
"Raccomandiamo - prosegue Zingone - di eseguire questi esami a dieta libera, quindi non iniziare la dieta priva di glutine prima di completare l’iter diagnostico. In ogni caso, è importante rivolgersi a un centro di riferimento regionale per la malattia celiaca per la corretta interpretazione degli esiti. Per i bambini è possibile, in caso di anticorpi molto elevati, evitare la biopsia intestinale, ma questa strategia deve essere decisa solo da pediatri dei centri di riferimento per la malattia celiaca. Uno studio internazionale, coordinato dall’Italia e recentemente pubblicato, dimostra che la strategia di diagnosi senza biopsia è applicabile anche, in casi selezionati, alla popolazione adulta. In un prossimo futuro, è pertanto possibile che tale approccio verrà utilizzato anche in un sottogruppo di pazienti adulti”.
"Una volta diagnosticata la malattia celiaca - aggiunge la curatrice delle Linee guida - si raccomanda di continuare il follow-up in un centro dedicato. Nelle visite si valuterà la progressiva remissione dei sintomi, la negativizzazione degli anticorpi e la corretta aderenza alla dieta senza glutine. E' raccomandato, soprattutto nelle fasi iniziali, sottoporsi ad una valutazione dietistica per essere educati a una corretta dieta senza glutine. La biopsia intestinale non è sempre necessaria nel 'follow-up', viene in genere eseguita in caso di mancata risposta clinica e laboratoristica e nel sospetto di complicanze della malattia celiaca. Quest’ultime, seppur molto rare, richiedono una attenta valutazione in centri dedicati”.
"La dieta aglutinata, cioè priva di glutine, è il cardine della terapia della malattia celiaca. Tutti gli alimenti derivati da grano, orzo e segale contengono glutine. Il paziente celiaco va adeguatamente istruito per eliminare il glutine completamente e indefinitamente dalla dieta, senza sgarri o trasgressioni. Il rigore nella dieta non deve però diventare una ‘fobia delle contaminazioni’. Il paziente celiaco - sottolinea Biagi - ben informato e attento alla propria salute, non può ingerire involontariamente una dose tossica di glutine”.
Nuove terapie
"Negli ultimi anni - illustra la Zingone - la ricerca ha individuato dei farmaci che possano bloccare in diversi punti la cascata patogenetica, causa della malattia celiaca. I target sono diversi: dalla digestione delle frazioni tossiche del glutine alla inibizione di alcune tappe della infiammazione glutine-correlata. Alcuni di questi studi sono in corso anche in centri italiani. I risultati sembrano promettenti per alcuni farmaci, ma bisognerà attendere ulteriori risultati al fine di definire la popolazione target e le modalità di utilizzo nella pratica clinica".
"Le raccomandazioni sulla gestione della malattia celiaca, pubblicate nel sito web Sistema nazionale Linee guida dell’Istituto superiore di sanità, dopo un’accurata valutazione della qualità metodologica, rappresentano un punto di riferimento importante per i professionisti sanitari e i pazienti e i loro familiari, uno strumento utile per decisioni condivise e ponderate, basate sulle migliori prove di sicurezza, efficacia, efficienza ed equità, uno standard di qualità dell’assistenza", conclude Antonello Napoletano, ricercatore dell'Istituto superiore di sanità.
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Pressione alta, il ruolo del Dna: lo studio
Maxi-studio internazionale apre a diagnosi di precisione, cure su misura e all'identificazione di nuovi bersagli terapeutici
La pressione alta dipende certo dai cattivi stili di vita, ma sulla probabilità di ammalarsi di ipertensione - un fattore di rischio chiave per le patologie cardiovascolari - pesa anche il Dna. In un maxi studio sui dati di oltre un milione di persone, il più grande mai condotto finora sull'argomento, ricercatori e collaboratori dei National Institutes of Health-Nih americani hanno scoperto oltre 2mila regioni del genoma umano (loci genomici) legati alla pressione sanguigna, comprese 113 nuove regioni. Il lavoro è pubblicato su 'Nature Genetics' e secondo gli autori permetterà di capire meglio come viene regolata la pressione del sangue, nonché di identificare possibili bersagli per nuovi farmaci.
"Il nostro studio aiuta a spiegare una percentuale molto maggiore di differenze tra la pressione sanguigna di due persone rispetto a quanto precedentemente noto", afferma Jacob Keaton, sezione Informatica sanitaria di precisione del National Human Genome Research Institute (Nhgri), primo autore della ricerca alla quale hanno contribuito più di 140 scienziati di oltre 100 università, istituti e agenzie governative. I ricercatori sono riusciti anche a calcolare un punteggio di rischio poligenico, che combina gli effetti di tutte le varianti genomiche presenti in una persona, per prevederne la pressione e il pericolo ipertensione. "Conoscere il rischio di un paziente di sviluppare ipertensione potrebbe portare a trattamenti su misura, che hanno maggiori probabilità di essere efficaci", sottolinea Keaton.
Tra i nuovi loci genomici scoperti, molti si trovano in geni che svolgono un ruolo nel metabolismo del ferro, confermando precedenti evidenze secondo cui alti livelli di ferro possono contribuire alle malattie cardiovascolari, precisano gli autori. Gli scienziati hanno inoltre confermato l'associazione tra pressione sanguigna e varianti del gene Adra1A, che codifica per un recettore cellulare detto adrenergico, già target di farmaci per la pressione. Ecco perché gli autori ritengono che altre varianti genomiche individuate nella nuova ricerca potrebbero diventare bersagli farmacologici per sviluppare nuove terapie.
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Cardiologi: “Ecg con Ai è salto in avanti, screening...
