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Premierato, la bocciatura di Liliana Segre: “Aspetti allarmanti, non posso tacere”
L'allarme della senatrice: "Drastico declassamento a danno del Capo dello Stato, stravolti gli equilibri dei poteri"
Liliana Segre boccia il premierato. La senatrice a vita è intervenuta oggi in Aula durante la discussione generale sulla riforma costituzionale denunciando "vari aspetti allarmanti, non posso tacere", ha affermato.
Con il premierato avremmo "un drastico declassamento a danno del capo dello Stato, non solo privato di fondamentali prerogative, ma costretto a guardare dal basso all'alto un premier forte dell'investitura popolare", ha scandito.
Con il premierato, ha proseguito Segre, "il partito o la coalizione vincente sarebbe in grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia".
Insomma con questa riforma avviene uno "stravolgimento profondo che ci espone a problemi maggiori, non è facilmente comprensibile il motivo di questa scelta".
"Sia l’obiettivo di aumentare la stabilità dei governi sia quello di far eleggere direttamente l’esecutivo - ha sottolineato la senatrice a vita - si potevano perseguire adottando strumenti e modelli ampiamente sperimentati nelle democrazie occidentali, che non ci esporrebbero a regressioni e squilibri paragonabili a quelli connessi al cosiddetto 'premierato'".
"Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan 'scegliete voi il capo del governo'. Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate", ha concluso Segre tra gli applausi dell'opposizione.
Politica
La Russa e la ‘riforma del burraco’:...
Il presidente del Senato torna a parlare della sua revisione delle regole del gioco di carte per renderlo più amichevole e meno competitivo
Il burraco è solo un gioco. Ignazio La Russa, presidente del Senato, porta avanti la 'riforma' del celeberrimo gioco, troppo spesso condito da liti e tensioni. "La mia rra una uscita ironica, uno scherzo, ma vedo che è diventata una cosa seria...", dice il presidente del Senato a 'Un giorno da pecora, su Rai Radio 1, tornando sulla sua proposta di introdurre un "burraco friendly" perché "oltre a quello serio dove vedo un po' tutti arrabbiati, serve un gioco meno competitivo, più amichevole".
Il presidente del Senato ci tiene a "chiarire": "Non voglio cambiare le regole attuali, ma voglio aggiungerne delle altre, perché quando si gioca a burraco vorrei si recuperasse la voglia di stare insieme. Il concetto base era: cerchiamo di considerarlo un gioco e non uno sport competitivo. Poi, chi vuole considerarlo uno sport dove competere, continui pure a farlo" ma bisogna dare la possibilità a chi non è d'accordo a "giocare solo per divertirsi''.
La Russa precisa che "non vuole provocare uno scisma vero e proprio, ma fare una cosa tipo l'Inter che nacque da una costola del Milan... So che Scandroglio ha aperto una mail dove proporrà un nuovo regolamento tenendo conto della mia proposta. Io non aderirò ma chi vuole può farlo..".
L'ex ministro della Difesa del governo Berlusconi spiega di "non giocare mai in coppia con la moglie", altrimenti finisce per litigare perché lui "si distrae". E rivela di aver giocato una partita, invece, con Giorgia Meloni ma risale a oltre due anni fa: "L'ultima volta che ho giocato con la Meloni erano i primissimi giorni della legislatura...". Il presidente del Senato confida che la "Santanchè gioca spesso a burraco, in coppia con il compagno: sono molto bravi...".
Politica
Una sola donna alla Consulta? L’ex presidente...
"I nomi ci sono, una maggiore presenza femminile potrebbe essere utile"
Il Parlamento in seduta comune per eleggere i giudici della Corte Costituzionale si riunirà giovedì prossimo. E' rebus sui nomi in quota Fi ed 'indipendente' a parte le candidature almeno apparentemente blindate e convenute di Francesco Saverio Marini (in quota Fdi) e di Massimo Luciani (in quota Pd). Ma c'è un'altra 'presunta' certezza legata al 'colore' delle quote nello scenario spartitorio su cui si sarebbero accordate le forze politiche 2+1+1 (due giudici alla maggioranza, uno all'opposizione ed uno indipendente): in base alla regola stabilita un posto, quello del tecnico, andrebbe ad una donna. Qualche tentativo di colorare di rosa altre caselle è stato approcciato qua e là dalle forze politiche, ma si è risolto in una velleità, sgonfiatasi subito a conferma della regola.
Perché allora soltanto una casella su quattro è stata concessa alle donne, dal momento che tra l'altro a palazzo della Consulta solo 3 su 11 giudici costituzionali sono donne? "Se non vengono candidate è perché prevalgono logiche clientelari e non di merito. Oggi i nomi ci sono e non ci sono alibi come magari potevano esserci ai miei tempi. Io potrei farle almeno una decina di nomi di eccellenti costituzionaliste. Qualcuno faccia mea culpa", risponde senza mezzi termini all'Adnkronos il presidente emerito della Corte costituzionale Antonio Baldassarre, giudice costituzionale dal 1986 al 1995 di un Collegio di soli uomini.
