Israele non fa entrare Francesca Albanese, l’inviata Onu: “Manipolazione pericolosa su attacco 7 ottobre”
Tel Aviv definisce "oltraggiose" le affermazioni dell'inviata Onu e ne chiede la rimozione
Israele ha deciso di vietare l'ingresso nel Paese a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per le violazioni dei diritti umani commessi nei Territori palestinesi occupati. In una nota il ministero degli Esteri e il ministero dell'Interno definisce "oltraggiose" le dichiarazioni di Albanese, secondo cui l'attacco del 7 ottobre "sarebbe stata una reazione all'oppressione israeliana".
"Il tempo del silenzio degli ebrei è finito. Se le Nazioni Unite vogliono tornare ad essere un organismo rilevante, il suo leader Antonio Guterres deve sconfessare pubblicamente le parole antisemite della loro 'inviata speciale' Francesca Albanese e rimuoverla immediatamente dal suo posto. Impedirle di entrare in Israele servirà a ricordare le atrocità commesse da Hamas, compreso lo spietato attacco agli innocenti", ha scritto su X il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz.
La replica di Albanese
"Sono due anni che Israele mi nega di fare il mio lavoro come chiesto dall'Onu non facilitando il mio ingresso nel Territori palestinesi occupati. E sono 17 anni che lo fa nei confronti di tutti i relatori speciali, anche a 3 dei miei predecessori", afferma all'Adnkronos la relatrice dell'Onu esperta di diritto internazionale, spiegando che "le affermazioni tra virgolette oltraggiose consistono nel fatto che ho risposto a quello che il presidente francese definiva essere stato il più grande attentato antisemita dalla seconda guerra mondiale".
Rivendicando di aver "condannato fin dal primo momento i crimini di Hamas nei confronti dei civili israeliani", Albanese sottolinea che contesta "fermamente che l'origine/causa principale dei crimini commessi contro civili israeliani sia l'antisemitismo: questa l'affermazione che Israele ritiene 'oltraggiosa'". Si tratta, chiarisce, di "una manipolazione semantica gravissima e pericolosa" di Israele, che "vuole così distogliere l'attenzione" da quello che succede a Gaza, ma così "distoglie anche l'attenzione dalla gravità dei crimini che Hamas ha commesso".
La relatrice ribadisce quindi la richiesta che Israele, "in quanto membro delle Nazioni Unite, si conformi ai valori dell'organizzazione, che rispetti il diritto internazionale e conduca la propria azione di potenza occupante nel rispetto del diritto umanitario". "La verità è che come ha detto il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres il 7 ottobre non è venuto dal nulla - ricorda Albanese - È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono avvenuti "in a vacuum". Il popolo palestinese è stato soggetto a 56 anni di oppressione soffocante, i palestinesi hanno visto la loro terra lentamente divorata dagli insediamenti e flagellata dalla violenza, la loro economia soffocata, il loro popolo sfollato e le loro case demolite, le loro speranze per una soluzione politica alla loro situazione sono svanite". "Ma i reclami del popolo palestinese non possono giustificare gli attacchi atroci di Hamas. E quegli attacchi atroci non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese", conclude la relatrice, citando ancora Guterres, "con cui concordo pienamente".
Secondo Albenese "è nel contesto dell'oppressione israeliana nei confronti del popolo palestinese, di 56 anni di occupazione illegale ad un regime di violenta apartheid che i crimini commessi da Hamas il 7 ottobre vanno letti e giudicati". "Il resto - accusa - è un modo per distogliere l'attenzione da quello che succede a Gaza soprattutto dal 7 ottobre: circa 30.000 i morti che in Occidente non fanno notizia (70% donne e bambini), 10mila ancora sotto le macerie, circa 70mila i feriti, 2 milioni di sfollati, massacri quotidiani e incessanti a dispetto delle misure cautelari imposte dalla Corte di Giustizia Internazionale che ha riconosciuto il rischio di genocidio commesso da Israele".
