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Caso Chiara Ferragni, Fratelli d’Italia: “Più...

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Caso Chiara Ferragni, Fratelli d’Italia: “Più controlli e nuove regole per influencer”

Fratelli d'Italia intanto chiede "più controlli e nuove regole per gli influencer". La proposta del deputato FdI Messina: "Pene esemplari per chi commette un reato"

Chiara Ferragni - Fotogramma

Il caso Chiara Ferragni con il pandoro gate "ha consentito di far comprendere meglio questo sistema non controllato che si muove dietro la beneficenza o la finta beneficenza. Aumento dei controlli e pene esemplari per chi commette il reato infame di approfittare dei più deboli è quanto propone Fratelli d'Italia sulle nuove regole per il lavoro degli influencer". Lo dichiara il deputato e vice presidente vicario di Fratelli d'Italia alla Camera dei deputati, Manlio Messina.

Palazzo Chigi pronto a scendere in campo: "Ma non sarà una legge anti Ferragni"

Palazzo Chigi sarebbe quindi pronto a scendere in campo con un provvedimento ad hoc contro le truffe sulla beneficenza, con controlli più severi e sanzioni più dure. A quanto apprende l'Adnkronos, alla luce quindi anche del caso Ferragni, gli 'sherpa' del governo starebbero mettendo a punto una norma, forse un decreto, per introdurre regole precise a garanzia della massima trasparenza.

A confermare l'attenzione dell'esecutivo sul tema è proprio Manlio Messina: "Il governo sta lavorando a una proposta relativa al comparto della beneficenza. Certamente - dice all'Adnkronos Messina - si punta a rafforzare la parte della trasparenza" con l'obbligo "di indicare in maniera chiara e netta l'importo dei contributi che si ricevono, e quanto viene destinato alla beneficenza. La parte che non va in beneficenza deve essere rendicontata nel dettaglio". Sul tavolo anche "un aumento dei controlli".

Allo stato non ci sarebbe ancora un testo: "Vedremo quando il provvedimento arriverà in Aula. Chi lucra sulla beneficenza a malati, bambini e orfani, si macchia di un reato molto più grave rispetto a una truffa classica", avverte Messina, che ci tiene a precisare: "Non si pensa a una legge anti-Ferragni, si tratta solo di regolamentare questa materia. Vogliamo alzare l'attenzione su un settore vasto e ramificato: c'è tanta gente che fa davvero beneficenza e tanti altri che se ne approfittano". "C'è un mondo sommerso - rimarca il vicecapogruppo di Fdi - che va fatto emergere e portato alla luce del sole.

A parlare del rischio truffe nei casi di beneficenza e della necessità di maggiore trasparenza, del resto, è stata la premier Giorgia Meloni in occasione della conferenza stampa di fine anno a proposito delle polemiche che hanno investito Chiara Ferragni: "E' un tema sul quale bisogna lavorare - le parole della presidente del Consiglio - perché altrimenti si rischia che magari il caso singolo possa poi impattare su una cosa fondamentale che è la beneficenza". Per la leader di Fdi è necessario "capire quali siano oggi le regole di trasparenza ed eventualmente immaginarne di migliori, questo può essere utile per tutti. E' una cosa sulla quale sto ragionando".

La stretta Agcom dopo il pandoro gate

E' arrivato intanto due giorni fa il giro di vite dell'Agcom sugli influencer, con nuove linee guida e l'istituzione di un tavolo tecnico, dopo il caso Ferragni. Il Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni "a seguito di una consultazione pubblica ampiamente partecipata, ha approvato all'unanimità le Linee guida volte a garantire il rispetto da parte degli influencer delle disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi".

"La crescente rilevanza e diffusione dell’attività degli influencer, definiti come soggetti che creano, producono e diffondono al pubblico contenuti audiovisivi, sui quali esercitano responsabilità editoriale, tramite piattaforme per la condivisione di video e social media, ha sollecitato l'Autorità a intervenire. Le Linee guida approvate costituiscono un primo importante passo".

"Ferma restando la disciplina nazionale e la regolamentazione dell’Autorità in materia di contenuti generati dagli utenti distribuiti su piattaforme di condivisione video, le Linee guida definiscono un insieme di norme indirizzate agli influencer operanti in Italia che raggiungono, tra l'altro, almeno un milione di follower sulle varie piattaforme o social media su cui operano e hanno superato su almeno una piattaforma o social media un valore di engagement rate medio pari o superiore al 2% (ossia, che hanno suscitato reazioni da parte degli utenti, tramite commenti o like, in almeno il 2% dei contenuti pubblicati)".

"Le previsioni riguardano, in particolare, le misure in materia di comunicazioni commerciali, tutela dei diritti fondamentali della persona, dei minori e dei valori dello sport, prevedendo un meccanismo di richiami e ordini volti alla rimozione o adeguamento dei contenuti. In caso di contenuti con inserimento di prodotti, gli influencer sono tenuti a riportare una scritta che evidenzi la natura pubblicitaria del contenuto in modo prontamente e immediatamente riconoscibile. Le Linee guida dispongono, inoltre, l'avvio di un Tavolo tecnico per l'adozione di un codice di condotta che definisca le misure a cui gli influencer si dovranno attenere. Il codice sarà redatto nel rispetto dei principi che informano le Linee guida e prevederà sistemi di trasparenza e riconoscibilità degli influencer che dovranno essere chiaramente individuabili e contattabili".

"Al Tavolo tecnico parteciperanno anche soggetti che solitamente non rientrano nel perimetro normativo e regolamentare dell’Autorità, quali quelli che popolano il mondo dell’influencer marketing, quindi non solo influencer, ma anche soggetti che operano quali intermediari tra questi e le aziende. Ciò permetterà di recepire le istanze di questi soggetti e di indirizzarne l’azione, avvalendosi delle buone prassi in materia, verso il rispetto delle regole. L’iniziativa è in linea con altre iniziative nazionali adottate da altri Stati membri dell’Unione e con le analisi e le soluzioni proposte in relazione alle attività degli influencer dal Gruppo dei regolatori europei dell'audiovisivo - ERGA", conclude la nota.

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Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...

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"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa non si farà mai

L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.

In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.

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La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...

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Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa, Rossi stabilizzato?

L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.

Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.

Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.

Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.

Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.

Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.

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Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...

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Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione

Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.

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