Salute e Benessere
Gsk, ok Ue a terapia per splenomegalia in pazienti anemici...
Gsk, ok Ue a terapia per splenomegalia in pazienti anemici con mielofibrosi
Gsk, momelotinib primo medicinale con questa indicazione in Europa
La Commissione europea ha concesso l'autorizzazione all'immissione in commercio di Omjjara* (momelotinib) - inibitore di Jak1/Jak2 e del recettore dell'attivina A di tipo 1 (Acvr1) - per il trattamento della splenomegalia (milza ingrossata) o sintomi correlati nei pazienti adulti con anemia da moderata a grave affetti da mielofibrosi primaria, da mielofibrosi post-policitemia vera o mielofibrosi post-trombocitemia essenziale, mai trattati (naïve) con inibitori della Janus chinasi (Jak) o che sono già stati trattati con ruxolitinib. Lo annuncia Gsk in una nota, in cui sottolinea che la terapia orale da assumere una volta al giorno è l'unico farmaco nell'Unione europea indicato per i pazienti affetti da mielofibrosi di nuova diagnosi o già trattati in precedenza, con anemia moderata-grave e sintomi di splenomegalia.
“Le persone con mielofibrosi - afferma Nina Mojas, Vicepresidente senior, Oncology Global Product Strategy, Gsk - possono avvertire sintomi pesanti come ingrossamento della milza, affaticamento, sudorazione notturna e dolore alle ossa. Finora non esistevano opzioni indicate in modo specifico per trattare queste manifestazioni cliniche nei pazienti che soffrono anche di anemia. L'autorizzazione di Omjjara porta, per i pazienti europei, una nuova opzione terapeutica, con un meccanismo d’azione differenziato”.
La mielofibrosi è un raro tumore del sangue in cui è compromessa l’attività degli enzimi Jak. Momelotinib ha un meccanismo d'azione differenziato che inibisce tre vie di segnalazione chiave: quelle della Jak1 e Jak2, migliorando i sintomi e la splenomegalia; blocca il recettore dell'attivina A tipo I che porta a una diminuzione dei livelli circolanti di epcidina, contribuendo potenzialmente al beneficio sull’anemia. Si stima che la mielofibrosi colpisca 1 persona su 10mila europei. Circa il 40% dei pazienti presenta sintomi da moderati a gravi e anemia al momento della diagnosi, ma quasi tutti sviluppano anemia nel corso della malattia. I pazienti affetti da mielofibrosi con anemia necessitano di ulteriori cure di supporto, come le trasfusioni, e più del 30% interrompe il trattamento a causa dell'anemia. I pazienti dipendenti dalle trasfusioni hanno una peggiore prognosi e ridotta sopravvivenza.
“L'autorizzazione di Omjjara in Ue - sottolinea Francesca Palandri dell'ospedale Irccs S. Orsola-Malpighi-Università di Bologna - rappresenta un progresso significativo per i pazienti affetti da mielofibrosi e, in particolare, per i soggetti affetti da anemia da moderata a grave che necessitano di nuove opzioni terapeutiche che possano ridurre l’impatto della malattia. La disponibilità di un’unica terapia per le principali manifestazioni della mielofibrosi rappresenta un chiaro passo avanti per questi pazienti”.
L'autorizzazione di momelotinib si basa sullo studio pilota Momentum di fase 3 e su una sottopopolazione di pazienti adulti con anemia da moderata a grave (emoglobina <10 g/dl) dello studio Simplify-1 di fase 3. Lo studio Momentum è stato progettato per valutare la sicurezza e l'efficacia di momelotinib rispetto a danazolo per il trattamento e riduzione delle principali manifestazioni della mielofibrosi in una popolazione anemica, sintomatica e già trattati con inibitori dell’enzima Jak. Simplify-1 è stato progettato per valutare l'efficacia e la sicurezza di momelotinib rispetto a ruxolitinib nella mielofibrosi in pazienti che non avevano ricevuto una precedente terapia con Jak inibitori. In questi studi clinici, le reazioni avverse più comuni sono state diarrea, trombocitopenia, nausea, cefalea, vertigini, affaticamento, astenia, dolore addominale e tosse.