"Il problema è la sensibilità di chi sceglie, che spesso opta per un meccanismo clientelare, per giuristi che lavorano accanto o a fianco dei partiti o ancor peggio opta per parlamentari la cui esperienza giuridica non va oltre quella elementare di un avvocato... Per fortuna adesso hanno un po' sfoltito... - chiosa -. E per fortuna il presidente della Repubblica nomina ogni tanto qualcuno che sta in disparte rispetto ai partiti. Però è troppo poco per compensare questa lacuna".
Al momento, sono tre le donne giudici costituzionali in carica a Palazzo della Consulta: due sono state nominate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Emanuela Navarretta nel settembre 2020; Antonella Sciarrone Alibrandi nel novembre 2023); ed una, Maria Rosaria San Giorgio, dalla Corte di cassazione nel dicembre 2020. Non andrebbero progressivamente riequilibrate le quote? "Io non ne farei questione di sesso: alla Corte dovrebbero andare massimi esperti di diritto, come Luciani... Da questo punto di vista uomini o donne non importa. Per il resto, parlando del mio settore, il diritto costituzionale, ci sono anche professoresse universitarie valenti...". "Ed hanno già dato prova del loro valore alla Corte donne molto capaci: Sciarra una delle più brave nel diritto del lavoro, di Marta (Cartabia - ndr) non parlo perché è stata la mia assistente...", aggiunge il costituzionalista.
E allora quale è il problema? "Il problema è che non rientrano nella logica clientelare e che questa classe politica non riesce a capire la distinzione fra competente e incompetente, fra bravo e somaro. Sbagliando. Perché la Corte costituzionale è uno dei pochi collegi in cui si discute veramente e potrei portarle esempi e testimonianze che se c'è uno valido si impone con la forza della competenza e del diritto; e che è controproducente giocare agli orticelli. Io ricordo che ai miei tempi c'erano giudici validissimi, come Ugo Spagnoli designato dal Parlamento, altri un po' meno. Questi ultimi - ricorda il presidente emerito - facevano sempre la figura dei 'peracottari', nessuno li stava ad ascoltare e questo non giova al partito che li designa".
Il Parlamento quindi porti 4 donne alla Corte? "Quattro no, perché ci sono anche uomini di altissimo spessore - precisa Baldassarre - Ma bilanci, questo sì. Non mancano le bravi e capaci e una maggiore presenza femminile a Palazzo della Consulta potrebbe essere utile al Collegio anche perché - conclude - le donne hanno più degli uomini una intuizione spiccata, che nel diritto è una capacità importante". (di Roberta Lanzara)
Politica
Una sola donna alla Consulta? Boldrini: “Giusto...
"Le brave ci sono, lavorano con modalità non collegate alla popolarità"
"Non ho il quadro delle interlocuzioni in corso fra i gruppi parlamentari per la definizione di chi sarà candidato per andare a svolgere questo importante ruolo a Palazzo della Consulta. Ma penso che ogni occasione debba essere utile a riflettere sulla parità, non si può più non farlo. La scelta giusta sarebbe candidare almeno due donne: due e due". Così all'Adnkronos la deputata Pd Laura Boldrini, ex presidente della Camera dei deputati (terza donna dopo Nilde Iotti a ricoprire questo ruolo) sul risiko candidature giudici costituzionali, in vista della convocazione delle Camere giovedì prossimo.
"Un luogo così importante come la Corte costituzionale dovrebbe essere composto con una parità. Cartabia nel 2019 è stata la prima donna a presiedere la Corte costituzionale e questo è stato un passaggio molto importante, ma arrivato molto tardi", prosegue Boldrini che nel corso della XVII legislatura, da strenua paladina dei diritti delle donne allestì a Montecitorio la Sala delle donne, dove accanto a tanti volti femminili che per i ruoli ricoperti raccontano l'evoluzione del nostro Paese, c'è una cornice senza volto a ricordare che la carica di presidente della Repubblica non è stata ancora ricoperta da una donna.
"Senza nulla togliere alle competenze degli uomini - chiosa - ma ogni occasione, compresa la prossima, sia opportunità per fare questo tipo di considerazioni di parità di rappresentanza, perché non si può più prescindere da questo. Il nostro Paese sconta un ritardo, un ritardo che è culturale, perché le donne competenti esistono e ce ne sono tante in ogni ambito. Ed il gap va riempito. Oggi non si può più dire che non sia così, questa è una motivazione irricevibile. Il fatto è che magari non sono visibili o sono meno note... perché lavorano con modalità non necessariamente collegate alla popolarità. Non le si conosce perché non hanno avuto modo di potere emergere dalle cronache, ma esistono e come". (di Roberta Lanzara)