Salute e Benessere
Covid, con dieta vegetariana -39% probabilità contagio
Verdure, legumi e frutta secca 'più forti' del Covid. La scienza svela un inedito vantaggio dell'essere 'veg'. Sembra infatti le persone che seguono una dieta prevalentemente verde o vegetariana/vegana abbiano il 39% di probabilità in meno di contrarre l'infezione da virus Sars-CoV-2 rispetto agli onnivori. E' quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista 'Bmj Nutrition Prevention & Health', condotto su 702 volontari adulti, reclutati tra marzo e luglio 2022. I risultati ottenuti dalla loro analisi spingono gli autori, ricercatori dell'università di San Paolo in Brasile, a ipotizzare che una dieta green - ricca appunto di verdure, legumi e frutta secca e povera o priva di latticini e carne - possa aiutare a scongiurare il contagio.
Com'è possibile? Per gli esperti può essere che le diete prevalentemente a base vegetale forniscano più nutrienti che rafforzano il sistema immunitario e aiutano a combattere le infezioni virali. Diversi studi, ricordano gli autori, hanno suggerito che la dieta potrebbe avere un ruolo importante nell'evoluzione dell'infezione da Covid-19, nonché nei fattori che aumentano il rischio delle complicanze associate. Partendo da questo gli scienziati hanno deciso di valutare il potenziale impatto dei vari modelli alimentari sull'incidenza, sulla gravità e sulla durata di Covid. I partecipanti alla ricerca sono stati intervistati sui loro schemi alimentari abituali e sulla frequenza dei vari gruppi alimentari nei loro menu, nonché sullo stile di vita e sull'anamnesi medica, inclusa la vaccinazione anti-Covid. Sono stati poi divisi in due gruppi, quello di chi segue una dieta onnivora (424) e quello con regimi prevalentemente a base vegetale (278). Il gruppo delle diete a base vegetale è stato ulteriormente suddiviso in flexitariani/semi-vegetariani che mangiavano carne 3 volte a settimana o meno (87); e vegetariani e vegani (191).
Non sono state riscontrate differenze significative rispetto a sesso, età o vaccinazioni fatte tra i gruppi onnivori e quelli veg. Ma in quest'ultimo un numero significativamente più elevato di persone aveva un livello di istruzione elevato con diplomi post-laurea. Gli onnivori hanno anche riportato un tasso più elevato di patologie mediche e tassi più bassi di attività fisica. E la prevalenza di sovrappeso e obesità era significativamente più alta, tutti fattori anche associati a un rischio più elevato di Covid. In totale, 330 persone (47%) coinvolte nello studio hanno dichiarato di aver avuto l'infezione da Sars-CoV-2. Di questi, 224 (32%) hanno dichiarato di avere sintomi lievi e 106 (15%) sintomi da moderati a gravi.
Gli onnivori avevano un'incidenza di Covid significativamente più elevata rispetto ai gruppi con dieta a base vegetale: 52% contro 40%, riferiscono gli autori. Ed avevano maggiori probabilità di aver avuto un'infezione da moderata a grave: 18% contro poco più dell'11%. Non risulta invece alcuna differenza fra i due gruppi nella durata dei sintomi. Questo il punto di partenza. Dopo aver tenuto conto di fattori potenzialmente influenti, come il peso, condizioni mediche preesistenti e livelli di attività fisica, non è stata riscontrata alcuna differenza complessiva nella gravità dei sintomi tra i gruppi onnivori e quelli con dieta a base vegetale, puntualizzano gli esperti. Ma coloro che seguivano una dieta prevalentemente vegetale o vegetariana/vegana avevano il 39% in meno di probabilità di contrarre l'infezione rispetto agli onnivori.
"I modelli dietetici a base vegetale sono ricchi di antiossidanti, fitosteroli e polifenoli, che influenzano positivamente diversi tipi di cellule implicate nella funzione immunitaria e presentano proprietà antivirali dirette", scrivono gli autori, precisando che il loro è uno studio osservazionale e, come tale, non può stabilire fattori causali. I ricercatori riconoscono inoltre che lo studio si basa sul ricordo personale e sulla valutazione soggettiva, entrambi soggetti a errori. Tuttavia, concludono: "Alla luce di questi risultati e dei risultati di altri studi, e data l'importanza di identificare i fattori che possono influenzare l'incidenza di Covid, raccomandiamo la pratica di seguire diete a base vegetale o modelli dietetici vegetariani".
"Questa ricerca si aggiunge alle evidenze che suggeriscono che la dieta potrebbe avere un ruolo nella suscettibilità all'infezione da Covid", commenta Shane McAuliffe, del NNEdPro Global Institute for Food, Nutrition and Health, ente che è co-proprietario di BMJ Nutrition Prevention & Health insieme a Bmj. "Ma questa rimane un'area di ricerca che merita indagini più rigorose e di alta qualità prima di poter trarre conclusioni definitive sul fatto che particolari modelli dietetici aumentino il rischio di infezione da Covid", aggiunge.
