

Sostenibilità
BNL BNP Paribas ottiene la certificazione di parità di...
BNL BNP Paribas ottiene la certificazione di parità di genere: a che punto siamo in Italia?
Ottimo risultato di BNL, ma la parità di genere non può essere delegata solo ai privati

Sempre più aziende stanno trasformando la propria organizzazione in ottica Esg. Per alcune, questo significa soprattutto decarbonizzare la propria produzione e, più in generale, ridurre le emissioni inquinanti; per altre significa puntare su un maggiore work-life balance e contrastare le disparità.
In quest’ottica BNL BNP Paribas ha raggiunto un ottimo risultato, ottenendo la certificazione per la parità di genere rilasciata da Dnv Italia, che premia l’impegno messo in atto nel favorire l’inclusione, valorizzare le diversità, ridurre il gap di genere e contrastare ogni forma di discriminazione.
Sono 6 le specifiche aree tematiche oggetto di riconoscimento:
- cultura e strategia;
- governance;
- processi human resources;
- opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda;
- equità remunerativa;
- tutela della genitorialità;
- conciliazione vita-lavoro.
In ciascuna di queste aree, BNL BNP Paribas ha superato la soglia minima e non sono emerse valutazioni di “non conformità”.
“La certificazione per la parità di genere ci rende molto orgogliosi – ha dichiarato Geraldine Conti, People & Culture Director di BNL BNP Paribas – e apprezziamo che la qualità del nostro impegno venga riconosciuta anche dall’esterno. Questo attestato è un riconoscimento all’interno di un processo più ampio, con obiettivi al 2025, che la Banca sta portando avanti puntando al pieno equilibrio di genere. Crediamo che il talento e le capacità delle persone possano essere valorizzati solamente in presenza di un ambiente sano, equilibrato e stimolante, dove si possa esprimere la propria professionalità senza ostacoli di alcun tipo”.
Gli obiettivi della banca per il futuro
Come più volte sottolineato anche su queste pagine, gli obiettivi di sostenibilità vanno inquadrati all’interno di una strategia più ampia che preveda strumenti concreti per migliorare le prestazioni Esg e meccanismi di monitoraggio.
Infatti BNL, coerentemente con il gruppo BNP Paribas, ha l’obiettivo di arrivare al 40% di presenze femminili nel management e nel board entro il 2025. Per raggiungere questo target, la Banca ha implementato specifici corsi di formazione e crescita.
Già oggi, la popolazione aziendale dei giovani talenti in BNL è costituita per oltre il 50% da donne e presenta un vertice totalmente al femminile, tra presidente (Claudia Cattani) e amministratore delegato (Elena Goitini).
Parità di genere in Ue e in Italia
Sono confortanti i risultati ottenuti sia a livello nazionale che comunitario in ottica di parità di genere. Infatti, il Gender Equality Index dell’Eige, l’Istituto Europeo per l'Uguaglianza di Genere, ha registrato il dato migliore degli ultimi 10 anni: secondo le ultime rilevazioni, l’indice sull’uguaglianza di genere ha registrato il valore più elevato da quando è stato istituito dieci anni fa raggiungendo quota 70,2, +1,6 punti rispetto al 2022.
Anche in Italia l’indice è cresciuto, toccando quota 68,2 punti su 100, ma il percorso è ancora lungo: il nostro Paese è all'ultimo posto in Ue per quanto riguarda le pari opportunità nel mondo del lavoro, specie per gli indicatori “segregazione e qualità del lavoro” e “partecipazione delle donne”.
Gender pay gap in Italia
Uno degli aspetti più preoccupanti nel panorama italiano è quello che riguarda la parità salariale, o, meglio, la disparità salariale conosciuta anche con il termine gender pay gap che, dati Inps alla mano, è ancora molto ampia.
Dall'ultimo Osservatorio dell’Istituto nazionale di statistica sui lavoratori dipendenti del settore privato è emerso che in media le donne guadagnano quasi 8 mila euro l’anno in meno rispetto ai colleghi uomini. Nel dettaglio, la retribuzione media annua a livello nazionale per i dipendenti uomini del settore privato è 26.227 euro, mentre per le loro colleghe scende a 18.305.
Una delle motivazioni a parziale giustificazione della disparità di trattamento salariale va vista nella maggiore presenza di lavoratrici part-time, una formula pagata meno rispetto al tempo pieno. Nel 2022 le donne con lavoro part-time sono state oltre 3,5 milioni contro poco più di 2 milioni di uomini. È evidente come in molti casi questa, più che una scelta, sia una necessità per le donne che in molti contesti si prendono cura della casa e della famiglia più degli uomini.
Il ruolo della certificazione di parità di genere
Ma quanto è importante per le aziende italiane ottenere la certificazione di parità di genere, recentemente riconosciuta a BNL BNP Paribas?
Secondo la ricerca presentata da Variazioni:
- il 51% delle aziende italiane ritiene che sia uno strumento essenziale per promuovere la consapevolezza e il cambiamento verso la parità di genere;
- il 31% di quelle che l’hanno ottenuta ha riscontrato un miglioramento nella reputazione del marchio,
- il 5% ha già ottenuto vantaggi fiscali e premi previsti dalla normativa.
Non manca infatti il sostegno pubblico in questa direzione. Un esempio arriva dalla Regione Puglia che il 4 settembre scorso ha aperto il bando "UN’Impresa alla Pari" per premiare le imprese pugliesi che otterranno la certificazione della Parità di genere.
Il bando resterà aperto fino al 4 marzo 2024, ha una dotazione di 400.000 euro e prevede un voucher a copertura delle spese affrontate dalle imprese idonee fino all’80% del rendicontato. L’ente specifica che verranno considerati anche i costi propedeutici ad ottenerla e i costi di consulenza preliminare. Le imprese pugliesi che intenderanno acquisire la certificazione di Parità non solo potranno coprire i 4/5 dei costi sostenuti nel percorso di certificazione, ma godranno anche dei vantaggi previsti nei bandi pubblici per le imprese che ottengono la certificazione, nonché dello sgravio dell'1% sui contributi previdenziali Inps.
Incentivi da replicare per non delegare solo all’iniziativa privata il raggiungimento degli obiettivi e continuare a migliorare le performance in materia di parità di genere.
Sostenibilità
L’Italia è prima in Europa per morti premature da biossido...

