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Anna Terio sarà nel cast di Gerri: interpreterà se stessa

Tanti impegni attendono Anna Terio. Prossimamente, l’attrice sarà infatti nel cast di Gerri, dove interpreterà, come lei stessa ha dichiarato un personaggio “torbido ed estremo”. Un ruolo che rappresenta una vera e propria sfida per la donna, che negli ultimi mesi ha preso parte, inoltre, al film Il Corpo diretto da Vincenzo Alfieri, un regista che, a suo dire, “ha una fantasia galoppante che usa al servizio di una cultura filmica smisurata”.

Dopo aver esordito nel mondo della moda, avendo dentro di sé il sentore che le mancasse qualcosa, anche per il linguaggio del corpo tipico dei modelli che le stava incominciando a stare stretto, Anna Terio è riuscita ad accedere, con merito, ai corsi del prestigioso Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, grazie al quale ha potuto canalizzare, come rivelato in diverse interviste, la sua inquietudine. Per anni performer della compagnia Ricci/Forte, l’attrice ha potuto studiare con Emma Dante, Romeo Castellucci, Marco Bellocchio e Cristina Comencini, maestri, oltre che grandi professionisti, capaci di insegnarle tantissimo.

Televisivamente parlando, il personaggio a cui Anna Terio si sente maggiormente legata è quello di Elisa Casali di Romanzo Siciliano, perché è stato il suo primo ruolo importante, che le ha dato modo di portare sul piccolo schermo una donna siciliana molto ambigua, sicuramente diversa da lei e dalla sua quotidianità, con tanto di scene girate con stunt-men e pistole. Tra i suoi lavori recenti c’è, inoltre, una piccola partecipazione in Imma Tataranni – Sostituto Procuratore, la fiction campione d’ascolti di Rai1 con protagonista Vanessa Scalera. In futuro, Terio sogna di lavorare con Paolo Sorrentino e, nel tempo libero, si definisce un’indaffaratissima mamma, che ama andare al cinema, al teatro e alle mostre. Quando pensa a lei nei prossimi dieci anni, Anna ha come obiettivo principale quello di essere felice ogni giorno della sua vita, esattamente come fa ora. E perché no, vincere un Oscar.

Giornalista e fondatore dell’agenzia Massmedia Comunicazione, è il motore dietro gran parte delle nostre interviste. Con un occhio per i dettagli e un talento nel porre le domande giuste, contribuisce significativamente al nostro contenuto.

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Spettacolo

Morto Wolfgang Becker, regista di ‘Good Bye,...

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La pellicola del 2023 è stato venduto in oltre 60 Paesi e ha ricevuto innumerevoli premi

Wolfgang Becker  - Morto

Il regista tedesco Wolfgang Becker, noto soprattutto per il film 'Good Bye, Lenin!', è morto a Berlino all'età di 70 anni dopo una grave malattia. L'annuncio della scomparsa è stato dato oggi dal suo agente a nome della famiglia. Lascia la moglie Susanne e la figlia Rike. "La famiglia ha chiesto di rispettare la sua privacy", ha dichiarato l'agenzia che lo rappresenta.

'Good Bye, Lenin!' è stato presentato in concorso alla Berlinale ed è diventato il film tedesco di maggior successo dell'anno nel 2003 con oltre sei milioni di spettatori. Il film, apprezzato anche a livello internazionale, è stato venduto in oltre 60 Paesi e ha ricevuto innumerevoli premi, tra cui nove Lola ai German Film Awards, sei European Film Awards, un César, un Goya e una nomination ai Golden Globe. "Good Bye, Lenin!" racconta la storia di una donna convintamente comunista della Germania socialista che entra in coma il 7 ottobre del 1989, poche settimane prima della caduta del Muro di Berlino. Al suo risveglio, otto mesi dopo, il figlio Alex per non provocarle uno choc che la ucciderebbe, anziché annunciare che il Muro è crollato trasforma l'appartamento di famiglia in una specie di museo socialista per indurla a credere che nulla sia cambiato.

