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In Italia più sei giovane più sei pessimista, soprattutto...

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In Italia più sei giovane più sei pessimista, soprattutto con figli a carico

Il trend sembra a tratti irreversibile: nei prossimi dieci anni l’Italia perderà l’11% delle famiglie con figli a carico. In pratica, il numero di quelle che resteranno senza figli nel nucleo familiare non verrà compensato da quelle che avranno dei figli per la prima volta.

In questo scenario demografico, c’è una causa di composizione, ma soprattutto di potere d’acquisto. Non a caso, infatti, tra le attuali sei milioni di famiglie italiane con figli, tre su quattro hanno un reddito sotto la media nazionale. Qui risiede la chiave di volta del problema: famiglie che dovrebbero avere un reddito maggiore per affrontare le spese legate al mantenimento dei figli, nel 75% dei casi si trovano invece in una situazione reddituale peggiore, spesso a causa di una restrizione nel monte ore lavorativo, se non di fronte a delle dimissioni come succede in Italia per una donna su cinque dopo il parto.

La situazione attuale

Avere figli, in Italia, spesso comporta una visione più pessimista del futuro, con evidenti ripercussioni anche negli acquisti. Il quadro è stato rilevato in occasione della seconda giornata della 39° edizione de Linkontro, l’evento di riferimento nel mondo del Largo Consumo di NIQ.

Sono state in particolare le parole di Christian Centonze, Head of Consumer Advanced Analytics, NIQ e Mara Galbiati, Head of I – Solution Sinottica, GfK, a fare una fotografia che riflette le sfide del recente passato e dell’imminente futuro per l’Italia.

Anche l’analisi inversa conferma la maggiore difficoltà per le famiglie con figli:

i nuclei in età centrale senza figli (7,5 milioni di famiglie): reddito oltre la media nel 54% dei casi;
i nuclei in età matura senza figli (12,2 milioni di famiglie): reddito oltre la media nel 60% dei casi.

Si nota che queste ultime cresceranno del 17% nei prossimi dieci anni raggiungendo un’età media di 60-75 anni, in linea con un’Italia sempre più vecchia. Per l’aumento dell’aspettativa di vita (fattore positivo), ma anche per il costante calo della natalità che nel 2023 è scesa ancora (fattore negativo).

Un calo che è anche di produttività dato che nei prossimi 10 anni ci saranno 3 milioni di lavoratori in meno, come emerso dall’analisi dell’Ufficio studi della Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato (Cgia). L’invecchiamento della popolazione porterà le persone in età lavorativa (15-64 anni) a ridursi dell’8,1%. All’inizio del 2024, la coorte demografica era stimata pari a poco meno di 37,5 milioni di unità, mentre nel 2034 scenderà a 34,5 milioni di persone. Sempre meno giovani, quindi, occuperanno i posti di lavoro. Il fenomeno coinvolgerà principalmente i baby boomer che sono coloro destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età. La conseguenza maggiormente visibile sarà lo spopolamento di numeri territori del Mezzogiorno.

Le conseguenze sui consumi

Ciò che emerge è un’Italia sempre più divisa nella ricchezza, nei valori e anche nella fiducia per il futuro. Un andamento in linea con la forbice sempre più ampia tra ricchi e poveri lungo la penisola.

In Italia, spesso le famiglie con figli rinunciano alla frutta e verdura a favore di un cibo consolatorio al contrario dell’altro gruppo di famiglie mature o senza figli.
Come rilevato da Openpolis, l’8,4% delle famiglie italiane non può permettersi un pasto a base di proteine ogni due giorni. Le scarse risorse economiche non sono l’unica causa della povertà alimentare, innescata anche dalla difficoltà di accedere ai servizi di assistenza, dalla scarsa educazione alimentare e dalla qualità del cibo presenti sul mercato.

Questa carenza assume un peso ancora più rilevante quando colpisce i bambini o i giovani in età di sviluppo, per la cui crescita è fondamentale una dieta sana e varia, come raccomanda l’Efsa (European Food Safety Authority).

Aumentano coloro che pongono più attenzione al risparmio acquistando dal Discount modificando radicalmente il carrello della spesa con una variazione del mix nel 2024 che ha impattato sul settore di -1 miliardo di euro (vs 2022). Cala dell’8% chi preferisce l’acquisto di un numero di prodotti medio, mentre aumentano notevolmente le famiglie che selezionano prodotti di qualità e salutari e di un budget maggiore, che segnano addirittura un +20% rispetto al 2019.

