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Hamas rifiuta offerta su ostaggi e tregua, Israele richiama...

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Hamas rifiuta offerta su ostaggi e tregua, Israele richiama negoziatori dal Qatar

Il ministro degli Esteri israeliano: "Risoluzione Onu? Errore morale lasciarla approvare. Ora mantenere militarmente nostri obiettivi". Raid su Rafah, "almeno 18 morti"

Ostaggi israeliani rapiti da Hamas - Afp

Israele richiama la sua squadra negoziale dal Qatar dopo che Hamas ha rifiutato la sua ultima offerta nei colloqui per un accordo sugli ostaggi e una tregua. A scriverne sono i media israeliani. In una dichiarazione, l'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu afferma che la posizione di Hamas è "una prova evidente del suo disinteresse a continuare i colloqui, e una triste testimonianza del danno causato dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite", riferendosi all'appello per un cessate il fuoco a Gaza approvato ieri sera. "Israele non cederà alle richieste deliranti di Hamas", aggiunge.

I negoziati per una tregua a Gaza sono ancora in corso, assicura intanto Majed al-Ansari, portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, sottolineando che la risoluzione del Consiglio Onu approvata ieri non ha avuto "un impatto immediato" sui negoziati a Doha. A riferirne è il Times of Israel. "Siamo ancora ottimisti, fin dal primo giorno siamo stati positivi. Il nostro sforzo di mediazione continuerà. Collaboriamo con tutti i partner regionali e internazionali", ha aggiunto al-Ansari, citato da Al Jazeera.

Ministro Esteri Israele: "Risoluzione Onu? Errore morale lasciarla approvare"

La decisione degli Stati Uniti di non porre il veto sulla risoluzione Onu finirà per danneggiare Israele nei colloqui per liberare gli ostaggi tenuti prigionieri nell'enclave. A dichiararlo è stato il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz che - intervenendo alla Radio dell'esercito israeliano - ha tracciato una linea diretta tra il rifiuto di Hamas delle condizioni israeliane per una tregua e un accordo sugli ostaggi in cambio del rilascio dei prigionieri e la decisione degli Stati Uniti di consentire che la misura venisse approvata, una decisione che ha definito "un errore morale ed etico". "Hamas - ha dichiarato - si basa sul fatto che ci sarà un cessate il fuoco senza che sia necessario pagare nulla".

Katz ha quindi sostenuto che i legami tra Gerusalemme e Washington rimangono forti, annunciando l’imminente incontro con la senatrice repubblicana Lindsey Graham e descrivendo la posizione del presidente Joe Biden come il risultato delle pressioni "di un’ala radicale" all’interno del partito democratico. Ma il messaggio che arriva dalla risoluzione, soprattutto dalla sua versione in lingua araba, ha aggiunto, è che "Hamas non ha bisogno di affrettarsi" per raggiungere un accordo. Come risultato, ha proseguito Israele dovrà aumentare la pressione militare per dimostrare il suo impegno a rilasciare gli ostaggi e sconfiggere Hamas.

"A nostro avviso, c’è stato un messaggio, un messaggio poco positivo, per chiunque sia dalla parte di Hamas, che gli Stati Uniti non sostengono così tanto Israele, e quindi dobbiamo dimostrare, militarmente, che manterremo i nostri obiettivi". Lo riporta il Times of Israel.

Haniyeh: "Risoluzione Onu dimostra isolamento Israele senza precedenti"

Indica che "Israele sta assistendo a un isolamento senza precedenti dall'inizio dell'occupazione" la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, per la prima volta, ha chiesto il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Lo ha dichiarato il leader dell'ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, a seguito di un incontro a Teheran con il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian. "Israele ha fallito nel raggiungere tutti gli obiettivi strategici (della guerra, ndr) e sta perdendo il sostegno politico e internazionale", ha aggiunto Haniyeh. Nel corso di una conferenza stampa, Haniyeh ha quindi evidenziato che la risoluzione è "arrivata in ritardo" e contiene " alcune lacune che devono essere colmate", rimarcando che Israele "sta perdendo copertura politica e protezione anche nel Consiglio di Sicurezza" e che "gli Stati Uniti non sono in grado di imporre la loro volontà alla comunità internazionale".

Raid a Rafah, "almeno 18 morti"

Sarebbe di almeno 18 palestinesi uccisi, di cui nove bambini, il bilancio di un nuovo raid israeliano su Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Lo ha riferito il giornale palestinese "Filastin", legato ad Hamas, secondo cui nel bombardamento è stata colpita l'abitazione della famiglia Abu Nuquira, dove vivevano diversi bambini: le vittime sarebbero nove, di età compresa tra i due e i nove anni.

