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Rama contro Report, Rai: “Nessuna telefonata furiosa premier Albania a Corsini”
La nota di Viale Mazzini: "Corsini ci ha comunicato di essere stato raggiunto telefonicamente dal Primo Ministro albanese"

"Il direttore dell’Approfondimento Paolo Corsini ci ha comunicato di essere stato raggiunto telefonicamente dal Primo Ministro albanese Edi Rama. In quello che ci viene trasferito come breve e cordiale colloquio il Premier albanese ha preannunciato al direttore l’invio di una lettera con la richiesta di precisazioni e chiarimenti sulla puntata della trasmissione 'Report'. Lettera che è già arrivata e che la Direzione Approfondimento sta trattando come tutte le numerose richieste di precisazione e chiarimento che riceve. Prive di ogni fondamento le ricostruzioni che parlano di 'telefonata furiosa'". Lo sottolinea la Rai in una nota.
Cosa è successo
Su X il premier albanese, riferendosi all'inchiesta di Report di domenica scorsa sull’accordo sui migranti tra Italia e Albania, ha scritto: "Mia nonna, che mi ha insegnato l’italiano, mi diceva spesso che errare è umano, ma perseverare è diabolico. A ricordarmelo adesso è questo ulteriore passo falso di RaiTre. Report, il cui conduttore clamorosamente persevera con le stesse falsità già contenute nella schifosa puntata sull'Albania".
Secondo Rama, l'inchiesta di Report è piena di "menzogne", aggiungendo che il segretario della Presidenza del Consiglio albanese, Engjell Agaci, ha risposto nei tempi da lui richiesti dalla trasmissione, ma che le sue risposte non sono state pubblicate. Inoltre, Rama afferma che queste calunnie vengono utilizzate per attaccare il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni a spese dell'Albania. Il portale d'informazione albanese shqiptarja.com sottolinea che Rama reagisce anche alle accuse contro il fratello, Olsi Rama.
Secondo Rama, nella puntata di Report, "non solo non c’era nessuna parola del contraddittorio ottenuto per iscritto dalla vittima della brutale aggressione di fango, ma si è raccontato al pubblico che il segretario Agaci ha rifiutato di rispondere. Come se non bastasse questa clamorosa menzogna, il suo giornalista è apparso il giorno dopo in una tv albanese per ribadire il suo stupore per il fatto che le sue domande non avevano mai avuto riscontro, mentre come mostrano i fatti aveva ottenuto tutte le risposte, per iscritto e nel tempo da lui richiesto".
"Poi - prosegue Rama - lui stesso conferma che Report ha mentito quando aggiunge che 'nella mail di risposta di Agaci, lui ha confermato di essere stato il legale di alcuni narcotrafficanti'. Se questo è Servizio Pubblico io sono Federico Fellini. E se per questo programma del Servizio Pubblico un avvocato penalista di uno Stato di Diritto, che di regola non vive difendendo santi ma difendendo presunti criminali o criminali condannati, deve per questo essere aggredito come fosse egli stesso criminale, allora qui per trovare una logica simile è inevitabile ricorrere al ricordo dell'Albania quando la figura dell'avvocato difensore venne seppellita dal regime sanguinario comunista come i lebbrosi nel Medioevo".
"E il colmo - continua il premier - arriva quando il conduttore dice, come se avesse fatto una scoperta mozzafiato, che Agaci 'ha confermato di aver contribuito, da quando è diventato consulente giuridico di Rama, alla realizzazione del protocollo' sui migranti tra Italia e Albania, peccando anche un po' di grossolana logica, poiché il Segretario generale del Consiglio dei ministri non è il mio consulente giuridico, ma ricopre la più importante carica istituzionale del Amministrazione Pubblica sin dal 2013 mentre il protocollo è del 2023".
"Per rispetto del Servizio Pubblico - dice ancora Rama - e anche per un obbligo verso la dignità degli autori di questa sbagliatissima puntata di Report, provo per il momento a credere che comunque tutto questo accanimento per attaccare Giorgia Meloni a spese dell’Albania non è stato un peccato in malafede verso il mio paese e che anche l’importazione delle calunnie dall’Albania verso l’Italia (coinvolgendo negli affari del Servizio Pubblico addirittura le calunnie su mio fratello contro le quali lui aveva già sporto querela e aspetta la parola della giustizia albanese) è avvenuta solo come frutto di una insostenibile leggerezza dell’essere che sempre più spesso nei tempi odierni travolge sciaguratamente il potere nobile dell’informazione e trasforma il mondo del diritto di libertà d’informazione in un mondo di oppressione delle libertà e dei diritti umani".
"Assicurando il conduttore che mia nonna anche da morta continua ad avere ragione - conclude Rama - gli consiglio affettuosamente di dare retta alla santa donna e di non perseverare nell’erroraccio di quella orribile puntata, ma semplicemente di chiudere questa pagina ingloriosa, possibilmente pubblicando anche questo mio piccolo contributo alla salute del Servizio Pubblico italiano".
Per la presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Barbara Floridia, "è paradossale che un capo di governo straniero intervenga direttamente su un dirigente del Servizio Pubblico dopo essere stato citato in un'inchiesta giornalistica. Anche ove il premier albanese Edi Rama ritenesse di essere stato in qualche modo danneggiato dal servizio di 'Report', questo non può in alcun modo giustificare un suo intervento diretto sulla Rai. Auspico che sul contrasto alle ingerenze esterne sull'informazione ci sia ampia convergenza di tutte le forze politiche affinché venga tutelata l’indipendenza della stampa".

