Salute e Benessere
Dengue, la zanzara tigre si risveglia. “Priorità...
Dengue, la zanzara tigre si risveglia. “Priorità combatterla ora”
Sara Epis (Statale Milano): "Già circola a Roma e al Sud, ce l'aspettiamo a fine mese a Milano". Sulla 'geografia' degli insetti ronzanti incide anche il climate change. Che specie ronzano oggi nel capoluogo lombardo? "Anche specie rare, possibili vettori di virus". Mentre le rurali coreana e giapponese snobbano la metropoli
La tigre si sta risvegliando. Non il felino, ma la zanzara. E' già stata segnalata nel Sud Italia e a breve gli esperti si aspettano di avvistarla anche più a Nord, a Milano. Sotto i riflettori da quando è scattata l'allerta Dengue, sulla scia della situazione emergenziale che stanno vivendo in Sudamerica, l'Aedes albopicuts, vero nome scientifico della zanzara tigre, sta entrando nella sua stagione. Ed è per questo che "è una priorità ridurre tempestivamente il numero di zanzare che possono essere potenziali vettori di virus in generale". A tracciare un quadro della situazione ad oggi è Sara Epis, professore associato di parassitologia all'università degli Studi di Milano. Missione: 'mappare' con la squadra di colleghi del gruppo Entopar l'insetto ronzante, per un censimento completo di questa popolazione invisibile che abita la Penisola.
Nel capoluogo lombardo, spiega all'Adnkronos Salute, "al momento la zanzare tigre non è ancora stata segnalata. Non è presente perché ancora le notti sono piuttosto fredde. Diversamente al Sud. Già per esempio a Roma questa specie sta circolando, tant'è che la Capitale è partita con le campagne di disinfestazione e di controllo in città. Ovviamente dipende sempre molto dalle condizioni climatiche, ma ci aspettiamo che entro la fine del mese le zanzare tigre comincino a circolare anche da noi. E infatti a fine aprile cominciamo la nostra attività di monitoraggio, che avevamo già avviato nel contesto del Progetto Musa" - Multilayered Urban Sustainable Action, maxi progetto finanziato con fondi del Pnrr che coinvolge diversi atenei e studia in più dimensioni come trasformare l'area metropolitana di Milano per migliorare il benessere delle persone e la sostenibilità.
Chi si sta già facendo sentire è invece la zanzara Culex pipiens, la nostra zanzara notturna, importante vettore del virus West Nile. "Sta già circolando, ne abbiamo già trovata qualcuna nella città di Milano, qualche adulto presente", riferisce Epis. Quanto alla zanzara tigre, quest'anno temuta più che mai nel Belpaese, "è una specie ben diffusa nell'area urbana - dice l'esperta - Questa è una zanzara che si adatta molto bene alle diverse condizioni e agli ambienti domestici, basta poca acqua perché possa deporre le sue uova. Quindi i sottovasi, i secchi lasciati sui balconi o nei giardini, oppure tutte quelle aree che hanno dei ristagni d'acqua nei parchi presenti in città sono ambienti favorevoli allo sviluppo. E' una zanzara che dunque non necessita di particolari situazioni" per 'prosperare'.
Qualche quartiere milanese risulta in genere domicilio prediletto della zanzara tigre, e quindi più infestato di altri? "Noi stiamo lavorando in diversi siti e la sua distribuzione è piuttosto omogenea su tutto il territorio - osserva l'esperta - Ovviamente l'anno scorso durante l'estate nelle zone dove vengono fatte importanti campagne di disinfestazione ne abbiamo catturate un numero limitato. Mentre invece abbiamo lavorato in particolare nelle zone come gli orti botanici, dove sono state segnalate, quindi comunque nel centro della città". Insomma, ogni Cap della metropoli può andar bene per loro. I metodi che in genere si usano per controllare le popolazioni di zanzare e su cui si punta molto in questo momento "sono l'utilizzo di insetticidi e l'utilizzo di larvicidi, in particolare quelli a base di Bacillus thuringiensis, sistema ecocompatibile ed efficace che può essere utilizzato anche a livello domestico per uccidere le larve in maniera selettiva. E' quello che prevede il Piano nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle arbovirosi".