"Invece di intervenire su questa realtà gravissima, come da obblighi da Convenzione sul Genocidio, stati influenti come l'Italia continuano a sostenere Israele - denuncia Albanese - Questo potrebbe avere ripercussioni legali anche per l'Italia".
Esteri
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L'intervista all'Adnkronos: "L'architettura sicurezza Teheran indebolita, ma Hezbollah e Hamas si ricostruiranno"
La chiave del futuro del Medio Oriente è nella risposta che Israele darà all'attacco missilistico della Repubblica islamica. Lo Stato ebraico è "tentato di bombardare i siti nucleari iraniani, ma se lo farà sarà guerra totale. Stavolta, infatti, gli iraniani non si limiterebbero a lanciare 200 missili contro Tel Aviv, ma 2mila". E' quanto sostiene l'iraniano Farhad Khosrokhavar, professore emerito all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (Ehess) di Parigi e autore tra gli altri del libro 'Revolt Against Theocracy: The Mahsa Movement and the Feminist Uprising in Iran' (Polity Press)', che in un'intervista all'Adnkronos commenta l'annunciata rappresaglia israeliana che tiene con il fiato sospeso i governi di tutto il mondo.
Nell'attacco del primo ottobre la Repubblica islamica ha usato 200 missili, "un numero molto, molto basso", inferiore alla prima risposta data ad aprile al raid israeliano contro il suo consolato a Damasco, quando i missili lanciati furono circa 300, ricorda il professore, secondo cui il punto è "se Israele cercherà di scatenare una guerra con l'Iran o meno. Se accadesse, l'accordo nucleare non sarà più in agenda".
Khosrokhavar è convinto che Benjamin Netanyahu voglia "la fine del regime" iraniano, ma allo stesso tempo "non è in grado di riuscirci da solo". Il capo del governo israeliano, per raggiungere il suo obiettivo, ha bisogno necessariamente degli "americani, che invece non vogliono la guerra con l'Iran perché hanno già avuto l'esperienza, molto costosa in termini di vite umane, della guerra in Iraq", ha proseguito il professore, riferendosi a quella fase che si aprì nel Paese arabo agli inizi degli anni Duemila, dopo la caduta di Saddam Hussein, e che vide attacchi quasi quotidiani da parte delle milizie sciite filo-iraniane contro le forze occidentali. "Per questo non credo che la fine del regime iraniano sia vicina", scandisce.
C'è poi un altro fattore che va tenuto ben presente, puntualizza Khosrokhavar, ed è il fatto che, nonostante le catene di comando di Hamas e Hezbollah siano state falcidiate da Israele, l'architettura di sicurezza costruita dall'Iran in questi anni grazie ai suoi proxy nella regione si è "indebolita", ma "non è crollata, è ancora lì".
E' certamente innegabile che la Repubblica islamica negli ultimi anni "abbia perso forza" a causa "in primo luogo" delle sanzioni e per gli attacchi israeliani contro i suoi alleati, "ma non nel modo in cui la maggior parte degli osservatori pensa", infatti "Hezbollah non è scomparso. E così Hamas, la cui ala militare è stata distrutta ma sarà ricostruita e non è la prima volta che accade".
Già nel 1992, ricorda il professore emerito, Israele decapitò i vertici di Hamas, così come sta accadendo a Hezbollah in questi giorni. E quale fu il risultato? Vennero nominato nuovi leader. "Anche Hezbollah - dice Khosrokhavar - sostituirà i suoi comandanti, arriverà un nuovo Nasrallah. Certamente non avrà lo stesso carisma, ma non importa, ci sarà".