Wolfgang Becker era nato a Hemer, in Westfalia, il 22 giugno 1954. Dal 1974 al 1979 ha studiato alla Libera Università di Berlino e dal 1981 all'Accademia Tedesca di Cinema e Televisione di Berlino. Per il suo primo film 'Farfalle', Becker aveva adattato un racconto dello scrittore inglese Ian McEwan nel 1987, vincendo lo Student Academy Award a Hollywood e il Pardo d'oro al Festival di Locarno, oltre ad altri riconoscimenti. Il suo secondo lungometraggio è stato 'Giochi per bambini', a cui è seguito il documentario 'Celibidache' (1992), ed è stato in concorso alla Berlinale con 'Das Leben ist eine Baustelle' (1997). Ha poi diretto 'Welcome to São Paulo' (2004), 'Ballero' (2005), 'Germany 09: 13 Short Films About the State of the Nation' (2009) e 'Ich und Kaminski' (2010).

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Spettacolo

Marracash: “La musica oggi è piatta ma ora ‘È...

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Il rapper si racconta in occasione dell'uscita del suo nuovo album

Marracash - Agenzia Fotogramma / Ipa

"È un momento storico in cui la musica è piatta, uniformante e forse anche poco interessante". Ma ora 'È finita la pace' "per rivendicare se stessi e il diritto dell'essere unici". È un Marracash emozionato e sereno quello che si presenta alla stampa per parlare del suo nuovo album ('È finita la pace', appunto) annunciato a sorpresa questa mattina. "Abbiamo finito il disco una settimana fa. È la chiusura di una trilogia iniziata nel 2019 ed è anche l'ultimo capitolo di un percorso personale dove ho cercato un mio modo di fare musica e rappresenta la ricerca di se stessi e l’accettazione".

Il primo album 'Persona' (2019), "era il percorso del rapper di periferia che metteva in crisi le sue convinzioni e carriera". Il secondo 'Noi, Loro, Gli altri' (2021), "il conflitto che avevo dentro si allargava anche all’esterno e adesso questo ultimo tassello è un po’ la resa dei conti. È il disco più personale che potevo fare: non ci sono feat, autori, interferenze esterne". Marracash rivendica, dunque, con orgoglio l'unicità di questo lavoro soprattutto nell'attuale momento storico: "il malessere è percepibile un po’ ovunque, l'inquietudine verso il futuro soprattutto dei giovani che forse neanche riescono a immaginarlo".

E il rap dopo il ‘Marrageddon Festival’ del 2023 confessa di aver affrontato un periodo di burnout: “Non è stata depressione. Ma quando finisce un periodo molto intenso poi resta un grande vuoto. Dopo anni pieni resta un silenzio assordante. Per me quello è stato un momento per disintossicarmi dai sonniferi e da tutta l’ipocrisia che c’è. Mi sono circondato dall'amore che ho stando con le persone che fanno parte della mia vita slegate dal lavoro". Il titolo 'È finita la pace' ha un triplice significato: "è finita la pace per me, per gli atri perché vuole essere un manifesto per rivendicare la propria unicità ed è finita nel mondo perché in questo momento viviamo in una polveriera non solo di guerra ma di sconvolgimenti".

L'album è "una bolla: 50 minuti in cui immergersi", uno spazio di consapevolezza lontano dal caos e dalla superficialità. Un posto privato in cui potersi riscoprire prendendo le distanze dalle mille bolle già esistenti e tutte uguali: dalla bolla social a quella finanziaria, da quella speculativa alla bolla del clima. “Viviamo in un mondo che apparentemente sembra libero ma in realtà è costruito per non farci essere noi stessi", ribadisce il rap che le manda a dire anche al mondo del musica con “tecniche di mercato che sono la copia di se stesse: Sanremo, l’estivo e la meccanica dei featuring. È un momento storico in cui la musica è piatta, uniformante e forse anche poco interessante”.