Finora, prosegue l'analisi di Epis, "non abbiamo per fortuna segnalazioni della zanzara Aedes aegypti, che è il vero vettore di Dengue e di Zika. Però - puntualizza - questa è comunque presente in alcuni Paesi che si affacciano sull'area del Mediterraneo. E' stabilmente presente in Portogallo sull'isola di Madeira, nel Mar Nero, a Cipro", elenca. "E per questo è particolarmente 'attenzionata'. Per fortuna è una zanzara che non supera gli inverni, cioè non resiste alle basse temperature. Quindi perlomeno in tutto il Nord Italia è difficile che si stabilizzi". A meno a che, è il monito di diversi esperti, il climate change non metta scompiglio in futuro nel meteo tricolore. Tornando al presente della lotta alle zanzare già 'di casa', "priorità assoluta è garantire una protezione completa delle aree, limitando i focolai di sviluppo mediante interventi di prevenzione e trattamenti con larvicidi. E - ribadisce Epis - invitare i cittadini a contribuire a queste strategie di controllo, perché il Comune può fare la sua parte, però se i giardini privati, i balconi, gli orti hanno ristagni d'acqua, diventa molto difficile cercare di limitare il numero" di questi insetti. "E' davvero fondamentale ridurre la quantità di zanzare che poi possono essere potenziali vettori di virus in generale".
I fatti di cronaca parlano chiaro. "E' già scattato l'allarme un po' ovunque, soprattutto in relazione a ciò che sta succedendo in Sudamerica, dove il sistema sanitario è veramente sotto pressione", conferma Epis. Dengue "non avrà lo stesso impatto da noi - rassicura - perché non abbiamo così tante persone infette e così tante zanzare come nelle zone tropicali, ma serve attenzione". "Già, a mio avviso - commenta - si sta cercando di fare più di quanto si faceva in passato. Abbiamo interventi specifici previsti dal ministero della Salute, dagli istituti zooprofilattici sperimentali. Però non è mai abbastanza. I casi ci sono. Ed è importante che anche i ricercatori e l'università contribuiscano. E che i cittadini diano una mano".
EFFETTO CLIMATE CHANGE - Le zanzare intanto stanno cambiando 'casa'. Ed è un po' colpa anche del climate change. Il nodo del cambiamento climatico viene chiamato in causa da molti esperti anche per approfondire il trend che sta portando malattie un tempo definite tropicali a ben altre latitudini. "Il cambiamento climatico - spiega Epis - impatta sulla fisiologia, sul comportamento, sul ciclo vitale e quindi anche sulla distribuzione geografica delle diverse specie di zanzare. E questo è sicuramente uno dei fattori che sta influenzando tanto la diffusione di specie autoctone e di specie aliene come possono essere per esempio la Aedes japonicus o l'Aedes koreicus", cioè le zanzare giapponese e coreana, "che si sono adattate molto bene ai nostri climi".
LE SPECIE RARE DI MILANO - All'ombra della Madonnina una 'babele' di lingue, e di ronzii. Milano, metropoli cosmopolita, non poteva non avere il suo 'melting pot' di zanzare. Quali specie hanno eletto il capoluogo lombardo a proprio domicilio? "Abbiamo già iniziato di nuovo le nostre attività per cercare di capire se riconfermiamo le specie 'censite'. Fra quelle che abbiamo identificato nelle zone urbane della città, domina ovviamente la zanzara tigre" e c'è anche "la Culex pipiens", la zanzara comune, molto attiva in orari notturni e già 'al lavoro'. Ma "parlando della biodiversità nella città di Milano, la cosa interessante è che l'anno scorso, facendo il nostro lavoro di monitoraggio (che riprenderemo a breve), abbiamo visto che ci sono anche specie abbastanza rare nella nostra metropoli, che potrebbero essere comunque considerate dei vettori competenti di virus per l'uomo".
Epis traccia la 'mappa' delle zanzare di città. L'esperta con la squadra di colleghi del gruppo Entopar (Agata Negri e Irene Arnoldi in particolare), nell'ambito del progetto Pnrr Musa, lavora a un censimento completo del popolo di insetti pungenti. Attività che ha riservato delle sorprese, come appunto l'avvistamento di specie rare, su cui è in preparazione una pubblicazione scientifica. "Si tratta di specie che a Milano non sono sicuramente mai state segnalate", accenna l'esperta. Da dove arrivano? "Sono già presenti sul nostro territorio - precisa - però sono specie rare che non ci aspettavamo di trovare in un ambiente urbano come quello di una metropoli". Praticamente zanzare in trasferta. "Ovviamente vanno monitorate, sono già popolazioni stabili che però occupano particolari ambienti e quindi non ci si aspetta si espandano più di tanto", dice Epis.
