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Intervista esclusiva a Francesca Bergesio, Miss Italia 2023: «Oltre la bellezza c’è un mondo da scoprire»

Incontrare Francesca Bergesio è stato come assistere all’aurora di una nuova era nel mondo della bellezza e della cultura. Giovane, carismatica e sorprendentemente matura, Francesca incarna una sinfonia di qualità che trascendono il mero concetto di bellezza esteriore. Vincitrice del titolo di Miss Italia 2023, questa diciannovenne piemontese si è distinta non solo per la sua eleganza innata, ma anche per la sua intelligenza acuta e un’insaziabile sete di conoscenza.

In una conversazione esclusiva con noi di Sbircia la Notizia Magazine, Francesca ci ha aperto le porte del suo mondo, un mondo dove il fascino dello spettacolo e la rigorosità della scienza si intrecciano in un abbraccio armonioso. Con una passione ardente per la medicina e un animo artistico che si esprime attraverso la recitazione, Francesca ci racconta del suo percorso, delle sue aspirazioni e dei suoi sogni.

Ci immergeremo in un viaggio intrigante attraverso le sue sfide, conquiste e aspirazioni: un viaggio che sfida gli stereotipi e ci invita a riscoprire il vero significato di bellezza, talento e determinazione. Per il terzo anno consecutivo, siamo entusiasti della nostra collaborazione con Miss Italia ed ecco cosa ci ha raccontato Francesca, una Miss che non ha paura di sognare e di lavorare sodo per rendere quei sogni realtà.

Ciao Francesca, benvenuta su Sbircia la Notizia Magazine! Nell’ambito dello spettacolo, come pensi di poter fondere l’approccio scientifico e razionale, tipico della medicina, con la creatività e l’espressività dell’arte?

“La mia visione è che in ogni campo, compreso quello dello spettacolo, sia cruciale unire un pensiero razionale e scientifico con un elemento di creatività e arte. Nell’affrontare situazioni e nel compiere azioni, dobbiamo usare la mente per riflettere e pensare in modo analitico, ma è altrettanto importante impreziosire queste azioni con un tocco di creatività, per dare vita a qualcosa di veramente unico e magico.”

Qual è stato il momento decisivo che ti ha spinto verso la medicina, in particolare verso la cardiochirurgia?

“La passione per la medicina è nata in me fin da piccolissima e contrariamente a quanto molti potrebbero pensare, non ho medici in famiglia. Questo sogno mi ha accompagnato per tutta la vita, resistendo a qualsiasi altra influenza esterna. Dopo aver concluso il liceo classico, ho deciso con fermezza di perseguire questa strada. La scelta di specializzarmi in cardiochirurgia è piuttosto recente, nata dalla mia curiosità e dal desiderio di comprendere a fondo il funzionamento del cuore e il suo impatto vitale sul nostro organismo.”

Durante il tuo percorso a Miss Italia, quali ostacoli hai dovuto affrontare e come li hai trasformati in opportunità di crescita personale e professionale?

“Il mio viaggio verso Miss Italia è stato piuttosto tranquillo. Le difficoltà maggiori che ho incontrato riguardavano principalmente la mia autostima e sicurezza in determinati momenti. In quei casi, il supporto morale di mia madre è stato fondamentale. Tuttavia, le critiche sul ruolo di mio padre sono state una sfida difficile, soprattutto perché sono emerse proprio durante la fase finale, che sarebbe dovuta essere la più gioiosa. Con il sostegno dei miei genitori e una nuova forza interiore, sono riuscita a superare questi ostacoli e proseguire il mio cammino con maggiore determinazione.”

Il concetto di bellezza è in continua evoluzione, quale ruolo credi che concorsi come Miss Italia possano svolgere nel promuovere una visione più inclusiva e profonda della bellezza?

“Miss Italia è un concorso che celebra la bellezza delle donne in ogni sua forma. Ogni partecipante porta sul palcoscenico un’unicità sia estetica che personale. Questo ci offre l’opportunità di mostrare non solo il nostro aspetto fisico, ma anche il nostro carattere, le nostre abilità e la nostra forza interiore. È una vetrina che permette a molte ragazze di farsi conoscere e di esprimere le proprie qualità uniche.”