I tormentoni, ricorda il rapper, "esistono da 'Abbronzatissima' ma adesso gli artisti sono ostaggi di questa bolla: tutti cercano di indovinare attraverso gli algoritmi la formula giusta. Io non sono un santone, sono competitivo ma i risultati non si ottengono così. In questo modo non costruisci una cosa duratura e alla fine sei infelice perché hai sputtanato l’unica cosa che ami: ovvero la musica”. Il nuovo album, dunque, propone "un sound diverso, senza trap, più classico continuando la tradizione di campionare la musica italiana".

Il successo dei precedenti lavori conferma l'esistenza di "una terza via": "Il mainstream è talmente grosso che schiaccia la musica di nicchia ma con i due precedenti dischi ho raggiunto la consapevolezza che esiste un pubblico che vuole altro e può portarlo a grande livelli". L'artista crede in un lieto fine, un 'Happy end' come l'ultima traccia dell'album, dove ognuno trova la propria strada: "Ognuno deve vincere alla propria maniera. Io mi considero uno sbandato che ha vinto e spero che questo possa essere di ispirazione". Il messaggio finale è chiaro: la vera vittoria è l'autenticità, conquistata attraverso la libertà di scelta. Come canta Marracash: "Non esiste altra vittoria che essere sé stessi/ Non esiste altro modo di essere sé stessi se non scegliere/ È finita la pace, l’accondiscendenza. C’è una nuova pace/ La consapevolezza". (di Loredana Errico)

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Spettacolo

Parthenope, i costumi Saint Laurent per il film di...

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Dal14 dicembre nell'esposizione permanente degli Studi di via Tuscolana a Roma

Gli abiti di 'Parthenope' griffati Anthony Vaccarello

L'alta moda trova casa a 'Cinecittà si Mostra' dove dal 14 dicembre sarà possibile respirare le atmosfere di grandi set e sfilate grazie agli abiti confezionati da Anthony Vaccarello per Saint Laurent per 'Parthenope', il film di Paolo Sorrentino che ha appena festeggiato un milione di biglietti al botteghino. L'esposizione permanente degli studi romani permetterà ad appassionati di cinema, amanti dei film e curiosi di tutte le età di ammirare da vicino i sontuosi capi di scena originali disegnati dal costumista Carlo Poggioli e confezionati dalla maison francese sotto la direzione creativa di Anthony Vaccarello. A rimarcare il profondo legame tra il brand e il cinema solo lo scorso anno Vaccarello ha creato Saint Laurent Production, sussidiaria registrata del gruppo che per la prima volta nella storia di un brand di lusso viene creata con il compito di produrre film. I pezzi arrivati appositamente da Parigi a Cinecittà si Mostra sono infatti tra i primi realizzati per una pellicola coprodotta dalla Saint Laurent Productions.

Gli abiti di 'Parthenope' esposti

Ad essere esposti saranno l’abito argento in georgette di seta ricamata indossato da Celeste Dalla Porta, il vestito da sera in satin nero dalla profonda scollatura a V con spacco laterale che sempre la protagonista indossa, abbinato a un capospalla in ecopelliccia di visone a costine marrone, e l'indimenticabile mise ispirata alle dive del passato indossata da Luisa Ranieri nei panni di Greta Cool, composta da un mantello in jersey laminato oro e un abito dello stesso tessuto con scollo a cuore. Accanto a questi modelli sexy e iconici che ricordano volutamente dei modelli storici di YSL, il sensazionale abito gioiello indossato da Celeste Dalla Porta nella scena con il Vescovo interpretato da Peppe Lanzetta: una mitria, una collana e una cintura gioiello tempestati di pietre, nati dalla matita di Poggioli su ispirazione del Tesoro di San Gennaro e lavorati a mano con perizia da Pikkio, realtà leader nella realizzazione di gioielli per il cinema e il teatro.

