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Ucraina, dagli Usa altre armi per 6 miliardi: nel pacchetto...

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Ucraina, dagli Usa altre armi per 6 miliardi: nel pacchetto anche i Patriot

L'annuncio del segretario alla Difesa americano Lloyd Austin

(Fotogramma/Ipa)

Gli Stati Uniti mandano altre armi all'Ucraina per la guerra contro la Russia e il conflitto può cambiare: Kiev ottiene altri Patriot. Dopo il varo del pacchetto da 61 miliardi di dollari, con la legge firmata dal presidente Joe Biden, Washington invia non si ferma. Il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha annunciato altri aiuti militari all'Ucraina del valore di 6 miliardi di dollari, nei quali sono compresi anche i Patriot, i sistemi di difesa aerea chiesti quasi ogni giorno dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky per fare fronte alla pioggia di missili guidati lanciati dalla Russia (9mila solo quest'anno).

L'annuncio è arrivato al termine di una riunione virtuale del Gruppo di contatto per la difesa dell'Ucraina. "Gli Stati Uniti - ha detto il capo del Pentagono - forniranno all'Ucraina altri missili Patriot per la sua difesa aerea, nell'ambito di un massiccio pacchetto di aiuti" a Kiev. Pacchetto che include anche altre munizioni per i sistemi National Advanced Surface-to-Air Missile Systems, Nasams, e ulteriori attrezzature per integrare i lanciatori, i missili e i radar di difesa aerea occidentali negli armamenti esistenti in Ucraina, molti dei quali risalgono ancora all'era sovietica.

Si tratta, ha rivendicato Austin, del "più grande pacchetto di assistenza di sicurezza su cui ci siamo impegnati finora". Il Dipartimento della Difesa ha annunciato un nuovo storico pacchetto di assistenza alla sicurezza per far fronte alle attuali esigenze dell'Ucraina sul campo di battaglia e dimostrare il costante sostegno degli Stati Uniti all'Ucraina - si legge in una nota del Pentagono -. Questo pacchetto, fornito attraverso l'Iniziativa per l'assistenza alla sicurezza in Ucraina (Usai), utilizzando i fondi stanziati dal supplemento per la sicurezza nazionale che il presidente ha appena firmato, comprende attrezzature per aumentare le difese aeree e l'artiglieria dell'Ucraina e per sostenere le capacità precedentemente impegnate dagli Stati Uniti".

Come può cambiare la guerra

Il massiccio invio di aiuti americani, compresi i missili Atacms a lungo raggio consegnati all'inizio del mese, può diventare un 'game changer', un elemento determinante in un conflitto che negli ultimi 6 mesi si è sviluppato con un copione definito: Russia all'offensiva, Ucraina impegnata a difendersi, tra carenza di munizioni e inferiorità in termini di uomini. La situazione per Kiev è particolarmente complessa lungo il fronte orientale.

Le truppe russe continuano ad avanzare nella regione di Donetsk in Ucraina, soprattutto nell'ultima settimana, come evidenzia l'intelligence britannica, che monitora le operazioni sul terreno. ''L'avanzata delle forze russe a ovest di Avdiivka, nell'oblast di Donetsk, ha subito un'accelerazione nell'ultima settimana'', prosegue il rapporto.

In particolare, le forze di terra russe starebbero marciando verso Ocheretyne che si trova approssimativamente a quindici chilometri dal centro di Avdiivka. L'intelligence britannica ricorda che, da quando i soldati russi hanno preso il controllo di Avdiivka nel febbraio del 2024, la zona è stata usata dall'esercito di Mosca per sferrare attacchi contro le truppe ucraine.

Ora, con le nuovi armi americane, l'Ucraina può adottare un approccio diverso. Kiev può colpire in profondità, andando a condizionare le procedure di lancio dei missili che quasi ogni giorno Mosca lancia su città e infrastrutture ucraine. Non sono solo gli Usa a sostenere gli sforzi dell'Ucraina. Anche la Spagna si appresta a inviare missili Patriot. Lo scrive il quotidiano El Paìs citando fonti governative a condizione di anonimato, secondo le quali Madrid invierà anche munizioni a Kiev. La Spagna ha tre batterie di missili Patriot, acquistate di seconda mano dalla Germania nel 2004 e nel 2014, ha scritto El Paìs. Una fonte diplomatica spagnola ha detto ai giornalisti che Madrid intende "intensificare" il suo "impegno nei confronti dell'Ucraina".

