Salute e Benessere
‘Olimpiadi del ringiovanimento’, un italiano...
‘Olimpiadi del ringiovanimento’, un italiano tra i candidati
Ricordate Benjamin Button, il protagonista del film del 2008, interpretato da Brad Pitt, la cui vita procede al contrario: nasce vecchio e man mano rigiovanisce? Ebbene, nella realtà, c’è chi si sfida in una singolare, tanto impegnativa quanto costosa, competizione in cui vince chi riesce a rallentare meglio il processo di invecchiamento. Sono le ‘Olimpiadi del ringiovanimento’, una classifica online lanciata dal miliardario della tecnologia Bryan Johnson all’inizio di quest’anno che premia gli atleti della longevità che più di tutti sono in grado di invertire l’età. A entrare nella rosa dei candidati alle Rejuvenation Olympics, superando a pieni voti la prima delle tre prove necessarie, è l’imprenditore italiano Gian Marco Belardi, romano di 27 anni, ora ufficialmente ‘campione’ di ringiovanimento, grazie a un rigidissimo protocollo e stili di vita che segue ogni giorno.
La competizione – riferisce una nota – si basa su esami epigenetici del Dna e altri test che, attraverso complessi algoritmi di intelligenza artificiale, determinano l’età biologica, specificando con dei valori accurati quanto effettivamente un individuo è riuscito, secondo il suo stile di vita, a rallentare il processo di invecchiamento. I partecipanti competono quindi non sulle capacità fisiche ma su quanto velocemente e in che misura possono rallentare la loro età biologica. Gli atleti che concorrono lo fanno principalmente modificando la loro dieta, assumendo specifici integratori, sottoponendosi a programmi di allenamento e a molto altro ancora. Non si tratta – viene precisato – di tornare a una versione più giovane di sé stessi, perché ciò non è biologicamente possibile. Si gareggia, piuttosto, per vedere chi può invecchiare più lentamente. Come scherza il sito web di Rejuvenation Olympics: “Vinci non tagliando mai il traguardo”.
Tra i protagonisti di questa singolare competizione si distinguono Steve Aoki, il Dj ed erede della catena di ristoranti Benihana, il biohacker Ben Greenfield, così come il miliardario e sostenitore della scienza della longevità Peter Diamandis. In questo momento, il miliardario della tecnologia Bryan Johnson, che ha 46 anni, è ufficialmente ai vertici della classifica, ma la sua posizione inizia a vacillare. Johnson ha fatto parlare di sé per il suo stile di vita stravagante, interamente orientato all’obiettivo non solo di apparire giovane, ma di diventare più giovane, che lo porta addirittura a sottoporsi a trasfusioni di sangue prelevato da suo figlio diciassettenne.
Senza ricorrere a ‘metodi vampireschi’, per l’italiano Gian Marco Belardi due sono i valori principali che gli potrebbero far guadagnare i vertici della classifica: il primo è il ‘Extrinsic epigenetic age’, che misura l’età biologica tenendo conto di fattori come il grado di esposizione alle malattie. In sostanza, nell’equazione viene considerata l’efficienza del sistema immunitario che per Belardi equivale a quello di un ventunenne, quindi 6 anni più giovane della sua età cronologica. L’altro dato, ancora più sbalorditivo, è quasi da record. Si tratta del ‘Dunedin’, ovvero il ritmo di invecchiamento: più è basso meno si invecchia in un anno. Il valore ottenuto dall’imprenditore italiano è pari 0,66 in 1 anno: è come se invecchiasse il 44% più lentamente rispetto ad una persona normale. Guardandola in un’altra prospettiva in un anno, fatto da 365 giorni, Belardi è invecchiato solo per 160,5 giorni. Se si va a vedere la classifica del sito delle Olimpiadi del Ringiovanimento non c’è nessuno sotto allo 0,65. Ora il giovane italiano dovrà ripetere tutti i test per altre due volte prima di confermare il suo status di atleta della longevità.