Per gli operatori del settore del largo consumo questo si traduce in una scelta di business: nonostante l’età media più alta, il target elettivo per l’innovazione di valore sono le famiglie in età centrale e senza figli, le quali, così come le famiglie mature senza figli a carico, hanno più potere d’acquisto, una maggiore attenzione al benessere e una maggiore apertura alla fruizione multicanale.

Più sei giovane più sei pessimista

Per avere un’istantanea dei consumi e delle opportunità per il mercato, NIQ ha incrociato i dati di consumo con la ricerca Sinottica GfK focalizzata sulla propensione aperta o chiusa al futuro e l’interesse verso il singolo o la collettività individuando quattro diversi approcci: il futuro è ora oppure è un’opportunità da gestire, non esiste e non interessa o addirittura spaventa.

Ne è emersa una realtà desolante: le famiglie con figli a carico ricadono prevalentemente nella sfera che percepisce negativamente il futuro a causa di preoccupazioni presenti a livello economico, al contrario delle famiglie giovani e mature, e dei nuclei senza figli che hanno un approccio più ottimistico sul futuro. D’altronde alcune ricerche dimostrano che i giovani vorrebbero avere figli, ma in una società profondamente diversa da quella attuale.

Il risultato è paradossale: in Italia, gli anziani hanno più fiducia nel futuro rispetto ai giovani.

Tra le preoccupazioni spicca quella per il cambiamento climatico, argomento prioritario per coloro che pensano che il futuro sia un’opportunità da cogliere, marginale per chi è centrato sull’oggi (spesso nuclei senza figli). Eppure, il problema ambientale è del pianeta, e non di certo personale. È forse l’egoismo il grande problema del nostro tempo? Il costante impegno per la produttività che mette sé stessi al centro e vede gli altri quasi come un ostacolo alla propria crescita professionale?

Anche le modalità di coinvolgimento cambiano a seconda del contesto e al rapporto con il futuro. Per i consumatori più concentrati sull’oggi valgono modalità di stimolo e crescita personale per generare attenzione, mentre chi pensa che il futuro sia un’opportunità, è più attratto da modalità di coinvolgimento incentrate sulla crescita collettiva. Contrariamente, per coloro che non sono interessati al futuro, servono consolazione e aiuto, mentre chi è spaventato dal futuro viene coinvolto con modalità comunicative che esprimono rassicurazione e vicinanza.

Chiaramente, cambiano anche le modalità per comunicare con i diversi consumatori. Chi è più giovane e proiettato al domani predilige canali come il podcast, mentre quotidiani e radio sono ancora i mezzi d’informazione preferiti dalle fasce più mature. Chi è concentrato sulle questioni del presente utilizza i canali digitali e i social media, mentre coloro che fruiscono della televisione sono più legati ai valori della tradizione.

Il quadro demografico italiano invita imprese, investitori e istituzioni a rinforzare la silver economy che si prospetta un importante volano di crescita per il futuro.

L’incontro offre infine un’analisi sul rapporto degli italiani con l’intelligenza artificiale: gli italiani concentrati solo sul presente, con una forte percezione individualista indicano questa evoluzione tecnologica come fondamentale per la propria affermazione economica. Al contrario, coloro che hanno più paura per il futuro rifiutano l’impiego di questa tecnologia rivoluzionaria, di recente disciplinata in Ue con l’Ai Act.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Il Reddito di cittadinanza ha aiutato pochi poveri (veri)

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Nonostante i 34 miliardi di euro spesi, il Reddito di cittadinanza (Rdc) ha permesso soltanto a 2 famiglie povere su 10 di fuoriuscire dalla condizione di povertà e tra quelle in povertà assoluta, lo hanno utilizzato meno di 4 su 10.

È laconica la relazione per la valutazione del Reddito di cittadinanza pubblicata dal Ministero del Lavoro, che ha studiato anche gli effetti della Pensione di cittadinanza (Pdc). Mentre molte famiglie povere hanno beneficiato della misura, in alcune zone della penisola i percettori del Reddito sono stati di più dei poveri.

L’analisi conferma la critica più decisa mossa allo strumento: il ricorso agli incentivi sulle assunzioni è stato estremamente scarso, riguardando meno di 2mila lavoratori.
Rdc e Pdc sono stati operativi da aprile 2019 a dicembre 2023 e sono stati percepiti (alternativamente) per almeno una mensilità da circa 2,4 milioni di famiglie corrispondenti a 5,3 milioni di persone (dati Istat). Spesso, però, non cambiando la situazione di chi ne aveva davvero bisogno.

