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Corea del Sud, aumentano i giovani tra i 20 e i 30 anni che vogliono diventare genitori

Un numero crescente di coreani tra i 20 e i 30 anni sta attivamente pensando alla possibilità di creare una famiglia. A confermarlo sono i dati del Ministero nazionale per l’Uguaglianza di Genere e la Famiglia che ha pubblicato i risultati ottenuti da un sondaggio condotto tra giugno e luglio 2023. Secondo quanto emerso, sempre più giovani vorrebbero avere dei figli, così come è in aumento il desiderio anche nella fascia di età 40-50 anni. Ma scopriamo cos’è emerso.

Desiderio di genitorialità

Il sondaggio, svolto tra persone di età pari o superiore a 12 anni in 12.044 famiglie a livello nazionale dal 1 giugno al 31 luglio 2023, ha rivelato una tendenza in aumento nella percentuale delle generazioni più giovani in cui mariti e mogli condividono equamente la cura dei figli e le faccende domestiche, sebbene molte donne portino ancora un peso significativo.

L’indagine ha riportato che il 27,6% degli intervistati sui 30 anni e il 15,7% di quelli con meno di 30 anni hanno espresso la volontà di avere figli, segnando un aumento rispettivamente di 9,4 punti percentuali e 6,8 punti percentuali rispetto a tre anni fa. Questo desiderio, si scontra con una realtà oggettiva: un calo della natalità e conseguente diminuzione della popolazione. Secondo Statistics Korea, il tasso di fertilità totale della Corea è crollato al nuovo minimo trimestrale di 0,65 nel quarto trimestre del 2023.

A che età fare figli?

Ciò che però incuriosisce è il rapporto tra desiderio di genitorialità e età. Dalle interviste, è emerso che tra i trentenni, il 44,4% non è disposto ad avere figli, mentre tra quelli di età pari o inferiore a 30 anni la percentuale è al 19%. Ciò rappresenta una diminuzione rispettivamente di 10,3 punti percentuali e 13,5 punti percentuali. A questi numeri, si contrappone la fascia di età compresa tra i 40 e i 50 anni. Il 5,2% di quest’ultimi sarebbe disposto ad avere figli, in aumento di 1,1 punti percentuali. Gli intervistati disposti ad avere figli hanno affermato di volerne avere in media 1,5, come tre anni fa.

Il ruolo delle donne

Così come nel nostro Paese, è il ruolo delle donne, quando si parla di denatalità, ad essere al centro dell’attenzione. Il precariato lavorativo, l’idea che sia solo di loro competenza la cura della famiglia e della casa, così come l’abbandono del lavoro dopo la gravidanza, sono problemi comuni alla Corea del Sud. Lì, la percentuale di mogli che si assumono la piena responsabilità dei lavori domestici è pari al 73,3%, rispetto all’1,4% dei mariti.

La percentuale di mariti e mogli che condividono i lavori domestici è pari al 25,3%. Si attesta al 56,4% per le coppie di età pari o inferiore a 30 anni e al 44,1% per le coppie di 30 anni. Tuttavia, il rapporto è pari al 25,7% per le coppie di 40 anni, al 20,2% per quelle di 50 anni, al 18,8% per quelle di 60 anni e al 18,6% per quelle di 70 anni.

La cura dei figli

Un modello simile è stato osservato per quanto riguarda la condivisione delle responsabilità di cura dei figli. Rispetto ai dati del ministero risalenti a tre anni fa, un miglioramento è avvenuto. La percentuale di equa condivisione è aumentata in nove categorie relative alla gestione dei figli, compresa la gestione degli studi dei bambini e il trascorrere del tempo giocando con loro.

Le responsabilità maggiori, però, come preparare i pasti, prepararsi per uscire e portare i bambini in ospedale quando sono malati, sono ancora assunte prevalentemente dalle donne. Un significativo 78,3% rispetto al 77,3% di tre anni fa.

“I bassi tassi di natalità e l’invecchiamento della popolazione hanno cambiato le strutture familiari e creato nuove richieste di servizi – ha affermato il viceministro per l’uguaglianza di genere e la famiglia Shin Young-sook, come riporta The Korea Times -. Risponderemo in modo rapido e flessibile a queste nuove richieste per allinearci all’obiettivo del governo di realizzare una società in cui nessuno sia emarginato”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Asili nido, varato un nuovo piano da 734,9 milioni di euro

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Nuovo passo avanti nel settore degli asili nido italiani. Con la firma del decreto per un nuovo Piano del valore di 734,9 milioni di euro, da parte del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, il governo si impegna a potenziare e migliorare l’offerta educativa sin dalla prima infanzia, in linea con gli obiettivi strategici del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Questo nuovo piano non solo mira ad aumentare il numero di posti negli asili nido, ma anche a offrire un supporto concreto alle famiglie, riconoscendo l’importanza cruciale di fornire servizi educativi di qualità fin dai primi anni di vita dei bambini. Le risorse per questo progetto derivano sia da economie del precedente piano, varato solo un anno fa, sia da fondi aggiuntivi recuperati nel bilancio ministeriale.