Politica
Riforma Giustizia, incontro tra Meloni e Anm il 5 marzo

La richiesta era partita dal neopresidente dell'Associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi

A quanto si apprende, l’incontro fra l’Associazione nazionale magistrati (Anm) e la presidente del consiglio Giorgia Meloni si terrà il 5 marzo alle ore 15.30 a Palazzo Chigi.
La data dell’incontro tra Meloni e Anm era attesa. Un confronto era stato infatti chiesto dal neopresidente Cesare Parodi subito dopo la sua elezione: "Ritengo indispensabile chiedere in tempi strettissimi un incontro con il governo. Siamo un potere dello Stato, cittadini che stanno portando avanti una battaglia e credo sia legittima la nostra richiesta", aveva detto a caldo Parodi.
Parole alle quali aveva a strettissimo giro replicato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: "Accolgo con favore la richiesta di un incontro col governo che il presidente Parodi ha già avanzato e auspico che, da subito, si possa riprendere un sano confronto sui principali temi che riguardano l'amministrazione della Giustizia nella nostra Nazione, nel rispetto dell'autonomia della politica e della magistratura", aveva detto la premier.
Politica
Terra Fuochi, ex ministro Costa: “Riunire cabina di...

Il titolare del dicastero dell’Ambiente durante il governo Conte: "In tre anni da ministro dell’Ambiente sono state fatte più cose che nei precedenti 50"

