Sostenibilità
Bologna Città 30 divide, le domande frequenti:...
Bologna Città 30 divide, le domande frequenti: dall’inquinamento allo stress
Il provvedimento del Comune crea polemiche, ma perché è così importante?
Bologna è la prima grande città italiana a diventare Città 30. Si tratta di un provvedimento che l’amministrazione comunale ha deciso di mettere in pratica e che dal 16 gennaio, con l’avvio delle sanzioni per chi supera il limite, ha destato non poche polemiche.
Il limite di 30 chilometri orari è una proposta di sperimentazione per la salvaguardia dell’ambiente e la riduzione degli incidenti stradali. Ma sembra non convincere alcuni cittadini e il ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Vediamo insieme perché.
Il limite di 30 km/h
“Molti pensano che coincida solo con l’introduzione di un limite a 30 chilometri orari – si legge sulla pagina del Comune di Bologna -. In realtà Bologna Città 30 è molto di più. È una città che si trasforma per diventare più silenziosa e più spaziosa, per avere strade sicure e curate, nuove aree verdi, piazze pedonali e piste ciclabili, attraversamenti tranquilli per le persone anziane e con disabilità, spazi protetti per i bambini davanti alle scuole, un traffico più fluido per tutti i mezzi. È una città che mette al centro la salute delle persone e punta ad azzerare le morti in strada. Bologna Città 30 è un nuovo concetto di città, ancora più vicina alle esigenze di tutte le persone che la abitano. Nessuna esclusa”.
Così sembrerebbe un sogno eppure, per molti cittadini ed esponenti politici, si avvicinerebbe ad un incubo. A rispondere, quindi, ad alcuni degli interrogativi, ci ha pensato la stessa amministrazione comunale.
Le “domande frequenti”
- “Non bastava il limite di 50 chilometri orari nel centro urbano?”
La risposta è “No”! Il limite di velocità non è da valutare come una punizione per gli automobilisti, ma si tratta di un modo per ridurre a tutti gli effetti la mortalità stradale. Gli studi sul rapporto tra velocità e impatto, in merito a casi di mortalità, dimostrano che a 50 chilometri orari c’è un rischio di 8 su 10 di morire, mentre a 30 chilometri orari, questo rischio scende a 1 su 10. Il senso? Proteggere le persone con disabilità, fragilità, problematiche motorie come ad esempio gli anziani, il cui impatto con un veicolo che viaggia veloce, potrebbe essere fatale.
- “La distrazione causa più incidenti della velocità?"
Non proprio. Per quanto la distrazione al volante è la prima causa di incidenti, la velocità resta la principale in assoluto per gravità. Con la velocità si muore. A confermalo è l’Oms, secondo la quale, la velocità causa un terzo degli incidenti stradale ed è spesso un aggravante sul reato.
- “Città 30 è contro automobilisti e motociclisti?”
Assolutamente no. Se si considerano le stime Istat secondo le quali il 75% dei morti per incidente stradale sono i conducenti dei veicoli, si dovrebbe ragionare in modo inverso, considerando, invece, proprio questo provvedimento come favorevole alla salvaguardia di tutti i cittadini, compresi gli automobilisti e i motociclisti.
- “Si tratta solo di un modo per fare cassa con le multe?”
No. Città 30 è un piano per la sicurezza stradale e la vivibilità degli spazi pubblici di Bologna: ha come obiettivo salvare vite umane e ridurre i feriti gravi a causa degli incidenti, non ‘fare cassa’. Proprio per questo motivo, da luglio a dicembre 2023, il cambiamento non ha visto sanzioni da parte dei vigili che si sono limitati a presidiare le strade. Dal 16 gennaio, invece, il controllo affidato alla Polizia locali, vedrà strumenti dissuasivi e non solo sanzionatori. Gli autovelox fissi saranno presenti solo su strade a 50 chilometri orari.
- “Impiegherò più tempo per andare a lavoro?”
Questo è uno degli interrogativi più frequenti. La risposta è “sostanzialmente no”. Nonostante la velocità possa fare la differenza sull’impatto del veicolo con un corpo esterno e quindi, sulla vita e sulla morte, in molte circostanze. La percorrenza totale di piccoli tratti, come quelli urbani nella città di Bologna, non sarà stravolta. I tempi saranno pressoché gli stessi e non c’è motivo di preoccuparsi in merito.
- “Aumenterà l’inquinamento?”
Anche in questo caso, la risposta è “No”. Con una velocità ridotta a 30 chilometri orari, le auto dovrebbero tendere a muoversi con maggiore costanza. Ciò permetterebbe il calo delle emissioni inquinanti causate da accelerazioni e frenate brusche, a cui si associano i picchi di emissione di scarico dei veicoli con motore a combustione interna. Le frenate brusche, invece, producono emissioni di polveri sottili a causa dell’usura dei freni e dell’attrito degli pneumatici sulla strada.
