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Salute e Benessere

Boom disturbi alimentari fra adolescenti, 70% casi

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Boom disturbi alimentari fra adolescenti, 70% casi

Una persona su 3 in Italia soffre di disturbi dell'alimentazione e della nutrizione, nel mondo è una su 5. Non si tratta semplicemente di abitudini scorrette legate al cibo, ma di disturbi di natura psichiatrica con un’alta frequenza di complicanze mediche, che possono portare anche alla morte. E che per questo richiedono un trattamento specifico e la collaborazione tra diverse figure professionali, che si occupino in modo integrato dei diversi aspetti, sottolineano gli esperti della Società italiana di nutrizione umana (Sinu), in vista della Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata ai disturbi del comportamento alimentare, che ricorre il 15 marzo.

Questi disturbi colpiscono sempre di più e sempre più giovani: in sette casi su dieci a soffrirne sono adolescenti. "E' fondamentale - rimarcano dalla Sinu - trasferire corrette informazioni alla rete di relazioni di questi giovani (famiglie, amici, insegnanti, istruttori di palestra) per l’identificazione tempestiva di questi disturbi. Ad esempio, una particolare attenzione verso l’aspetto fisico o l’alimentazione possono nascondere una situazione di disagio psicologico e rappresentare un campanello d’allarme".

Una categoria a rischio di sviluppare disturbi alimentari sono gli sportivi e gli atleti a ogni livello di competizione. Infatti, "una particolare attenzione all’immagine e alle forme corporee, il dover rimanere in una specifica categoria di peso, il dover indossare uniformi o costumi, così come la pressione derivante dal raggiungimento della vittoria, possono essere fattori scatenanti per un disturbo alimentare", avvertono gli esperti che rimarcano: "Trattandosi di una vera e propria patologia, il riconoscimento e il trattamento precoce sono fondamentali per aiutare i soggetti colpiti. Tuttavia, a differenza di altre situazioni, spesso chi ne soffre non percepisce il disturbo come malattia e non accetta di intraprendere un percorso di cura, pensando che una 'dieta' o anche un’attività fisica esasperata possa portare alla risoluzione del problema".

In Italia, evidenzia Sinu, "è ancora troppo scarsa l’attenzione ai segnali di disagio psicologico e tuttora si assiste alla stigmatizzazione nei confronti di chi necessita e richiede un aiuto psicologico-psichiatrico". Negli ultimi tempi si è ampliato lo spettro dei disturbi alimentari, con nuove patologie emergenti come vigoressia, pregoressia, drunkoressia, ortoressia.

Ma, "nonostante l’aumento di queste patologie, diffuse in tutto il territorio nazionale, persiste una difficoltà di accesso alle cure in molte regioni italiane, con gravi conseguenze sulla prognosi, che risulta essere influenzata soprattutto dalla precocità dell’intervento e dall’adeguatezza del percorso assistenziale". Le 126 strutture censite nella mappatura territoriale dei Centri dedicati alla cura dei disturbi dell'alimentazione e nutrizione, realizzata dal ministero della Salute, sono "insufficienti rispetto al numero crescente di pazienti che necessitano di cure appropriate e posti disponibili, distribuiti in modo omogeneo tra Nord, Centro e Sud. Sono necessari nuovi centri, strutture residenziali e ambulatori specializzati su tutto il territorio nazionale, per garantire ai pazienti cure e ambienti adeguati, anche in vista della sempre più giovane età dei soggetti colpiti".

"I disturbi del comportamento alimentare sono una patologia complessa - afferma Livia Pisciotta, membro del Consiglio direttivo della Sinu - Sono classificati come una malattia psichiatrica per cui devono essere diagnosticati prioritariamente dallo psichiatra e trattati da equipe multidisciplinari, in quanto comportano come conseguenze patologie importanti, che possono compromettere seriamente la salute di tutti gli organi e apparati del corpo (cardiovascolare, gastrointestinale, endocrino, ematologico, scheletrico, sistema nervoso centrale, dermatologico) e, nei casi gravi, portare alla morte. Una volta identificato il problema è indispensabile, quindi, un approccio multidisciplinare ed integrato e garantire la continuità delle cure, che possono durare anni o anche tutta la vita. Dobbiamo continuare a costruire una rete di prevenzione e protezione, un percorso comune e condiviso, che va dall’informazione alla diagnosi precoce e alla cura, in base alla gravità del quadro clinico".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Ospedale del futuro, Petralia (Fiaso): “Con...

