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Rafah, il cooperante palestinese: “Notte allucinante, se Israele entra sarà massacro”

Sami Abu Omar: "Da Israele niente ordine di evacuazione, ma dove andiamo? L'Egitto sta costruendo un muro al confine"

Macerie a Rafah - Afp

E' stata ''una notte molto difficile, allucinante'' quella che hanno vissuto i palestinesi a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Gli israeliani ''hanno bombardato da terra, aria, i carri armati ovunque, le forze speciali israeliane sono entrate sotto copertura a Rafah. Hanno ucciso 105 persone'' e ''il cielo era illuminato a giorno dalle bombe. La paura è stata tanta''. Ma lo è ancora di più pensando all'annunciata operazione militare che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato contro Rafah. ''Se entrano sarà un massacro, le vittime non si conteranno più''. Lo racconta all'Adnkronos proprio da Rafah il cooperante palestinese Sami Abu Omar che all'inizio di dicembre, insieme alla sua famiglia, aveva lasciato Khan Yunis dopo che i cecchini israeliani si erano posizionati sul tetto della sua casa.

Aveva camminato 14 chilometri insieme alla moglie e ai figli, il più piccolo di 12 anni, per arrivare a Rafah e trovare riparo dai combattimenti. Parte di ''un esodo di massa'' verso la città al confine con l'Egitto dove lui racconta di aver ''preso una stanza in affitto vicino al mare per 500 euro al mese. Quattro metri per quattro dove vivono 40 persone, le donne con i bambini. Gli uomini, io con i miei fratelli, dormiamo in tende di plastica lì vicino''.

Al momento da Israele ''non è arrivato un ordine di evacuazione per la popolazione di Rafah'', ma ''qualcuno sta già smontando le tende''. Il vero problema, racconta Abu Omar, è che ''la gente è disperata, non sa dove andare. Stamattina camminavo per Rafah e sentivo solo bestemmie e pianti''. "Io stesso - confessa - non so cosa fare, come un altro milione di persone non so dove andare e per ora aspettiamo. Ci hanno detto di andare via dal nord e lo abbiamo fatto, via da Khan Yunis e lo abbiamo fatto. Ora dove andiamo, in mare? Non ci fanno neanche avvicinare. Dove ci vogliono portare, all'inferno?''.

Una ipotesi potrebbe essere quella di andare in Egitto, ma ''gli egiziani hanno aumentato la sicurezza al confine, stanno costruendo un muro e hanno stanziato un numero maggiore di soldati'' per evitare l'esodo di palestinesi, racconta. In realtà, ci sarebbe un modo ''per passare dal valico di Rafah, pagando circa cinquemila euro ad adulto e tremila euro a bambino sotto i 15 anni. Soldi che vanno dati alla sicurezza egiziana tramite un loro mediatore a Rafah. Per la mia famiglia sarebbero 40mila euro, dove li trovo?''.

Ma, anche volendo, i soldi non ci sono. Il costo della vita è diventato altissimo, ''al mercato nero i prezzi sono dieci volte più alti di quelli di prima'' della guerra, ''per un pezzo di pane si rimane in fila anche tredici ore. Ci si sveglia alle 3 del mattino, ci si mette in coda, le ore passano e magari quando arriva il tuo turno il pane è finito''. Ed è così che ''si mangia una volta al giorno, siamo dimagriti tutti tantissimo. Io sono arrivato a pesare 60 chili''. Difficile anche spostarsi, ''un litro di benzina costa 30 euro, un litro di gasolio 20. Per cucinare e per fare il fuoco si tagliano gli alberi''. Per non parlare del latte per i bambini, ''difficile trovarne, un pacco di pannolini è arrivato a costare 50 euro''.