La Lombardia è la regione messa peggio in Ue, allarme per i dati dell’Eea

L’Italia ha registrato il più alto numero di decessi per biossido di azoto in Europa: sulle 52.483 morti premature dovute all’esposizione al biossido di azoto nei paesi dell’Unione, l’Eea ha stimato 11.282 morti premature in Italia, di cui 3.458 nella sola Lombardia (dati 2021). Praticamente, su 27 Stati, è avvenuta in Italia quasi una morte prematura su 5 legata a quest’agente inquinante.
Quello registrato dall’Agenzia europea per l’ambiente nel territorio lombardo non è un dato elevato solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi dato che la regione detiene, insieme alla regione di Atene, l’Attica, il triste primato delle morti premature in rapporto alla popolazione (35/100.000 abitanti).
Bisogna anche notare che il decesso è l’evento estremo, ma l’inquinamento porta anche ad altre conseguenze nocive che l’Eea traduce negli anni di vita persi, identificati con la sigla Yll (Years of Life Lost).
Si tratta di una stima del numero medio di anni aggiuntivi che le persone in una popolazione avrebbero vissuto statisticamente se non fossero morte prima di raggiungere una certa aspettativa di vita statistica. L’impatto della Yll dipende anche dall’età in cui si verificano i decessi; pertanto, una morte che si verifica in età più giovane aumenta di più questa metrica rispetto a quanto faccia una morte in età più avanzata.
Dal 2005 l’Eea pubblica i dati relativi all’impatto sulla salute derivante dall’esposizione agli agenti inquinanti per i diversi livelli territoriali (stato, regione, provincia, città) in una banca dati attualmente aggiornata al 2021. I risultati sono allarmanti: fra le regioni europee con più morti premature per esposizione al biossido di azoto nel 2021, 5 su 10 sono italiane.
L’analisi regionale
Il dato sul biossido di azoto è particolarmente interessante perché ha una fonte emissiva più specifica, ovvero il trasporto su strada dei veicoli con motori endotermici, diesel su tutti.
Sulle 52.483 morti premature dovute all’esposizione al biossido di azoto nei paesi dell’Unione Europea, a livello nazionale in Italia l’Eea ha stimato 11.282 morti premature, il dato più elevato di tutti i Paesi europei. Gli effetti sono visibili anche nella classifica delle regioni con più morti premature per biossido di azoto, come dimostra questo grafico:
[Fonte: Ambientenonsolo.com]
Oltre alla citata Lombardia rientrano nelle prime 10 posizioni la Campania, il Lazio, il Piemonte e il Veneto. Tra le prime 20 regioni con più morti premature per esposizione al biossido di azoto si registra anche l’Emilia-Romagna, 18ma.

