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Cronaca

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Il saluto romano è reato? Le motivazioni della Cassazione tra contesto, valenza simbolica e pericolo

I giudici: "La caratteristica 'commemorativa' non determina l'automatica insussistenza del reato"

Un saluto romano

Il saluto romano è un reato o no? Aiutano a far chiarezza le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 18 gennaio la Corte di Cassazione ha disposto un nuovo processo di Appello nei confronti di otto militanti di estrema destra.

"L'integrazione del reato richiederà che il giudice accerti in concreto, alla stregua di una valutazione da effettuarsi complessivamente, la sussistenza degli elementi di fatto (esemplificativamente, tra gli altri, il contesto ambientale, la eventuale valenza simbolica del luogo di verificazione, il grado di immediata, o meno, ricollegabilità dello stesso contesto al periodo storico in oggetto e alla sua simbologia, il numero dei partecipanti, la ripetizione insistita dei gesti, ecc.) idonei a dare concretezza al pericolo di "emulazione" insito nel reato secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale", si legge nelle motivazioni. Con la sentenza in questione, i giudici delle Sezioni unite penali hanno disposto un nuovo processo di Appello nei confronti di otto militanti che avevano compiuto il saluto romano nel corso di una commemorazione a Milano il 29 aprile 2016, aggiungendo che la prescrizione è maturata il 27 febbraio scorso. Gli imputati erano stati assolti in primo grado nel 2020 per l’insussistenza dell’elemento soggettivo e poi condannati nel 2022. Una volta arrivato il fascicolo in Cassazione i giudici della prima sezione penale avevano investito della questione le Sezioni Unite.

"Va peraltro escluso che, di contro, come sostenuto dalle difese dei ricorrenti, la caratteristica 'commemorativa' della riunione possa rappresentare fattore di neutralizzazione degli altri elementi e, quindi, di 'automatica' insussistenza del reato, attesi il dolo generico caratterizzante la fattispecie e la irrilevanza dei motivi della condotta", sottolineano i supremi giudici nelle ventotto pagine di motivazioni.

"La condotta, tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla 'chiamata del presente' e nel cosiddetto 'saluto romano' integra il delitto previsto dall'art. 5" della legge Scelba "ove, avuto riguardo alle circostanze del caso - scrivono le Sezioni Unite Penali - sia idonea ad attingere il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista".

Questa condotta può integrare anche il delitto, di pericolo presunto, previsto dall'art. 2 comma 1 della legge Mancino "ove, tenuto conto del significativo contesto fattuale complessivo, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi" che hanno tra i loro scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.

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Cronaca

Depistaggio Borsellino, la difesa al contrattacco

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L'avvocato Seminara

(dall'inviata Elvira Terranova).- Più che un'arringa difensiva sembra un atto di accusa. Contro quei magistrati che si occuparono delle indagini sulla strage di via D'Amelio, definiti "superficiali", ma anche contro chi ha dichiarato in vari processi "attendibile" il falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino. Parla di "troppe contraddittorietà sulla sparizione dell'agenda rossa del giudice Paolo Borsellino" e ricorda che i due poliziotti che difende erano solo l'ultima ruota del carro. Va all'attacco sin dalle prime parole del suo intervento, l'avvocato Giuseppe Seminara, legale di Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di calunnia aggravata in concorso nel processo d'appello sul depistaggio sulla strage di via D'Amelio.

"Si contesta agli imputati l'aggravante di avere agito per occultare la responsabilità di altri soggetti nella strage di via D'Amelio - dice Seminara- Questa aggravante viene contestata anche a Ribaudo e a Mattei, rispettivamente agente e vice sovrintendente della Polizia di Stato. Cioè, stiamo parlando degli ultimi due gradi della scala gerarchica che rispetto al vertice hanno una tale distanza che parlare di comunicabilità è un'offesa a quello che pensiamo possa avvenire nella normalità". E aggiunge: "Si tratta di due soggetti che fanno parte degli ultimi gradini della scala gerarchica e contestare queste accuse è quanto meno singolare". Poi aggiunge: "L'imputato ha fede nella giustizia. Il rappresentante dell'accusa, a mio parere, ha perso la fede verso la giurisdizione. Sostenere l'attendibilità per l'unghia del piede di Vincenzo Scarantino è qualcosa di aberrante. I giudici in diverse occasioni, dalle sentenze Borsellino, uno, bis e ter, hanno riconosciuto l'attendibilità di Scarantino. E' incredibile quante volte gli avvocati hanno urlato vendetta rispetto a quel tipo di procedimento".

Sono tre, in tutto, i poliziotti imputati, con l'accusa di aver costruito a tavolino falsi pentiti, inducendoli a mentire, per depistare le indagini sulla strage di via D'Amelio. Si tratta di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Al termine della requisitoria il procuratore generale di Caltanissetta, Fabio D'Anna ha chiesto 11 anni e 10 mesi di carcere per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Le stesse pene richieste nel processo di primo grado. Il tribunale di Caltanissetta, in primo grado, il 12 luglio 2022, aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Bo e Mattei, mentre Ribaudo venne assolto.

