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Esteri

Iran, chi era Soleimani il ‘ladro di capre’...

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Iran, chi era Soleimani il ‘ladro di capre’ braccio armato di Khamenei

Il generala dei Guardiani della Rivoluzione fu ucciso quattro anni fa dagli Usa

Soleimani - Afp

E' stato macchiato di sangue il quarto anniversario della morte di Qassem Soleimani, il generale iraniano dei Guardiani della Rivoluzione ucciso nei pressi dell'aeroporto internazionale di Baghdad da un drone statunitense il 4 gennaio del 2020 per ordine dell'allora presidente Donald Trump. Una duplice esplosione ha fatto una strage nel 'cimitero dei martiri' di Kerman dove è sepolto. Le autorità iraniane non hanno esitato a parlare di "attentato terroristico".

Nato in una famiglia umile l'11 marzo del 1957 nel villaggio di Qanat-e Malek, un'area montuosa nella provincia di Kerman, nel sud-est dell'Iran, Soleimani era il più grande di cinque fratelli. Concluse le scuole elementari, lasciò le sue montagne a 13 anni e iniziò a lavorare nella città di Kerman insieme a un parente in una ditta di costruzioni per aiutare la famiglia a far fronte ai debiti lasciati da suo padre Hassan, che era un contadino.

Caduta la dinastia Pahlavi, nel 1979 si unì ai Guardiani della Rivoluzione, dove spiccò subito malgrado non avesse una formazione militare. Attirò l'attenzione dei suoi superiori durante la repressione di una ribellione curda nell'Iran settentrionale. Venne promosso tenente e gli fu offerto di guidare un'unità dei Pasdaran a Kerman.

L'anno successivo prese parte alla guerra con l'Iraq. Fu inviato al fronte sud alla testa di una forza di Kerman. Rapidamente scalò i vertici dell'esercito e in quel periodo gli venne affibbiato il soprannome "Ladro di capre" perché al termine di ogni missione tornava dai suoi commilitoni dopo aver rubato un animale dalle fattorie circostanti.

Dopo la guerra Iran-Iraq, la divisione sotto il comando di Soleimani fu di nuovo spedita a Kerman per combattere i narcotrafficanti. L'esperienza maturata nella 'Guerra imposta' e il successo delle operazioni anti-droga portarono Khamenei alla fine del 1997 a nominarlo capo della Forza Quds, con l'obiettivo di esportare i dettami della rivoluzione islamica. Da allora era stato il punto di riferimento di ogni operazione iraniana all'estero. Dall'Iraq alla Siria, dal Libano allo Yemen, non c'è crisi in Medio Oriente che non abbia visto coinvolto Soleimani in prima linea.

Il generale, che aveva grande influenza a Teheran ed era considerato molto vicino alla Guida Suprema, era stato protagonista anche della lotta al sedicente Stato islamico, guidando da dietro le quinte l'azione, rivelatasi decisiva nella vittoria militare sull'Isis in Iraq, delle Forze di mobilitazione popolare (Hashd al-Shaabi), una coalizione di milizie sciite filo-Teheran. E' a Soleimani (oltre che a Putin) che Bashar al-Assad deve la sua permanenza alla guida della Siria.

Prima del raid fatale a Baghdad, il generale aveva iniziato ad apparire in pubblico diventando sempre più presente sui media iraniani al punto che erano iniziate a circolare voci su una sua possibile carriera in politica. Le sue dichiarazioni di allora avevano il sapore di quelle di un leader politico 'in pectore'.

Come quando si rivolgeva a Trump sfidandolo apertamente. "Puoi iniziare una guerra, ma saremo noi a finirla. Chiedi ai tuoi predecessori. Smettetela di minacciarci", affermava.

Secondo gli osservatori, Soleimani è stato molto più di un semplice generale. E' stato l'artefice di un corridoio sotto l'influenza iraniana che da Teheran, passando da Baghdad, Damasco e Beirut, arriva direttamente alle sponde del Mediterraneo. Un'area gigantesca che ha reso la Repubblica islamica una potenza regionale.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Esteri

Robert Kennedy Jr, Nyt rivela: aveva un verme nel cervello

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Il candidato indipendente alle presidenziali americane racconta di quando ebbe problemi cognitivi a causa del "parassita" nella sua testa

Robert F. Kennedy Jr (Afp)

Il candidato indipendente alle presidenziali americane, Robert F. Kennedy Jr, ha raccontato che una volta un verme gli entrò nel cervello e ne mangiò una parte. A rivelare questa vicenda è il New York Times, secondo cui il 70enne Kennedy rilasciò questa dichiarazione durante una deposizione del 2012 nella procedura di divorzio dalla sua seconda moglie Mary Richardson Kennedy, morta suicida in quello stesso anno.