Come l’Rdc ha inciso sulla povertà

La portata dell’Rdc non è stata costante negli anni, pur restando sempre al di sotto delle aspettative. Tra le famiglie in povertà assoluta hanno percepito il Reddito di cittadinanza:

Il 34,5% nel 2020;
il 38% nel 2021;
il 32,3% nel 2022.

La relazione segnala un andamento anomalo dal punto di vista territoriale. Nel 2022, nel Nord-Ovest del Paese il 21,5% delle famiglie era in povertà, ma hanno percepito l’Rdc solo il 12,9% delle famiglie. Analoga situazione nella sponda orientale del Settentrione dove ne ha beneficiato solo il 7,5% anche se le famiglie povere erano il 16,8% del totale.

Situazione opposta nel Sud e nelle Isole dove, nonostante la maggiore concentrazione di famiglie in povertà economica, le persone che hanno percepito l’Rdc sono state di più di quelle povere.
Nel Meridione, si registravano il 31,9% di famiglie povere, ma i percettori di Rdc erano il 41,7% del totale, mentre nelle isole le famiglie ne hanno beneficiato il 24,6% delle famiglie, nonostante “solo” il 14,6% fosse in povertà.

Il risultato è netto e poco virtuoso: milioni di famiglie e persone in povertà non hanno percepito il Reddito mentre oltre il 40% di chi ne ha beneficiato non era in situazione di povertà.

Perché l’Rdc non ha aiutato molte famiglie povere?

Secondo la relazione del Ministero del Lavoro sull’Rdc, il (quantomeno parziale) fallimento del Reddito di cittadinanza ha due matrici: una “culturale”, su cui pesano le scelte dei soliti “furbetti” e una tecnica, che nasce dal metodo di calcolo con cui viene attribuita la misura.

Sotto il primo aspetto, secondo gli autori della relazione è plausibile che ci sia stata una propensione a frammentare il nucleo familiare e a far ricorso a residenze fittizie per accedere ai sussidi pur non essendo davvero poveri. Per l’Istat rileva la famiglia di fatto, che tiene conto anche delle famiglie separate all’anagrafe, ma “unite” de facto. Nella pratica, però, è molto difficile far venire fuori questo disallineamento per cui molti nuclei unifamiliari costituiti ad hoc hanno percepito l’Rdc pur non essendo povere.

C’è poi un discorso tecnico: i requisiti per definire chi sia in povertà e chi abbia diritto a percepire l’Rdc sono solo parzialmente sovrapponibili.

Mentre per determinare l’ammissibilità al Reddito di cittadinanza veniva utilizzato l’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), per stabilire se un nucleo rientri o meno nella soglia di povertà, il calcolo dell’Istat si basa sui redditi e sulle spese necessarie per garantire una vita dignitosa, adeguandosi alle differenze geografiche nel costo della vita.

Nel dettaglio, l’Isee include tutti i redditi imponibili, come stipendi, pensioni e rendite, oltre ad alcuni redditi esenti come gli assegni familiari e considera il patrimonio mobiliare (conti bancari, azioni, ecc.), e immobiliare, ovvero il valore catastale delle proprietà immobiliari, con alcune esenzioni per la prima casa.

Per valutare la povertà, invece, vengono considerate tutte le spese necessarie per una vita dignitosa, comprese quelle per cibo, abbigliamento, abitazione, energia, trasporti e altre necessità. La soglia di povertà viene definita in base al paniere di beni e servizi necessari per soddisfare i bisogni essenziali, e varia a seconda del numero di membri della famiglia e della località geografica, perché il costo della vita può variare significativamente. Quindi mentre l’Isee è un indicatore statico basato su dati economici presenti e passati, che non tiene conto delle variazioni nel costo della vita a livello locale, l’approccio dell’Istat per misurare la povertà è dinamico e si basa su quanto una famiglia deve spendere per vivere dignitosamente nel presente, considerando le differenze geografiche nel costo della vita.

Esempio pratico

Immaginiamo una famiglia di quattro persone. Per il Rdc, questa famiglia potrebbe avere un reddito complessivo di 12.000 euro annui e possedere una casa del valore di 100.000 euro. Se l’ISEE è sotto una certa soglia, la famiglia potrebbe essere idonea per il Rdc. Tuttavia, la stessa famiglia potrebbe essere considerata povera se le sue spese mensili per cibo, affitto, bollette e altre necessità di base superano il reddito disponibile. In una grande città dove il costo della vita è alto, questa famiglia potrebbe non riuscire a coprire tutte le spese essenziali, risultando quindi classificata come povera secondo l’Istat.

CLICCA QUI PER APPROFONDIRE: Come si misura la povertà in Italia.

