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Allarme Oxfam: l’1% più ricco della popolazione inquina quanto i 2/3

E presenta la proposta di tassare i più ricchi

Signore con mascherina immerso nello smog - Canva

Nel 2019, l’1% più ricco della popolazione mondiale ha generato lo stesso impatto ambientale di quello generato da 5 miliardi di individui, rappresentando 2/3 dell'intera umanità in termini di emissioni di CO2. In pratica, poco più di 77,5 milioni di persone hanno inquinato quanto 7,6 miliardi di persone.

Un dato inquietante, quello comunicato nel rapporto di Oxfam in collaborazione con lo Stockholm Environment Institute, che si posiziona tra due avvenimenti storici: il primo giorno con una temperatura di +2°C rispetto al periodo preindustriale, registrato venerdì 17 novembre, e la Cop 28 in programma dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai.

Il report di Oxfam spiega che le emissioni provocate dall’1% più ricco del pianeta potrebbero causare 1,3 milioni di vittime, la maggior parte entro il 2030, a causa del riscaldamento globale. Intanto, l’obiettivo degli Accordi di Parigi di tenere il surriscaldamento globale sotto i +2°C rispetto al 1990 è ormai svanito.

“Per anni abbiamo lottato per creare le condizioni di una transizione giusta che ponga fine all’era dei combustibili fossili, salvare milioni di vite e il pianeta – ha spiegato Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia – Ma raggiungere quest’obiettivo cruciale sarà impossibile se non porremo fine alla crescente concentrazione di reddito e ricchezza che si riflette in disuguaglianze economiche sempre più marcate e contribuisce all’accelerazione del cambiamento climatico”.

Le statisiche nel dettaglio

Nel 2019 l’1% più ricco del pianeta ha contribuito al 16% delle emissioni globali di CO2. Tale percentuale supera quella prodotta da tutti i veicoli su strada. A livello mondiale, il 10% più abbiente è responsabile della metà delle emissioni totali. Il rapporto evidenzia come una persona che fa parte dell’1% più ricco, in media, inquina in un anno quanto una persona del restante 99% fa in 1.500 anni. Tradotto in altri termini, le emissioni generate da questi 77 milioni ogni anno annulano i benefici derivanti da quasi un milione di pale eoliche.

In Italia, sempre nel 2019, il 10% più ricco ha emesso il 36% in più rispetto alla metà più povera.

E le proiezioni per il 2030 non sono migliori. Oxfam prevede che, a fine decennio, le emissioni di carbonio dell’1% della popolazione più ricca saranno 22 volte superiori al livello compatibile con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di contenere l'aumento delle temperature entro 1,5°C.

Disuguaglianze interconnesse

La statistica rivelata dalla confederazione internazionale di Ong che lotta contro le disuguaglianze e la povertà evidenzia la stetta correlazione tra gli ambiti Esg.

In questo caso, infatti, una disparità sociale (appartenente alla ‘S’ della sigla), provoca una disparità e un ingente danno ambientale (e quindi di environment, la ‘E’ della sigla). “Il rapporto – si legge sul sito dell’organizzazione – non si limita a quantificare l’iniqua distribuzione delle emissioni tra diversi gruppi di reddito, ma riflette anche sugli impatti differenziati del cambiamento climatico per le diverse fasce della popolazione del pianeta e sulle associate, divergenti, prospettive di sviluppo economico complessivo tra i Paesi. Fotografando inoltre come le sfide del cambiamento climatico e delle crescenti disuguaglianze economiche siano profondamente interconnesse”.

Nonostante gli impegni formalmente presi da Stati, istituzioni e imprese, il primo giorno sopra la soglia dei 2 gradi rispetto al periodo preindustriale non è l’unico record negativo del 2023. Infatti, come riporta il servizio di osservazione satellitare e da stazioni su terra e mare dell’Unione Europea Copernicus, i mesi da giugno a ottobre sono stati i più caldi mai registrati a livello gloabale. In particolare, ottobre scorso è stato 1,7 gradi Celsius più caldo della media di ottobre nel periodo 1850-1990.