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Covid, caratteristiche genetiche influenzano risposta a...
Ricercatori italiani di diverse università hanno unito le proprie forze per studiare le basi genetiche delle differenze interindividuali nella risposta anticorpale alla vaccinazione anti-Covid-19 con il vaccino Pfizer-Biontech
La risposta al vaccino contro Covid-19 non è univoca ma individuale, influenzata dalle caratteristiche genetiche di ognuno. Lo rivela uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Fondazione Irccs Istituto neurologico “Carlo Besta” (Fincb), dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, dell’azienda ospedaliera Senese e della Fondazione Irccs Casa sollievo della sofferenza che, guidati dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate (Cnr-Itb), ha unito le proprie forze per studiare le basi genetiche delle differenze interindividuali nella risposta anticorpale alla vaccinazione anti-Covid-19 con il vaccino Bnt162b2 (Pfizer-Biontech).
Cosa rivela lo studio
Lo studio ha mostrato come alcuni soggetti con determinate varianti genetiche nei geni del complesso maggiore di istocompatibilità (proprietà delle cellule di un tessuto di essere riconosciute come proprie da parte dell'organismo e non essere quindi eliminate dal sistema immunitario), coinvolto nei principali meccanismi di difesa del nostro sistema immunitario, producevano differenti quantità di anticorpi diretti contro l’antigene del coronavirus Sars-CoV-2. Lo studio è disponibile in open access su 'Communications Medicine'.
I ricercatori hanno valutando la correlazione tra milioni di varianti genetiche germinali e i livelli anticorpali nel siero di soggetti vaccinati contro il Covid-19, a 30 giorni di distanza dalla vaccinazione. Infatti, sin dall’inizio della campagna vaccinale si era osservata una differenza sostanziale nelle quantità di anticorpi prodotti dai soggetti vaccinati. “Come per la maggior parte dei farmaci, così anche per i vaccini ogni individuo può rispondere in maniera più o meno efficace e questo è dovuto, almeno in parte, alla costituzione genetica individuale”, spiega Francesca Colombo, ricercatrice del Cnr-Itb, che ha guidato la ricerca. “Il nostro studio ha coinvolto 1.351 soggetti, (operatori sanitari vaccinati nei primi mesi del 2021, nei tre centri ospedalieri coinvolti nello studio) ai quali è stato prelevato un campione di sangue per l’estrazione del Dna e di siero per la misurazione degli anticorpi anti-Sars-CoV-2 dopo un mese dalla somministrazione della seconda dose del vaccino Pfizer-Biontech”.
“Con le analisi statistiche effettuate abbiamo scoperto che una particolare regione del genoma, sul cromosoma 6, era significativamente associata ai livelli anticorpali - prosegue Martina Esposito, primo autore dello studio e assegnista di ricerca presso il Cnr-Itb - In questa specifica regione genomica sono presenti dei geni che codificano per delle molecole presenti sulla superficie cellulare, coinvolte nei meccanismi di risposta immunitaria. Questi geni sono molto variabili ed esistono differenti combinazioni. Il nostro studio ha evidenziato che alcune combinazioni erano associate a livelli di anticorpi più alti, mentre altre a livelli più bassi, spiegando quindi dal punto di vista genetico le differenze nella risposta alla vaccinazione osservate tra individui diversi”.
“I modelli matematici usati e le analisi statistiche effettuate per arrivare a questi risultati sono molto complessi perché complessa è l’interazione tra i geni e dei geni stessi con il vaccino. L’expertise maturata negli studi genetici in molti anni di ricerca condotta a Casa Sollievo della Sofferenza ci ha permesso di gestire tale complessità nei dati, contribuendo a giungere a questi importanti risultati", sottolinea Massimiliano Copetti, responsabile Biostatistica della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza.
