Biden attacca Putin: “Un pazzo figlio di put….”
Il presidente americano: "Per colpa sua e di quelli come lui dobbiamo preoccuparci di un conflitto nucleare". Peskov replica: "Insulti vergognosi, si comporta come un cowboy di Hollywood"
Vladimir Putin è un "pazzo figlio di put...". Firmato, Joe Biden. Il presidente degli Stati Uniti, in un evento a San Francisco in cui ha incontrato sostenitori e finanziatori in vista delle elezioni presidenziali del 2024, non ha usato mezze misure per esprimersi sul presidente russo. Nel corso della giornata, dalla Russia è arrivata la replica: Biden è ''un maleducato", ha detto Putin, convinto che il presidente americano lo abbia insultato perché, nei giorni scorsi, il leader del Cremlino ha detto di ''preferire'' l'attuale inquilino della Casa Bianca come guida degli Stati Uniti al candidato repubblicano Donald Trump.
Cosa ha detto Biden
"Abbiamo un pazzo figlio di put... come quel tipo, Putin, e altri... E dobbiamo sempre preoccuparci per un conflitto nucleare. Invece, la minaccia esistenziale per l'umanità è il clima", le parole di Biden, che ha usato l'acronimo 'SOB' (son of bitch) per riferirsi al leader del Cremlino. Non è la prima volta che Biden usa questa espressione. Nel gennaio 2022 aveva usato lo stesso termine offensivo, mentre aveva il microfono accesso, nei confronti di un giornalista di Fox News accreditato alla Casa Bianca.
Il presidente americano si è scagliato anche contro Donald Trump, che nelle ultime dichiarazioni si è paragonato a Alexey Navalny, il dissidente russo morto in carcere venerdì scorso. "Si paragona a Navalny dicendo che, poiché il nostro paese è diventato una nazione comunista, lui viene perseguitato proprio come Navalny...", ha detto Biden citando le parole di Trump nell'ultima intervista.
"Da dove diavolo viene fuori una cosa del genere? Mi sconvolge", ha aggiunto il presidente. "I repubblicani una volta avevano un centro morale che era americano. Ma ormai sembra sia andato perso", ha detto Biden. "Se fossi venuto qui 10-15 anni e avessi detto una cosa del genere, tutti voi avreste pensato che avrebbero dovuto internarmi".
"Quando esco dai meeting, i capi di stato trovano una scusa per avvicinarsi e dirmi 'devi vincere'. Ma non perché io sia speciale... 'Devi vincere perché la mia democrazia è a rischio se vince quell'altro'. Nove capi di stato hanno già fatto qualcosa del genere con me", ha aggiunto Biden.
La reazione di Mosca
La reazione di Mosca non si è fatta attendere. Il presidente americano Joe Biden ''vuole sembrare un cowboy di Hollywood'' rivolgendo ''insulti vergognosi'' al leader del Cremlino Vladimir Putin, ha dichiarato il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov. ''Biden si comporta come un cowboy di Hollywood nei confronti di Putin. Gli piacerebbe esserlo, ma non ci riesce'', ha detto Peskov citato dalla Ria Novosti.
"In qualità di addetto stampa del presidente russo, posso dire che tali dichiarazioni maleducate dalla bocca del capo di stato americano difficilmente offenderanno in qualche modo il capo di un altro stato, in particolare il presidente Putin", ha affermato Peskov in un'intervista a Pavel Zarubin. Un frammento dell'intervista è stato pubblicato sul canale Telegram del giornalista russo.
Esteri
Taiwan ‘mai così accerchiata’, decine di navi...
"Circa 90" unità della Marina e della Guardia Costiera di Pechino restano nelle acque della cosiddetta prima catena di isola
Decine di unità navali cinesi intorno a Taiwan, mai da anni una flotta di una simile portata intorno a Taipei. La denuncia è arrivata dalle autorità dell'isola, di fatto indipendente, ma che Pechino considera una "provincia ribelle" da "riunificare". "Circa 90" unità della Marina e della Guardia Costiera restano nelle acque della cosiddetta prima catena di isole, ha detto un ufficiale di Taiwan all'agenzia Afp in un momento di allerta per possibili giochi di guerra cinesi in risposta alla prima visita all'estero del presidente di Taiwan, William Lai (Lai Ching-te), che nei giorni scorsi ha anche fatto tappe alle Hawaii e a Guam suscitando le ire di Pechino.