"Il governo Meloni si sveglia dopo due anni e mezzo, si accorge solo ora della Terra dei Fuochi? In tre anni da ministro dell’Ambiente sono state fatte più cose che nei precedenti 50, dalla cabina di regia che ha coinvolto lo Stato, la Regione Campania, i Comuni interessati e i comitati, sino alla direzione unica sulle bonifiche al Ministero, poi alla definizione del Sito di interesse nazionale a Giugliano. L’unica cosa che questo governo invece ha fatto è stata cancellare la direzione unica sulle modifiche”. Lo dice all’Adnkronos l’ex ministro dell’Ambiente del governo Conte I, Sergio Costa, a proposito delle parole riferite questa mattina dall’attuale titolare del ministero, Gilberto Pichetto Fratin, in audizione alla commissione Ecomafie, sulla questione Terra dei Fuochi, a seguito della condanna inflitta all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu).
L’ex ministro Costa è stato comandante regione della Campania del Corpo forestale dello Stato e a seguire generale di Brigata dei Carabinieri forestali. “Voglio ricordare che la condanna della Cedu è riferita al periodo precedente al 2013 - evidenzia Costa - sull’oggetto della sentenza, sino a una certa data non è stato fatto nulla, i primi inquinamenti delle falde risalgono al 1971-1972, poi c’è stata l’escalation negli anni ‘80 e ‘90, poi si è preso coscienza della realtà, ma allora non c’erano leggi sull’ambiente: il primo decreto, quello Ronchi, risale al 1997, la prima norma più aggressiva al 2001, quando il danno era già fatto”, ricorda l’ex ministro.
“Ho investigato sul tema Terra dei Fuochi sino al 2018, quando sono stato nominato ministro. Mi resi conto che tutto era ricondotto alla questione giudiziaria, ed è stato un errore perché si doveva anche procedere alla messa in sicurezza del territorio e alle bonifiche, ma devo dire con onestà che fino al 2018 il tema non era all’ordine del giorno della politica, andando oltre la distinzione tra destra e sinistra”, racconta Costa. “Da ministro, il mio primo atto fu istituire la prima cabina regia Stato-Regione-Comuni-comitati-associazioni. Quella cabina di regia esiste tuttora, ha prodotto il Commissario straordinario della Terra dei Fuochi alla Prefettura di Napoli, il coordinamento quindi c’è, contrariamente a quanto dice il ministro Fratin. Se non la riunisci, non funziona”.
Sull’accusa del ministro Pichetto Fratin di “eccesso di coinvolgimento e concertazione” che porterebbe a una “mancanza di coordinamento”, Costa risponde così: “Dico al ministro che si deve fare i conti con la Carta costituzionale che conferisce determinati poteri a Stato, Regione, Comuni. Vanno rispettate le competenze, non dico se è giusto o sbagliato, quello che dice la legge non può non essere applicato”.
“Se ho preparato le fondamenta del palazzo, ora si dovrebbe solo partire con l’accordo di programma, con la messa in sicurezza e poi la bonifica dell’area, ma il governo Meloni non l’ha fatto. Anzi, la direzione generale sulle bonifiche è stata cancellata. O negligenza, o sciatteria, o idea precisa di mettere da parte la questione. La storia dice che le cose sono state fatte”.
Cosa ha detto il ministro Pichetto Fratin
"Ciò che è stato fatto non è sufficiente ed è evidente che occorre dare un ulteriore slancio alle azioni di risanamento con maggiore rapidità", ha detto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in audizione davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentari, riguardo alla cosiddetta Terra dei fuochi.
"Come sapete, ormai da una decina di anni, sono state messe in campo una pluralità di azioni che hanno cercato di raggiungere gli obiettivi di risanamento ambientale e di tutela della salute dei cittadini. Queste azioni hanno visto il coinvolgimento sinergico di tutti i livelli istituzionali che, con grande senso di responsabilità, hanno cercato di portare sollievo ad una terra martoriata - ha spiegato - Il contributo settoriale del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica è stato inquadrato nell’ambito di una strategia complessiva che comprende, oltre ai temi ambientali, temi sanitari, salubrità dei prodotti agricoli, sicurezza del territorio, prevenzione e repressione degli illeciti".
"La pluralità e la complessità degli interventi è ben riscontrabile da un esame veloce del Contratto istituzionale di sviluppo alla cui attuazione presiede il Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud. Obiettivamente ciò che è stato fatto non è sufficiente, ed è evidente che occorre dare un ulteriore slancio alle azioni di risanamento con maggiore rapidità come ci ricorda anche la sentenza della Corte europea", conclude.
Quanto ai "rilievi mossi dalla sentenza" della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla 'Terra dei fuochi', "rispetto alla quale è comunque in corso una valutazione con l’Avvocatura dello Stato di ordine giuridico compresa l’eventuale proponibilità di un ricorso rispetto alla tempistica prospettata, impongono dunque un’azione immediata da parte di tutte le istituzioni coinvolte".
"Le azioni che il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica porrà nei prossimi mesi saranno improntate a uno spiccato spirito di collaborazione istituzionale, fermo restando le specifiche competenze di ciascun attore istituzionale. I miei uffici sono attenzionati affinché sia garantito il massimo delle funzioni trasferite dall’anno 2018 sul coordinamento e monitoraggio degli interventi di emergenza ambientale anche al fine di individuare ulteriori azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania", aggiunge.
Secondo la Corte europea, ha ricordato Pichetto, "la mancanza di organicità nell’azione delle autorità preposte, la lentezza e la parzialità di alcuni interventi sono elementi che lasciano supporre che le autorità italiane non abbiano agito con la diligenza richiesta dalla gravità della situazione e non abbiano dimostrato di aver fatto tutto ciò che poteva essere richiesto per proteggere le vite dei ricorrenti".
"L’Italia è stata condannata ad adottare, senza indugio e comunque entro due anni dalla data in cui la sentenza diventerà definitiva, misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell’inquinamento in questione, in linea con le raccomandazioni delineate dalla stessa sentenza, ossia: l’adozione di una strategia globale che unisca le misure esistenti e quelle prospettate; l’adozione di un meccanismo di monitoraggio indipendente; la creazione di una Piattaforma di informazione pubblica", spiega.
Politica
Dal 1956 solo 9 donne su un totale di 125 giudici...