Belardi, due lauree a Londra in business economics e marketing management, imprenditore tech, esperto in online marketing e finanza decentralizzata (criptovalute), nutre da sempre una forte una passione per il fitness e wellness. “Questo mi ha spinto 5 anni fa a esplorare un settore del business ancora poco sfruttato nell’ambito della nutraceutica, il mercato della longevità sana e della medicina predittiva dove, attraverso esami genetici, si può effettivamente verificare la predisposizione alle malattie e prevenirle con l’utilizzo di composti naturali, estendendo così la longevità sana delle persone”, racconta Belardi, tra i fondatori di SirtLife, specializzata in prodotti per la longevità.
Il protocollo di ‘ringiovanimento’ seguito da Belardi è piuttosto rigido: dieta ipercontrollata ricca in polifenoli, alcol al massimo una volta a settimana, allenamenti mirati, bagni freddi, sauna, speciali occhiali protettivi durante il sonno e l’assunzione regolare dei ‘suoi’ prodotti di SirtLife. Il prossimo obiettivo? “E quello di mettere a punto un protocollo che tutti possono adottare, accettando consigli in merito all’integrazione, allenamento e tutti i vari processi giornalieri per invertire l’orologio biologico”, confessa Belardi. “A chiunque mi chieda perché faccio tutto questo rispondo che il mio sogno è quello di utilizzare risorse e scienza per migliorare la vita, qualità e durata, delle persone”.
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Aviaria: in Usa positivo 1 campione di latte su 5,...
"La settimana scorsa la Food and Drug Administration ha pubblicato alcuni risultati allarmanti sulla diffusione dell'epidemia di influenza aviaria H5N1 tra le mucche da latte. Si è scoperto che 1 campione su 5 di latte prelevato dai negozi conteneva frammenti virali dell'influenza. Ma non c'è motivo di smettere di consumare il latte pastorizzato, perché questo processo uccide i batteri e i virus. Questo vuol dire che anche il formaggio e lo yogurt a base di latte pastorizzato sono sicuri. Naturalmente, solo perché il latte rimane sicuro da bere non significa che l'influenza aviaria non sia una potenziale minaccia per la salute umana". A fare il punto, rispondendo anche ad alcune domande dei lettori proprio sul consumo del latte e il rischio di contaminazioni da H5N1, è Leana S. Wen, professoressa del Milken Institute School of Public Health della George Washington University.
E' la stessa esperta a ribadire che, rispetto al latte, "non modificherò il mio consumo e non consiglio nemmeno ad altri di farlo". Sul tema del latte artificiale, invece, chiarisce che "la Fda ha testato diversi campioni di prodotti venduti al dettaglio e non ha trovato frammenti del virus dell'influenza aviaria".
Sulla pericolosità del virus e il rischio di un salto finale nell'uomo, Wen ricorda che "la diffusione dell'H5N1 dagli uccelli ai mammiferi è stata documentata da tempo", anche se "non avevamo mai osservato in precedenza un'epidemia di questa portata tra i mammiferi". I funzionari sanitari "non sanno come le mucche si trasmettono reciprocamente il virus e se potrebbe esserci una trasmissione asintomatica. E si teme - prosegue la docente - che alcune aziende agricole potrebbero non collaborare con le linee guida federali per testare e isolare i capi contagiati". In conclusione, secondo Wen "dovremmo tenere presente che non si sono ancora verificati casi di trasmissione da uomo a uomo durante questa epidemia di influenza aviaria. E rimango fiduciosa sul fatto che, nel caso in cui l'influenza aviaria diventasse la prossima pandemia, le autorità federali abbiano un piano per la produzione e la distribuzione di cure e vaccini".
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Mappa del Long Covid nei bimbi, da irritabilità a fobie e...