Il Ministro Valditara ha sottolineato l’importanza strategica di questo investimento, non solo per il sistema scolastico, ma anche per la società nel suo complesso. “Il nostro obiettivo è ampliare un servizio fondamentale per ridurre le disparità dei punti di partenza, venendo incontro nel contempo alle esigenze delle famiglie e in particolare delle donne, a cui offriamo uno strumento in più per la conciliazione tra lavoro e maternità”, dichiara il ministro che ha, inoltre, enfatizzato l’importanza della semplificazione delle normative e delle procedure, nonché del sostegno continuo alle amministrazioni coinvolte. Parallelamente all’allocazione delle risorse, infatti, il governo si impegna a semplificare le norme e le procedure amministrative.

I dettagli del decreto

Il decreto non solo stabilisce l’ammontare delle risorse disponibili, ma definisce anche in maniera dettagliata i criteri di ripartizione di tali risorse tra i Comuni. Questi criteri includono dati demografici, come la popolazione residente e il numero di bambini nella fascia di età 0-2 anni, nonché l’attuale copertura del servizio negli asili nido.

Inoltre, il decreto tiene conto dei progetti finanziati con il precedente bando e considera l’incremento complessivo dei prezzi, nonché le valutazioni della Commissione europea effettuate durante la verifica della milestone europea del PNRR nel giugno 2023. Questi dati sono stati utilizzati per definire un costo parametrico applicabile sia alla realizzazione di nuovi asili nido che alla riconversione di edifici e immobili non destinati ad asili.

I criteri sopra descritti hanno consentito di individuare un elenco di Comuni beneficiari e di quantificare l’importo spettante in base al numero minimo di posti da attivare. Inoltre, tutte e 14 le città metropolitane avranno a disposizione una quota di risorse per attivare e potenziare gli asili nido, indipendentemente dal livello di copertura già raggiunto per la fascia di età 0-2 anni.

Per ottenere l’autorizzazione agli interventi previsti, sarà avviata una procedura di adesione per i Comuni inclusi nell’elenco. Tuttavia, anche i Comuni più piccoli e con una minore popolazione residente nella fascia di età 0-2 anni avranno la possibilità di candidarsi. Possono farlo aggregandosi con Comuni limitrofi mediante convenzioni, al fine di garantire una gestione congiunta più efficace e sostenibile del servizio. Questo approccio favorisce una distribuzione equa e una gestione ottimale delle risorse disponibili, assicurando che anche le comunità più piccole possano beneficiare dei vantaggi del nuovo Piano per gli asili nido.

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Anno scolastico ‘in cammino’ per l’Italia

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Vuoi vivere un’esperienza scolastica indimenticabile, che ti porterà a esplorare l’Italia come mai prima d’ora? Allora Strade Maestre è ciò che fa per te! Aperte le iscrizioni per il prossimo anno scolastico, questo innovativo progetto educativo ti porterà in un viaggio attraverso le meraviglie dell’Italia, unendo studio e avventura in un’unica esperienza straordinaria.

Cos’è ‘Strade Maestre’

Si tratta di un’iniziativa promossa dalla cooperativa sociale CamminaMenti, che ha l’obiettivo di rivoluzionare il concetto stesso di educazione, portando 15 studenti in un viaggio di apprendimento lungo oltre mille chilometri attraverso 13 regioni italiane.

Il cuore di questo progetto è l’idea di un’aula senza confini, dove le lezioni non sono confinate tra quattro mura, ma si svolgono mentre si cammina lungo sentieri, attraversando città e piccoli paesi, siti di interesse storico e archeologico, imprese, scuole e associazioni. Gli insegnanti? Saranno le guide escursionistiche ambientali di Aigae, esperte del territorio e pronte a trasformare ogni tappa di questo viaggio in un’opportunità di apprendimento unica.

L’itinerario prevede come prima tappa Orvieto, a settembre 2024, e si concluderà in Veneto a fine maggio 2025, passando per Lazio, Sicilia e Sardegna e risalendo poi dalla Calabria, Basilicata e Puglia, Marche e Umbria, Campania e Abruzzo, Toscana ed Emilia-Romagna.