L'unica costante, per Abu Omar, è ''la speranza''. Ed è ''la speranza nelle trattative, nell'intervento Qatar e degli Stati Uniti'' per arrivare a ''un cessate il fuoco permanente. Non vogliamo una tregua di 35 giorni. Dopo l'ultima pausa di una settimana nei combattimenti hanno invaso Khan Yunis e dopo quest'ultima di 35 invaderebbero completamente Rafah''. Netanyahu ha detto di voler finire l'offensiva contro Rafah entro il mese sacro all'Islam, il Ramadan, che inizia l'11 marzo. ''Ma per Rafah ci vorranno altri sei mesi e ci sarà un numero altissimo di vittime'', perché ''Israele non ascolta nessuno, non rispetta le leggi internazionali''.

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Esteri

Trump contro l’ora legale: “E’ scomoda e...

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Il presidente degli Stati Uniti contro il cambio dell'ora: "Lo elimineremo"

Donald Trump

Donald Trump dichiara guerra all'ora legale e punta alla sua eliminazione. Il presidente eletto degli Stati Uniti ha affermato che, con il suo ritorno alla Casa Bianca, il partito Repubblicano si adopererà per "eliminare l'ora legale" negli Stati Uniti, in modo da evitare cambi di orari semestrali. "L'ora legale è scomoda e molto costosa per il nostro Paese", ha detto Trump in un post su Truth Social. Nel 2025, l'ora legale verrà ripristinata tra l'8 e il 9 marzo. Si tornerà all'ora solare il 2 novembre

Elon Musk, elemento chiave nella nuova amministrazione Trump, sarà alla guida del Dipartimento per il taglio della spesa pubblica. In passato il numero 1 di X e di Tesla aveva commentato a fine novembre un sondaggio sul suo social, secondo il quale oltre l’80% degli elettori aveva dichiarato di voler eliminare l'ora legale. "Sembra che la gente voglia abolire i fastidiosi cambi di orari!", aveva scritto.

La volontà di Trump di eliminare l'ora legale sembra contraddire la posizione della maggioranza del Partito Repubblicano, che nel 2022 aveva presentato una proposta di legge per renderla permanente. La misura, approvata all'unanimità dal Senato ma non dalla Camera dei Rappresentanti. "Cambiare l'ora è un concetto obsoleto, fonte di frustrazione e confusione", affermò all'epoca il senatore Marco Rubio, firmatario del provvedimento e ora designato come prossimo capo della diplomazia americana con l'incarico di Segretario di Stato. C'è di più. Nel 2019, quando Rubio aveva presentato un primo provvedimento in quel senso, Trump aveva twittato: "Per me va bene rendere permanente l'ora legale!". In Europa, l'abbandono del cambio dell'ora è stato approvato dal Parlamento europeo nel 2019, ma da allora la sua attuazione è stata più volte rinviata.

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Esteri

Malattia misteriosa in Congo trasmessa da animali?...

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Una fonte anonima a Al Jazeera: "Molti pazienti ammettono contatti con animali selvatici"

Un laboratorio

La malattia misteriosa che sta circolando in Congo e mietendo vittime soprattutto tra i giovani potrebbe avere origine zoonotica e, quindi, potrebbe essere trasmessa da un animale all'uomo. Lo ha dichiarato in condizione di anonimato ad al Jazeera un esperto sanitario del Paese africano.

Anche se gli organismi sanitari nazionali e globali non hanno annunciato alcun collegamento con gli animali, l'esperto ha affermato che "la maggior parte delle persone che ho intervistato personalmente ammettono di essere state in contatto con alcuni animali selvatici pochi giorni prima di ammalarsi". Per sicurezza, ha aggiunto, le persone dovrebbero essere avvertite di ridurre il contatto con gli animali selvatici.

La malattia, osservata speciale, provoca sintomi simili a quelli influenzali: febbre, mal di testa, mal di gola, tosse, difficoltà respiratorie e anemia. Inizialmente è stata segnalata a Panzi, località e zona sanitaria della provincia di Kwango nel Sud-Ovest del Paese. Panzi, 'epicentro' di questi casi, è una comunità rurale che si trova a più di 700 km dalla capitale Kinshasa.