In quella deposizione Robert F Kennedy Jr spiegò che la sua capacità di guadagno si era ridotta a causa di problemi cognitivi, iniziati due anni prima con episodi di perdita di memoria e annebbiamento mentale. Aveva quindi contattato neurologi che gli avevano diagnosticato un tumore, ma un altro medico arrivò a una conclusione diversa, ritenendo che i suoi disturbi "fossero causati da un verme che mi era entrato nel cervello, ne aveva mangiato una parte e poi era morto".

Il figlio dell'ex procuratore generale ed ex senatore degli Stati Uniti Robert F. Kennedy, e nipote dell'ex presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy e dell'ex senatore Ted Kennedy, ha dichiarato durante la deposizione che gli era stato diagnosticato un avvelenamento da mercurio. Al New York Times si è detto convinto che l'avvelenamento fosse stato causato dalla sua dieta che includeva molto tonno, che contiene livelli molto più elevati di mercurio rispetto ad altri pesci.

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Robert Kennedy Jr, New York Times rivela: aveva un verme...

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Il candidato indipendente alle presidenziali americane racconta di quando ebbe problemi cognitivi a causa del "parassita" nella sua testa

Robert F. Kennedy Jr (Afp)

Il candidato indipendente alle presidenziali americane, Robert F. Kennedy Jr, ha raccontato che una volta un verme gli entrò nel cervello e ne mangiò una parte. A rivelare questa vicenda è il New York Times, secondo cui il 70enne Kennedy rilasciò questa dichiarazione durante una deposizione del 2012 nella procedura di divorzio dalla sua seconda moglie Mary Richardson Kennedy, morta suicida in quello stesso anno.

In quella deposizione Robert F Kennedy Jr spiegò che la sua capacità di guadagno si era ridotta a causa di problemi cognitivi, iniziati due anni prima con episodi di perdita di memoria e annebbiamento mentale. Aveva quindi contattato neurologi che gli avevano diagnosticato un tumore, ma un altro medico arrivò a una conclusione diversa, ritenendo che i suoi disturbi "fossero causati da un verme che mi era entrato nel cervello, ne aveva mangiato una parte e poi era morto".

Il figlio dell'ex procuratore generale ed ex senatore degli Stati Uniti Robert F. Kennedy, e nipote dell'ex presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy e dell'ex senatore Ted Kennedy, ha dichiarato durante la deposizione che gli era stato diagnosticato un avvelenamento da mercurio. Al New York Times si è detto convinto che l'avvelenamento fosse stato causato dalla sua dieta che includeva molto tonno, che contiene livelli molto più elevati di mercurio rispetto ad altri pesci.

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Esteri

Ucraina, Lituania pronta a inviare soldati per missioni di...

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Il paese baltico si espone

Soldati in guerra

C'è un paese pronto a mandare soldati in Ucraina. La premier della Lituania Ingrida Simonyte rende noto di essere pronta a inviare i suoi militari in missione di addestramento in Ucraina, in una fase cruciale della guerra che Kiev sta combattendo contro la Russia. La presa di posizione del paese baltico arriva malgrado le minacce di Mosca: il ministero della Difesa guidato da Sergei Shoigu ha annunciato esercitazioni nucleari tattiche ordinate da Vladimir Putin in risposta alle dichiarazioni di Emmanuel Macron.

Il presidente francese, dopo le prime esternazioni di febbraio, negli ultimi giorni è tornato a prospettare l'ipotesi di inviare soldati in Ucraina se la Russia dovesse sfondare la linea del fronte e se Kiev dovesse chiedere apertamente il sostegno diretto dei partner occidentali: si tratta di 2 condizioni, ha evidenziato Macron, che allo stato attuale non si sono concretizzate.

In una intervista al Financial Times, Simonyte ha spiegato che "se pensassimo solo alla risposta di Mosca, non invieremmo nulla. Una settimana sì e una no, si sente parlare di attacchi nucleari contro qualcosa". L'Ucraina non ha chiesto alla Lituania come ad altri Paesi in modo ufficiale di poter ricevere soldati di Paesi alleati sul suo territorio.

Numerosi paesi hanno detto e ribadito che non invieranno personale militare in Ucraina. L'Italia ha chiarito ripetutamente la propria posizione in relazione al dibattito. "Non manderemo nessun militare italiano in Ucraina. Ho appena terminato una riunione con tutti i nostri ambasciatori delle aree di crisi: Ucraina, Medio Oriente, Mar Rosso. Ho ribadito la nostra posizione in difesa dell’indipendenza territoriale dell’Ucraina ma non siamo in guerra con la Russia", ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

"Anche tutte le armi che abbiamo - ha spiegato a margine del convegno dedicato a 35 anni della legge istitutiva della professione di psicologo, in corso a Roma - non possono essere usate al di là del confine ucraino. La nostra posizione è molto chiara".

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