Oltre alla recitazione, quali altre forme artistiche ti ispirano e influenzano il tuo modo di esprimerti?

“La musica è una grande fonte di ispirazione per me, nonostante non sia dotata nel canto. È una presenza costante nella mia vita e un modo per esprimere le mie emozioni, anche se in modo più privato. Cantare, per me, è un modo per liberare l’anima, che faccio spesso quando sono da sola o in compagnia di amici e familiari.”

Quali figure, sia nel campo della medicina che dello spettacolo, consideri come i tuoi principali ispiratori e quali insegnamenti trai dalle loro storie?

“Nel mondo della medicina, ammiro profondamente Elena Cattaneo per il suo lavoro sulle malattie neurodegenerative e per essere stata la più giovane donna a ottenere il titolo di senatrice a vita in Italia: lei è un modello di leadership femminile in un campo dominato tradizionalmente dagli uomini. Nel mondo dello spettacolo, Angelina Jolie mi ispira sia per il suo talento recitativo che per la sua presenza carismatica ed elegante, mentre Bianca Balti, per il suo coraggio nel parlare apertamente di argomenti considerati tabù, mostrando una forza e una chiarezza di cui abbiamo bisogno oggi.”

Come Miss Italia, quali iniziative di volontariato o progetti sociali ti piacerebbe promuovere o supportare, e perché?

“In quanto Miss Italia, sento una forte responsabilità verso il tema della violenza di genere. È un argomento che ho portato alla ribalta nella finale attraverso un monologo. Credo fermamente nell’importanza di aprire un dialogo su questi temi per sensibilizzare le nuove generazioni e creare un futuro basato sul rispetto e la comprensione. Anche se non posso influenzare direttamente le politiche, posso usare la mia voce per promuovere il cambiamento culturale e sociale.”

Con una vita così piena e diversificata, quali strategie adotti per bilanciare le tue aspirazioni professionali, accademiche e gli impegni personali?

“La determinazione è la mia forza trainante. Quando fisso un obiettivo, faccio tutto il possibile per raggiungerlo, anche se questo significa sacrificare il sonno e il tempo libero. Per bilanciare gli studi di medicina con gli impegni di Miss Italia, sto pianificando di utilizzare ogni momento libero, come i viaggi, per studiare e prepararmi per gli esami. Il mio obiettivo è non sprecare nemmeno un secondo del tempo a mia disposizione.”

Dove ti vedi tra dieci anni, sia a livello professionale che personale? Quali sogni e obiettivi desideri realizzare?

“Attualmente, mi sento attratta sia dalla medicina che dalla recitazione, ma la recitazione ha un fascino speciale per me. Quando recito, sento di trasformarmi, di brillare. Mi vedo come attrice perché è in quel momento che mi sento più viva. A livello personale, il mio desiderio più grande è quello di rimanere sempre felice e serena, continuando a fare ciò che mi fa stare bene.”

Quali consigli vorresti offrire alle giovani donne che, come te, aspirano a perseguire carriere impegnative in campi diversi, come il mondo dello spettacolo e la medicina?

“Il mio consiglio principale è di lanciarsi e mettersi in gioco. Non importa quanto possa sembrare spaventoso, il primo passo è sempre il più importante. Devi credere in te stessa e nei tuoi sogni. Anche quando incontri ostacoli, devi trovare la forza interiore per superarli e rimanere fedele ai tuoi obiettivi. È una sfida, ma alla fine scoprirai che è la cosa più gratificante che tu possa fare per te stessa.”

© Sbircia la Notizia Magazine, è vietata qualsiasi ridistribuzione o riproduzione del contenuto di questa pagina, anche parziale, in qualunque forma.

Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Attualità

Gioco d’azzardo in Italia: il governo tra innovazione,...

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gioco d'azzardo

L’Italia si trova a un bivio cruciale in materia di regolamentazione del gioco d’azzardo. Il settore del gioco d’azzardo in Italia sta attraversando un’importante fase di trasformazione. L’obiettivo del governo è chiaro: modernizzare il comparto, garantire un quadro normativo trasparente e, allo stesso tempo, rafforzare la tutela dei cittadini. Le decisioni contenute nel disegno di legge di Bilancio 2025 e altre riforme annunciate, puntano a coniugare crescita economica, sicurezza per i consumatori e impegno nella lotta contro la dipendenza.