L'Oms ha annunciato che circa l'80% dei campioni prelevati ai pazienti mostra la presenza del virus della malaria. Il collegamento con la malaria, però, non convince tutti gli esperti, proprio alla luce dei sintomi evidenziati.

"I casi di 'febbre del Congo' aumentano, anche se non in maniera esplosiva, nel distretto sanitario di Panzi e dintorni. Secondo Africa Cdc, la scorsa settimana sono stati confermati 111 nuovi casi e 1 nuovo decesso (in totale 32 avvenuti in ospedale). La cosa inquietante è che si starebbe indagando su altri 44 decessi avvenuti in comunità (fuori dall'ospedale). Il 42% dei casi è stato rilevato in bambini al di sotto dei 5 anni di età", ha scritto su Facebook l'epidemiologo Gianni Rezza, professore straordinario di Igiene presso l'università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Per l'esperto "resta il mistero sulle cause della malattia". Rezza ha ribadito infatti che "la malaria non sembra spiegare l'evento epidemico", ma "sarebbe tutt'al più una concausa (potrebbe essere implicata nella genesi dell'anemia, insieme alla malnutrizione)".

"Resta difficile, a causa della logistica, il trasporto dei campioni (all'Inrb, Istituto nazionale di ricerca biomedica di Kinshasa) per la ricerca di patogeni respiratori", ha osservato ancora l'epidemiologo. "A mio avviso - ha concluso - il rischio di diffusione al di fuori della zona del focolaio primario resta per ora da basso (all'estero) a moderato (in altre aree del Congo)".

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Esteri

Il segreto dell’Amerigo Vespucci? “La...

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L'ambasciatore racconta all'Adnkronos il suo viaggio da Mumbai a Karachi a bordo dell'Amerigo Vespucci

Membri dell'equipaggio della Vespucci

L'ambasciatore Francesco Talò, già consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, racconta all'Adnkronos il suo viaggio sull'Amerigo Vespucci da Mumbai a Karachi: "È stata una vera e propria nave scuola anche per me. Durante il viaggio, ho avuto modo di imparare moltissimo dal Comandante, il Capitano di Vascello Giuseppe Lai, e dai suoi ufficiali, con i quali ho conversato sulla loro vita, i Paesi visitati e sugli equilibri e squilibri del mondo che stanno attraversando navigando per gli oceani".

Aggiunge poi di aver “imparato anche dai circa 250 membri dell’equipaggio: dagli anziani, che mi hanno spiegato il funzionamento complesso di questo veliero a tre alberi, e dai giovani, entusiasti e sorridenti nel loro impegno quotidiano per mantenere la nave bella ed efficiente, due caratteristiche che si rafforzano a vicenda".

L'ambasciatore riflette su quanto appreso durante la navigazione: "Quello che ho compreso in pochi giorni di imbarco potrebbe essere considerato un piccolo corso per chiunque lavori in un’organizzazione che richiede lavoro di squadra, sia nell’amministrazione pubblica che nel settore privato. Lavorare in team, responsabilizzare e motivare, accrescere competenze e impegno, garantire il benessere psicofisico per raggiungere la massima efficienza. Sulla Vespucci, la formazione diventa un simbolo che combina entusiasmo per il mare, conoscenza di nuovi Paesi, disciplina, lavoro duro e sacrifici".

"Chi vede la bellezza della nave deve considerare anche questo: un marinaio può non riuscire a raggiungere un genitore morente", confida Talò all'Adnkronos. "È successo proprio al Comandante Lai, che nei pochi giorni di sosta in India ha preso tre voli per raggiungere la Sardegna, partecipare almeno ai funerali del padre e tornare a bordo in tempo per la partenza verso Karachi. È tornato al lavoro come prima, anzi più di prima, circondato dall’affetto dei suoi uomini. Questo fa parte della formazione di persone forti nella mente e nella determinazione, membri di una squadra e professionisti di alto livello".