- “Aumenterà lo stress?”
Lo stress non dipende solo dal limite di velocità. Una velocità costante, senza continui start-and-go e senza ingorghi e traffico che si auspicano di rimuovere con questa misura, lo stress si presume possa addirittura calare.
L’Italia è già un Paese “lento”
Un dato che probabilmente non è così noto è che l’Italia, di per sé, è già un Paese “lento”. Il riferimento è agli ultimi dati del TomTom Traffic Index secondo cui, numerose città italiane, rientrerebbero tra le più trafficate al mondo e per questo hanno una velocità media, nelle ore di punta e nei pieni centri urbani, ben inferiore a 30 km/h.
Bologna, nella classifica italiana, si posiziona al 12esimo posto, con una velocità media nelle ore di punta pari a 32 km/h, meno del limite massimo previsto da Città 30 per il quale scatterebbe una sanzione ai 36 km/h. In altre parole, Bologna è già una Città 30 senza saperlo. La differenza con questa misura comunale è che in questo modo ci sarà una maggiore costanza della velocità, un ripensamento degli spazi urbani, un modo di vivere la strada in modo “dolce”. Ambiente e sociale si dimostrano tra i principali interessi del comune di Bologna che in questo caso si dimostra un esempio per molte città italiane.
Sostenibilità
ReBuild 2024, Greenaccord Onlus: “Cerchiamo di...
Il segretario generale di Greenaccord Onlus alla giornata inaugurale della decima edizione di ReBuild, la fiera dedicata all’innovazione sostenibile dell’ambiente costruito: “L’energia delle comunità energetiche viene prodotta in una dinamica di cooperazione”
“Le comunità energetiche sono al momento qualche decina. Il nuovo decreto è partito a gennaio, siamo in una fase di grande fermento e in una stagione di progettazione. Stiamo infatti cercando di mettere a terra quella che l'Unione europea definisce ‘democratizzazione dell’energia', ossia l'idea che l'energia da bene di consumo possa diventare bene comune, nella triassialità della sostenibilità - sociale, ambientale ed economica - da perseguire contestualmente. Siamo in questa stagione e speriamo tra qualche mese di avere un bilancio più maturo da commentare”. Sono le parole di Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord Onlus, a margine del panel ‘I nuovi modelli per la transizione energetica: gli scenari del green sharing’, tenutosi nel corso della prima giornata di ReBuild - Meeting the next built environment.
In svolgimento al Centro congressi di Riva del Garda il 14 e 15 maggio 2024, ReBuild è la manifestazione dedicata all’innovazione sostenibile dell’ambiente costruito che quest’anno giunge alla sua decima edizione.
Milano entra poi nel dettaglio del significato di casa come parte di una comunità energetica: “L’energia che serve per soddisfare i fabbisogni dei soci aderenti alle comunità energetiche viene prodotta in una dinamica di cooperazione e, secondo quel che dice anche l’Arera, all'energia che viene condivisa viene anche riconosciuto un valore economico che, per esempio, può concorrere alla riduzione della bolletta. In un momento di grandi povertà energetiche in aumento e disuguaglianze, avere questo tipo di supporto male non fa” conclude.
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ReBuild 2024, Pulice (CDP – Rics Italia):...
"Rispetto ai valori che la finanza può promuovere per declinare la sostenibilità in prassi “un tema fondamentale, che soprattutto in questo periodo mi sento di enfatizzare, è quello dell’etica e della trasparenza. Tematiche che hanno a che fare prevalentemente con la ‘G’ dei criteri ‘Esg’, ovvero la governance". Così Massimiliano Pulice, presidente dell’Advisory board di Rics Italia e responsabile team advisor di Cassa depositi e prestiti, a margine del panel ‘Values drive value: valori che generano valore’, svoltosi nel corso della prima delle due giornate di ReBuild - Meeting the next built environment. In svolgimento al Centro congressi di Riva del Garda il 14 e 15 maggio 2024, ReBuild è la kermesse dedicata all’innovazione sostenibile dell’ambiente costruito che quest’anno giunge alla sua decima edizione.
“Parlo di trasparenza perchè in Rics la certificazione dei membri avviene dopo un assestment di comprovata track record legato alla reputazione - spiega Pulice - In Cassa Depositi e Prestiti rappresentiamo l'asse di consulenza che supporta gli enti centrali e locali nello sviluppare competenze legate all’implementazione e allo spending di investimenti di carattere europeo. La capacità di saper pianificare in modo chiaro e trasparente e di dimostrare quanto pianificato e quanto speso - conclude - è fondamentale per far crescere la credibilità del sistema Italia”.