Il ministero della Difesa di Taipei ha inoltre denunciato di aver rilevato in 24 ore la presenza di 47 velivoli militari cinesi nei pressi dell'isola, il numero più alto dal record del 15 ottobre, quando ne vennero segnalati 153, una 'risposta' della Cina a un discorso di Lai, che la Repubblica Popolare considera un "pericoloso separatista".
Ieri, contestualmente all'avvio di manovre da parte di Taiwan, il ministero degli Esteri di Pechino aveva ripetuto che la Cina avrebbe "difeso con fermezza" la sua sovranità.
Secondo il ministero della Difesa di Taiwan, il numero di unità navali cinesi nelle acque intorno a Taiwan è superiore a quello della 'rappresaglia' di Pechino per la visita a Taipei, nel 2022, di Nancy Pelosi, all'epoca speaker della Camera Usa.
Per Sun Li-fang, portavoce del ministero della Difesa, "si può affermare che l'entità di queste forze marittime è tale da superare le quattro esercitazioni fatte dal 2022". Stando alle denunce di Taipei, questa volta "sono incluse" non solo forze del "Comando del Teatro orientale, ma anche dei Comandi dei Teatri settentrionale e meridionale".
Per ora non ci sono stati annunci da parte dell'Esercito popolare di liberazione o dei media ufficiali del gigante asiatico riguardo un ulteriore aumento dell'attività militare nel Mar cinese orientale, nello Stretto di Taiwan o nel Mar cinese meridionale.
Esteri
Siria, Trump ha già rimpiazzato Biden? Il tycoon detta la...
Il presidente eletto, dopo la visita a Parigi con gli incontri con i leader internazionali, ha di fatto preso il controllo del proscenio globale
Almeno sulla Siria, il presidente Usa uscente Joe Biden sembra ormai aver ceduto il posto prima del tempo al successore Donald Trump. Ritardando di quasi un giorno dai fatti l'intervento sulla fine del regime di Assad, il dem ha di fatto lasciato che il tycoon dettasse la linea americana sulla crisi a Damasco. Ma non solo. Il presidente eletto continua ormai da giorni, attraverso una valanga di messaggi sui social, sia a dispensare possibili soluzioni alla guerra tra Ucraina e Russia che, più in generale, a lasciar intendere quella che poi sarà la politica estera americana della nuova era.
Di fronte all'inarrestabile avanzata verso la capitale siriana, spiega infatti il New York Times, l'amministrazione Biden ha trasmesso messaggi ai gruppi ribelli che hanno guidato l'offensiva. E lo ha fatto, spiega il quotidiano citando funzionari statunitensi e turchi, usando canali diplomatici, militari e d'intelligence turchi per inviare messaggi tesi inizialmente a dire "cosa non fare", in primis non coinvolgere lo Stato Islamico nell'offensiva, nel quadro dell'obiettivo di arrivare ad una transizione pacifica in questo "momento di opportunità storica". Ma, dopo il ritardo nell'intervenire sugli ultimi sviluppi di politica estera, a poco più di un mese dall'inaugurazione del 20 gennaio gli occhi di tutti sembrano ora già puntati su Trump. Che con la visita di sabato a Parigi ha di fatto preso il controllo del proscenio globale con gli incontri con leader internazionali.
Biden cede, Trump già presidente
Insomma, ancora una volta il tycoon si conferma una forza che sovverte le consuetudini politiche americane, infrangendo la tradizione che vuole che ci sia, tra elezioni e insediamento, un solo presidente. Ora questo presidente sembra sia lui, osserva il Wall Street Journal, notando come questo sia avvenuto anche perché Biden ha ceduto i riflettori, aspettando praticamente 24 ore prima di intervenire sulla Siria.
Il silenzio del presidente in carica è risaltato ancora di più nel contrasto con il lungo e articolato post con cui Trump, poco prima di sedersi sabato scorso all'Eliseo con Volodymyr Zelensky e Emmanuel Macron, legava apertamente l'imminente caduta di Assad alla guerra in Ucraina, dicendo che la prima sarebbe stata la "cosa migliore" per la Russia "troppo occupata in Ucraina dove ha perso 600mila militari".
Ma soprattutto diceva che gli "Stati Uniti non devono farsi coinvolgere" nel "caos in Siria", perché "non è la nostra battaglia". E poi domenica, dopo la fuga di Assad, un altro post per dire che la Russia "non ha più interesse a proteggerlo" ed ancora, chiaramente, il link con il conflitto ucraino: "Hanno perso interesse in Siria per l'Ucraina, una guerra che non sarebbe dovuta iniziare e che potrebbe andare avanti per sempre".