In totale sarebbero 32.414 i morti i morti nella Striscia di Gaza dallo scorso 7 ottobre secondo l'ultimo bilancio del ministero della Sanità dell'enclave palestinese, che nel 2007 finì sotto il controllo di Hamas. Il bollettino parla anche di almeno 74.787 feriti. Rilanciato dalla tv satellitare al-Jazeera, il bilancio comprende 81 persone che sono state uccise in 24 ore, secondo le autorità di Gaza.

18 persone morte mentre tentavano di ottenere aiuti, 12 affogate

Le autorità della Striscia di Gaza hanno confermato oggi la morte di 18 palestinesi a seguito del lancio di aiuti paracadutati lungo la costa dell'enclave: dodici persone - ha riferito - sono annegate nel tentativo di raggiungere i carichi al largo delle coste del nord di Gaza dopo che decine di persone si sono buttate in acqua per recuperare le casse. Altre sei persone sono morte "nella calca" di persone che si sono affollate per ottenere aiuti. "Le operazioni di invio dagli aerei sono diventate un vero pericolo per la vita della popolazione", ha lamentato l'ufficio stampa dell'Autorità della Striscia.

Anche in seguito a questi incidenti, Hamas ha chiesto di smettere di paracadutare aiuti alimentari dal cielo sul nord della Striscia di Gaza. "Chiediamo la fine delle operazioni di lancio degli aiuti in questo modo offensivo, sbagliato, inappropriato e inutile", ha affermato il governo di Hamas a Gaza, citato dalla Cnn

Leader Hamas in missione in Iran

Missione a Teheran per il leader dell'ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Lo riferisce la tv iraniana Press Tv, secondo cui Haniyeh ha in programma incontri con i vertici della Repubblica islamica.

Per Haniyeh, la risoluzione Onu indica che "Israele sta assistendo a un isolamento senza precedenti dall'inizio dell'occupazione", ha detto dopo un incontro con il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian. "Israele ha fallito nel raggiungere tutti gli obiettivi strategici (della guerra, ndr) e sta perdendo il sostegno politico e internazionale", ha aggiunto Haniyeh.

Houthi: attaccati 2 cacciatorpedinieri Usa e 4 navi nel Mar Rosso

Gli Houthi hanno annunciato di aver attaccato quattro navi e due cacciatorpedinieri americani nel Mar Rosso nelle ultime 72 ore. In una dichiarazione, il portavoce militare dei ribelli che controllano alcune aree dello Yemen, tra cui la capitale Sana'a, ha rivendicato un attacco contro due navi americane (la Maersk Saratoga e la Apl Detroit), una britannica (Huang Pu) e una quarta nave, la Pretty Lady, che si stava dirigendo verso i porti della "Palestina occupata". Gli Houthi, ha aggiunto Yahya Sarea, hanno anche eseguito "un'operazione militare di qualità prendendo di mira due cacciatorpedinieri americani nel Mar Rosso".

Israele attacca Hezbollah nel profondo Libano

L'Idf ha confermato di aver preso di mira i siti di Hezbollah nel profondo Libano, vicino alla città nordorientale di Zboud, in risposta al lancio di missili effettuato dal gruppo terroristico contro la base di controllo del traffico aereo di Mount Meron questa mattina. L'esercito israeliano ha riferito che l'attacco ha preso di mira “un complesso militare utilizzato dall'unità aerea di Hezbollah” vicino a Zboud nel distretto di Baalbek, a più di 110 chilometri dal confine israeliano. Il complesso comprendeva diversi edifici e una piattaforma di atterraggio per droni, secondo l'Idf, che aggiunge di aver colpito un edificio e altre infrastrutture utilizzate da Hezbollah ad Ayta ash-Shab e Kafr Kila, e un posto di osservazione a Maroun al-Ras.

Raid in Siria contro milizie filo-Iran, 15 i morti

E' di almeno 15 morti, tra cui 14 combattenti di milizie filoiraniane e un civile, il bilancio dei raid aerei condotti da Israele - secondo quanto appreso dal Times of Israel - che la notte scorsa hanno colpito l'est della Siria. Lo ha riferito l'Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede nel Regno Unito e fonti nel Paese arabo, che ha segnalato una serie di esplosioni nella provincia di Deir Ezzor. "Un consigliere iraniano, membro dei Guardiani della Rivoluzione, due delle sue guardie del corpo iraniane, nove combattenti iracheni e due combattenti siriani appartenenti a gruppi filo-Teheran sono rimasti uccisi negli attacchi", ha chiarito l'Osservatorio, mentre l'agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna ha confermato che un "membro della Forza Quds", Behrouz Vahedi, è stato ucciso "durante un attacco effettuato dal regime sionista".