"Sulla sparizione dell'agenda rossa, si è detto che non è stata Cosa nostra, ma questo interesse ad avere l'agenda rossa è compatibile e finalizzato al compimento della strage? - si chiede l'avvocato Seminara - Il fatto che qualcuno avesse interessa a prendere l'agenda significa che questo qualcuno è partecipe alla strage? Sull'agenda rossa quanti elementi abbiamo avuto"'. Seminara parla di "contraddittorietà" su "una questione già molto discutibile e contraddittoria", cioè la sparizione dell'agenda rossa del giudice Borsellino. Scomparsa subito dopo la strage del 19 luglio 1992. "Questa borsa di Borsellino prima di arrivare nella stanza di Arnaldo La Barbera", l'ex dirigente della Squadra mobile di Palermo, "dove arriva, potrebbe avere percorso altre vie e potrebbe essere stata portata in procura", dice Seminara.

"Sull'agenda rossa purtroppo abbiamo un tale numero di circostanze che ci impedisce di poterla ritenere un elemento rilevante ai fini del presupposto dell'appartenenza di soggetti estranei a Cosa nostra nella fase di programmazione ed esecuzione della strage. In linea teorica ipotizziamo che vi sia stata una corrispondenza di interessi. E' pacifico che un gruppo di soggetti partecipanti all'attività criminale possa avere avuto un interesse diverso, ma in che cosa si è concretizzato? Quando abbiamo potuto estrapolare un elemento oggettivo che possa farci giungere alla prova che rispetto alla fase dell'esecuzione della strage vi sia stato l'intervento di istituzioni o soggetti esterni?". E sottolinea: "L'interesse ad avere l'agenda rossa è compatibile al compimento della strage? Sull'agenda rossa quanti elementi abbiamo avuto? Sono stati aggiunti elementi di criticità a una situazione già contraddittoria. Noi ipotizziamo che vi sia stata una corrispondenza di interessi di soggetti partecipanti all'attività criminale".

Il legale ha iniziato il suo intervento ricordando le vittime della strage ma anche le 'vittime collaterali', cioè quei sette innocenti condannati ingiustamente all'ergastolo proprio per le accuse del falso pentito Scarantino. "A 30 anni e oltre dall'eccidio della strage di via D'Amelio questa difesa ritiene di rinnovare il proprio cordoglio per le vittime e i loro familiari. Ma così come ho fatto in primo grado intendo esprimere anche la partecipazione al dolore dei cittadini ingiustamente condannati. Perché si sgombri il campo, per tutti questi soggetti, appartenenti o meno ad associazioni criminali", dice Seminara.

Ricorda anche l'ex Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra e l'ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, morti, più volte citati dall'accusa nel corso del processo. "Ci è stato detto di non fare un processo ai morti, dal procuratore Tinebra al dottore La Barbera, ma si perde di vista un'altra cosa: manca la possibilità di avere il loro contributo che per noi sarebbe stato di grandissimo aiuto. Perché avrebbe consentito di contrastare molti dei passi che hanno riguardato i collaboratori di giustizia del processo di primo grado", dice l'avvocato Giuseppe Seminara. E sull'ex capo del gruppo investigativo 'Falcone e Borsellino' La Barbera, aggiunge: "Non vi e' possibilità di pensare che Arnaldo Barbera, con la sua lunga esperienza, non avesse fatto cancellare ogni prova per evitare che la sua carriera venisse notevolmente compromessa".

La seconda parte della sua arringa difensiva è stata dedicata ai collaboratori di giustizia Francesco Di Carlo, Vincenzo Onorato e Vito Galatolo ritenuti "inattendibili" con le loro dichiarazioni. Il processo proseguirà martedì prossimo, 7 maggio, per la conclusione dell'arringa difensiva dell'avvocato Seminara e per ascoltare la difesa del poliziotto Mario Bo, l'avvocato Giuseppe Panepinto. La sentenza dovrebbe essere emessa il 4 giugno.

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Cronaca

Frosinone, disabile muore in auto verso l’ospedale:...

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L'operatore sanitario aveva tentato invano di rianimare la vittima. Per lui 7 giorni di prognosi

Auto dei carabinieri e ambulanza - Fotogramma

Un disabile è morto soffocato da un boccone di cibo mentre un vicino lo accompagnava in ospedale e un parente ha poi aggredito un infermiere del 118 che, durante il tragitto, è arrivato sul posto tentando invano di rianimarlo. E' accaduto a Cervaro nel frusinate e sono intervenuti i carabinieri.