Questa visione ambiziosa arriva in un momento cruciale. Il gioco d’azzardo legale rappresenta una risorsa economica importante, con volumi di raccolta che hanno raggiunto 147,5 miliardi di euro nel 2023 e una proiezione di crescita fino a 160 miliardi entro il 2024. Tuttavia, la necessità di proteggere i giocatori vulnerabili e contrastare il gioco illegale impone interventi concreti e bilanciati, che però sembrano aver solo amplificato le contraddizioni esistenti.

Le principali novità introdotte: un sistema più moderno e controllato

Tra le misure annunciate dal governo spiccano interventi volti a riorganizzare e semplificare la gestione del settore:

  1. Una quarta estrazione settimanale del Lotto per rispondere alla crescente domanda di gioco legale. Questa iniziativa mira a contrastare l’espansione dei canali irregolari, riportando i giocatori verso piattaforme autorizzate e sicure.
  2. Riforma del sistema delle concessioni per i giochi online e le scommesse, con l’obiettivo di garantire trasparenza, competizione equa e una maggiore protezione dei consumatori. Le nuove regole renderanno il mercato più accessibile agli operatori che rispettano gli standard richiesti dallo Stato.
  3. Monitoraggio tecnologico avanzato: grazie all’uso di strumenti digitali e dell’intelligenza artificiale, sarà possibile individuare comportamenti di rischio, migliorare i controlli e contrastare più efficacemente il gioco illegale.

Queste azioni rappresentano un passo concreto verso una gestione più efficiente e sicura del settore, permettendo allo Stato di aumentare le entrate fiscali, stimolare l’innovazione e offrire ai giocatori un ambiente regolamentato e protetto, nonché bonus benvenuto scommesse studiati a tavolino.

Responsabilità sociale e tutela dei giocatori: un pilastro centrale

L’attenzione del governo non si ferma alla crescita economica. Al centro delle nuove politiche resta la tutela dei giocatori, con particolare riguardo alle categorie più vulnerabili. La lotta al disturbo da gioco d’azzardo (DGA) è una priorità, e le nuove misure prevedono azioni mirate per affrontare il fenomeno con strumenti più efficaci.

Secondo molte associazioni che combattono la ludopatia, la decisione del governo di sopprimere il fondo ministeriale e di abolire l’Osservatorio nazionale costituisce però una cesura grave. Si cancella non solo una risorsa economica fondamentale per il trattamento e la prevenzione, ma anche un’architettura istituzionale che ha reso possibile affrontare il fenomeno con continuità e competenza. In altre parole, un segnale chiaro di disimpegno da parte dello Stato nei confronti di un problema complesso e multidimensionale.

Dall’altro lato però il governo prevede un maggiore  coinvolgimento delle regioni nella gestione degli interventi di prevenzione. Questa decentralizzazione può rendere le politiche di supporto più capillari ed efficaci, adattandole ai bisogni specifici dei territori tramite un approccio multidisciplinare. La prevenzione e il monitoraggio della dipendenza devono infatti camminare di pari passo con la regolamentazione economica del settore.

Tecnologia e innovazione: la chiave per un gioco più sicuro

L’adozione di nuove tecnologie è un altro aspetto cruciale della strategia governativa. Sistemi digitali avanzati, come l’intelligenza artificiale, permetteranno di monitorare i comportamenti dei giocatori e di individuare tempestivamente segnali di rischio. Questo approccio non solo migliorerà i controlli, ma contribuirà anche a rendere il gioco più trasparente e responsabile.

Gli strumenti tecnologici potranno essere utilizzati per:

  • Identificare piattaforme non autorizzate e combattere il gioco illegale.
  • Garantire la protezione dei dati personali e finanziari dei giocatori, grazie a sistemi di sicurezza aggiornati.
  • Promuovere un approccio consapevole al gioco, fornendo ai consumatori informazioni chiare sui rischi e sulle modalità per giocare in sicurezza.