Il programma di Strade Maestre prevede un mix equilibrato tra giornate di cammino e giornate residenziali, durante le quali gli studenti avranno l’opportunità di confrontarti con coetanei provenienti dalle scuole locali e di interagire con esperti del territorio. Sarà un’occasione per imparare non solo dalle lezioni in aula, ma anche dalla natura circostante e dalle comunità che si incontreranno lungo il percorso.

E le materie? Strade Maestre copre un’ampia gamma di discipline, dalle scienze alla storia, dalla geografia alla matematica. Le guide-insegnanti sono specializzate in diverse aree del sapere, pronte a trasmettere conoscenze e competenze in modo coinvolgente e stimolante.

Ma non è tutto! Grazie al supporto di Aigae, partner principale del progetto, Strade Maestre offre anche un aiuto concreto alle famiglie con redditi bassi, mettendo a disposizione uno zaino di studio per garantire a tutti l’accesso a questa straordinaria opportunità educativa. ‘Strade Maestre’ si rivolge a giovani che devono iscriversi, nell’anno scolastico 2024-2025, alla terza o alla quarta classe della scuola secondaria di secondo grado. Le iscrizioni sono aperte sino alla fine di maggio.

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Un professionista su 4 pronto a ‘scappare’ all’estero

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Negli ultimi anni, lavorare all’estero è diventata un’opzione sempre più allettante per molti professionisti in cerca di nuove opportunità di crescita. La globalizzazione, il lavoro remoto e l’evoluzione tecnologica hanno contribuito ad aprire nuove porte per i talenti provenienti da tutto il mondo.

Secondo il rapporto annuale ‘Decoding Global Talent’ del 2024, condotto da Boston Consulting Group (BCG), The Network e The Stepstone Group, il 23% dei professionisti ha attivamente cercato opportunità lavorative all’estero, mentre il 63% si è mostrato interessato a una possibile trasferta internazionale, seppur con un lieve calo rispetto agli anni precedenti.

Questo studio ha coinvolto 150.000 persone provenienti da oltre 180 Paesi, evidenziando un aumento della mobilità attiva rispetto agli anni precedenti. Ad esempio, il 23% degli intervistati si è detto propenso e attivo nella ricerca di un trasferimento, mentre il 21% ha manifestato un interesse più passivo, ma pur sempre aperto a un cambiamento. Infine, il 19% ha considerato la mobilità come un’opzione da prendere in considerazione solo in situazioni estreme.

Le destinazioni più ambite

Quali sono le mete più ambite per i professionisti in cerca di nuove sfide e opportunità lavorative? L’Australia si conferma al vertice della lista, seguita dagli Stati Uniti, dal Canada e dal Regno Unito. Questi Paesi anglofoni e con economie robuste esercitano un fascino irresistibile grazie alle loro prospettive professionali e alla qualità della vita offerta. Tuttavia, non sono gli unici ad attirare l’attenzione: Germania, Svizzera, Giappone e Singapore emergono come destinazioni altrettanto allettanti per i professionisti in cerca di nuove esperienze.

Diversi sono i fattori che rendono un Paese attraente per i lavoratori internazionali: oltre al progresso professionale, che rimane un punto di riferimento importante per il 68% dei professionisti interessati all’Australia e al 77% per gli Stati Uniti, vi sono anche considerazioni sulla qualità della vita, il costo della vita, la sicurezza, la stabilità e la presenza di un ambiente inclusivo e familiare. La facilità di accesso ai visti e ai permessi di lavoro gioca altresì un ruolo fondamentale nella decisione di intraprendere un trasferimento all’estero.

Per quanto riguarda le città più allettanti per i professionisti, Londra continua a detenere il titolo di metropoli più affascinante grazie alla sua diffusa conoscenza della lingua e alla sua vasta rete globale di opportunità. Seguono Amsterdam, Dubai e Abu Dhabi che mantengono un forte appeal. Non mancano però nuove entrate nella top 30, tra cui spiccano Bangkok (17° posto), Chicago (24°) e Atene (27°). New York, giunta al quinto posto, registra un significativo aumento di tre posizioni rispetto al 2020.

Le persone provenienti da Paesi con un surplus di manodopera, legato a tassi di natalità elevati, dimostrano una maggiore propensione alla mobilità rispetto a quelle che vivono in regioni con una forza lavoro in declino. Ad esempio, il 64% dei lavoratori nel Medio Oriente e in Africa è attivamente incline a trasferirsi, mentre le percentuali sono notevolmente più basse in Nord America (16%) ed Europa (10%).

Nuove prospettive professionali

La ricerca di nuove prospettive professionali è uno dei motivi principali che spingono i talenti a considerare un trasferimento all’estero. Questo va oltre il semplice stipendio, includendo anche la possibilità di crescita professionale e di apprendimento. Le motivazioni che spingono i lavoratori a emigrare sono variegate, spaziando dalla ricerca di migliori opportunità professionali alla ricerca di una migliore qualità della vita complessiva. Rispetto al passato, i lavoratori sono sempre più influenzati da aspetti legati al valore aziendale, come il buon clima lavorativo, lo sviluppo delle competenze e la flessibilità organizzativa.