Il dato sulla Lombardia non è certamente una novità: una ricerca condotta da Openpolis insieme ad altre sei redazioni dello European data journalism network (Edjnet), sotto la direzione di Detusche Welle, dimostra che il Nord Italia, e soprattutto la Pianura padana, è la zona più inquinata d’Europa anche considerando la concentrazione di Pm2.5 nell’aria. Le prime province europee per concentrazione di particolato fine Pm2.5 nell’aria sono Milano, Cremona e Monza, con valori superiori a 21 milligrammi ogni metro cubo, oltre 4 volte superiori ai limiti stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), pari a 5 µg/m³.
Oltre ad aver incassato i dati più preoccupanti, la Pianura padana ha anche registrato il più grave peggioramento della qualità dell’aria a livello europeo tra il 2018 e il 2022.
L'analisi provinciale
Nonostante lo spiacevole primato della Lombardia, la provincia europea con maggiori morti premature per esposizione al biossido di azoto nel 2021 è stata quella di Bucarest, in Romania. Tra le prime 10 province europee, ben 4 sono italiane: Milano, Torino, Napoli e Roma.
[Fonte: Ambientenonsolo.com]

Sostenibilità
Obiettivo net zero nel 2040, Alperia presenta la sua...

E' stata la prima utility italiana a diventare carbon neutral per le emissioni operative (scope 1 e 2)

Ridurre le proprie emissioni di CO2e (Scope 1, 2 e 3) del 46% entro il 2027 e del 70% entro il 2031, rispetto a 2021, per raggiungere infine l'obiettivo Net Zero nel 2040, ben 10 anni prima degli intenti europei. E' questo l'obiettivo di Alperia che destina l’80% degli investimenti previsti dal Piano Industriale 2020-2024 per soddisfare almeno 10 obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite.
E proprio per questo impegno che Alperia prende parte alla COP28. A presentare la strategia climatica e le misure per il raggiungimento del Net Zero saranno Kathrin Madl, responsabile Csr Management in Alperia, con il direttore generale, Luis Amort.
Alperia è stata la prima utility italiana a diventare carbon neutral per le emissioni operative (scope 1 e 2). Ma il percorso della strategia climatica di Alperia non si ferma qui: la società si è impegnata a fissare obiettivi di riduzione in linea con Science Based Targets Initiative, un’iniziativa che promuove la riduzione dei gas a effetto serra sulla base di obiettivi calcolati scientificamente.
“Da 120 anni Alperia produce energia verde da fonti rinnovabili e i principi della nostra attività d’impresa – dalla fornitura di energia verde fino alla mobilità elettrica e all’efficienza energetica – sono sempre stati guidati da una visione di sostenibilità e tutela dell’ambiente”, ha spiegato Kathrin Madl. “In quanto partner per la transizione energetica, il contrasto al cambiamento climatico è la sfida verso cui vogliamo accompagnare il nostro territorio e i nostri clienti,” ha sottolineato Luis Amort durante la COP28.
La possibilità di presentare la propria strategia climatica alla conferenza clima delle Nazioni Unite non è l'unico riconoscimento che Alperia ha ricevuto nel 2023. Il rinomato quotidiano britannico Financial Times ha nominato Alperia tra gli "Europe's Climate Leaders 2023". La classifica, in cui l'azienda altoatesina di servizi energetici si colloca al 57esima posto su 500 aziende attive a livello internazionale nonché prima tra le utility italiane, comprende le aziende che hanno ridotto maggiormente le loro emissioni di CO2.
Alperia, inoltre, ha fatto valutare le sue numerose iniziative di sostenibilità da EcoVadis, piattaforma internazionale e indipendente per la valutazione della sostenibilità, e ha subito ottenuto lo status Gold. Risultati particolarmente positivi sono stati conseguiti nei settori ambiente e condizioni di lavoro. Con la medaglia Gold di EcoVadis, Alperia si posiziona tra le prime 6% delle aziende certificate nel settore energetico: un risultato davvero considerevole per il fornitore di servizi energetici.
Sostenibilità
Investimenti green, migliorano le prestazioni in Italia e...