Da strascichi respiratori a problemi di sonno e di appetito. Ma anche ripercussioni psicologiche che vanno dalla semplice irritabilità a nuove fobie, fino ad arrivare all'attacco di panico. Ogni età ha il suo Long Covid, almeno tra i bambini. Una ricerca presentata al Meeting Pas - Pediatric Academic Societies 2024, che si apre oggi a Toronto in Canada, 'mappa' i sintomi della sindrome post-virus nei neonati, nei bimbi, negli adolescenti e nei giovani adulti. Saperli permetterà ai medici di riconoscere il Long Covid e di gestirlo meglio, in modo mirato, auspicano gli autori del lavoro che si basa su interviste a 7.229 operatori sanitari e pazienti arruolati nello studio Recover-Pediatrics dei National Institutes of Health (Nih) americani, il 75% dei quali ha riferito di avere avuto un'infezione da Sars-CoV-2.
Lo studio ha caratterizzato i sintomi pediatrici del Long Covid e il modo in cui le manifestazioni della sindrome post-coronavirus cambiano in base all'età. Neonati e bimbi under 5, 6-11enni, 12-17enni e 18-25enni sono le fasce considerate dagli scienziati, che hanno confrontato i sintomi persistenti nei bambini e nei ragazzi con o senza una precedente infezione Covid, proprio per identificare i disturbi maggiormente associati al Long Covid.
Ed ecco i risultati. I piccoli da zero a 5 anni che avevano avuto il Covid, rispetto ai coetanei per i quali non era stata riferita l'infezione, avevano più probabilità di presentare "sintomi generali tra cui scarso appetito, disturbi del sonno, irritabilità e sintomi respiratori prolungati come naso chiuso e tosse", elencano i ricercatori. Passando alle fasce d'età superiori, bambini in età scolare dai 6 agli 11 anni, teenager 12-17enni e giovani adulti dai 18 ai 25 anni con una storia di Covid alle spalle presentavano "molti sintomi in comune tra cui poca energia; stanchezza dopo avere camminato; mal di testa, dolori al corpo, ai muscoli e alle articolazioni; vertigini o sensazione di svenimento; difficoltà di concentrazione o di focalizzazione; sintomi gastrointestinali come nausea e vomito". Altri disturbi, invece, variavano in base all'età: dopo l'infezione, i 6-11enni mostravano "fobie, paure di cose specifiche e rifiuto scolastico più prolungati" rispetto ai coetanei che non avevano avuto Covid-19; i 12-17enni riferivano più spesso "paura della folla o degli spazi chiusi e attacchi di panico", mentre tra i giovani adulti, rispetto a bambini e adolescenti, dopo il Covid erano più frequenti "cambiamenti dell'olfatto o del gusto, dolore toracico e palpitazioni".
"Questi risultati sottolineano l'importanza di caratterizzare il Long Covid nei bambini, mentre i ricercatori stanno ancora scoprendo gli effetti a lungo termine del Covid in questa fascia di età", afferma Rachel Gross, professore associato di pediatria e salute della popolazione alla New York University - Grossman School of Medicine, l'autrice che ha presentato lo studio al congresso.
"Questa ricerca è importante - aggiunge - perché i medici possono diagnosticare e trattare adeguatamente il Long Covid quando comprendono meglio come la sindrome colpisce i diversi gruppi di età".
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L’indagine, solo per 1 italiano su 2 lavare le mani è...