La scelta delle mete più ambite riflette una combinazione di opportunità professionali, qualità della vita, sicurezza e stabilità, oltre a considerazioni pratiche come l’accesso ai servizi sanitari e la facilità di ottenere visti e permessi di lavoro. Tra i motivi che spingono i lavoratori a spostarsi in un Paese emergono due fattori importanti: la qualità della vita e la qualità delle opportunità di lavoro. Quest’ultima è da considerare in modo diverso rispetto allo stipendio tout court, includendo la possibilità di crescita professionale e l’apprendimento applicato alle proprie competenze.

Le scelte dei lavoratori sono sempre più guidate da aspetti della employer value proposition che indirizzano bisogni più emozionali rispetto al passato. Questo emerge anche da altre ricerche: il buon clima aziendale, il rapporto con i colleghi, lo sviluppo delle competenze e la flessibilità nell’organizzazione del lavoro sono elementi che oggi rivestono una grande importanza, mentre dieci anni fa non erano così significativi.

Dalla volontà di migliorare la propria qualità di vita alla ricerca di nuove prospettive professionali, le motivazioni che spingono i talenti a considerare il trasferimento all’estero sono varie e complesse. I professionisti si aspettano un supporto concreto dai loro futuri datori di lavoro, che vada oltre lo stipendio. Questo include assistenza per l’alloggio, il visto, la ricollocazione e il supporto linguistico. Con una comprensione approfondita di queste dinamiche e un ruolo attivo di governi e istituzioni, la disponibilità alla mobilità dei talenti e la necessità delle aziende di attrarre i migliori possono incontrarsi attraverso strategie efficaci e soddisfacenti per tutte le parti interessate.

Il contesto italiano

L’indagine ha coinvolto un campione significativo di partecipanti italiani, distribuiti in modo equo tra uomini e donne, con varie sfaccettature di istruzione, esperienze lavorative e status abitativo. Risulta che il 15% degli intervistati italiani sia attivamente interessato a lavorare all’estero, un dato in linea con il 17% registrato nel 2018, ma in netto calo rispetto al 57% del 2020, anno segnato dalla pandemia da Covid-19, che ha probabilmente influenzato tale tendenza. Tra i giovani sotto i 30 anni, la percentuale sale al 20%, mentre per coloro con laurea, master o dottorato, arriva al 24%.

La meta preferita per gli italiani rimane la Svizzera, seguita dalla Spagna, che sta guadagnando interesse e surclassando il Regno Unito. Seguono poi Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Australia, Canada, Austria e Olanda. Le ragioni che spingono verso un trasferimento all’estero includono offerte di lavoro concrete (67%) e fattori economici (66%), ma anche il desiderio di migliorare la qualità complessiva della vita (62%) e di crescere personalmente (55%). Al contrario, per coloro che scelgono di restare in Italia, le motivazioni principali includono l’impossibilità di portare con sé familiari o partner (54%), il forte legame affettivo con il Paese (26%) e il costo associato alla ricollocazione (25%).

L’indagine mette in luce una percezione di complessità burocratica in Italia, soprattutto riguardo ai permessi di soggiorno e ai visti. La struttura fiscale e contributiva risulta particolarmente gravosa per i lavoratori altamente qualificati con compensi elevati, che potrebbero trovare altrove regimi fiscali più vantaggiosi. Anche la lingua rappresenta un ostacolo, dato che l’inglese non è diffusamente parlato come in altri paesi europei, e coloro che aspirano a una carriera internazionale devono farne uso come lingua di comunicazione principale. Nonostante ciò, l’Italia rimane attraente in settori come la moda, il design e la manifattura, ma meno per quelli ad alto contenuto tecnologico.

A livello globale, l’Italia si posiziona al 12° posto per attrattività lavorativa complessiva, perdendo una posizione rispetto al 2020. Risulta allettante soprattutto per coloro che provengono da Argentina (19%), Egitto (11%), Marocco, Romania e Tunisia (10%). La qualità della vita è indicata come motivo principale per il 72% dei rispondenti italiani, seguita dalle opportunità lavorative e da una cultura accogliente e inclusiva (45%), dal costo della vita (34%) e da un ambiente family-friendly (33%). Gli italiani si aspettano anche un sostegno concreto dai futuri datori di lavoro, in particolare per quanto riguarda l’alloggio (78%), i visti e i permessi di lavoro (63%), così come per la ricollocazione generale (59%) e l’apprendimento della lingua (59%).

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