Salute e Benessere
Festa della mamma. Avere un figlio dopo un tumore al seno,...
La chirurga Salgarello spiega gli eventuali limiti della ricostruzione coi lembi e l’allattamento. La storia di Luciana che ha realizzato il suo sogno dopo la diagnosi a soli 26 anni
Diventare mamma dopo essere guarita da un tumore al seno è ormai sempre più possibile. È il caso di Luciana, che ha ricevuto la diagnosi di a soli 26 anni. "Al Policlinico Gemelli è stata sottoposta a una mastectomia sinistra e ad una ricostruzione immediata con protesi, durante la quale siamo intervenuti con una piccola protesi anche sull’altro seno, quello sano, per un risultato estetico più simmetrico. Luciana oggi ha 39 anni ed è mamma di una bimba nata tre anni fa. Ha avuto non solo la possibilità di realizzare il suo sogno di maternità, ma anche di allattare sua figlia dal seno destro, quello sottoposto all’intervento per renderlo più simile a quello ricostruito", racconta Marzia Salgarello, chirurgo plastico ricostruttivo alla Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e presidente Beautiful After Breast Cancer (BABC) Italia Onlus
A fronte di una maggiore sopravvivenza nelle donne con tumore al seno, è importante occuparsi della vita dopo la malattia, anche perché la diagnosi può coinvolgere anche pazienti molto giovani. Che non devono oggi rinunciare alla maternità.
Ma come cambia in gravidanza il corpo di una donna dopo la ricostruzione con la protesi mammaria? "A differenza delle altre donne, la paziente che ha fatto la mastectomia e la ricostruzione con la protesi mammaria - spiega Salgarello - non vedrà aumentare il volume del seno 'nuovo', poiché questo è costituito interamente dalla protesi. Infatti, anche se l’aspetto esterno è apparentemente normale perché è presente l’areola e il capezzolo, come accade nella mastectomia nipple-sparing, la ghiandola mammaria è stata asportata e quindi non può crescere sotto lo stimolo degli ormoni della gravidanza".
Oppure può trattarsi di una donna che ha fatto la ricostruzione con i propri tessuti e non con la protesi, un tipo di intervento che dà risultati più stabili e naturali nel tempo, ma che necessita di “attingere” tessuto, principalmente dall’addome. "Questo tipo di ricostruzione permette al seno ricostruito di modificarsi nel tempo, seguendo i cambiamenti fisiologici del corpo: ingrassa se la paziente prende peso, invecchia e scende come fa il seno originario. In questo caso, in gravidanza il seno ricostruito con i lembi di pancia si modifica, ovvero può aumentare di volume per l’ingrassamento della paziente, ma certamente non può allattare, poiché il seno è costituito di tessuto adiposo addominale e non di tessuto ghiandolare", sottolinea Liliana Barone Adesi, dirigente medico dell'Uo di Chirurgia Plastica, Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs e vicepresidente Babc Italia Onlus.
"Bisogna inoltre evidenziare che dopo la ricostruzione con il tessuto addominale è opportuno aspettare la stabilizzazione delle cicatrici e dei tessuti per circa un paio d’anni prima di pensare ad intraprendere la gravidanza", aggiunge Salgarello.
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Giornata degli infermieri, Fnopi: “Senza non...
Mangiacavalli: "Subito la valorizzazione della professione nei percorsi formativi, di carriera e contrattuali'
La Giornata internazionale dell’infermiere coincide quest'anno con la Festa della Mamma: gli infermieri sono per il 76% donne e oltre 270.000 sono mamme che devono conciliare questa professione impegnativa con i carichi familiari (oltre la metà ha due o più figli). “Siamo la spina dorsale del Servizio sanitario nazionale, ma stiamo assistendo a un momento particolarmente critico, fatto di carenze importanti, di diminuzione dell'interesse da parte dei giovani per la scelta di questa professione, di valutazione da parte di chi è già inserito di ‘migrare’ verso altre strutture in alcuni Paesi europei e nordamericani”. A dirlo è Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), alla vigilia della ricorrenza del 12 maggio, giorno della nascita di Florence Nightingale, madre dell’infermieristica moderna.
“Nutriamo la salute” è lo slogan scelto da Fnopi per l'edizione 2024: “Abbiamo voluto cogliere questa occasione – spiega Mangiacavalli – per tornare all’origine della radice etimologica del termine anglosassone Nurse che deriva dal latino Nutrix e rimanda al concetto della nutrizione, del prendersi cura di chi ha bisogno. Questo fa l’infermiere nella sua attività quotidiana".
“In questa giornata importante - sottolinea la presidente di Fnopi - abbiamo bisogno di richiamare le istituzioni e la politica sul tema della carenza infermieristica, perché non è più un problema della nostra professione, ma del Paese tutto, è un tema di tutti i cittadini perché senza infermieri non c'è futuro, senza infermieri non c'è salute, non c'è assistenza per una popolazione sempre più anziana, fragile e sola". È "necessario quindi rilanciare politiche di valorizzazione della professione sia nei percorsi formativi che in quelli di carriera e contrattuali. Avere dunque coraggio per innovare i modelli assistenziali affinché i nostri cittadini possano sempre beneficiare di questa componente essenziale che, insieme a tutte le altre professioni sanitarie, ha fatto sì che il nostro Ssn sia tra i primi al mondo e il nostro Paese goda della di un alto tasso di longevità", conclude.