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Cresce l’impegno delle imprese quotate verso l’ESG
Il rapporto di Deloitte sulle azioni delle società italiane quotate nel promuovere la sostenibilità e affrontare il cambiamento climatico
Il tessuto imprenditoriale italiano sta vivendo una fase di trasformazione sempre più improntata alla sostenibilità ambientale e alla responsabilità sociale d'impresa. Questo cambiamento è evidente nel crescente interesse delle aziende quotate nel riorientare i propri modelli di business verso una transizione energetica più sostenibile e nella volontà sempre più diffusa di rendicontare in modo trasparente gli sforzi e i risultati conseguiti in questo ambito.
Un recente rapporto curato da Deloitte, intitolato 'L’attuazione delle Raccomandazioni Tcfd nelle società quotate italiane', offre uno sguardo approfondito su come le società italiane quotate hanno affrontato le sfide legate al cambiamento climatico e alla transizione energetica nel corso del 2023. Attraverso l'analisi di documenti pubblici, obbligatori o volontari, il rapporto evidenzia sia i progressi compiuti sia le aree in cui c'è ancora spazio per migliorare.
Uno dei punti focali del rapporto è l'implementazione delle raccomandazioni del Task Force on Climate-related Financial Disclosures (Tcfd), concentrandosi su quattro principali aree tematiche:
- governance;
- strategia;
- gestione del rischio;
- metriche e obiettivi.
Governance e strategie aziendali
La governance rappresenta un pilastro fondamentale per l'integrazione della sostenibilità nelle strategie aziendali. Il rapporto rivela un aumento significativo nel numero di società che attribuiscono responsabilità specifiche in materia di sostenibilità a comitati interni e che includono membri del consiglio di amministrazione con competenze specifiche in ambito ESG e cambiamento climatico. Un significativo 69% delle società ha ora un comitato dedicato alla sostenibilità, in aumento rispetto al 60% dell'anno precedente. Inoltre, il 41% ha almeno un membro del consiglio con competenze specifiche su temi ESG, un dato che è più che raddoppiato rispetto all'anno precedente.
Un'altra area di miglioramento riguarda l'analisi strategica del cambiamento climatico e dei suoi impatti sull'azienda e sulla sua catena di valore. Un numero sempre maggiore di aziende riconosce il cambiamento climatico come un tema materiale e rilevante, e sta sviluppando analisi di scenario per prevederne gli impatti futuri e adeguare di conseguenza le proprie strategie.
La consapevolezza del cambiamento climatico come un tema materiale è in costante aumento, con il 94% delle aziende che lo riconoscono come tale. Tuttavia, c'è ancora spazio per miglioramenti nella formulazione di strategie di adattamento e mitigazione del rischio. Solo il 25% delle società ha sviluppato un'analisi di scenario per prevedere gli impatti del cambiamento climatico sul proprio business, ma ciò rappresenta comunque un miglioramento rispetto agli anni precedenti.
Gestione del rischio e metriche di sostenibilità
La gestione del rischio climatico è un'altra area di interesse crescente. Un numero considerevole di società sta integrando i rischi e le opportunità derivanti dal cambiamento climatico nei propri processi decisionali, sebbene vi sia ancora spazio per migliorare la quantificazione di tali rischi e opportunità. L'87% delle società analizzate considera ora questi fattori nei propri processi decisionali, rispetto al 70% dell'anno precedente. Inoltre, sempre più aziende stanno quantificando i rischi e le opportunità climatiche, sebbene in modo non sistematico.
Infine, il rapporto mette in luce l'importanza di definire e utilizzare metriche e obiettivi per monitorare i rischi climatici, l'impatto ambientale delle attività aziendali e i progressi nella riduzione delle emissioni e nell'uso sostenibile delle risorse. Il 72% del campione ha condotto analisi del proprio "Carbon Footprint" e ha adottato obiettivi quantitativi di riduzione delle emissioni, mentre il 36% ha aderito al questionario Cdp Climate Change, che valuta l'impatto delle attività aziendali sul cambiamento climatico, dimostrando un impegno concreto verso la neutralità carbonica.
Il rapporto di Deloitte evidenzia una tendenza positiva verso una maggiore consapevolezza e azione delle imprese quotate italiane in materia di sostenibilità e cambiamento climatico. Tuttavia, ci sono ancora aree in cui le aziende devono fare progressi, come l'implementazione di strategie di adattamento più avanzate e la quantificazione sistematica dei rischi e delle opportunità climatiche. Questi risultati indicano la direzione verso la quale il mondo imprenditoriale italiano si sta dirigendo, sempre più consapevole dell'importanza di integrare la sostenibilità nelle proprie strategie aziendali per affrontare le sfide del futuro.