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Chiara Conti: luce oltre la bellezza, l’intervista esclusiva tra sfide e tripla arte

Chiara Conti è un’attrice italiana che ha iniziato la sua carriera negli anni ’90 lavorando in televisione nella trasmissione Non è la Rai. Dopo aver vinto il concorso Bellissima nel 1995, ha frequentato corsi di improvvisazione teatrale e di recitazione oltre a corsi di dizione, per migliorare la sua tecnica. Ha esordito come attrice teatrale e poi è passata al cinema e alla televisione.

La bellezza come limite nel cinema italiano

Nonostante la sua bellezza, Chiara Conti ha dichiarato che all’inizio della sua carriera questo aspetto ha rappresentato un limite nel cinema italiano. Il suo viso regolare, senza tratti particolari, non era considerato adatto a certi ruoli. Tuttavia grazie al talento e alla determinazione è riuscita a superare questo ostacolo e a farsi apprezzare per le sue doti artistiche.

I primi lavori cinematografici e televisivi

Tra i suoi primi lavori cinematografici, si ricordano Faccia di Picasso di Massimo Ceccherini e L’ultima lezione, regia di Fabio Rosi. Nel 2004 interpreta Fulvia nel film Promessa d’amore, diretta da Fabrizio Giordani. Nel 2005 lavora per Franco Battiato in Musikanten, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dello stesso anno e uscito nelle sale il 3 marzo 2006.

Nel 2005 è anche parte del cast della fiction di Rai 1 La Omicidi nel personaggio di Irene. Nel 2006 è la Olivia protagonista di H2Odio, sotto la regia di Alex Infascelli. Successivamente nello stesso anno ottiene un grande successo con la miniserie tv trasmessa su Rai 1 Butta la luna e diretta da Vittorio Sindoni. Prende parte anche alla serie tv E poi c’è Filippo, lavorando insieme all’attore Giorgio Pasotti.

Nel 2007 recita nel video e nel film con la regia di Franco Battiato dal titolo Niente è come sembra. È tra gli attori protagonisti nella mini serie tv in due puntate, Le ragazze di San Frediano di Vittorio Sindoni, interpretando Gina. Sempre nel 2007 è scelta come protagonista femminile de Il capitano 2, di nuovo sotto la regia di Vittorio Sindoni.

Successi televisivi e ultimi lavori

Tra le sue interpretazioni più significative si ricordano la miniserie tv in tredici puntate, Butta la luna 2 di Vittorio Sindoni, e la miniserie David Copperfield, sotto la direzione di Leone Pompucci, prestando il suo volto a Clara Copperfield. Inoltre è parte del cast principale di La scelta di Laura, una produzione Taodue trasmessa da Canale 5 con la regia di Alessandro Piva.

Nel 2011 recita nell’ultima stagione di Distretto di Polizia, nel ruolo della ex moglie del vicequestore Brandi (Andrea Renzi). Dopo la sua partecipazione alla serie televisiva, Chiara Conti ha continuato a dedicarsi principalmente al cinema e alla sua vita privata.

Nel 2020 torna sul piccolo schermo nella serie tv Il commissario Ricciardi, diretta da Alessandro D’Alatri, dove ha interpretato il ruolo di Marta, la madre del commissario. Nello stesso anno è entrata a far parte del cast della soap opera italiana Un posto al sole, dove interpreta il personaggio di Lara Martinelli.

Chiara Conti: attrice e pittrice, amata sui social

Oltre alla recitazione Chiara ha un’altra grande passione: la pittura. Sul suo profilo Instagram principale si definisce come “un’attrice che dipinge o una pittrice che recita“. Ha un altro account Instagram dove pubblica le immagini delle sue opere, descritte così: “Tutto quello che viene dal cuore: incido l’alluminio e lo dipingo.”

Si tratta di opere dal carattere tridimensionale, alcune molto colorate, altre sui toni dell’argento e dell’oro, che raffigurano statue, monumenti, bambole, corpi, forme immaginarie e talvolta anche volti di icone dello spettacolo (come una delle sue più recenti, dedicata a David Bowie). Un talento davvero grande quello di Chiara come creativa ed artista: le sue opere sono spesso esposte in pubbliche mostre e protagoniste di spettacoli dove le arti della pittura e dell’incisione si uniscono alla musica e alla recitazione.

Denunce e sfide: Chiara Conti e il cinema italiano

Nel corso della sua carriera Chiara ha più volte denunciato lo stato del cinema italiano in cui le donne ricevono cachet più bassi rispetto ai colleghi uomini. Inoltre in un’intervista ha raccontato di un’aggressione subita da un uomo in ascensore, in un palazzo di Milano, ma di essere riuscita a scampare alla violenza grazie anche alle arti di difesa personale apprese negli anni precedenti.