Salute e Benessere
Sla, al via corso formativo promosso da Aisla e Asp Reggio...
Obiettivo finale migliorare assistenza ai pazienti con sclerosi laterale amiotrofica della provincia
I pazienti con sclerosi laterale amiotrofica (Sla) residenti a Reggio Calabria mancano soprattutto di supporto territoriale, specialmente per quanto riguarda la gestione pneumologica e palliativa. Per affrontare questa problematica, l'Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla) e l'Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Reggio Calabria hanno avviato da oggi un percorso formativo innovativo che si focalizza proprio sulle esigenze di questi pazienti. I professionisti coinvolti avranno così l'opportunità di approfondire gli aspetti disciplinari legati alle diverse fasi della malattia da docenti altamente qualificati. L'obiettivo finale è quello di migliorare l'assistenza fornita ai pazienti con Sla nella provincia di Reggio Calabria.
Il percorso formativo di Aisla e Asp Reggio Calabria sul Pdta Sla e la legge 219 del 2017 - nato dalla presa d'atto con Dldg n. 664 del 3 luglio 2023 del Pdta interaziendale per le Malattie neurologiche a interessamento neuromuscolare (Mninm) tra l'Asp di Reggio Calabria e il Gom BianchiMelacrino-Morelli - è rivolto a medici chirurghi, logopedisti, psicologici, infermieri, fisioterapisti, tecnici della riabilitazione ed esperti in ausili Caadm dell'Asp reggina. Il corso, spiega una nota, si articola in 8 moduli che offriranno approfondimenti ad ampio spettro sull'importanza di una presa in carico precoce e completa dei pazienti.
"Questo percorso formativo all'interno di un Pdta interaziendale - afferma Francesca Genovese, consigliere nazionale e presidente di Aisla Reggio Calabria - rappresenta un passo significativo verso una migliore qualità dell'assistenza per i pazienti affetti da Sla nella nostra comunità e dimostra l'impegno congiunto delle istituzioni e delle associazioni per affrontare questa sfida. Le risorse investite da Aisla Calabria sono importanti e ci auguriamo che i professionisti sappiano cogliere questa importante opportunità di crescita professionale loro offerta".
Nel corso formativo verranno trattati argomenti legati alla gestione dei sintomi e delle complicanze della Sla, come la scialorrea, gli spasmi, la disfagia e l'insufficienza respiratoria, ma anche dell'utilizzo corretto dei dispositivi medici e delle tecnologie assistive. Saranno inoltre affrontati gli aspetti psicologici ed emotivi legati alla malattia, al fine di fornire un supporto adeguato ai pazienti e alle loro famiglie. Verrà quindi dedicato un modulo alla legge 219/2011 e alla Pianificazione condivisa delle cure, che garantisce l'autodeterminazione sulle opzioni di cura disponibili e il pieno rispetto dei propri diritti e della dignità della persona malata. La proposta formativa - dettaglia la nota - prevede un accompagnamento costante della durata di 3 anni, con tutoraggio svolto sulle équipe territoriali attraverso strumenti teorici e pratici, anche a distanza. Saranno coinvolti i migliori esperti dei centri di riferimento per la cura della Sla in Italia, al fine di formare i professionisti sanitari competenti nell'assistenza e nella gestione delle persone con questa patologia.
"La formazione rappresenta l'anima della cultura aziendale – sottolinea Lucia Di Furia, direttore generale Asp Reggio Calabria - questo progetto rappresenta un passo significativo verso una migliore qualità dell'assistenza rivolta ai pazienti fragili affetti da Sla. L'azienda ha ritenuto importante impegnarsi, in maniera congiunta con Aisla Reggio Calabria, per organizzare un corso Ecm qualificato. L'obiettivo è garantire una formazione il più possibile completa per tutti i professionisti che assistono i pazienti affetti da Sla consentendo di attivare su tutto il territorio dell'Asp" reggina "il Pdta interaziendale, migliorando l'assistenza domiciliare nel rispetto della realizzazione della casa come luogo di cura".
Il percorso formativo, che terminerà il 18 ottobre 2024, prevede lezioni in aula e darà diritto ai partecipanti a 50 crediti, riconosciuti a livello nazionale, confermando l'impegno dell'associazione nel fornire una formazione specializzata di alto livello. Dal 2008, infatti, Aisla offre formazione gratuita e specialistica sulla gestione e presa in carico delle persone con Sla. Ad oggi, ha realizzato 352 moduli di formazione in cui hanno partecipato 8.200 discenti. Solo nel 2022, sono stati formati 560 professionisti della salute. Ulteriori informazioni sono disponibili su aisla.it.