Dati alla mano, il 2023 con “virtuale certezza” diventerà l’anno più caldo di sempre, superando il record annuale del 2016, spiega ancora l’Osservatorio. Queste statistiche, incrociate a quelle di Oxfam, evidenziano la necessità di intervenire al più presto per ridurre l’inquinamento.

Imposta per i più ricchi

Per questo Oxfam propone di implementare un'imposta progressiva sui grandi patrimoni, applicata ai più ricchi, in relazione alle loro emissioni più elevate (qui la raccolta firme). L’organizzazione stima che “se applicata ad esempio a quei 50 mila italiani più ricchi, con un patrimonio netto al di sopra dei 5,4 milioni di euro, l’imposta potrebbe produrre risorse fino a 16 miliardi di euro all’anno!” per la sola Italia.

“Abbiamo bisogno di garantire che la transizione verso un’economia climaticamente neutra avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno e senza produrre ulteriori divari nelle società. – afferma Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia – Senza pretesa di rappresentare una panacea, un’imposta progressiva sui grandi patrimoni può generare risorse considerevoli per la decarbonizzazione dell’economia e per affrontare al contempo i crescenti bisogni sociali – salute, istruzione, contrasto all’esclusione sociale – che stentano a trovare oggi una risposta adeguata. Un tributo in grado di garantire maggiore equità del prelievo fiscale e una prospettiva di futuro dignitoso per chi ne è oggi privato”, ha chiosato Maslennikov.

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Sostenibilità

Sostenibilità, Regusto: “Recuperate 13mila tonnellate...

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Sostenibilità, Regusto:

Regusto, brand della Società Benefit Recuperiamo Srl, partecipa alla 12° edizione del Salone della Csr e dell’innovazione sociale. Durante il panel dedicato allo spreco alimentare Paolo Rellini, Co-founder e Coo, ha presentato i risultati ottenuti e gli impatti generati da Regusto nel tempo.

Regusto - si legge in una nota - è la prima piattaforma Esg blockchain per la lotta allo spreco che collega il più grande ecosistema circolare italiano, formato da oltre 650 aziende e più di 1.300 enti non-profit. Attraverso la piattaforma Regusto le aziende alimentari e non alimentari possono donare e vendere i propri prodotti, digitalizzando e tracciando l’attività in maniera trasparente. Per ogni transazione viene calcolato e monitorato l’impatto che si ottiene a livello sociale, ambientale ed economico nel territorio attraverso preziosi indicatori Esg. Gli indicatori vengono calcolati grazie ad algoritmi proprietari che si basano su standard di riferimento internazionali e conformi alle nuove norme europee sulla rendicontazione non finanziaria.

Ad oggi il recupero attraverso la piattaforma ha permesso di salvare 13mila tonnellate di prodotti alimentari a rischio spreco, pari a 26 mln di pasti equivalenti, recuperati e distribuiti alle persone in stato di povertà alimentare grazie alla rete di enti non profit attivi in tutta Italia.

A livello ambientale Regusto ha permesso di evitare l’emissione di 35mila tonnellate di CO2 grazie al mancato smaltimento del prodotto mentre a livello economico sono stati recuperati prodotti per un valore di 34 mln di euro. Solo nell’ultimo anno sono stati recuperate e distribuite 7.500 tonnellate di prodotti alimentari, con una crescita del 40% rispetto all’anno precedente. Nello specifico i prodotti della filiera agroalimentare più recuperati sono: ortofrutta (23%), prodotti a lunga conservazione (19%) e prodotti freschi, come latticini e carni, (17%). Rientrano nel recupero anche prodotti da forno, scatolame, salumi, salse spalmabili, legumi, ecc...

Tra le aziende nel settore alimentare che hanno creato partnership sul recupero del potenziale spreco con Regusto: Esselunga, Parmacotto, Rovagnati. Tra gli enti non-profit che contribuiscono alla distribuzione dei beni recuperati ci sono Fondazione Banco Alimentare, Caritas e Croce Rossa.

“Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Waste Watcher in Italia ci sono 6 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà, mentre ogni anno vengono sprecate 6 milioni di tonnellate di cibo - dice Paolo Rellini, Coo e co-founder di Regusto - Questo spreco non solo rappresenta una perdita enorme in termini economici e ambientali, ma soprattutto un'occasione mancata per aiutare chi non ha accesso al cibo. Attraverso la piattaforma blockchain Esg Regusto cerchiamo di rispondere a questo paradosso collegando il più grande ecosistema circolare italiano, composto da un network virtuoso di oltre 2000 aziende ed enti non-profit, attivi nel recupero e ridistribuzione dei prodotti a rischio spreco”.

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Sostenibilità

Emergenza idrica e desalinizzazione, la nuova ricetta...

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Foto di Saul Pazos

Riscaldamento globale ed emergenza idrica si alimentano vicendevolmente, generando problemi di difficile risoluzione. Gli esperti del Massachusetts Institute of Technology si inseriscono in questo dibattito con una proposta originale. Si tratta di un sistema di desalinizzazione a energia solare in grado di coniugare sostenibilità ed efficienza. Grazie a questo dispositivo, i costi di trasporto dell’acqua pulita potrebbero essere ridotti, a beneficio dei popoli e dei paesi in difficoltà. L’articolo è stato pubblicato di recente su “Nature Water”.

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Sostenibilità

Neutralità al 2050: l’impegno di Eni per la...

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La strategia del Gruppo sintetizzata in un approfondimento di SostenibileOggi

Neutralità al 2050: l'impegno di Eni per la decarbonizzazione

La neutralità carbonica entro il 2050: è questo l’obiettivo che si è data Eni, delineando un percorso virtuoso che passa attraverso un processo di trasformazione industriale. L'impegno del Gruppo per la decarbonizzazione viene sintetizzato in un approfondimento di SostenibileOggi.

Un obiettivo che coinvolge l’intera azienda e prevede una serie di obiettivi intermedi: il primo di questi è l’azzeramento delle emissioni nette note come Scope 1 e 2 del business Upstream entro il 2030. Per Scope 1 si intendono le emissioni nette determinate dagli impianti produttivi di Eni, per Scope 2 si fa riferimento alle emissioni indirette di gas a effetto serra derivanti dall’energia acquistata o acquisita, come l’elettricità, il vapore, il calore o il raffreddamento, generati fuori sede e consumati dall’azienda. Il secondo obiettivo intermedio è quello di azzerare le emissioni di tutte le altre linee di business entro il 2035; l’ultimo obiettivo, infine, riguarda l’eliminazione in toto delle emissioni GHG Scope 1, 2 e delle emissioni Scope 3, generate da operazioni di business da fonti che non sono direttamente possedute o controllate da un’organizzazione.

Nei piani di Eni, nel periodo 2024-2027 sarà investito il 30% delle risorse in attività low e zero carbon, mentre la quota di spesa dedicata al settore oil & gas – sarà ridotta nel medio-lungo termine, con la graduale eliminazione degli investimenti in attività o prodotti ad alta intensità carbonica. Insomma, molto si farà in termini di decarbonizzazione, ma altrettanto è già stato realizzato: attraverso importanti investimenti mirati in ricerca e sviluppo, Eni ha ridotto rispetto al 2018 del 40% le emissioni nette Scope 1 e 2 del settore Upstream e del 30% quelle dell’intero Gruppo. Senza dimenticare, inoltre, il rilevante impegno sostenuto per la riduzione delle emissioni di metano, in calo del 20% per il business Upstream rispetto all’anno precedente, che ha permesso ad Eni di ottenere il riconoscimento di “Gold Standard” nel quadro del programma Oil & Gas Methane Partnership 2.0 promosso dallo United Nations Environment Programme (UNEP).

(L'articolo completo su SostenibileOggi.it)

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