Le conclusioni della relazione sull’Rdc

Da quando ha annunciato di voler eliminare il Reddito di cittadinanza, oggi rimpiazzato dal diverso Assegno di inclusione, Giuseppe Conte e i sostenitori della misura hanno accusato il governo Meloni di aver rimesso in povertà milioni di italiani.

Stando alla relazione del Ministero, l’Rdc ha permesso di uscire dalla condizione di povertà o di non ricadervi a 404mila famiglie nel 2020, a 484mila famiglie nel 2021 e a 454mila famiglie nel 2022.
Si tratta rispettivamente del 16,6%, del 19,3% e del 17,1% delle famiglie stimate in povertà assoluta.

Bisogna poi considerare un grande flagello del sistema italiano che getta ombre sui risultati effettivi della misura. Infatti, come emerge dalla relazione, tra i percettori del Reddito di cittadinanza la presenza del lavoro irregolare è molto più frequente della media nazionale: più di un occupato irregolare su 8 appartiene a nuclei beneficiari di Rdc, per un tasso di irregolarità tre volte superiore a quello calcolato sui non beneficiari: 26,2% rispetto all’8,3% nell’anno 2019 con il piccol al Sud, dove si raggiunge il 30,1% dei lavoratori.

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Donne e giovani, a che punto siamo con i progetti del Pnrr

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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) dedica un’attenzione specifica ai temi della coesione sociale. La disparità di genere e il divario generazionale assumono sempre più valore nel contesto italiano. La Corte dei conti ha, perciò, analizzato a che punto sono i progetti del Pnrr per queste due macrocategorie. Vediamo insieme cos’è emerso.

Pnrr per giovani e donne

Nel Pnrr ci sono 61 misure, 39 delle quali hanno un impatto sui giovani, 14 sulle donne e otto su entrambi. La gran parte di queste è legata ad un gruppo di investimenti, ma ci sono 13 misure concentrate sugli interventi legati al divario generazionale e due legate al divario di genere.

La Corte dei conti ha spiegato che nella versione più recente del Pnrr, alle misure così identificate è assegnata una “dotazione finanziaria complessiva di 41,3 miliardi, sull’intero periodo 2020-2026, di cui 34,6 per finanziare investimenti. Inoltre, la riforma delle politiche attive del lavoro assorbe 5,5 miliardi, mentre la riforma della legislazione sugli alloggi per studenti con i relativi investimenti ha una dotazione finanziaria di quasi 1,2 miliardi. Le modifiche intervenute con la revisione del PNRR hanno comportato il definanziamento di alcune misure e il rifinanziamento di altre, con un saldo netto positivo”.

La valutazione dello stato di attuazione può essere effettuata seguendo le scadenze prefisse: entro la fine del quarto trimestre del 2023, sono stati raggiunti 121 milestone e target su un totale di 134 previsti, con una percentuale di completamento di oltre il 90 per cento. All’interno dell’aggregato figurano come tutti conseguiti gli obiettivi europei.

Ma l’avanzamento delle misure può essere inoltre valutato considerando la quota di risorse, tra quelle stanziate per le misure ad impatto su giovani e donne, che hanno trovato già destinazione in specifici progetti: “Le analisi – continua la Corte dei conti – evidenziano come a febbraio 2024 i progetti già finanziati ammontavano a 28,3 miliardi (il 68,5 per cento delle risorse totali previste dal Pnrr per tale tipo di misure). La distribuzione dei progetti, rapportati alla popolazione, risulta abbastanza rispondente alle esigenze dei territori, con una maggior concentrazione nel Mezzogiorno, dove i divari di genere e tra generazioni risultano più elevati. I progetti relativi alla sola realizzazione dei lavori pubblici hanno assorbito finanziamenti per 12,6 miliardi. Per tali progetti risultano bandite gare per 6,4 miliardi, e risultano aggiudicate gare per 3,6 miliardi. In generale, però, le procedure appaiono andare più a rilento nelle regioni del Mezzogiorno ed in alcune regioni del Centro. Considerando gli step dell’attuazione connessi alla realizzazione dei lavori pubblici si osserva come nel complesso questi si concentrino in uno stato di avanzamento intermedio: la maggioranza si trova nella fase di progettazione esecutiva, anche se per una quota non trascurabile è già partita la fase di esecuzione dei lavori”.

In sintesi, l’attuazione appare, per le misure aventi impatto su giovani e donne, pressoché in linea con i programmi.