In questo contesto, l’Italia ha l’opportunità di posizionarsi come un modello europeo nella regolamentazione del settore, dimostrando come l’innovazione tecnologica possa contribuire a migliorare la sicurezza e la trasparenza.

Gioco d’azzardo e sviluppo economico: un equilibrio possibile

Uno dei temi più discussi riguarda la possibilità di reintrodurre le sponsorizzazioni delle società di scommesse all’interno del mondo dello sport, in particolare nel calcio. Questa misura, pur controversa, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per i club italiani, specialmente quelli più piccoli, che necessitano di nuove fonti di finanziamento.

Il governo sta valutando questa opzione con un approccio equilibrato, proponendo di destinare una parte dei proventi derivanti dalle sponsorizzazioni al contrasto della dipendenza da gioco. Si tratta di un compromesso che, se gestito correttamente, potrebbe sostenere il mondo dello sport senza trascurare la responsabilità sociale.


La riforma del settore del gioco d’azzardo potrebbe rappresentare una grande opportunità per l’Italia. Con un approccio basato su innovazione, controllo e responsabilità, il governo punta a costruire un sistema più moderno, sicuro e sostenibile.

Sebbene alcune scelte abbiano sollevato dubbi, il quadro generale delle riforme mostra una chiara volontà di bilanciare gli interessi economici con la tutela dei cittadini. La chiave del successo risiederà nella capacità di monitorare i risultati, coinvolgere tutti gli attori del settore e mantenere alta l’attenzione sui fenomeni di rischio.

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Attualità

Cardinale Camillo Ruini: 70 anni di sacerdozio, fede e...

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Settant’anni. Ci pensate? Settanta lunghi anni di scelte, passi avanti, momenti difficili e gioie immense. Una vita. Pensate a tutto quello che può succedere in sette decenni: guerre, cambiamenti epocali, mille storie che si intrecciano. E lui, il Cardinale Camillo Ruini, c’è sempre stato, con la sua fede incrollabile, il suo impegno quasi sovrumano. L’8 dicembre 2024, ha celebrato il suo 70° anniversario di ordinazione sacerdotale. Un traguardo che parla di più di un semplice “quanto tempo”. Qui si parla di una vita spesa a credere, ad agire, a rispondere a una chiamata. Settant’anni di storia, di sogni, di battaglie vinte e perse, di cuore messo in ogni cosa. E forse non è neanche giusto chiamarlo “celebrare”, perché c’è qualcosa di più profondo: è ringraziare per ogni giorno, ogni passo, ogni momento che l’ha portato fin qui.

Un’infanzia che segna il destino

Camillo Ruini nasce il 19 febbraio 1931 a Sassuolo, un piccolo paese nel cuore dell’Emilia. Pensate a un borgo con le sue case basse, le stradine polverose e quell’odore di pane che sembra non andarsene mai. Era un’Italia ferita, appena uscita dalla guerra, con le persone che cercavano di rimettere insieme i pezzi. E Camillo? Un ragazzino come tanti, ma con qualcosa di diverso. Aveva quella luce negli occhi, sapete? Quella che fa dire a chiunque lo incontri: “Questo bambino farà strada“. Passava le giornate a leggere, sempre con un libro stretto al petto, magari seduto su un muretto, con lo sguardo rivolto al cielo. Non era uno di quelli che si accontentano. No, lui cercava. Cercava risposte, senso, un motivo per tutto. E poi, tra una preghiera sussurrata e le domeniche passate in Chiesa, quella vocazione ha cominciato a crescere. Piano, ma inarrestabile. Una voce dentro di lui che lo chiamava, insistente. E Camillo, alla fine, ha risposto.

L’inizio del cammino sacerdotale

L’8 dicembre 1954. Una data che per molti potrebbe non dire niente ma per Camillo Ruini è il giorno in cui tutto è iniziato davvero. La cappella dell’Almo Collegio Capranica a Roma, un luogo intriso di storia e silenzi, ha accolto quel giovane di Sassuolo in un momento che gli avrebbe cambiato la vita. Era emozionato? Forse. Ma chi l’ha visto quel giorno racconta di uno sguardo fermo, di un uomo già consapevole della strada che aveva davanti. Non è mai stato un tipo banale, Ruini. Uno di quelli che si accontentano di fare il minimo indispensabile. No, lui ha sempre voluto di più. Nei primi anni, mentre si immergeva nell’insegnamento e nella formazione teologica, metteva anima e corpo nel suo lavoro. Filosofia e teologia non erano astrazioni per lui ma strumenti veri, concreti, per capire il mondo e, ancora di più, per servire chi aveva bisogno. Perché questo è sempre stato Camillo Ruini: uno che guarda in alto, ma con i piedi ben piantati sulla terra.