Esempio come parte fondamentale della formazione

Talò sottolinea l’importanza dell’esempio come parte fondamentale della formazione: "La formazione si costruisce con l’esempio: quello del Comandante verso l’equipaggio, degli anziani verso i giovani e degli allievi ufficiali che dormono sulle amache e imparano a svolgere tutte le mansioni dei marinai che un giorno saranno ai loro ordini. Esempio e rispetto reciproco si alimentano l’uno con l’altro. È così che si forma una squadra, con grandi sacrifici e piccoli gesti come la pizza condivisa tra ufficiali e marinai dopo un turno notturno".

L'ambasciatore ricorda come l’importanza della formazione nelle Forze Armate sia un valore riconosciuto a tutti i livelli: "Del resto, la cerimonia di giuramento degli allievi dell’Accademia Navale a bordo della Nave Trieste, con la partecipazione del Presidente della Repubblica, testimonia quanto sia centrale. Lo stesso vale per l’apertura dell’anno accademico del Centro Alti Studi per la Difesa (Casd), alla presenza del Ministro Crosetto e della Professoressa Severino, Presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione". Talò aggiunge con un sorriso: "In quell’occasione, il Ministro ha citato ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’: ‘Devi correre più che puoi per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte, devi correre almeno il doppio!’ È una frase che sintetizza bene la necessità di innovare costantemente, una lezione che vale anche per la Vespucci e per tutte le amministrazioni dello Stato".

Il capitale umano

Ma al centro della formazione, sottolinea l’ambasciatore, c’è sempre il capitale umano: "Lai è un mentore per il suo equipaggio, come Velasco lo era per la sua squadra. Lo vedo mentre gira per la nave: operativo, ascolta, decide con rapidità e chiarezza. Eppure, trova sempre il tempo per qualche parola ai ragazzi, con naturalezza, comprendendo l’approccio giusto per ciascuno. In una squadra, ognuno ha un compito e ognuno è diverso".

La cinghia di trasmissione tra il Comandante e tutti i servizi della nave è il suo vice, il Capitano di Fregata Tommaso Faraldo. "È un veterano del Vespucci, con cinque anni di servizio come Comandante in Seconda. Mi racconta che questo ruolo rappresenta per lui ‘il coronamento di un sogno partito vent’anni fa dai banchi di un istituto nautico’. Ma nonostante l’esperienza, vuole sempre di più da sé stesso, convinto che il segreto sia valorizzare le competenze di ciascun membro dell’equipaggio in un contesto così complesso".

Durante la navigazione tra India e Pakistan, l’ambasciatore Talò ha voluto dare anche il proprio contributo alla formazione: "In due conferenze, ho riflettuto insieme all’equipaggio sul contesto storico che stiamo vivendo, sull’importanza della visione marittima dell’Indo-Mediterraneo e sul potenziale dell’economia blu, con reti di connettività come il corridoio Imec, che collega Mumbai all’Europa attraverso il Mediterraneo e Trieste. La vita a bordo è scandita da lavoro incessante: "In spazi ristretti, 250 persone sanno esattamente cosa fare. C’è chi lucida gli ottoni, chi traccia la rotta, chi si arrampica come un alpinista sulle cime di fibre naturali. È un piccolo villaggio che vive in alto mare, tra un porto e l’altro, garantendo benessere psicofisico e sicurezza per affrontare lunghe navigazioni”. "La campagna del Vespucci non è solo un giro del mondo, ma un modo per proiettare l’Italia nel mondo. È uno strumento di soft power che racconta il nostro Paese all’estero e porta il mondo all’Italia. Chiunque abbia la fortuna di vivere questa esperienza, come me, ne esce cambiato: il Vespucci è carico di storia, ma ci parla di futuro. Perché nessuna organizzazione può sopravvivere senza innovazione e formazione, valori esistenziali anche per la sicurezza nazionale", conclude.

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