"L’identificazione di specifici alleli Hla che conferiscono una predisposizione ad un’alta o bassa produzione di anticorpi dopo la somministrazione del vaccino anti-Covid ci può permettere ora di differenziare e personalizzare la campagna vaccinale, fornendo a ciascun individuo il vaccino più adatto, cioè quello che gli permetterà di produrre più anticorpi possibili. Questo approccio può essere esteso anche ad altri vaccini ideati contro altre malattie, nell’ottica di una vaccinazione di precisione supportata dalla vaccinogenomica", afferma Massimo Carella, biologo genetista e vice-direttore scientifico della Fondazione Irccs Casa Sollievo della Sofferenza. La ricerca è stata finanziata dell’Istituto Buddista italiano Soka Gakkai.
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Infettivologi, ‘coperture vaccinali in calo, serve...
"C'è un problema di coperture vaccinali in Italia. E' emerso anche durante il congresso Escmid Global a Barcellona", l'evento annuale che riunisce i microbiologi e infettivologi da tutta Europa e non solo, "quella anti-Covid in Italia non è stata molto efficace, siamo arrivati al 12% dei soggetti a rischio immunizzati mentre il resto d'Europa è sopra il 50%. L'Italia deve rivedere la politica sulle vaccinazioni e tra pochi giorni uscirà un documento congiunto Simit-Siti per preparare la prossima campagna vaccinale autunnale che - secondo noi - dovrà raccomandare anche l'anti-Covid insieme all'antinfluenzale. C'è anche preoccupazione per l'epidemia di morbillo che sta creando diversi problemi in vari stati europei. Insomma, il tema delle coperture vaccinali deve tornare la priorità delle politiche sanitarie". Lo sottolinea all'Adnkronos Salute Massimo Andreoni direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e professore ordinario di Malattie infettive Università Tor Vergata di Roma, che ha partecipato al congresso Escmid Global.
Quali sono stati i focus principali dell'evento congressuale? "L'antibiotico resistenza rappresenta un problema di sanità pubblica in tutti i paesi - risponde Andreoni - All'Escmid sono stati presentati diversi studi su nuovi approcci per arrivare a combattere i super batteri. Tra queste strategie sembra interessante quella che usa i 'virus fagi' che aggrediscono i batteri in maniera molto specifica. Sono virus non in grado di infettare le cellulare umane ma di attaccare le cellule batteriche di pseudomonas o stafilococco, ad esempio".
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Burioni contro Susanna Tamaro: “Ragionamenti identici...
Il virologo tuona contro la scrittrice dopo un articolo sul Covid: "Dovevamo uscirne migliori invece..."
"La scrittrice Susanna Tamaro, in un pezzo sul 'Corriere della Sera', ci spiega i vaccini producendosi in una mirabile crestomazia di 'ragionamenti' identici a quelli dei somari antivaccinisti. Ne dovevamo uscire migliori, invece ne siamo usciti tutti virologi, anche la Tamaro". Così, sui social, Roberto Burioni commenta l'articolo scritto da Susanna Tamaro sulle 'cicatrici lasciate dal Covid', in cui l'autrice critica la 'mancanza di azione terapeutica iniziale e la successiva polarizzazione attorno al vaccino, evidenziando dubbi e incertezze che persistono nonostante gli avanzamenti scientifici'.
Alle parole della Tamaro, Burioni risponde ricordando che "la nostra medicina 'meravigliosamente avanzata' in 'quasi un anno a braccia conserte' ha sviluppato un vaccino che ha salvato molte decine di milioni di vite, compresa forse pure la tua, permettendoti di partecipare da viva alle Olimpiadi delle bojate", chiosa il docente di virologia all'Università Vita Salute San Raffaele di Milano, che chiede infine al Corriere della Sera "perché ospitate simili scemenze che diffondono bugie pericolose per la salute pubblica e minano con la menzogna la fiducia nella scienza e nella medicina?"