Le Camere riunite in seduta comune hanno perso la sfida di ridurre drasticamente un settantennale gap di genere

Maria Alessandra Sandulli è la giudice costituzionale donna eletta dal Parlamento in seduta comune. Unica donna nella rosa dei 4 giudici mancanti, porta a quota 9 il numero totale delle donne elette alla Corte costituzionale nella storia della Repubblica; ed a quota due quelle elette dal Parlamento nel più giovane organo costituzionale della Repubblica, nato con la Costituzione del 1948 ed in funzione dal 1956. Un magro risultato per il Legislatore se si guarda alle quote di genere e si considerano le caselle che erano rimaste vacanti, quattro.
Il numero appare ancor più esiguo se si confronta al totale degli uomini che hanno ricoperto ad oggi il prestigioso incarico di giudice costituzionale, 113 in tutto su un totale di 125 giudici investiti e se si osserva l'estrema lentezza del ritmo di crescita. Il primo varco d'ingresso del gentil sesso al prestigioso Palazzo 'dirimpettaio' del Quirinale è infatti stato aperto ben 40 anni fa, quando Fernanda Contri fu nominata alla Corte nel novembre del 1996 dal presidente della Repubblica di allora, Oscar Luigi Scalfaro. Da allora solo otto altre donne sono diventate giudici costituzionali: Maria Rita Saulle, Marta Cartabia, Daria De Pretis, Silvana Sciarra, Emanuela Navarretta, Maria Rosaria San Giorgio, Antonella Sciarrone Alibrandi, Maria Alessandra Sandulli.
Il divario persiste ancora oggi: in un Collegio di 15 giudici costituzionali, solo quattro di essi sono donne, e tre di loro tra l'altro neanche di nomina parlamentare: Sciarrone Alibrandi e Navarretta sono infatti state incaricate dal Capo dello Stato Sergio Mattarella e San Giorgio dalla Corte di cassazione. Certamente la presenza femminile è più massiccia rispetto al passato ma dal momento che il Parlamento oggi ha eletto 4 mancanti - che dopo l'ok della Corte andranno a sostituire Silvana Sciarra (decaduta nel novembre 2023), Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti (decaduti nel dicembre 2024) - deputati e senatori hanno perso l'occasione di 'riequilibrare' la partita, riducendo ulteriormente i gap portando il Collegio al suo plenum (15 giudici) per la prima volta nella sua storia ad un quasi riequilibrio, con 7 donne in quota rosa.
Tanto più che tra i tre organi dello Stato incaricati della nomina dei 15 giudici costituzionali che compongono la Corte (per un terzo il Presidente della Repubblica, per un terzo il Parlamento in seduta comune, per un terzo le supreme magistrature ordinaria e amministrativa) è il Quirinale quello a detenere lo scettro storico delle quote rosa, con ben 6 nomine delle 8 complessive a palazzo della Consulta. Fu infatti l'ex presidente Scalfaro a nominare Contri, così come poi successivamente fu sempre il Quirinale ad indicare ben altre 5 giudici donna: Maria Rita Saulle fu incaricata nel novembre 2005 dall'ex presidente Carlo Azeglio Ciampi; Marta Cartabia nel settembre 2011 fu nominata dall'ex presidente Giorgio Napolitano; Daria De Pretis, fu scelta sempre da Napolitano nell'ottobre 2024; Emanuela Navarretta fu scelta nel settembre 2020 dal presidente Sergio Mattarella, a cui va intestata anche la nomina di Antonella Sciarrone Albrandi, nel novembre 2023.
Per quanto riguarda le altre tre restanti giudici della storia della Corte, solo una è stata nominata dalle supreme magistrature: Maria Rosaria San Giorgio, eletta il 17 dicembre 2020 dalla Corte di cassazione ed al momento ancora in carica; E solo due casi il Parlamento in seduta comune ha promosso la parità di genere eleggendo oggi Sandulli e Silvana Sciarra nel novembre 2014. Sciarra, che a fine mandato nel settembre 2022 fu eletta presidente della Corte costituzionale, è stata la seconda donna alla guida di palazzo della Consulta dopo Marta Cartabia, entrata per nomina presidenziale ed eletta primo presidente donna dalla Corte riunita in Camera di consiglio l'11 dicembre 2019. (di Roberta Lanzara)