Diseguaglianze di genere

Priorità assoluta del Pnrr è proprio il tema delle diseguaglianze e della coesione sociale. I divari di genere e a sfavore dei giovani possono essere misurati attraverso diversi indicatori. Il più significativo è quello relativo al ruolo nel mercato del lavoro. Tale tasso risulta più alto per le donne di quanto non sia per gli uomini, data non solo la maggior disoccupazione riscontrata per le donne, ma anche la
minor partecipazione. “Il gap di genere – riporta la Corte -, pari a circa 6,5 punti percentuali, è diminuito nel 2022 grazie alla maggior riduzione del tasso di mancata partecipazione femminile rispetto a quello maschile”.

L’altro indicatore relativo al mercato del lavoro è l’occupazione relativa delle madri. L’indicatore misura le criticità incontrate dalle donne con figli piccoli (in età prescolare) nell’accesso al mercato del lavoro, rispetto alle donne senza figli; tali difficoltà sono legate alle necessità di bilanciare i tempi di lavoro con le esigenze di cura (riconducibili alla distribuzione asimmetrica dei tempi di lavoro familiare tra i generi e alla difficoltà nella conciliazione).

“Nel 2022, l’occupazione relativa era del 72,4 per cento; il calo riscontrato rispetto al periodo precedente, quando si attestava attorno al 75 per cento, evidenzia difficoltà di conciliazione crescenti, nonostante la fine della pandemia. La scarsa occupazione delle donne con figli è connessa alle difficoltà nella conciliazione tra vita privata e vita professionale, a sua volta legata all’ineguale
distribuzione dei carichi familiari riconducibile a questioni culturali e stereotipi sui ruoli di genere; il carico di lavoro domestico e le responsabilità di cura riducono le aspirazioni lavorative delle donne, e ne aumentano le assenze dal lavoro. Quanto più l’indicatore ha valori elevati, tanto più la distribuzione tende ad essere asimmetrica; va rilevato un parziale miglioramento nel corso degli ultimi anni, con una riduzione dello squilibrio, passato dal 71,9 per cento del 2009 al 61,6 del 2022”, ha concluso la Corte dei conti.

Altro divario enorme è quello relativo alla quota di laureate nell’area Stem. La presenza femminile p sottorappresentata: “Nel 2020 le donne che hanno concluso un percorso d’istruzione terziaria nelle discipline Stem erano il 13,2 per mille della popolazione 20-29 anni (in cui si concentra il conseguimento della laurea), mentre gli uomini il 19,6 per mille, con una differenza del 6,4 per mille. Nel 2015 tale differenza era del 4,5 per mille”, ha spiegato la Corte dei conti.

Il divario generazionale

Anche il divario generazionale assume un ruolo principale nel Pnrr. Ciò può riguardare, ad esempio, la formazione scolastica dei giovani. Nel 2023, il 44,2% degli studenti di terza superiore aveva competenze numeriche inadeguate, un aumento rispetto al 38,7% del 2019. Nonostante il ritorno alla didattica in presenza, non si sono osservati miglioramenti significativi.

Nel 2022, l’11,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato prematuramente gli studi, sebbene questo indicatore sia in diminuzione negli ultimi anni. Un altro indicatore riguarda i giovani che non lavorano e non studiano, i cosiddetti Neet, la cui quota è scesa al 19% nel 2022, ben al di sotto della media precedente del 23%.

Nonostante questi dati positivi, i giovani incontrano ancora difficoltà nell’entrare nel mercato del lavoro e nel trovare impieghi stabili e adeguatamente retribuiti. Questo è evidenziato dal fatto che nel 2021, più di due giovani su tre (il 67,6%) vivevano ancora con i genitori, un aumento rispetto al 62,1% del 2018.

Infine, l’8% dei giovani tra i 20 e i 24 anni viveva in ambienti degradati nel 2022, un leggero aumento rispetto al 2021. Per quanto riguarda la partecipazione sociale, c’è stata una ripresa significativa dopo il calo del 2021, ma la quota di giovani che partecipano a attività sociali rimane bassa rispetto al periodo pre-pandemico.

Nel Piano, così come modificato a dicembre 2023, alle misure identificate è assegnata una dotazione finanziaria complessiva di 41,3 miliardi nell’intero periodo 2020-2026. Ad eccezione della riforma delle politiche attive del lavoro, per la quale sono stati stanziati quasi 5,5 miliardi, e la riforma della legislazione sugli alloggi per studenti e i relativi investimenti, che ha una dotazione finanziaria di quasi 1,2 miliardi, le altre riforme non hanno risorse assegnate. Pertanto, le 48 misure di investimento si ripartiscono 34,6 miliardi; di queste, solo 15 superano il miliardo di euro di stanziamento complessivo.