Lo studio sull'efficacia dell'uso di nuovi Ecg con intelligenza artificiale nel prevenire i decessi individuando pazienti ad alto rischio mortalità, "ci dice che non si deve avere paura e non si deve essere scettici rispetto all'uso dell'Ai nella pratica clinica. Questa ricerca e altre del genere forniscono una indicazione importante sul tema della prevenzione. Se un medico, grazie appunto all'Ai, riceve un alert su un paziente specifico può dedicargli più attenzione, si può identificare uno scompenso cardiaco, si possono usare farmaci antiaritmici in modo selettivo, ma anche individuare aritmie maligne. L'Ecg intelligente ci permette un salto in avanti con uno screening più approfondito rispetto a quello che si esegue di routine, riducendo anche i costi e l'inappropriatezza". Così all'Adnkronos Leonardo De Luca, vice presidente Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, e direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia.
Rispetto alle innovazioni, in Italia "c'è un problema culturale", avverte De Luca. "Secondo un nostro censimento di tutte le strutture cardiologiche pubbliche, convenzionate e private presenti in Italia - spiega - parliamo di 790 strutture, solo nel 20% sono presenti strumenti di telemedicina, teleconsulto e telerefertazione. Il Pnrr doveva intervenire proprio su queste settore e sull'ammodernamento del parco tecnologico".
Il balzo tecnologico, favorito anche dall'Ai, può essere un rischio nel far aumentare la richiesta di offerta sanitaria 'hi-tech'? "C'è il rischio, come c'è un rischio di esagerare con l'interpretazione dei dati che arrivano dai vari software oggi a disposizione - risponde il primario di Cardiologia - Questo studio dimostra che proprio l'Ai applicata a un esame importante e ormai consolidato come l'Ecg può ridurre la mortalità del paziente ospedalizzato, ma c'è da considerare anche l'effetto Hawthorne, che accade quando c'è una variazione del comportamento in presenza di qualcuno che ti osserva. Questo - chiarisce - potrebbe essere accaduto nello studio quando il medico, che sa di partecipare a un ricerca, è più attento ai dati e all'osservazione clinica del paziente. Magari è più sensibile all'alert dell'Ai e interviene istantaneamente. Ma al di là di questa considerazione, davvero ormai con intelligenze artificiali che passano in rassegna milioni di dati e immagini in pochissimo tempo, siamo in presenza di una rivoluzione nel campo della cardiologia, e non solo".
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Nuovo cancro seno ereditario, Aiom: “Passo avanti per...
E' "un passo avanti importante sulla strada della diagnosi di precisione" lo studio dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, pubblicato su 'Jama Network Open', che ha scoperto una nuova forma ereditaria di cancro al seno, associata al gene Cdh1. A spiegare all'Adnkronos Salute il valore del lavoro dei senologi Ieo è Francesco Perrone, presidente dell'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e direttore dell'Unità Sperimentazioni cliniche dell'Istituto nazionale tumori Fondazione Pascale di Napoli.
In donne operate per un tumore lobulare del seno, gli autori hanno definito una nuova sindrome chiamata 'carcinoma mammario lobulare ereditario', associata a mutazioni patogenetiche del gene Cdh1. Una forma di cancro e che si differenzia integralmente - sottolineano i ricercatori - dalla classica sindrome del carcinoma mammario ereditario causata dalle note mutazioni dei geni Brca1 e Brca2. I cosiddetti 'geni Jolie', che hanno spinto l'attrice americana e più di recente la supermodella Bianca Balti a ricorrere alla chirurgia preventiva per scongiurare il rischio cancro. Per i senologi Ieo, "le donne con un tumore lobulare, con età sotto i 45 anni, o con storia familiare positiva o con tumore lobulare bilaterale, dovrebbero essere tutte testate per il gene Cdh1".
Su questo punto Perrone precisa: "Non faccio anticipazioni sui contenuti delle future linee guida Aiom, che sono frutto di un processo lungo e complesso, e che sono valide una volta approvate dall'Istituto superiore di sanità e pubblicate". Ciò premesso, lo studio dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi indica "una nuova potenziale possibilità di fare diagnosi di precisione", afferma l'oncologo. Le conclusioni del lavoro, puntualizza, aprono all'eventualità di "aggiungere, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico già disponibile per cercare di identificare tumori che hanno una causa ereditaria". Un'opportunità molto importante per i pazienti con mutazioni genetiche a rischio cancro, ma anche per i loro familiari, sui quali potrà essere cercata la stessa mutazione, valutando strategie personalizzate di prevenzione.
La nuova ricerca dell'Ieo, commenta il presidente Aiom, "è uno studio sicuramente importante su un tema molto importante che è quello delle forme ereditarie di cancro. In questo caso una forma di cancro della mammella, il carcinoma lobulare, che non è la più frequente", rimarca Perrone. L'oncologo si complimenta pertanto con gli autori anche "per la capacità di mettere insieme una grande casistica, iniziata prima del 2000", così da produrre risultati abbastanza 'pesanti' da poter sperare di orientare in futuro la diagnosi oncologica di precisione.
"Al momento - ribadisce il numero uno dell'associazione oncologi medici - mi sembra che il senso di questa pubblicazione possa essere quello di aggiungere potenzialmente, nei prossimi anni, qualcosa all'armamentario diagnostico di cui disponiamo per individuare i tumori con una causa ereditaria. Che ciò si potrà tradurre in una modifica della terapia o della prognosi è molto presto per dirlo, però è una cosa importante. Con i più noti e importanti 'geni Jolie' - ricorda infatti Perrone - quello che accade" già oggi "è che si fa una diagnosi di un tumore che è legato a un'anomalia di questi geni, e quindi si può poi discutere e ragionare anche per la prevenzione del cancro nei familiari che potrebbero avere la stessa mutazione. Un elemento, questo, molto importante".