Mentre si attende il risveglio dell'Aedes albopictus (zanzara tigre) anche nelle città più fredde del Nord, la Culex sta già circolando. "Non sono invece presenti a Milano città, al momento, quelle specie invasive più resistenti come la zanzara coreana e la zanzara giapponese (Aedes koreicus e Aedes japonicus), che sono quelle su cui noi poniamo particolare attenzione. Entrambe sono presenti in altre città della Lombardia, in particolare nel Nord Italia. Sopravvivono molto bene nelle condizioni climatiche più fredde, ed è già da marzo che le stiamo osservando e raccogliendo - segnala Epis - Sono zanzare più rurali e ad oggi non sono state ancora trovate nella metropoli" meneghina.
A livello di numerosità di popolazione, dare una quantità delle zanzare milanesi "è ovviamente difficile - sorride la ricercatrice - La sensazione è che ce ne siano numericamente meno rispetto alle città del Sud, o a una città come Roma, ma è difficile dirlo. Rispetto al passato sicuramente ce ne sono di più, soprattutto perché abbiamo queste specie invasive aliene che ormai sono diventate autoctone, come la zanzara tigre, che fino a vent'anni fa non era presente".
Salute e Benessere
Ospedale del futuro, Petralia (Fiaso): “Con...
Al congresso Aiic, 'digitalizzazione e Ai per una presa in cura unitaria'
Il futuro dei nostri ospedali "parte qui e ora, da ciascuno di noi che ci aspettiamo di essere presi in cura, prima ancora che essere curati. Gli ospedali non sono stati sempre soltanto luoghi di auspicabile guarigione, di cura di malattie, ma sono nati come luoghi di accoglienza, di ospitalità per viandanti e pellegrini. Con l'avanzare della tecnologia e della scienza sono diventati percorsi, spazi, prospettive di presa in carico e di cura", e in questo "un ruolo importante è giocato dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale". Così Paolo Petralia, vicepresidente vicario Fiaso e direttore generale Asl 4 Liguria, questa mattina a Roma, ha descritto l'evoluzione dell'assistenza ospedaliera al Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic) in corso nella Capitale fino a sabato.
Si tratta di "un modello di ospedale che sempre di più va verso il territorio - continua Petralia - e di territorio che va verso l'ospedale in una logica di circolarità e non di esclusività", che supera il concetto di "integrazione ospedale-territorio. Abbiamo bisogno di parlare di un percorso per le persone, di una presa in cura unitaria e che vada dall'ospedale al setting assistenziale intermedio e al domicilio, in una logica di continuità di assistenza e cura". Oltre ad essere un luogo "bello", nell'ospedale del futuro "non si è costretti a dover condividere la camera con altre persone e, grazie alla tecnologia", ci sarà "la virtualizzazione dei posti letto - spiega l'esperto - e non sarà più necessario dover dormire in ospedale per essere curati" perché, con la condivisione dei dati, "l'assistenza sarà fornita al bisogno, a domicilio". A livello tecnologico, "l'intelligenza artificiale potrà affiancare e sostenere gli operatori, ma anche i pazienti nell'esperienza di permanenza in ospedale per ottenere risposte che sono avanzate dal punto di vista dei contenuti clinici, ma anche sostenibili e gradevoli dal punto di vista della modalità con cui vengono erogati".
A fronte di un patrimonio edilizio ospedaliero spesso obsoleto, "possiamo immaginare, nel tempo, di riuscire" a lavorare per trasformare gli edifici attuali in "building adeguati in termini di struttura - conclude Petralia - che risparmino energia, che siano green, automatizzati, efficienti dal punto di vista dei percorsi, ma anche degli spostamenti, in una logica che dal monoblocco ritorna a padiglioni piccoli, immersi nel verde, capaci di essere flessibili nel loro utilizzo, come la pandemia ci ha insegnato".
Salute e Benessere
Ospedale del futuro, l’esperto: “Flessibile,...
Al congresso Aiic, 'organizzazione per intensità di cura'
"L'ospedale del futuro dovrà essere flessibile, modulare - anche perché, ci ha insegnato il Covid, ci può essere necessaria una riconfigurazione rapida dei posti letto - molto digitale, con intelligenza artificiale, senza reparti, con pochi professionisti" supportati al meglio, "in modo che il lavoro che adesso viene fatto da tanti in futuro venga fatto da pochi, e accogliente", con "tanto verde". Lo ha detto Giovanni Guizzetti, ingegnere clinico e direttore sociosanitario Asst Ovest Milanese, intervenendo questa mattina alla sessione dedicata all'ospedale del futuro, durante il Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic), a Roma fino al 18 maggio.