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Al congresso Aiic, 'digitalizzazione e Ai per una presa in cura unitaria'

Ospedale del futuro, Petralia (Fiaso):

Il futuro dei nostri ospedali "parte qui e ora, da ciascuno di noi che ci aspettiamo di essere presi in cura, prima ancora che essere curati. Gli ospedali non sono stati sempre soltanto luoghi di auspicabile guarigione, di cura di malattie, ma sono nati come luoghi di accoglienza, di ospitalità per viandanti e pellegrini. Con l'avanzare della tecnologia e della scienza sono diventati percorsi, spazi, prospettive di presa in carico e di cura", e in questo "un ruolo importante è giocato dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale". Così Paolo Petralia, vicepresidente vicario Fiaso e direttore generale Asl 4 Liguria, questa mattina a Roma, ha descritto l'evoluzione dell'assistenza ospedaliera al Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic) in corso nella Capitale fino a sabato.

Si tratta di "un modello di ospedale che sempre di più va verso il territorio - continua Petralia - e di territorio che va verso l'ospedale in una logica di circolarità e non di esclusività", che supera il concetto di "integrazione ospedale-territorio. Abbiamo bisogno di parlare di un percorso per le persone, di una presa in cura unitaria e che vada dall'ospedale al setting assistenziale intermedio e al domicilio, in una logica di continuità di assistenza e cura". Oltre ad essere un luogo "bello", nell'ospedale del futuro "non si è costretti a dover condividere la camera con altre persone e, grazie alla tecnologia", ci sarà "la virtualizzazione dei posti letto - spiega l'esperto - e non sarà più necessario dover dormire in ospedale per essere curati" perché, con la condivisione dei dati, "l'assistenza sarà fornita al bisogno, a domicilio". A livello tecnologico, "l'intelligenza artificiale potrà affiancare e sostenere gli operatori, ma anche i pazienti nell'esperienza di permanenza in ospedale per ottenere risposte che sono avanzate dal punto di vista dei contenuti clinici, ma anche sostenibili e gradevoli dal punto di vista della modalità con cui vengono erogati".

A fronte di un patrimonio edilizio ospedaliero spesso obsoleto, "possiamo immaginare, nel tempo, di riuscire" a lavorare per trasformare gli edifici attuali in "building adeguati in termini di struttura - conclude Petralia - che risparmino energia, che siano green, automatizzati, efficienti dal punto di vista dei percorsi, ma anche degli spostamenti, in una logica che dal monoblocco ritorna a padiglioni piccoli, immersi nel verde, capaci di essere flessibili nel loro utilizzo, come la pandemia ci ha insegnato".

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Ospedale del futuro, l’esperto: “Flessibile,...

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Al congresso Aiic, 'organizzazione per intensità di cura'

Ospedale del futuro, l'esperto:

"L'ospedale del futuro dovrà essere flessibile, modulare - anche perché, ci ha insegnato il Covid, ci può essere necessaria una riconfigurazione rapida dei posti letto - molto digitale, con intelligenza artificiale, senza reparti, con pochi professionisti" supportati al meglio, "in modo che il lavoro che adesso viene fatto da tanti in futuro venga fatto da pochi, e accogliente", con "tanto verde". Lo ha detto Giovanni Guizzetti, ingegnere clinico e direttore sociosanitario Asst Ovest Milanese, intervenendo questa mattina alla sessione dedicata all'ospedale del futuro, durante il Convegno nazionale dell'Associazione italiana ingegneri clinici (Aiic), a Roma fino al 18 maggio.