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Esteri

Meloni in Libia, stallo riconciliazione e allarme per i...

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Dbeibah indebolito da scontro con governatore Banca centrale, che sta finanziando 'in modo impressionante' gli sforzi di ricostruzione dell'est

Khalifa Haftar

Giorgia Meloni a Tripoli e Bengasi, mentre resta lo stallo nel processo di riconciliazione tra il governo dell’ovest guidato da Abdul Hamid Dbeibah, isolato e indebolito dallo scontro con il governatore della Banca centrale libica, e l’amministrazione dell’est che fa capo a Khalifa Haftar. E mentre gli americani sono sempre più preoccupati per la presenza dei mercenari russi dell’’Africa Corps’ in Cirenaica, un tema sollevato anche dalla premier nell’incontro con il generale.

“A ognuna delle parti va bene la situazione così com’è – spiega all’Adnkronos Ashraf Shah, ex consigliere politico dell’Alto consiglio di Stato di Tripoli – A Dbeibah, che è indebolito dallo scontro delle settimane scorse con il governatore della Banca centrale, Saddek al Kabir, che ha rischiato di sfociare in un conflitto armato”, un rischio rientrato due notti fa grazie ad un accordo tra i due principali gruppi armati di Tripoli. “E ad Haftar, 81 anni, dietro al quale si nasconde la lotta dei figli per la successione”.

In realtà, il ‘clan’ Haftar insieme al presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aquila Saleh, è diventato il primo beneficiario dello scontro tra il premier del governo di unità nazionale e al Kebir, che “sta finanziando in modo impressionante gli sforzi per la ricostruzione non solo di Derna, dopo le inondazioni di settembre, ma di tutto l’est”, racconta una fonte libica. Il fondo guidato da uno dei figli di Haftar – Belgacem – può infatti contare su decine di miliardi di dinari per investire in progetti che stanno ridisegnando l’intera regione.

Dello stallo nel processo politico ha dovuto prendere atto il rappresentante delle Nazioni Unite, Abdoulaye Batihly, ‘costretto’ il mese scorso a gettare la spugna, dopo aver tra l’altro annunciato il rinvio sine die della Conferenza nazionale sulla riconciliazione che avrebbe dovuto tenersi il 28 aprile a Sirte. E dopo aver pronunciato un duro atto d’accusa contro quelli che ha definito i ‘Big Five’: oltre a Dbeibah e Haftar, Mohammed Takala, a capo dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli, Mohamed al-Menfi, presidente del Consiglio presidenziale, e Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk. "I miei tentativi - queste le parole del diplomatico senegalese - sono stati accolti con una resistenza ostinata, aspettative irragionevoli e indifferenza per gli interessi del popolo libico”.

Le ragioni delle critiche di Bathily sono chiare: secondo Karim Mezran, analista dell’Atlantic Council, il periodo di calma seguito al fallito tentativo di Haftar di entrare a Tripoli nel 2020, “ha permesso di congelare l’equilibrio di potere fra le diverse fazioni politiche, che adesso non sono disposte a cedere le rispettive sfere di influenza avviando una transizione imprevedibile verso elezioni che potrebbero rovesciare l’attuale status quo”.

A prendere il posto del diplomatico senegalese – che era stato nominato a settembre del 2022 - potrebbe essere la sua vice, l’americana di origine libanese Stephanie Koury, che assumerebbe l’incarico ad interim senza passare da un voto del Consiglio di sicurezza, dove finirebbe impallinata dal veto di cinesi e russi.

“La sua nomina due mesi fa era stata un messaggio degli americani a Bathily perché si ritirasse”, dice Shah, secondo il quale l’inviato dimissionario, che non è espressione né degli Stati Uniti né dell’Occidente, “non è mai stato considerato abbastanza forte”.