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Proteste pro Gaza in Usa, scontri filopalestinesi-polizia a...

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In manette 25 persone, gli scontri dopo che i manifestanti si sono rifiutati di rimuovere le tende dal campus universitario

Manifestanti pro Gaza nelle università Usa - Afp

Venticinque persone state arrestate all'Università della Virginia, dopo che la polizia si è scontrata con manifestanti filo-palestinesi che si erano rifiutati di rimuovere le tende dal campus. In una nota, il presidente della scuola, Jim Ryan, ha spiegato che ai manifestanti era stato detto che le tende erette nel campus erano proibite e che gli era stato chiesto di rimuoverle La polizia di Stato della Virginia è stata chiamata a intervenire quando, nel tentativo "di risolvere la situazione", si sono verificati "scontri fisici" con la polizia universitaria.

Ryan ha definito l'episodio “sconvolgente, spaventoso e triste”, incolpando un piccolo gruppo di trasgressori delle regole per i problemi e sostenendo, senza prove, che tra loro ci fossero persone non affiliate all'università.

Non solo Usa, le proteste nel mondo

La protesta contro la guerra a Gaza sta incendiando le università americane, con proteste e occupazioni in oltre 60 campus dove da metà di aprile sono state arrestate oltre 2mila persone. E le immagini della polizia in tenuta antisommossa che sgombra la Columbia e Ucla stanno facendo il giro del mondo, dove si sta allargando la protesta, con università occupate in Europa, Asia, Oceania e Medio Oriente.

AUSTRALIA - Nelle ultime settimane, si sono registrate proteste pro Palestina in almeno sette università in Australia. In particolare all'università del Queensland a Brisbane si è creata una situazione di tensione tra due accampamenti, a circa 100 metri di distanza, uno degli studenti solidali con i palestinesi ed un altro, più piccolo, con le bandiere di Israele, animato da gruppi di studenti ebrei che accusano gli studenti pro Palestina di creare tensioni nel campus.

Il gruppo Students for Palestine UQ chiede ai vertici dell'Università di rendere pubblici tutti i rapporti con società israeliane e di tagliare quelli con l'industria bellica israeliana. Dal 23 aprile, da Brisbane la protesta si è diffusa in altri campus, tra i quali l'università di Sydney, dove sono state montate una cinquantina di tende con un centinaio di studenti che vi trascorrono la notte. Oggi un gruppo di studenti ebrei ha portato avanti una contro manifestazione contro quelle che definiscono "preoccupanti attività antisemite e anti Israele". Oltre 200 persone, con bandiere australiane e israeliane, si sono radunate nel campus di Sidney, ma non vi sono stati scontri con i gruppi pro Palestina.

REGNO UNITO - Manifestazioni in solidarietà con i palestinesi si sono svolte sin dall'inizio della guerra a Gaza, ma negli ultimi giorni anche in alcuni campus britannici sono iniziate occupazioni ed accampamenti. Alla Newcastle University, un piccolo accampamento con bandiere palestinesi è stato montato nel centro del campus da un gruppo che si definisce "una coalizione guidata da studenti per mettere fine alla partnership dell'università di Newcastle con le società di difesa israeliane".

Tende sono state montate anche da studenti che protestano nelle università di Leeds, Bristol e Warwick. Le proteste nei campus britannici sono state criticate dall'Union of Jewish Student che affermano che questi accampamenti "creano un'atmosfera ostile e tossica per gli studenti ebrei".

FRANCIA - A Parigi a fine aprile sono scoppiate le proteste a Sciences Po e alla Sorbonne. La polizia è intervenuta in entrambi gli atenei per sgombrare gli accampamenti. Ed oggi è intervenuta di nuovo a Science Po dove una cinquantina di studenti erano tornati ad occupare. "Siamo ispirati da Columbia, Harvard, Yale, Vanderbilt", ha detto una studentessa di Sciences Po, uno dei più prestigiosi atenei francesi, alma mater di diversi presidenti, tra i quali l'attuale, Emmanuel Macron. I

"Tutte queste università si sono mobilitate, ma la nostra solidarietà rimane prima di tutto e principalmente con il popolo palestinese", ha aggiunto Louise, parlando con la Cnn. Samuel Lejoyeaux, presidente dell'unione degli studenti ebrei di Francia, ha chiesto un maggiore dialogo con i dimostranti che devono - ha scritto in un articolo pubblicato ieri su Le Monde - "denunciare chiaramente l'antisemitismo". Alla stesso tempo, afferma ancora nell'articolo, "non sarò mai felice nel vedere la polizia antisommossa entrare in un'università, la cosa in cui credo di più è il dialogo".