"Per capire quale possa essere il futuro dell'ospedale - continua Guizzetti - dobbiamo capire qual sarà il futuro di tutte le assistenze sanitarie del cittadino e, quindi, anche come si arriverà alla trasformazione della sanità domiciliare e la sanità territoriale. L'ospedale del futuro dovrebbe essere un ospedale in cui, ad esempio, il paziente cronico non accede, se non in casi rarissimi". Tra le novità più importanti, spicca il fatto che non ci sarà una differenziazione fra un reparto e l'altro, ma in base all'intensità di cura. E servirà più contatto con la natura, quindi aree verdi, perché "questo, è dimostrato ampiamente, contribuisce anche al maggior benessere del paziente". Nell'ospedale del futuro "ci saranno molte camere singole", almeno la metà dei posti letto, "non solo per un maggiore comfort del paziente - precisa Guizzetti - ma anche perché questo permette di controllare meglio le infezioni ospedaliere. Soprattutto sarà un ospedale molto digitale, in cui le applicazioni di intelligenza artificiale senz'altro supporteranno tutto il processo di diagnosi e cura. Si è citato addirittura un ospedale senza posti letto, perché l'ospedale diventa il concentratore della sanità domiciliare, di pazienti che sono monitorati a casa loro e gestiti centralmente da una struttura in cui, professionisti multidisciplinari, gestiscono il paziente che si trova, invece, a domicilio".

La trasformazione "in realtà è già in corso - avvisa l'esperto - Non ce ne stiamo accorgendo, ma nel mondo ci sono già degli esempi. In Italia abbiamo tanti, troppi ospedali piccoli, che costano molti soldi di gestione e non permettono agli ospedali più avanzati di poter essere adeguatamente supportati. Certo, resta la necessità di avere una prossimità dell'ospedale, ma se consideriamo" l'evoluzione tecnologica e l'aumento "dei trasporti con mezzi a guida autonoma", è facile intuire che "anche l'accesso al luogo di cura, anche in modo autonomo", sarà una realtà.

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Medicina, studio italiano: chi è seguito da cardiologo ha...

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Studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso dell'Anmco

Furio Colivicchi, past president Anmco

Il cardiologo può allungare la vita. "Essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus. I cardiologi possono fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti". E' il risultato studio 'Bring-up Prevenzione' presentato al 55.esimo congresso nazionale di Cardiologia dell’Anmco, l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, in corso a Rimini. "Il 'Bring-up Prevenzione' - spiega il Furio Colivicchi, past president Anmco e direttore Cardiologia clinica e riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma - ha finora incluso 4.790 pazienti provenienti da 189 centri cardiologici distribuiti su tutto il territorio nazionale. Si tratta di pazienti con storia di pregresso infarto o malattia coronarica o malattia ostruttiva degli arti inferiori o patologia cerebrovascolare. Da un’analisi preliminare dei dati raccolti, l’età media di questa popolazione è 67 anni ed il 20% è di sesso femminile. Dati allarmanti sono quelli correlati alla prevalenza dell’obesità, il 20% di questi pazienti sono obesi, e del fumo di sigaretta, infatti il 21% è fumatore".

"In generale, una percentuale significativa di pazienti, pur avendo una precedente diagnosi di malattia cardiovascolare, non ha una ottimale gestione di fattori di rischio, come appunto l’obesità e il fumo di sigaretta. Possiamo quindi migliorare la gestione di questa popolazione di pazienti - avverte Colivicchi - Fondamentale a tale scopo è la consapevolezza del rischio di nuovi eventi come infarto ed ictus ascrivibili a fumo, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e obesità. Inoltre, il 27% dei pazienti inclusi nello studio 'Bring-up Prevenzione' sono diabetici e nell’11% dei casi hanno una malattia renale cronica. Sebbene sia noto che il colesterolo è il fattore causale delle malattie aterosclerotiche, le statine, trattamento di prima linea per questi pazienti, erano impiegate inizialmente solo nel 68% dei pazienti prima della visita cardiologica. Dopo il controllo cardiologico la percentuale è salita al 98%. Questa variazione è espressione del fatto che essere seguito da un cardiologo può migliorare significativamente il profilo di rischio e ridurre la probabilità di recidive ischemiche, come infarto o ictus".

"I cardiologi possono quindi fare la differenza, migliorando il destino clinico dei pazienti. Ulteriori informazioni preziose verranno poi fornite da una dettagliata analisi della gestione terapeutica complessiva di questa popolazione di pazienti, che sarà disponibile alla conclusione dello studio", conclude Colivicchi.

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