Chiara Conti: una donna poliedrica tra recitazione, pittura e impegno sociale

Chiara Conti è una donna poliedrica, appassionata di recitazione e di pittura, che ha fatto della sua determinazione e del suo talento le armi per superare i limiti imposti dalla società e dalla sua bellezza. La sua carriera è stata contraddistinta da numerosi successi, sia in campo artistico, che cinematografico e televisivo, dimostrando di essere una delle attrici più versatili e apprezzate del panorama italiano. Noi l’abbiamo incontrata per farle qualche domanda ed ecco la nostra intervista esclusiva!

Come hai iniziato la tua carriera nel mondo della recitazione?

“Ho fatto scuole straniere (tedesca asilo e elementari, inglese medie e liceo). Le materie artistiche erano molto considerate, si faceva musica, arte, tra scultura e pittura, e recitazione, per chi ne avesse avuto voglia. Io ero molto timida, la mia insegnante mi disse: “sopra questo palco puoi ridere, piangere, saltare, urlare, puoi fare ed essere tutto quello che vuoi. Sopra questo palco, sei libera.” E quel palco è diventato il posto dove mi sono sempre sentita nel posto giusto, a casa. Dove mi sento libera. Recitare mi aiuta a buttar fuori. È un modo per conoscermi, affrontarmi, sfogarmi, stare bene. Una necessità.”

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato per interpretare un ruolo così ambiguo come Lara Martinelli?

“Ho amato ed amo molto Lara, un personaggio così diverso dai miei precedenti, così ambiguo, complesso, audace, sfacciato e sfaccettato. Mi diverte spesso, mi insegna a combattere, a osare. Sicuramente ho avuto grandissima difficoltà nella storia dell’ultimo periodo. La storia del piccolo Tommy è stata per me difficilissima da affrontare, non riesco a pensare di poter usare o peggio, far del male ad un bambino, non riesco a pensare che si possa non provare amore di fronte ad un bimbo, è una realtà che non riesco ad accettare, soprattutto perché amo con tutto il cuore i bambini, mi commuovono, adoro averli vicino. Ed ho sempre e solo desiderato diventare madre, il mio sogno più grande, più voluto. Ho cercato di mettere quel dolore nel gesto terribile, ma è stato davvero difficile per me. Ed in questo caso, ho dovuto cercare molto a fondo dentro me per capire, capirla e trovare un motivo per ritornare ad accettarla. Ed ho pensato al suo amore malato e distorto nei confronti di Roberto, e che quell’amore possa essere distorto anche nei confronti del bimbo. Ecco, ho visto un’ossessione d’amore, sbagliata, arrabbiata, prepotente. Ma è il modo d’amare di Lara. Non ne conosce altri. Per ora, almeno.”

Quali invece le maggiori soddisfazioni?

“Lara è un personaggio potente. È scomoda, prepotente, sfacciata, coraggiosa, ambiziosa, distruttiva, ma piena di contrasti, agisce per amore (per quanto sbagliato possa essere). È un personaggio pieno di luci ed ombre (in questo momento più nero), ed è bellissimo scoprire che susciti tante emozioni contrastanti anche nel pubblico. Lara non resta mai indifferente. E questa per me è una grande conquista. Personalmente ho sempre amato i personaggi scomodi, ma scoprire che è così per molti, mi riempie di gioia.”

Qual è il tuo ruolo preferito tra quelli che hai interpretato?

“Sono legata a tutti i miei personaggi, perché ognuno mi ha regalato qualcosa. Posso nominare Diana in “L’ora di religione” perché è il film che ha cambiato la mia vita, conoscere e lavorare con Bellocchio e Castellitto come primo film da protagonista, mi ha arricchita infinitamente: ho incontrato due artisti che mi hanno insegnato e guidata con generosità e passione. Mi hanno dato fiducia ed hanno fatto in modo che mi affidassi. È stato uno scambio bellissimo. Cosima di Butta la luna è il ruolo che mi ha fatto conoscere al grande pubblico, ho adorato la sua profonda sensibilità, il suo combattere per i valori in cui crede, in una serie a parer mio bellissima, perché trattava argomenti di cui si era sempre parlato molto poco, come il razzismo, gli istituti minorili, figure più nascoste, come gli assistenti sociali. Grazie a Cosima (ho saputo da alcune ragazze che mi hanno scritto!!), alcune fans della serie hanno intrapreso gli studi di psicologia e si occupano di minori, proprio come lei. E questo è bellissimo. Simona in 1993 la serie, mi ha coinvolta tantissimo, la sua disperazione, la sua dignità. E ne Il commissario Ricciardi, vorrei parlare non tanto di Marta, quanto dell’amore per questo mestiere a volte così difficile che mi ha trasmesso Alessandro D’Alatri. Ho fatto con lui un provino di 2 ore per il ruolo, cosa che non succede spesso purtroppo, 2 ore in cui ci siamo confrontati, scontrati, trovati. Venivo da un periodo di crisi con me stessa ed il mio lavoro, e lui mi ha rimesso in pace. Mi ha ricordato perché ho scelto di essere un’attrice: per emozionarmi e donare emozioni. Perché, grazie al mio mestiere, a volte, ho la fortuna di incontrare persone meravigliose con una passione fortissima, con la voglia di creare qualcosa di bello, di profondo, con la capacità di guardare oltre, di andare a fondo, di lottare e vincere. Lui amava profondamente gli attori. Più di tutti. E tu eri disposto a dare tutto in scena, perché quell’amore che lui metteva nel suo film era ovunque. Lo sentivi. Lo vedevi. Sono grata per tutto quello che finora e arrivato, per tutti i ruoli che ho avuto la fortuna di vivere e scoprire, per le persone che hanno arricchito la mia strada e per quelle che ogni giorno mi insegnano qualcosa.”