Cambio di programmazione e effetti sulle misure per giovani e donne

Nel 2023, il Governo italiano e la Commissione Europea hanno rivisto il Pnrr per adeguarlo alle condizioni di contesto sociale ed economico modificate. Questo ha portato all’approvazione del regolamento RePowerEU e all’inserimento del nuovo capitolo RePower nel Piano, con una specifica dotazione finanziaria. Alcune misure del Piano sono state modificate, altre eliminate, e altre ancora introdotte.
Delle 61 misure identificate, sono sei quelle che hanno subito una riduzione delle risorse (definanziamento), mentre altre sei hanno visto un aumento delle risorse assegnate (rifinanziamento). La maggioranza delle misure non ha subito variazioni dell’importo stanziato. Le misure che hanno impatto su giovani e donne sono rimaste invariate nel loro numero.

Il definanziamento di alcune misure ha comportato una riduzione di 2,12 miliardi dell’importo a disposizione per tali interventi. Allo stesso tempo, il rifinanziamento di altre misure ha portato ad un incremento delle risorse stanziate per tali interventi di 2,29 miliardi. Di conseguenza, il saldo netto della revisione del Piano per le misure che hanno impatto su giovani e donne è positivo, pari a 164 milioni. Questo significa che ci sono più risorse a disposizione per gli interventi volti a ridurre i divari generazionali e di genere. In particolare, per il 2024 le risorse aumentano di oltre 1,5 miliardi.
La riprogrammazione ha interessato principalmente la Missione 4, con una riduzione di circa 2,2 miliardi nel 2023. La misura più profondamente rivista è stata il Piano asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia, che ha subito un taglio delle risorse stanziate di oltre 1,3 miliardi.

L’analisi dei progetti finanziati permette di collocare territorialmente le risorse. La Lombardia è la regione con il maggior numero di progetti, seguita da Campania, Lazio e Sicilia. Tuttavia, se si considera la popolazione regionale interessata da tali interventi, la situazione cambia. Ad esempio, il Molise ha il maggior numero di progetti finanziati per ogni mille donne residenti e per ogni 1000 abitanti nella fascia di età 0-29 anni. In conclusione, i progetti finanziati si concentrano prevalentemente nelle Regioni del Mezzogiorno. Questo è coerente con i divari territoriali osservati in molte delle dimensioni analizzate, e la cui riduzione costituisce uno degli obiettivi principali del Pnrr.

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Maturità 2024, date orali e toto-tracce prima prova: come...

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Si avvicinano gli esami di maturità 2024. Anche per quest’anno si conferma lo stesso impianto: due prove scritte a carattere nazionale (decise, cioè, dal Ministero) e un colloquio. Le commissioni sono composte da commissari interni ed esterni e presiedute da un presidente esterno. E mentre nell’aria si sente già intonare “Notte prima degli esami” di Antonello Venditti, ecco quando si svolge la prima prova e quali sono le toto-tracce e nuove tendenze dei giovani di quest’anno.

La prima prova

La prima prova d’esame di Maturità 2024 accerta la padronanza della lingua italiana (o di quella nella quale avviene l’insegnamento): capacità espressive, logico-linguistiche e critiche degli studenti. Avrà luogo a partire dalle 8.30 di mercoledì 19 giugno con la stessa modalità in tutti gli istituti e una durata di sei ore. Come specificato in una nota del Ministero, i candidati possono scegliere tra tipologie e tematiche diverse. A disposizione degli studenti sette tracce che fanno riferimento agli ambiti artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico, economico, sociale. “Gli studenti possono scegliere, tra le sette tracce, quella che pensano sia più adatta alla loro preparazione e ai loro interessi – scrive il Ministero -. La prova può essere strutturata in più parti. Ciò consente di verificare competenze diverse, in particolare la comprensione degli aspetti linguistici, espressivi e logico-argomentativi, oltre che la riflessione critica da parte del candidato”.

Il toto-tracce

Da giorni si è dato il via al solito toto-tracce: cioè l’insieme degli argomenti più papabili per la prima prova scritta di italiano. Questa riguarderà gli autori di prosa e la coppia D’Annunzio-Pirandello, con Ungaretti, Svevo e Pascoli come possibili rincalzi sono le più diffuse. Per la poesia è Ungaretti a fare il vuoto dietro sé, anche se Montale recupera qualche posizione. Matteotti, Oppenheimer e Lenin restano in testa alle preferenze per la sezione “anniversari”. Tra le ricorrenze storiche spicca la Prima Guerra Mondiale ma si fa strada anche lo sbarco in Normandia. Intelligenza Artificiale, confitto israelo-palestinese e violenza di genere sono, invece, in cima alla lista delle questioni di attualità favorite. Questo è quanto si legge dall’analisi di Skuola.net, in un’indagine elaborata grazie al contributo di 1.500 maturandi.