INDIA - Proteste pro Palestina, e in solidarietà con gli studenti della Columbia, sono scoppiate anche nella prestigiosa Jawaharlal Nehru University (JNU) di Nuova Delhi, proprio nel giorno in cui era atteso nell'ateneo l'ambasciatore Usa, Eric Garcetti. La visita è stata poi rimandata. "Il nostro ateneo non deve fornire una piattaforma ad amministratori e personale che rappresentano nazioni complici del terrorismo e del genocidio commesso da Israele", si legge in una dichiarazione dell'unione degli studenti della Jnu, diffusa il 29 aprile, con un chiaro riferimento agli Usa. L'ateneo, uno dei migliori del Paese, è stato sempre all'avanguardia nei movimenti di protesta, tra i quali quello del 2019 contro la legge considerata discriminatoria contro i musulmani.

Solidarietà ai palestinesi è stata espressa anche dalla Federazione degli studenti dell'India, affiliata al partito comunista, che "denuncia la posizione assunta dal governo guidato da Bjp in sostegno di Israele, che devia da una posizione storica dell'India".

CANADA - Alla McGill University, nel centro di Montreal, studenti pro Palestina hanno montato un accampamento nel centro del campus, chiedendo - come stanno facendo praticamente tutte le università in rivolta - che l'ateneo dismetta i legami con società israeliane. La polizia ha tentato di disperdere i dimostranti, affermando di aver ricevuto la richiesta di intervento dai vertici dell'università dopo che è fallito il dialogo con i rappresentati degli studenti.

Ma nei giorni scorsi un giudice di una corte superiore del Quebec ha rigettato la richiesta di ingiunzione che avrebbe costretto i dimostranti pro Palestina a lasciare l'accampamento. Proteste sono in corsi anche all'università di Toronto e alla University of British Columbia a Vancouver.

LIBANO - Centinaia di studenti alla fine di aprile hanno iniziato a protestare all'American University di Beirut chiedendo che l'università boicotti le società che fanno affari con Israele. "Vogliamo mostrare al mondo intero che non abbiamo dimenticano la causa palestinese", ha dichiarato uno degli studenti che partecipano alla protesta ispirata a quella dei campus Usa.

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Esteri

Gaza, l’ottimismo dei mediatori e lo stallo di Hamas....

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Si attende ancora la risposta dell'organizzazione islamista all'ultima proposta di accordo: a che punto sono le trattative, i progressi e i nodi

Gaza - Afp

Mediatori ottimisti, ma l'accordo tra Israele e Hamas per una tregua a Gaza e il conseguente rilascio degli ostaggi in mano all'organizzazione dal 7 ottobre ancora non c'è. Nella lunga trattativa al Cairo a pesare al momento è l'indecisione di Hamas, che ancora ieri sera non ha consegnato una risposta ai negoziatori rispetto all'ultima proposta ricevuta. Una indecisione che ha portato Tel Aviv a scegliere di non inviare la sua delegazione in Egitto finché non arriverà una replica ufficiale.

Il punto sulle trattative al Cairo

Se i mediatori per tutta la giornata hanno parlato di "progressi significativi", l'organizzazione islamista - attraverso diverse dichiarazioni alla stampa - ha spiegato di aver messo al centro dei negoziati "l'insistenza" del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affinché lo Stato ebraico entri a Rafah indipendentemente da un potenziale accordo. Questo l'"elemento chiave" in discussione nei colloqui del Cairo secondo il portavoce di Hamas Osama Hamdan, che ieri ha precisato come "sfortunatamente, c'è stata una chiara dichiarazione" da parte del premier "secondo cui, indipendentemente da ciò che potrebbe accadere, se ci fosse o meno un cessate il fuoco, vi sarà l'attacco. Ciò è in contraddizione rispetto ai colloqui in corso", le parole del portavoce.

"Vogliamo almeno sapere esattamente cosa significa la dichiarazione" di Netanyahu, ha quindi aggiunto Hamdan. "Ciò che noi intendiamo è che qualsiasi raggiungimento di un cessate il fuoco significa che non ci saranno più attacchi contro Gaza e Rafah", la richiesta.