Dal canto suo la Repubblica islamica, sottolinea il professore emerito dell'Ehess, non vive momenti memorabili e lo stesso presidente Masoud Pezeshkian, collocato nello schieramento riformista, è nella difficile situazione di aver promesso al Paese che porterà a casa la revoca delle sanzioni, che stanno soffocando l'economia, ma si trova a fare i conti con uno scenario sia regionale che internazionale che rema contro di lui. Se è vero che ha avuto una sorta di "approvazione condizionata" della Guida Suprema, Ali Khamenei, per avviare con l'Occidente un negoziato sul nucleare - evidenzia - il presidente vive "un momento pessimo" e tale resterà almeno fino alle elezioni americane.
"Nessuno crede che Pezeshkian sia abbastanza forte da raggiungere qualsiasi tipo di accordo senza l'approvazione della Guida e la popolazione non si fida più dell'Occidente", ma il punto principale - ritiene lo scrittore iraniano - è che durante i mesi che dal voto porteranno all'insediamento del nuovo presidente americano alla Casa Bianca "potrebbe esserci una guerra con Israele, che è una potenza egemone" e allora "la questione diventerebbe molto più complicata, altro che accordo nucleare".
Secondo Khosrokhavar, infatti, già nello scenario attuale un'intesa è "molto complicata" a causa del "sostegno occidentale ad Israele" ed è da escludere che si concretizzi prima delle elezioni Usa. Se poi dovesse vincere Donald Trump, afferma, la finestra di opportunità si chiuderebbe del tutto dal momento che "Trump e gli iraniani non si fidano l'uno dell'altro".
Esteri
Israele e il mega attacco al Libano, su Beirut 73...
Sganciate 73 tonnellate di bombe sui bunker dei terroristi. Secondo il New York Times, quando è avvenuto l'attacco era in corso una riunione di esponenti di alto livello. Funzionari israeliani ritengono che Hashem Safieddine abbia perso la vita nel raid
Aumentano i segnali che Hashem Safieddine, il cugino di Hassan Nasrallah e da molti indicato come suo probabile successore alla guida di Hezbollah, sia stato ucciso nel raid israeliano in un sobborgo meridionale di Beirut. Lo riferiscono la radio dell'esercito israeliano ed il sito di Maariv.
I caccia dell'aeronautica militare israeliana hanno sganciato circa 73 tonnellate di bombe sul sobborgo di Dahieh, la roccaforte del Partito di Dio. Lo scrive il sito di Ynet affermando che l'attacco aveva come obiettivo il bunker dove si nascondeva Safieddine.
Secondo il New York Times, quando è avvenuto l'attacco, nel bunker era in corso una riunione di esponenti di alto livello di Hezbollah. Tra loro anche il capo dell'intelligence di Hezbollah, Hussein Hazimah, noto come "Mortada". Tutti potrebbero essere morti a causa del crollo del bunker o dei gas tossici provocati dalle esplosioni.
L'attacco, iniziato verso mezzanotte, è stato lanciato dopo che il portavoce in lingua araba delle Idf, il maggiore Avichay Adaree, aveva avvertito i residenti della zona di evacuare rapidamente in luoghi sicuri se si trovavano vicino a siti di Hezbollah.
Uccisi 250 terroristi
Negli ultimi quattro giorni, le Forze di difesa israeliane hanno comunque ucciso 250 "terroristi di Hezbollah" nel sud del Libano. Inoltre da quando è iniziata la 'limitata incursione' di terra sono stati colpiti oltre duemila obiettivi militari, tra cui infrastrutture terroristiche, edifici militari, depositi di armi e siti per il lancio dei razzi. Tra i terroristi uccisi anche cinque comandanti di battaglione, dieci di compagni e sei comandanti di dipartimenti.
Stando all'Idf, le capacità militari di Hezbollah sono state danneggiate, ma l'organizzazione è ancora in grado di sferrare attacchi contro il fronte interno israeliano. Ci vorranno diverse settimane prima che i residenti delle regioni settentrionali di Israele possano rientrare nelle loro case la stima fatta dalle Forze di difesa di Israele, con una precisazione: anche allora, l'Idf non sarà in grado di garantire che non ci saranno attacchi con razzi o missili.