Dopo la pandemia di Covid cala l'attenzione degli italiani verso l'igiene delle mani. "Solo un italiano su due (54%) dichiara che lavarsi le mani è divenuto più importante con la pandemia e il 45% degli intervistati afferma di lavarle più frequentemente, contro il 55% dello scorso anno". E' il quadro che emerge da un'indagine su 800 persone sulla consapevolezza dell'importanza dell'igiene delle mani per gli italiani, svolta per il secondo anno consecutivo dall'Osservatorio Opinion Leader 4 Future nato dalla collaborazione tra Gruppo Credem e Alta Scuola in media comunicazione e spettacolo (Almed) dell'Università Cattolica. L'analisi condotta dai ricercatori della Cattolica e dell'istituto Bilendi, in collaborazione con gli specialisti della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma, sarà presentata martedì 7 maggio alle 10 nel corso di un evento scientifico al Gemelli per la celebrazione della Giornata mondiale dell'igiene delle mani (5 maggio) promossa dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Dall'indagine emergono ulteriori segnali della flessione del grado di attenzione su questi temi. In particolare, si legge, "il 22% degli intervistati dichiara di aver ridotto il lavaggio delle mani. Il sapone è utilizzato dal 97% degli intervistati, con una maggiore diffusione del sapone liquido (87%) rispetto alla classica saponetta (32%). L'utilizzo di gel e salviette risulta meno frequente: il 25% degli intervistati usa gel igienizzante e il 7% le salviette. Il 16% delle persone è a conoscenza dell'esistenza di una Giornata mondiale dedicata all'igiene mani, dato incoraggiante se confrontato con il 13% registrato lo scorso anno. Altrettanto positivo è il dato sulla consapevolezza legata all'igiene respiratoria (il 77% della popolazione è a conoscenza del fatto che la corretta etichetta per l'igiene respiratoria consiste nel tossire nella piega del gomito) e all'igiene del cellulare. Il 65% della popolazione lo identifica infatti come potenziale veicolo di germi, contro il 63% precedente. A fronte di queste evidenze, però, solo il 37% dichiara di disinfettare lo smartphone con prodotti specifici, di cui il 25% almeno una volta al giorno".
Permangono le differenze legate al genere e all'età. "Le donne si lavano le mani più spesso degli uomini - evidenzia l'indagine - con una media di 7,1 volte al giorno rispetto alle 6,3 degli uomini. Inoltre, gli over 65 tendono a lavarsi le mani meno frequentemente rispetto ai più giovani, con una media di 6,2 volte al giorno contro il 7,14 della fascia d'età compresa tra i 45 e i 64 anni".
'Segnale di stanchezza verso misure sostenibili di comprovata efficacia per la prevenzione'
"Il calo dell'attenzione verso l'igiene delle mani è un preoccupante segnale di 'stanchezza' verso misure sostenibili di comprovata efficacia per la prevenzione delle infezioni dovute a pericolosi microrganismi antibiotico-resistenti in grado di mettere a serio rischio la salute delle persone più fragili. Ma è proprio questo il valore delle misurazioni condotte con metodi rigorosi e riproducibili: continuare a misurare ci consente di cogliere tempestivamente segnali di calo dell'attenzione da presidiare con interventi mirati, continuativi, sostenibili e credibili perché tarati sui reali bisogni (di conoscenze, di refresh della motivazione e altro), da presidiare con azioni di miglioramento continuo che i dati evidenziano poiché diventano informazioni utili ad orientare decisioni di best practice", afferma Patrizia Laurenti, professoressa associata di Igiene generale e applicata all'Università Cattolica, campus di Roma, e direttrice Uoc Igiene ospedaliera Policlinico Gemelli.
"I dati rilevati dall'Osservatorio Opinion Leader 4 Future riferiscono una diminuzione preoccupante dell'attenzione delle italiane e degli italiani al tema dell'igiene delle mani. Tale diminuzione è strettamente connessa alla progressiva diminuzione dello spazio riservato al tema nell'agenda pubblica e mediale. La Giornata mondiale dell'igiene delle mani, indetta dall'Oms, rappresenta in questo senso un'opportunità preziosa per riportare sotto il cono di luce questo presidio tanto semplice quando decisivo per la tutela della salute personale e pubblica", spiega Mariagrazia Fanchi, direttrice Almed.
"La prevenzione è senza dubbio uno degli strumenti più importanti per poter mantenere uno stato di salute sano e favorire il benessere individuale e collettivo - dichiara Luigi Ianesi, responsabile Relazioni esterne di Credem - L'iniziativa dell'Osservatorio Opinion 4 Future rappresenta per Credem un'opportunità per creare consapevolezza, a partire dai nostri colleghi, su temi che hanno un elevato impatto sulla vita di tutti e a cui spesso non destiniamo una giusta considerazione. Siamo certi che attraverso la buona informazione si possano sensibilizzare le persone ad attuare e a stimolare negli altri il rispetto di quelle pratiche, anche semplici come l'igiene delle mani, in grado di salvare vite ed avere un impatto concreto sulla società".