Hamas, stando alle ultime indiscrezioni sui media, sarebbe comunque pronto a rilasciare 33 ostaggi israeliani durante la prima fase dell'accordo con Israele. "Alti funzionari israeliani affermano che ci sono prime indicazioni che Hamas accetterà di portare a termine la prima fase dell’accordo – il rilascio umanitario degli ostaggi – senza un impegno ufficiale da parte di Israele a porre fine alla guerra", l'annuncio su X del reporter di Axios, Barak Ravid. Un passo avanti visto che Israele, ribadiva ancora ieri un funzionario israeliano vicino ai colloqui, "non accetterà in alcuna circostanza la fine della guerra come parte di un accordo per il rilascio dei nostri ostaggi".

Intanto anche il leader di Hamas, Yahya Sinwar, ha discusso per la prima volta la proposta di accordo attraverso i suoi rappresentanti, affermando che si tratta dell'offerta più vicina alle richieste dell'organizzazione islamista, scrive il Wall Street Journal citando mediatori arabi. Secondo il quotidiano americano, Sinwar ha sollevato diversi avvertimenti e i mediatori arabi hanno affermato che Hamas dovrebbe presentare "presto" una controproposta.

Tra i passi avanti compiuti dalla Stato ebraico, ci sarebbe invece il rilascio di Marwan Barghouti. Un rapporto di Maariv, che citava il canale saudita Asharq, riporta infatti che Israele non si oppone più alla liberazione del detenuto ma insiste per rilasciarlo a Gaza e non in Cisgiordania. È stato anche riferito - scrive il Jerusalem Post - che Hamas dovrebbe richiedere il suo nome sulla lista della prima fase dell'accordo. Barghouti, ex leader dei Tanzim, una fazione militante del movimento palestinese Fatah, è stato condannato nel 2004 da un tribunale israeliano a cinque ergastoli cumulativi e 40 anni di prigione per atti terroristici in cui cinque israeliani furono uccisi e molti feriti.

Israele si divide su Rafah, la minaccia dell'estrema destra

Intanto il governo israeliano - nel mirino ieri sera delle proteste di migliaia di manifestanti a Tel Aviv, che sono tornati a chiedere il sì all'accordo ma anche elezioni anticipate - si divide sui negoziati e, in particolare, sulla annunciata operazione a Rafah.

Il ministro della Sicurezza nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir ha lanciato infatti una nuova minaccia di lasciare il governo. In una dichiarazione, Ben Gvir ha accolto la decisione di Netanyahu per non aver inviato una delegazione al Cairo e ha detto di aspettarsi che il premier mantenga le promesse fatte presumibilmente quando i due si sono incontrati la scorsa settimana: “No a un accordo sconsiderato, sì a Rafah. Il primo ministro sa bene qual è il prezzo da pagare se non si onora questo impegno", le parole del ministro. In una dichiarazione simile, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich afferma che “un accordo di resa che porterà alla fine della guerra senza una vittoria totale è un disastro. Rafah adesso", la richiesta al primo ministro.

Cosa prevede l'ultima proposta di accordo: le tre fasi

L'ultima proposta di accordo prevederebbe una prima fase di durata fino a 40 giorni durante la quale 33 ostaggi tenuti a Gaza verrebbero rilasciati e l'Idf si ritirerebbe da parte della Striscia. La seconda fase si estenderebbe fino a 42 giorni durante i quali verrebbero rilasciati tutti gli altri ostaggi ancora in vita e le parti si accorderebbero sulle condizioni di un ritorno alla calma a Gaza. Durerebbe 42 giorni anche la terza ed ultima fase, dedicata alla consegna dei corpi senza vita.

Nel corso della prima fase è anche previsto il rientro della popolazione palestinese che si è rifugiata nel sud di Gaza nella parte settentrionale della Striscia: Israele, secondo gli Stati Uniti, avrebbe accettato un rientro senza limitazioni della popolazione nelle aree di provenienza.

Nel quadro dell'intesa è previsto inoltre il rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi. La fonte di Hamas citata da Channel 12 ha parlato di "compromessi raggiunti" sul numero di detenuti da rilasciare in cambio della liberazione di ciascun ostaggio. La notizia riportata ieri dal Times of Israel seguiva l'annuncio di Hamas che nella tarda serata di venerdì aveva reso noto che una sua delegazione si sarebbe recata al Cairo "determinata a raggiungere un accordo tale da soddisfare le richieste palestinesi".