Se il Ministero dovesse puntare su un autore dell’Ottocento, per 4 studenti su 10 il pronostico ricade su Gabriele D’annunzio. Una dinamica simile per gli autori del Novecento vede Luigi Pirandello, opzionato da oltre un terzo (34% e l’ultima volta che uscì fu nel 2003). In alternativa, gli studenti propongono: Giovanni Verga (lo indica quasi 1 su 3) e Alessandro Manzoni (votato dal 18%). Mentre per il ‘900 i diplomandi festeggerebbero se capitassero Italo Svevo (selezionato dal 22% del campione), uscito l’ultima volta nel lontano 2009, o Italo Calvino (così per il 17%), capitato in sorte ai maturandi nel 2015, forse troppo poco tempo fa.

Passando alla poesia, Giuseppe Ungaretti è stato pronosticato da 1 su 4, mentre Eugenio Montale, “adottato” dal 14% dei maturandi e con il quale si sono già confrontati i loro colleghi del 2004, del 2008 e del 2012. Altrimenti, vengono visti bene anche Giovanni Pascoli (12%), uscito nel 2022, e Giacomo Leopardi (11%), che essendo morto prima dell’Unità d’Italia non rientra perfettamente nel novero degli autori papabili per l’analisi del testo.

Poi, però, c’è la grande incognita del “testo argomentativo”, le cui tracce contengono riferimenti ad anniversari e ricorrenze storiche. Se ciò dovesse accadere, gli studenti raggiunti dal sondaggio di Skuola.net scommettono sempre più in blocco sul centenario del delitto Matteotti. Sul secondo gradino del podio, vengono piazzati i 110 anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, votati dal (12%). Al terzo posto, gli 80 anni dello sbarco in Normandia (6 giugno 1944), che sale al 10% dei consensi, forse spinto dalle recentissime celebrazioni. Minoritari i pronostici sui 20 anni dalla nascita di Facebook, i 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino, i 75 dalla fondazione della Nato, i 70 anni della Tv italiana.

Se il protagonista fosse un personaggio, sarebbe il fisico Robert Oppenheimer – di cui ricorrono i 120 anni dalla nascita – probabilmente lanciato dal biopic da premio Oscar sulla sua figura ma che porta con sé un argomento di indubbia attualità, quale è il dibattito sulla bomba atomica. Stabile pure una possibile traccia sul centenario della morte di Lenin: ci crede 1 su 5. A dividersi la terza posizione sono Guglielmo Marconi con i suoi 150 anni dalla nascita e i 100 anni dalla morte di Franz Kafka.

Per quanto riguarda l’attualità, la sfida è fra un terzetto diviso da una manciata di voti: prima è la traccia su “Intelligenza artificiale e nuove frontiere digitali” (24%), seconda è quella sul “Conflitto tra Israele e Palestina” (21%), terza è la doppia questione della “Violenza sulle donne” e della “Parità di genere” (18%). Ai piedi del podio, ma in calo, la “Guerra in Ucraina” (9%).

La seconda prova

La seconda prova riguarda una o più delle discipline che caratterizzano il corso di studi o dalle competenze in uscita e sui nuclei tematici fondamentali di indirizzo. È un’unica prova integrata in cui il Ministero fornisce la “cornice nazionale generale di riferimento” e le commissioni costruiscono le tracce declinando le indicazioni ministeriali secondo lo specifico percorso formativo attivato dalla scuola.

Per le sezioni ESABAC, ESABAC techno, sezioni con opzione internazionale, per le scuole della Regione autonoma Valle d’Aosta e della Provincia autonoma di Bolzano, per le scuole con lingua d’insegnamento slovena e con insegnamento bilingue sloveno/italiano del Friuli Venezia Giulia, è presente una terza prova scritta.

Il colloquio orale

Il colloquio orale si svolge dopo gli scritti e riguarda anche l’insegnamento trasversale dell’educazione civica. La commissione valuta sia la capacità del candidato di cogliere i collegamenti tra le conoscenze acquisite sia il profilo educativo, culturale e professionale dello studente. Prenderà il via da uno spunto iniziale scelto dalla Commissione. “È la fase dell’Esame in cui valorizzare il percorso formativo e di crescita, le competenze, i talenti, la capacità dello studente di elaborare, in una prospettiva pluridisciplinare, i temi più significativi di ciascuna disciplina – scrive il Ministero -. Questi ultimi saranno indicati nel documento del Consiglio di Classe di ciascuno studente. Nell’ambito del colloquio il candidato espone, mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza PCTO (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento) svolta nel percorso degli studi”.