Da una prima ricostruzione, per il disabile è stato richiesto l'intervento del 118 a causa di un principio di soffocamento ma, visto che i soccorsi tardavano, un vicino lo ha accompagnato in auto verso l'ospedale. Durante il tragitto l'uomo è stato soccorso dal 118 che ha tentato invano la rianimazione e il medico non ha potuto fare altro che certificare il decesso. Un nipote del disabile ha aggredito un infermiere del 118, che ha riportato una prognosi di sette giorni.

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Cronaca

Saman Abbas, “non escluso che a ucciderla sia stata...

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Lo scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza che definiscono Shabbar Abbas, sua moglie Nazia e Danish Hasnain "parimenti e pienamente coinvolti nell’omicidio"

Un cartellone con la foto di Saman Abbas e un mazzo di fiori - Fotogramma

Non è escluso che a uccidere materialmente Saman Abbas, la 18enne pakistana assassinata a Novellara, sia stata la madre. E' quanto scrivono i giudici della Corte d'Assise del tribunale di Reggio Emilia nelle motivazioni della sentenza di condanna all'ergastolo dei genitori e dello zio della ragazza.

Il ruolo di madre, padre e zio

"Non ci sono elementi certi - si legge nelle oltre 600 pagine del provvedimento - in base ai quali affermare che sia stato Danish Hasnain (zio di Saman, ndr) da solo a eseguire materialmente l'azione di strozzamento che ha portato alla morte Saman Abbas. Difatti la circostanza che Nazia Shaheen, la madre della vittima, scompaia dalla vista delle telecamere per un minuto, con Saman ancora in vita, non consente di escludere con certezza che anche lei abbia effettivamente partecipato all'omicidio, tenendo ferma la figlia mentre lo zio Danish le afferrava il collo, o che sia stata lei direttamente, anche da sola, a serbare la condotta materiale con cui si è determinata l'asfissia meccanica da strozzamento o da strangolamento che ha portato alla morte Saman". Lo scrive la Corte d'Assise del tribunale di Reggio Emilia.

Scrive ancora la Corte: "Non può escludersi, con certezza assoluta, che l'omicidio possa essere avvenuto in un momento di poco successivo, con la conseguente possibilità di ipotizzare anche un apporto materiale del padre, Shabbar Abbas, nel momento in cui esce nuovamente di casa sei minuti dopo la mezzanotte, inoltrandosi lungo la carraia e facendo ritorno dopo sei minuti, con in mano quello che sembra essere lo zaino portato prima in spalla da Saman".

La Corte ritiene che "pur persistendo alcune incertezze su chi abbia materialmente ucciso Saman Abbas, sussiste una trama densa e serrata di plurimi e convergenti indizi che consente di inferire che Shabbar, sua moglie Nazia e Danish sono parimenti e pienamente coinvolti nell'omicidio e compartecipi della sua realizzazione".

"Contesto familiare chiuso ma non violento"

Tuttavia la Corte d'Assise del Tribunale di Reggio Emilia parla di un "nucleo familiare legato a determinate tradizioni ma che non aveva mai reagito in modo intransigente o violento alle trasgressioni della ragazza, mostrandosi più interessato a metterle a tacere che a sanzionarle". E ancora: "Neppure gli inquirenti avevano concepito quel contesto familiare in termini talmente allarmanti da fare sin da subito ipotizzare quanto poi è accaduto, non essendovi pregressi episodi di violenza o di altro tipo che deponessero in tal senso".

"Nessuna prova di imminenti nozze combinate"

"In relazione all'allontanamento di Saman Abbas - scrivono ancora i giudici - si ritiene doveroso rilevare che non sono emersi elementi probatori relativamente alla prossima pianificazione o celebrazione delle nozze né si sono avute conferme dell'acquisto dei biglietti per il Pakistan. Della celebrazione di lì a breve del matrimonio con il cugino pakistano non vi è traccia neppure nelle dichiarazioni rese dagli altri familiari della giovane".

"Quanto alle violenze, riferite ma mai denunciate formalmente dalla ragazza, si evidenzia che in relazione all'episodio del lancio del coltello, l'unico circostanziato, sono emerse incertezze e incongruenze rispetto alla sua effettiva verificazione - si legge ancora - Non sono emersi altri elementi cui ricondurre comportamenti violenti in danno della ragazza e pregressi ai gravi fatti del 1 maggio 2021".

"Relazione con Saqib determinante"

A giocare un ruolo determinante nelle scelte prese da Saman nell'ultimo periodo e nelle sue continue fughe dalla comunità, è stata la relazione della 18enne con un suo connazionale, Ayoub Saqib, conosciuto su TikTok. "Nonostante i tentativi di intermediazione messi in atto - si legge nelle oltre 600 pagine del provvedimento - in diverse occasioni Saman si era allontanata dalla struttura all'insaputa o nonostante il dissenso degli educatori e del servizio, al fine di incontrare Saqib, descritto da diversi testimoni come insofferente e ostile alla comunità e alle sue regole".

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