Soprattutto in un fase in cui i russi sono sempre più presenti nell’est della Libia: “Nelle ultime due settimane almeno cinque navi militari russe sono attraccate a Tobruk, con carri armati ed altro equipaggiamento militare destinato oltre che a Bengasi anche ad altri Paesi del Sahel, qualcosa che crea grande allarme negli americani”, sottolinea il politico tripolino.

L’est della Libia – nella base di Al Jufra si trovano tra gli 800 e i mille mercenari – è uno dei cinque Paesi, insieme a Burkina Faso, Mali, Niger e Centrafrica, in cui hanno messo gli scarponi sul terreno i mercenari ex Wagner, ora raggruppati negli ‘Africa corps’ sotto il comando del ministero della Difesa di Mosca.

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Cronaca

Fagnani presenta il suo ‘Mala, Roma Criminale’....

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Il 'ras delle cooperative' alla presentazione del libro della giornalista al teatro Quirino di Roma

Francesca Fagnani

''Nel libro racconto una Roma carsica che non è percepita nella sua ferocia perché in superficie questa percezione non c'è''. Francesca Fagnani presenta il suo libro 'Mala, Roma Criminale' al teatro Quirino di Roma.

In sala, per il dibattito con il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e il procuratore aggiunto Michele Prestipino moderato da Fiorenza Sarzanini, vicedirettore del Corriere della Sera e storica cronista di giudiziaria che di mafia capitale si è occupata in prima persona, anche il prefetto di Roma, Lamberto Giannini, e il vice capo vicario della Polizia, Vittorio Rizzi.

In sala c'è anche il "ras delle cooperative" Salvatore Buzzi (in foto mentre si allontana dal teatro), condannato nel processo "Mondo di mezzo". Intercettato dall'Adnkronos, Buzzi non si è voluto esprimere sul libro: "Lo devo leggere prima... devo capire", si è limitato a rispondere. E di quello che si è detto che ne pensa? "Niente di nuovo, tutte cose note...", ha aggiunto, sottolineando: "Come va? Se campa... Male, ma se campa".

Tanti volti noti in platea al teatro Quirino di Roma. All'evento molti i giornalisti, da Massimo Giletti a Enrico Mentana, da Marco Carrara ad Andrea Giambruno, Monica Giandotti, fino all'ad della Rai, Roberto Sergio. Tra i presenti Michele Adinolfi, presidente di Adnkronos Comunicazione. Non sono mancati nomi di spicco del piccolo e grande schermo, dal produttore Pietro Valsecchi ad Alberto Matano, da Alessia Marcuzzi a Ilenia Pastorelli e cantanti come Noemi.

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Politica

Mentana: “Offeso da Lilli Gruber, La7 dica qualcosa o...

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Il direttore del Tg: "Dall'azienda mutismo da 24 ore, io non ho mai offeso nessuno"

Enrico Mentana

Enrico Mentana chiede un segnale a La7 dopo le parole "molto sgradevoli e offensive" pronunciate da Lilli Gruber nei confronti del direttore del telegiornale, 'reo' di aver sforato con i tempi ritardando l'inizio della puntata di Otto e mezzo andata in onda il 6 maggio.

"Ieri sera siamo andati un po' lunghi con il telegiornale, era una giornata cruciale, importantissima: la prospettiva di pace in Medioriente, la tragedia di Casteldaccia, vicino a Palermo, In più come ogni lunedì c'erano i nostri sondaggi e l'appuntamento con il Data Room di Milena Gabanelli. Come ogni lunedì siamo andati un po' lunghi, me ne scuso con i telespettatori. Un po' lunghi, come era prestabilito e concordato con chi dirige questa rete", dice Mentana chiudendo il tg di oggi.

"Chi ci ha seguito, Lilli Gruber, perché non mi piace di far finta di non sapere nomi e cognomi, ha avuto parole molto sgradevoli e offensive nei confronti del sottoscritto. Io mi siedo qui da 14 anni per fare questo tg, non ho mai offeso volontariamente nessuno e tantomeno i colleghi che lavorano su questa rete. Gradirei reciprocità a questo riguardo e gradirei da parte dell'azienda per cui lavoro che non ci fosse il mutismo che accompagna questa vicenda da 24 ore. Domani sera vedremo se c'è stato qualcosa, altrimenti trarrò conclusioni e dirette conseguenze", conclude.

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