Un leader nato

Parlare di Camillo Ruini senza toccare il suo ruolo nella guida della Chiesa italiana? Impossibile. Negli anni Ottanta diventa vescovo ausiliare di Reggio Emilia. Un passo importante, certo. Ma è nel 1991 che la sua storia cambia davvero. Papa Giovanni Paolo II lo chiama. Due incarichi giganteschi lo aspettano: presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e vicario del Papa per Roma. Due montagne da scalare, enormi, che avrebbero fatto tremare chiunque. Ma lui? Lui si fa avanti. Con quella calma che pareva scolpita nella pietra, con una determinazione che non lasciava spazio ai dubbi. Era il suo stile, il suo modo di essere: silenzioso, ma fermo. Un leader nato, capace di prendere decisioni difficili, di navigare tra mille complessità senza mai perdere di vista la sua meta.

E qui, lasciatecelo dire, emerge davvero la statura di un uomo capace di navigare tra le complessità di una società in evoluzione. La secolarizzazione, i temi etici legati alla bio-medicina, il delicato rapporto tra fede e politica: Ruini non ha mai evitato di affrontare questioni spinose, scegliendo sempre il dialogo come strumento principale. Non è stato facile, certo. Ma il suo impegno è stato quello di mantenere un equilibrio, di tenere insieme una comunità in un periodo in cui sembrava facile perdersi.

Dialogare con la modernità

Uno dei momenti che forse racconta meglio chi è stato davvero Camillo Ruini è il famoso “Progetto culturale orientato in senso cristiano“. Detto così potrebbe sembrare una cosa da manuale, noiosa, per addetti ai lavori. Ma no, è molto di più. Era un’idea, una visione, un modo di guardare il futuro con radici ben piantate nella tradizione. Ruini ci credeva davvero: riportare i valori cristiani al centro della cultura italiana. Non con grida o imposizioni, niente di forzato. Ma con il lavoro di tutti i giorni, con pazienza, con tenacia. Questo era il suo stile: costruire ponti, non muri. Parlava di dialogo, ma dialogo vero, di quello che richiede coraggio. Perché dialogare non significa annacquare i propri valori, significa metterli in gioco, trovare un linguaggio che arrivi anche a chi è lontano. Ecco, questo era Ruini. Uno che non aveva paura di sporcarsi le mani, di guardare in faccia un mondo che cambiava e di rispondere: “Ci sono, eccomi. Parliamone.

Le sfide di una vita

Non sono mancate le difficoltà. Anzi, ce ne sono state tante. Dagli scandali che hanno colpito la Chiesa agli occhi severi di un’opinione pubblica sempre pronta a giudicare, Ruini ha dovuto affrontare momenti davvero complicati. Ma quello che colpisce è il modo in cui lo ha fatto: con una calma che è sempre sembrata autentica, non ostentata. Non è un uomo di facili entusiasmi, Ruini. Ma è un uomo di profonda fede, e forse è proprio quella fede a dargli la forza di affrontare anche le tempeste più violente.

Una celebrazione carica di emozione

E così arriviamo all’8 dicembre 2024, una data che segna un traguardo straordinario. La celebrazione del suo 70° anniversario di sacerdozio è stata un momento carico di emozione, non solo per Ruini, ma per tutta la comunità ecclesiale. A Roma, una messa commemorativa ha raccolto intorno a lui rappresentanti della Chiesa e della società civile. Le parole del cardinale, pronunciate durante l’omelia, sono state semplici ma profonde: “Il sacerdozio è un dono immenso. Ogni giorno mi ricorda l’importanza di servire gli altri e di essere testimone della fede.