Risultati incoraggianti dall'indagine Consob sulla gestione dei rischi Esg

L’economia italiana ed europea sta imparando a gestire i rischi Esg. Questo, in sintesi, è quanto emerge dal rapporto Consob “Principali tendenze in tema di investimenti sostenibili e criptoattività”, che analizza l’andamento del Sustainalytics Esg risk score da dicembre 2019 a dicembre 2022.
Questo significa una maggiore prontezza nell’affrontare non solo le calamità naturali, sempre più frequenti a causa del surriscaldamento climatico, ma anche le sfide di equità sociale e lavorativa verso le quali è aumentata anche la sensibilità del mercato.
Il Sustainalytics Esg risk score quantifica infatti l’esposizione delle società a fattori di rischio Esg come i cambiamenti climatici, il rischio di transizione, le condizioni di lavoro inique, la mancanza di inclusione sociale, la trasparenza nella governance, le politiche di remunerazione del management.
Visto da vicino
Disaggregando settorialmente l’indicatore, la Consob rileva che in media l’esposizione ai fattori di rischio delle utilities e delle società che producono energia è più elevata rispetto a quella delle imprese appartenenti al settore manifatturiero e al comparto finanziario.
Un elemento fondamentale per valutare queste prestazioni è la volatilità, che indica la variazione percentuale del prezzo di uno strumento finanziario nel corso del tempo.
Nel contesto dell’eurozona, l’andamento dell’indicatore di “greenium”, ossia del premio al rischio connesso con la eco-sostenibilità di un’impresa che si basa sui rendimenti delle società quotate, mostra una significativa volatilità soprattutto in corrispondenza di periodi di stress sui mercati finanziari e un trend crescente da maggio 2020.
La gestione dei rischi Esg in Italia
Gli Esg risk scores registrati in Italia si attestano su valori in linea con quelli dell’area euro, ma cambia la composizione a livello settoriale dato che l’esposizione ai fattori di rischio del comparto finanziario appare in media più elevata rispetto al settore corporate.
L’autorità di vigilanza evidenzia come il gruppo di imprese con score di sostenibilità più elevato si differenzi dall’altro gruppo solo per la dimensione e la liquidità. In sostanza, il cluster di società con rating Esg più alto è rappresentato dalle imprese con maggiore liquidità e capitalizzazione mentre non si registrano differenze significative tra i due gruppi in termini di performance, volatilità e valutazioni di mercato.
L’analisi delle obbligazioni ESG inclusa nel rapporto si fonda sull’identificazione dei titoli sulla base degli International Capital Market Association (Icma) principles e si focalizza sui titoli quotati in Italia. Ne emerge che circa il 12% circa delle obbligazioni Esg così definite non è incluso nella lista dei “Green e Social bonds” di Borsa Italiana. In pratica c’è un forte disallineamento tra la classificazione internazionale del profilo di sostenibilità e quella italiana.
Rilevanza ai piccoli investitori
Un altro aspetto interessante riguarda i tipi di investimenti Esg del mercato italiano. Il rapporto Consob “Principali tendenze in tema di investimenti sostenibili e criptoattività” evidenzia che le obbligazioni Esg sono prevalentemente:
- green bonds (53%);
- appartenenti al settore sovranazionale (54%);
- con una durata compresa fra i 7 e i 10 anni (43%),
- rivolti al piccolo investitore: il 54% dei titoli Esg quotati su Borsa Italiana presenta un lotto minimo minore uguale a 1.000 euro, quindi accessibile agli investitori retail;
- negoziati sul segmento di mercato Mot (69%).
Infine, la classificazione dei fondi aperti sostenibili disponibili per la vendita in Italia è stata effettuata adottando i criteri di Mornigstar per l’identificazione dei fondi Esg. Il risultato è positivo, considerando che la maggiore parte dei fondi che possono essere negoziati in Italia presenta un Morningstar sustainability rating superiore alla media (59%), ma la nota negativa è che solo l’8% è domiciliato in Italia.
Le prospettive future
Attualmente il volume degli investimenti cosiddetti green ammonta a 154 miliardi di dollari all'anno, una cifra che dovrà triplicare entro il 2030, raggiungendo i 484 miliardi di dollari all'anno per rispettare i parametri fissati dagli Accordi di Parigi e dagli altri accordi sovranazionali e internazionali.
Questo è quanto suggerito dagli esperti durante il summit europeo “Business and Nature Summit” di ottobre, la conferenza dedicata alla creazione di modelli di business sostenibili che pongono al centro la biodiversità.
Durante l’evento si è evidenziato come questi investimenti non solo generino benefici ambientali, ma anche significative opportunità economiche, compresi 395 milioni di nuovi posti di lavoro e 10 mila miliardi di dollari di entrate aggiuntive entro il 2030.
Il summit europeo “Business and Nature Summit”, co-organizzato dal Forum per la Finanza Sostenibile insieme alla Commissione Europea, alla Piattaforma Europea per il Business e la Biodiversità, Etifor e la Regione Lombardia, ha riconosciuto agli operatori finanziari un ruolo cruciale nell’incremento di questi investimenti e nell’attuazione di azioni efficaci per tutelare il clima e la biodiversità, sollecitando una maggiore sinergia pubblico-privato nella finanza Esg.
In questo senso va anche l’European Green Bond, il ‘bollino Ue’ per le obbligazioni sostenibili. Si tratta di uno standard volontario che conferisce una sorta di “marchio premium” ai green bond. Quindi, le società emittenti europee possono continuare ad emettere obbligazioni verdi secondo altri standard, ma senza alcuna certificazione, a differenza di quelle ‘marchiate’ col bollino Ue che verranno ritenute più affidabili dagli investitori, sempre più attenti alla trasparenza delle imprese in ambito Esg.