Gli orali avranno luogo orientativamente a partire da lunedì 24 giugno o martedì 25, fatta eccezione per li Esabac, gli artistici e per le scuole che saranno seggio elettorale per i ballottaggi previsti.

Il documento del consiglio di classe

Entro domani, 15 maggio 2024, il consiglio di classe dovrà elaborare un documento che esplicita i contenuti, i metodi, i mezzi, gli spazi e i tempi del percorso formativo, i criteri, gli strumenti di valutazione adottati e gli obiettivi raggiunti, insieme a ogni altro elemento che lo stesso consiglio di classe ritenga utile e significativo per lo svolgimento dell’esame. La commissione si attiene ai contenuti del documento nello svolgimento della prova orale. Durante il colloquio, infatti, la commissione valuta la capacità dello studente di elaborare, in una prospettiva pluridisciplinare, i temi più significativi di ciascuna disciplina. Questi ultimi sono indicati nel documento del Consiglio di Classe di ciascuno studente.

Crediti e voti

Il voto finale dell’Esame di Stato è espresso in centesimi. Ecco come funziona:
• massimo 40 punti per il credito scolastico
• massimo 20 punti per il primo scritto
• massimo 20 punti per il secondo scritto
• massimo 20 punti per il colloquio.

La commissione può assegnare fino a cinque punti di “bonus” per chi ne ha diritto. Dalla somma di tutti questi punti risulta il voto finale dell’Esame. Il punteggio massimo è 100 (c’è la possibilità della lode). Il punteggio minimo per superare l’esame è 60/100.

Curriculum dello studente

Una delle novità degli ultimi anni è la redazione del Curriculum dello studente. Si tratta di un documento che viene allegato al diploma conseguito al superamento dell’esame di Stato. Da quest’anno, a sottolineare il valore orientativo del Curriculum dello studente, le informazioni in esso presenti sono desunte dall’E-Portfolio orientativo personale delle competenze introdotto dalle Linee guida per l’orientamento, cui si accede tramite la piattaforma Unica. “Nel Curriculum dello studente – specifica il Ministero -, infatti, confluisce quanto presente nelle sezioni “Percorso di studi” e “Sviluppo delle competenze” dell’E-Portfolio. Nella prima sezione i candidati possono visualizzare le informazioni sul loro percorso di studi, che figureranno nella prima parte del Curriculum. Tramite la sezione “Sviluppo delle competenze” i candidati possono inserire sia informazioni sulle certificazioni conseguite sia soprattutto sulle eventuali attività extra scolastiche, che vanno a confluire rispettivamente nella seconda e nella terza parte del Curriculum. Ciò permette di dare evidenza alle esperienze più significative, soprattutto quelle che possono essere richiamate nello svolgimento del colloquio”.

L’Intelligenza artificiale

Una riflessione va dedicata all’intelligenza artificiale che, oltre ad essere tra le papabili tracce del saggio breve, rientra anche tra i possibili strumenti utilizzati dagli studenti. Oltre 1 maturando su 4, infatti, sta già “interrogando” strumenti come ChatGPT o similari durante il ripasso prima dell’esame, per approfondire gli argomenti da preparare o per farsi dare una mano a superare i momenti di stallo. E un altro terzo abbondante (37%) potrebbe ricorrervi sotto data, qualora si trovasse in difficoltà. Alla fine, dunque, l’IA potrebbe essere una compagna di studio per ben 2 studenti su 3. A riportarlo è ancora una volta Skuola.net, su un campione di circa 1.000 alunni di quinto superiore.

L’uso più frequente di questo strumento è quello per “scrivere” temi ed elaborati assegnati per casa o per preparare verifiche e interrogazioni chiedendo informazioni al chatbot. Un approccio eticamente discutibile che, in ottica esame, potrebbe però trasformarsi in una pratica illegale. “Ben 3 maturandi su 10, però – scrive Skuola.net -, stanno già scaldando i motori: il 17% è ormai sicuro che proverà a consultare l’assistente virtuale in occasione degli scritti, il 13% lo farà solo se si ritrovasse con l’acqua alla gola. Peraltro non sarebbe un fatto del tutto nuovo: il 37% degli intervistati, almeno una volta, ha già utilizzato ChatGPT e simili durante una verifica scritta”.

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