Guardando alla sua lunga carriera, è impossibile non vedere l’impatto duraturo che Ruini ha avuto sulla Chiesa italiana. Non si tratta solo delle decisioni prese o dei progetti avviati ma di un esempio. Un esempio di dedizione, di saggezza, di capacità di ascolto. E forse, è proprio questo il suo lascito più grande. In un mondo che spesso sembra andare troppo veloce, Ruini ci ricorda che c’è valore nella riflessione, nella preghiera, nel prendersi il tempo per comprendere.

Settant’anni. Una vita intera, ma, sapete una cosa? Per Camillo Ruini è come se fossero solo l’inizio. Perché lui, uno come lui, non si ferma mai. Settanta anni di servizio, di fede, di battaglie interiori e impegni quotidiani. Ma per lui non sono un traguardo da festeggiare, sono una spinta, una promessa. Quasi un sussurro che dice: “Non è ancora finita. C’è ancora tanto da fare.” E lui lo sa bene. Lo senti, lo vedi in ogni gesto, in ogni parola che lascia cadere con calma. Guardare avanti, cercare strade nuove, mettere ancora una volta la fede al centro, portarla lì dove sembra mancare più che mai. Questa è la sua strada. E – chissà – questa sua tenacia, questa fede che non si arrende, riuscirà davvero a ispirare chi verrà dopo di lui.

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Attualità

Notre-Dame: Il simbolo che torna a splendere

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Ci sono momenti che restano scolpiti nella memoria e quella sera di aprile del 2019, beh, è sicuramente è uno di quelli. Notre-Dame in fiamme. Chiunque abbia visto quelle immagini – e chi non le ha viste? – non può averle dimenticate. Parigi sembrava fermarsi, il mondo intero tratteneva il fiato. La guglia che crollava, il tetto ridotto a cenere, tutto sembrava irreale. Come se un pezzo dell’anima del mondo si stesse sgretolando sotto i nostri occhi. Era storia che bruciava. Arte, fede, bellezza che diventavano fumo nel cielo della sera. Ma oggi, sei anni dopo, non possiamo fare a meno di guardare a quel momento con occhi diversi. Perché, contro ogni previsione, Notre-Dame è tornata. Non solo intatta: viva. Più viva che mai.

Quel giorno che cambiò tutto

Era il 15 aprile 2019. Alle 18:20, un incendio si sviluppò nel sottotetto della cattedrale, la parte conosciuta come “la foresta” per via delle travi in legno secolare. In poche ore, 1.300 metri quadrati di storia vennero distrutti. La guglia, aggiunta nel XIX secolo, collassò sotto lo sguardo attonito del mondo. Le immagini fecero il giro del pianeta, portando con sé un carico di sgomento e tristezza.

Le cause? Beh, si è parlato di un corto circuito. Forse è andata davvero così. Ma – e non è facile ammetterlo – si sapeva già che la cattedrale aveva bisogno di cure, di mani esperte che la custodissero meglio. Era lì, fragile e bellissima, e per anni nessuno aveva fatto abbastanza. E poi, in quel caos di fiamme e disperazione, c’è stato un miracolo. Alcune reliquie sacre, come la corona di spine, sono state salvate. Salvate davvero. Ed è strano dirlo ma in mezzo a tutto quel disastro, avere qualcosa che si è potuto stringere al petto è stato un piccolo conforto. Un briciolo di luce in una giornata che sembrava buia come la notte.

La promessa: ricostruire in cinque anni

Pochi giorni dopo il disastro, Macron si fece avanti. Con quella sua aria decisa, quasi sfidando l’impossibile, promise: “Ricostruiremo Notre-Dame in cinque anni.” Cinque. Anni. Chiunque ascoltò quelle parole pensò: è pazzo, è solo politica. E invece qualcosa si accese. Era come se quella promessa avesse dato il via a un’energia collettiva incredibile. Donazioni? Arrivarono da ogni angolo del pianeta. 840 milioni di euro raccolti in un batter d’occhio. Un fiume di speranza e di solidarietà che travolse ogni cinismo.