Caduta di Assad grande opportunità per Trump, l'analisi
Nonostante quindi i suoi proclami apparentemente isolazionistici, Trump ha nella caduta di Assad, e la presa di potere da parte di fazioni sunnite, una grande opportunità: "L'America ha sempre voluto un Stato guidato dai sunniti a Damasco per danneggiare l'Iran. E la Russia. E ora lo ha avuto, quindi perché mordere la mano che volevi?", afferma Joshua Landis, capo del Center for Middle East Studies dell'università dell'Oklahoma, spiegando a Politico come si sia di fronte ad una cambiamento drastico di tutti gli equilibri in Medio Oriente.
A chi gli ricorda che fu proprio l'amministrazione Trump a mettere Hayat Tahrir al-Sham (Hts), nella lista delle organizzazioni terroristiche nel 2018, con una taglia da 10 milioni di dollari sulla testa del suo leader Abu Mohammed al-Jawlani, Landis risponde che gli Usa dovranno fare una nuova considerazione. "Jolani ha detto chiaramente che non c'è posto per l'estremismo in Siria, che vuole essere amico di tutti, che gli unici nemici sono Iran, Hezbollah e Assad", aggiunge.
Insomma, sta dicendo tutte le cose giuste e Washington deve decidere se credergli o no, ma "se non dichiara guerra all'America e dice che sta cercando di costruire un governo e dare da mangiare alla popolazione in modo da far tornare i rifugiati, gli Usa saranno in una posizione negativa se non faranno i conti con questo", argomenta Landis confermando che il leader delle forze anti-Assad "sta già cercando un dialogo con il governo americano".
E, conclude l'analista, "ci sono molte persone a Washington che stanno lavorando per toglierlo dalla lista dei terroristi. Il Washington Institute for Near East Policy ha diverse persone che stanno sostenendo a gran voce che gli Usa dovrebbero riconsiderare Jawlani, un moderato che ha fatto molte cose buone".
Esteri
Siria, finite le ricerche a Sednaya: nel carcere...
Non sono stati trovati altri detenuti nel complesso simbolo della brutalità del regime. Il leader dei ribelli al Jawlani: "Presto i nomi di chi ha torturato i siriani"
Finite le ricerche nel famigerato carcere 'mattatoio' di Sednaya, a nord di Damasco. Lo hanno reso noto i caschi bianchi, precisando che non sono stati trovati altri detenuti nel complesso, divenuto simbolo della brutalità del regime di Bashar al Assad.
“La ricerca non ha portato alla luce alcuna area non aperta o nascosta all'interno della struttura”, ha reso noto l'organizzazione di difesa civile siriana in un comunicato, precisando di aver completato una ricerca sistematica del vasto complesso, cercando celle segrete, scantinati nascosti e controllando i cortili e le aree circostanti della prigione, dopo che gli insorti entrati domenica all'alba a Damasco hanno aperto i cancelli del carcere.
Cinque squadre, tra cui due unità cinofile della polizia K9, sono state coinvolte nella ricerca di ingressi, uscite, pozzi di ventilazione, sistemi fognari, tubature dell'acqua, telecamere di sorveglianza. Nonostante gli sforzi, non sono state individuate aree nascoste o sigillate. “Condividiamo la profonda delusione delle famiglie delle migliaia di persone ancora disperse e il cui destino rimane sconosciuto”, hanno dichiarato i Caschi Bianchi.
Circa 150.000 persone in totale sono state imprigionate nella struttura, che è nota tra i siriani come il “mattatoio” per le brutalità e le torture commesse anche contro migliaia di civili arrestati solo perché oppositori del regime.
"Presto i nomi di chi ha torturato siriani"
Il nuovo governo di transizione a Damasco diffonderà presto una lista di ex funzionari del regime "coinvolti nelle torture al popolo siriano",ha intanto annunciato il leader dei ribelli Mohammed al Jawlani su Telegram, dove si firma con il suo vero nome, Ahmed al Sharaa: "Offriremo ricompense a chiunque fornisca informazioni sugli ufficiali dell'esercito e della sicurezza coinvolti in crimini di guerra".
"Non esiteremo - ha aggiunto il leader di Hayat Tahrir al Sham (Hts), entrato domenica a Damasco - a ritenere responsabili i criminali, gli assassini, gli ufficiali coinvolti nelle torture al popolo siriano. Perseguiremo i criminali di guerra e chiederemo la loro consegna ai Paesi nei quali sono fuggiti". Poi, al Jawlani ha ribadito "l'impegno alla tolleranza verso coloro i quali non hanno le mani macchiate del sangue del popolo siriano e abbiamo concesso l'amnistia a quanti erano in servizio obbligatorio".