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Ucraina, Zelensky: “Cacceremo Putin”. Russia...

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Il presidente ucraino: "Cacceremo quel pazzo". Mosca assedia Chasiv Yar, base per la nuova offensiva

Volodymyr Zelensky

"Vladimir Putin è pazzo, lo cacceremo dall'Ucraina". Nella fase cruciale della guerra con la Russia, Volodymyr Zelensky prova a tenere alto il morale e a mantenere nel mirino l'obiettivo sempre dichiarato: respingere gli invasori e mantenere l'integrità territoriale della Russia. Le parole del presidente ucraino arrivano in un momento particolarmente critico.

Le forze di Mosca premono lungo la linea del fronte e nel Donetsk assediano la roccaforte di Chasiv Yar, snodo determinante per il controllo della regione e per l'eventuale organizzazione di una più ampia offensiva, che esperti e analisti attendono tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate.

La caduta di Chasiv Yar è "questione di tempo", ha ammesso Vadym Skibitsky, numero 2 dell'intelligence della Difesa ucraina, che all'Economist ha delineato un quadro complessivo poco incoraggiante per Kiev: vincere la guerra, ha detto in sintesi, è quasi impossibile e l'unico modo per porre fine al conflitto è il negoziato.

La trattativa con Mosca, però, al momento non è un'ipotesi concreta. La Russia ha detto e ripetuto che non considera Zelensky un interlocutore. L'ultimo segnale in tal senso è arrivato nelle ultime ore: il presidente ucraino è stato formalmente inserito nella lista dei ricercati dal ministero dell'Interno russo. E' stata aperta un'inchiesta penale nei confronti di Zelensky ai sensi di un articolo del codice penale russo, che non viene però specificato.

Il messaggio di Zelensky

"Putin non vuole la pace, è pazzo. Ogni giorno il suo Stato fa cose nuove per dimostrarlo. E per battere questo male, per vincere la guerra, abbiamo bisogno della massima unità del mondo. I risultati si ottengono insieme", dice Zelensky nel suo quotidiano messaggio.

"La Russia - sottolinea - può solo essere costretta a lasciare l'Ucraina da sola. E questo accadrà. La nostra forza lo farà sicuramente accadere. La forza del nostro popolo, la nostra forza militare, la forza della nostra unità con il mondo, la forza dei nostri partner, la forza della nostra diplomazia". L'Ucraina punta sul Summit per la pace in programma a giugno in Svizzera per preparare il terreno ad un'eventuale soluzione diplomatica della crisi. Il vertice "si terrà e dovrà avere successo, a prescindere da quanto cercheranno di sabotarlo", dice riferendosi all'evento a cui la Russia non è invitata.

Zelensky, intanto, spiega che Oleksandr Syrskyi, il Comandante delle Forze armate ucraine, ha fatto un lungo rapporto sulla situazione. Anche il capo dell'intelligence della Difesa ucraina Kyrylo Budanov ha tenuto una relazione. "Siamo consapevoli di tutti gli aspetti della situazione attuale", dice il presidente, che annuncia l'abbattimento di un aereo Su-25 nella regione di Donetsk.

Russia avanti nonostante le perdite record

"Vorrei dedicare una menzione speciale ai soldati della 110a brigata meccanizzata separata per aver abbattuto un altro Su-25 russo nell'oblast di Donetsk", dice. "Nonostante la dura pressione russa, nonostante tutte le difficoltà della situazione, ora i nostri soldati stanno distruggendo gli invasori", afferma.

E in effetti la Russia accusa pesanti perdite, che però rallentano ma non frenano la macchina bellica affidata al ministro della Difesa Sergei Shoigu. Ogni giorno poco meno di 900 soldati russi vengono uccisi o feriti sul campo di battaglia in Ucraina, come rileva l'intelligence britannica che monitora quotidianamente il conflitto. Con un 'serbatoio umano' praticamente illimitato, Mosca può permettersi di riversare al fronte risorse senza soluzione di continuità.

"È probabile che il tasso di vittime della Russia aumenti ancora nei prossimi due mesi, con la ripresa delle operazioni offensive nell'Ucraina orientale", afferma l'intelligence britannica. "Questo segue una leggera diminuzione del ritmo delle operazioni negli ultimi due mesi, dopo la caduta di Avdiivka", aggiunge. Dall'inizio della guerra sono state registrate più di 465mila perdite russe, con una media, quest'anno, di 899 al giorno, tra morti e feriti.

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