Poi iniziarono i lavori. E qui la parola “eroico” non è sprecata. Stabilizzare quelle mura, quelle pietre antiche, non fu semplice. Operai e ingegneri si arrampicavano, sospesi nel vuoto, lavorando senza sosta, anche sotto il peso di un mondo che guardava. Ogni giorno era una lotta contro il tempo, una corsa tra tecnologia futuristica e maestria artigianale. Scanner 3D e modellazione virtuale per i dettagli, e poi mani esperte di falegnami, scalpellini, vetrai. Mille persone, mille storie, mille mani che ricostruivano un sogno.

La guglia? Tornata identica, orgogliosa, come l’aveva immaginata Viollet-le-Duc. Il tetto? Una magia che unisce vecchio e nuovo. Tradizione e innovazione che si incontrano e si abbracciano. Era chiaro: non si trattava solo di mettere insieme pietre e legno. Si trattava di ricreare un cuore, di farlo battere di nuovo. E ci sono riusciti.

Una cerimonia per il mondo intero

Il 7 dicembre 2024, un giorno che è destinato a rimanere nella memoria. Quel suono, le campane di Notre-Dame, che tornavano a riempire l’aria dopo anni di silenzio. Era come un respiro trattenuto troppo a lungo, finalmente liberato. La gente, accalcata fuori, sembrava trattenere il fiato mentre l’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, con un pastorale di legno di quercia in mano, bussava alla porta. Tre colpi, secchi, profondi. E poi, quella porta che si apriva. Era un momento che sembrava gridare al mondo intero che Notre-Dame era viva.

Dentro, un’atmosfera che ti toglieva le parole. Canti gregoriani che si alzavano verso le volte, riempiendo ogni angolo con un suono antico, quasi sacro. Non era una celebrazione pomposa, no, era qualcosa di diverso. Era come se quelle note volessero abbracciare chiunque fosse lì, ricordare a tutti che c’è qualcosa di più grande, qualcosa che unisce. Tra gli ospiti, leader da ogni parte del mondo – Macron, Zelensky, tanti altri. E per un attimo, anche in un mondo che sembra sempre sull’orlo di spezzarsi, c’era un senso di unità. Speranza. Perché è questo che Notre-Dame riesce a fare: ricordarci che è possibile ricominciare.

Un futuro per tutti

Prima dell’incendio, erano milioni. Dodici, per essere precisi, quelli che ogni anno varcavano quelle porte, che camminavano sotto le sue volte altissime, che si perdevano tra la luce filtrata dai rosoni. Adesso? Le previsioni dicono quindici milioni. Quindici milioni di cuori pronti a lasciarsi incantare. Ma come fai a gestire un flusso così enorme? Hanno dovuto ripensare tutto. Prenotazioni online, controlli biometrici – sì, hai capito bene, impronte digitali e tutto il resto – perché oggi il mondo è così, tra bellezza e tecnologia. Si stanno preparando. Perché Notre-Dame non può permettersi di chiudere le porte a nessuno.

Cosa offre oggi Notre-Dame? Percorsi guidati in 12 lingue, esperienze di realtà aumentata per rivivere la cattedrale com’era prima del disastro e spazi finalmente accessibili a tutti, grazie ad ascensori e rampe.

Il significato di questa rinascita

Notre-Dame ha sempre rappresentato qualcosa di più grande: è un simbolo che resiste, che lotta. Con i suoi 850 anni di storia, ha visto tutto: guerre, rivoluzioni, e ora persino un incendio che sembrava averla distrutta. Ma è ancora qui. Nonostante tutto, con le sue pietre che raccontano storie e il suo spirito che batte ancora più forte.

Macron, quel giorno, lo ha detto chiaramente: “Notre-Dame è il cuore della nostra nazione“. E sai una cosa? Non si sbaglia. Perché guardarla oggi, dopo tutto quello che ha passato, è una lezione. È la prova che anche quando sembra finita, quando sembra che non ci sia più nulla da fare, si può ricominciare. Non si tratta di tornare a com’era ma di essere qualcosa di nuovo, di più grande. Notre-Dame è rinata. E con lei, c’è una nuova scintilla di speranza per tutti noi.

Ci sono momenti in cui sembra che tutto sia perduto ma è proprio allora che si scopre la forza di ricostruire. Perché dalle ceneri nascono le storie più straordinarie.” (Junior Cristarella)

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