Non manca un tocco maschile rappresentato dal completo di lino bianco senza tempo di Gary Oldman, nel film lo scrittore John Cheever, confezionato da un altro brand di eccellenza, quello di Cesare Attolini realtà di primissimo piano della grande tradizione sartoriale napoletana, celebre dagli anni Trenta che aveva come clienti Totò, Marcello Mastroianni, Vittorio De Sica, Clarke Gable. Ancora oggi quella maestria artigianale è sinonimo di tessuti di rara qualità e rifiniture rigorosamente a mano, per questo da anni Paolo Sorrentino, insieme al suo sodale Carlo Poggioli, sceglie il brand per vestire i suoi protagonisti maschili: da Michael Caine in 'Youth', a Toni Servillo in 'Loro', passando per Jude Law e John Malkovich nelle serie 'The Young Pope' e 'The New Pope'.

I costumi degli altri film

Legati a storie provenienti da altri mondi ed epoche lontane a 'Cinecittà si Mostra' c'è l'abito corazza (Sartoria Tirelli) realizzato da Gabriella Pescucci e Carlo Poggioli per il premio Oscar Heath Ledger nei panni di Jacob Grimm ne 'I fratelli Grimm e l'incantevole strega' (2005) diretto da Terry Gilliam. E alla matita del premio Oscar Pescucci si devono anche tre eteree creazioni (Tirelli) realizzate per Titania, interpretata da Michelle Pfeiffer e le sue fate, nell'adattamento di 'Sogno di una notte di mezza estate' (1999) girato a Cinecittà da Michael Hoffmann che nello storico Teatro 5 ricostruì il magnifico bosco dove umani e spiriti fatati si incontrano, intenti in giochi e scherzi amorosi. È una fata televisiva invece quella interpretata da Monica Bellucci ne 'Le meraviglie' di Alice Rohrwacher (2014) dove presta il volto alla star del piccolo schermo Milly Catena. L'abito (Sartoria Farani) con vistoso copricapo realizzato da Loredana Buscemi ricorda i look sfavillanti della mitica Raffaella Carrà, con un'aggiunta di suggestioni etrusche.

Non manca un omaggio ai 90 anni della diva italiana per antonomasia, Sophia Loren di cui la nuova selezione propone il costume di Isabella Candeloro (Collezione Costumi d’Arte Peruzzi) in 'C'era una volta' (1967) di Francesco Rosi. Ad accompagnarlo la mise di Omar Shariff nel ruolo di Rodrigo Fernandez (Sartoria Tirelli), partner della Loren nella pellicola. Entrambi gli abiti sono disegnati da Giulio Coltellacci e testimoniano non solo il carattere favolistico del soggetto ma anche la formazione teatrale del costumista che ha passato molta della sua carriera nel retropalco dei teatri di mezzo mondo. Hanno molto a che fare con il teatro anche i due costumi indossati da Maria Callas (Sartoria Tirelli), realizzati da uno dei maestri dei costumisti italiani, il premio Oscar alla carriera Piero Tosi che nel 1969 vestì la divina per la Medea di Pier Paolo Pasolini. Abiti quasi sacrali ispirati ai costumi popolari di etnie lontane, lavorati in garza di cotone e plissettati a mano seguendo antichissime tecniche, quindi tinti e lasciati essiccare al sole “alla maniera degli egizi”, come amava raccontare lo stesso Tosi.

Un omaggio all'immaginario fiabesco

Questa selezione a cura di Barbara Goretti, responsabile di 'Cinecittà si Mostra' omaggia, come da lei spiegato, "l’immaginario fiabesco, favolistico e mitologico di abiti storici e contemporanei, con grandi costumisti premi Oscar come Piero Tosi e Gabriella Pescucci. Abiti, ma anche gioielli, che restituiscono quell’insieme di simboli di cui sono cariche le storie fantastiche o i loro riferimenti ambientati nella realtà. Il focus sul film 'Parthenope', storia immersa nella realtà vitale e propulsiva della protagonista, che nasce nel mare come la sirena del mito, valorizza il lavoro del costumista Carlo Poggioli, grazie alla collaborazione con Saint Laurent che ha concesso questo prestito così importante, insieme a quello di Cesare Attolini. Un rapporto tra moda e cinema che Cinecittà si Mostra è orgogliosa di raccontare".

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