"Per capire quale possa essere il futuro dell'ospedale - continua Guizzetti - dobbiamo capire qual sarà il futuro di tutte le assistenze sanitarie del cittadino e, quindi, anche come si arriverà alla trasformazione della sanità domiciliare e la sanità territoriale. L'ospedale del futuro dovrebbe essere un ospedale in cui, ad esempio, il paziente cronico non accede, se non in casi rarissimi". Tra le novità più importanti, spicca il fatto che non ci sarà una differenziazione fra un reparto e l'altro, ma in base all'intensità di cura. E servirà più contatto con la natura, quindi aree verdi, perché "questo, è dimostrato ampiamente, contribuisce anche al maggior benessere del paziente". Nell'ospedale del futuro "ci saranno molte camere singole", almeno la metà dei posti letto, "non solo per un maggiore comfort del paziente - precisa Guizzetti - ma anche perché questo permette di controllare meglio le infezioni ospedaliere. Soprattutto sarà un ospedale molto digitale, in cui le applicazioni di intelligenza artificiale senz'altro supporteranno tutto il processo di diagnosi e cura. Si è citato addirittura un ospedale senza posti letto, perché l'ospedale diventa il concentratore della sanità domiciliare, di pazienti che sono monitorati a casa loro e gestiti centralmente da una struttura in cui, professionisti multidisciplinari, gestiscono il paziente che si trova, invece, a domicilio".
La trasformazione "in realtà è già in corso - avvisa l'esperto - Non ce ne stiamo accorgendo, ma nel mondo ci sono già degli esempi. In Italia abbiamo tanti, troppi ospedali piccoli, che costano molti soldi di gestione e non permettono agli ospedali più avanzati di poter essere adeguatamente supportati. Certo, resta la necessità di avere una prossimità dell'ospedale, ma se consideriamo" l'evoluzione tecnologica e l'aumento "dei trasporti con mezzi a guida autonoma", è facile intuire che "anche l'accesso al luogo di cura, anche in modo autonomo", sarà una realtà.
Salute e Benessere
Medicina, studio italiano: chi è seguito da cardiologo ha...
Studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso dell'Anmco
Il cardiologo può allungare la vita. "Essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus. I cardiologi possono fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti". E' il risultato studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso nazionale di Cardiologia dell’Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, in corso a Rimini. "Il 'Bring-up Prevenzione' - spiega il Furio Colivicchi, past president Anmco e direttore Cardiologia clinica e riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma - ha finora incluso 4.790 pazienti provenienti da 189 centri cardiologici distribuiti su tutto il territorio nazionale. Si tratta di pazienti con storia di pregresso infarto o malattia coronarica o malattia ostruttiva degli arti inferiori o patologia cerebrovascolare. Da un’analisi preliminare dei dati raccolti, l’età media di questa popolazione è 67 anni ed il 20% è di sesso femminile. Dati allarmanti sono quelli correlati alla prevalenza dell’obesità, il 20% di questi pazienti sono obesi, e del fumo di sigaretta, infatti il 21% è fumatore".
"In generale, una percentuale significativa di pazienti, pur avendo una precedente diagnosi di malattia cardiovascolare, non ha una ottimale gestione di fattori di rischio, come appunto l’obesità e il fumo di sigaretta. Possiamo quindi migliorare la gestione di questa popolazione di pazienti - avverte Colivicchi - Fondamentale a tale scopo è la consapevolezza del rischio di nuovi eventi come infarto ed ictus ascrivibili a fumo, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e obesità. Inoltre, il 27% dei pazienti inclusi nello studio 'Bring-up Prevenzione' sono diabetici e nell’11% dei casi hanno una malattia renale cronica. Sebbene sia noto che il colesterolo è il fattore causale delle malattie aterosclerotiche, le statine, trattamento di prima linea per questi pazienti, erano impiegate inizialmente solo nel 68% dei pazienti prima della visita cardiologica. Dopo il controllo cardiologico la percentuale è salita al 98%. Questa variazione è espressione del fatto che essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus".
"I cardiologi possono quindi fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti. Ulteriori informazioni preziose verranno poi fornite da una dettagliata analisi della gestione terapeutica complessiva di questa popolazione di pazienti, che sarà disponibile alla conclusione dello studio", conclude Colivicchi.