Quanto è stata importante la formazione teatrale nella tua carriera di attrice?

“Importantissima. Il teatro ti aiuta a trovare il tuo posto in scena, ti rende consapevole del tuo corpo, della potenza della tua voce, del gesto, delle infinite capacità che puoi ottenere esercitandoti. Ed in più regala magia. Non solo a chi guarda, ma soprattutto a chi sta sopra quel palco, con quel profumo di legno e polvere, regala emozioni talmente forti che nessuno dovrebbe farne a meno.”

Come è stato lavorare con registi come Franco Battiato e Vittorio Sindoni?

Franco mi ha insegnato l’ascolto, la semplicità di un abbraccio, i sorrisi che coinvolgono, la curiosità di tutto quello che ci circonda, la voglia di conoscere e scoprire, il coraggio di osare e di giocare, l’umiltà dei grandi. Ho amato ogni momento con lui. Perché mi ha dato fiducia, mi ha avvolto nella sua positività e giovinezza di cuore. Mi sono sentita sempre nel posto giusto e al sicuro con lui accanto. Vittorio ha creduto in me dal primo momento ed ha combattuto per avermi nelle sue serie tv, visto che non ero un volto abbastanza conosciuto e quindi più difficile da scegliere come protagonista. Mi ha dato la possibilità di esplorare un personaggio bellissimo e molto amato. Mi ha dato l’occasione per crescere molto. E mi ha insegnato tanto, con i suoi modi a volte burberi, ma sempre pieni d’affetto. Mi mancano le nostre discussioni sul personaggio, il nostro lavorare fianco a fianco. E gli sarò sempre grata.”

C’è stato un episodio nella tua vita professionale o privata in cui hai riso così tanto da diventare un momento indimenticabile?

“Ho la fortuna di ridere tanto, e di avere accanto persone che hanno voglia di ridere tanto. E questo è bellissimo. Le serate con le mie amiche, i giochi con Olivia (la sua barboncina, ndr), gli scherzi con la mia famiglia, i viaggi nei posti più assurdi, ma divertenti proprio per le persone che ho accanto. E ovviamente il lavoro, con i miei compagni d’avventura ridiamo tanto. Mi ricordo in “E poi c’è Filippo”, non riuscivamo ad essere seri nemmeno per un momento, o ridevamo noi attori (Neri Marcorè, G. Pasotti) o, le rare volte che stavamo per riuscire a finire la scena, qualcuno della troupe cominciava a ridere e si ricominciava. Ci abbiamo messo un mese in più a finire la serie, per il tempo delle risate tra noi. Una serie che mi fa sorridere ogni volta che ci penso.”

Come riesci a bilanciare la tua vita privata con la carriera?

“Con rispetto e attenzione. Cerco di esserci sempre per la mia famiglia e le persone che amo, anche da lontano. Sono la mia vita. Sempre. Più di tutto. Il lavoro mi rende migliore, più serena, più calma, e questo fa del bene anche a chi mi sta vicino. Ma cerco comunque di proteggere le persone che amo e di tenerle separate da quello che è il mio lavoro. Sono molto riservata nell’esposizione dei miei affetti, perché ritengo l’amore troppo prezioso per essere sempre condiviso.”

Quali sono le tue fonti di ispirazione nella pittura e come hai iniziato a dedicarti a quest’arte?

“Ho sempre amato disegnare, ma non lo facevo da tanto tempo. Come suonare. Tutto quello che è creazione mi libera. Ho scoperto l’incisione durante il lockdown. Avevo una lastra di alluminio ed ho cominciato ad inciderla con un coltello. Ho scoperto che l’alluminio è molto morbido, oltre ad essere un materiale bellissimo. Ho inciso e inciso e inciso e sbagliato mille volte (ancora sbaglio!!), ma piano piano sto scoprendo tecniche e strumenti. Ho preso un trapano, delle punte e la mia tecnica improvvisata si è affinata. Poi ho scoperto i colori, che prima non avevo il coraggio di usare, mentre adesso li vivo con immensa curiosità. I colori sono liberatori, sono potenti, coinvolgenti, così simili a quello che si ha dentro. Uso le mani, le dita, la carta con i colori, pochissimi pennelli, qualche rullo, qualche spatola. Mi immergo nel suono del trapano sull’alluminio o nella pastosità dei colori e non penso a niente, la mente diventa leggera. Ed è bellissimo.”

Cosa ti spinge a condividere le tue opere d’arte e qual è il messaggio che vuoi trasmettere?

“Condivido perché racconto me. Ogni mio quadro è un momento, una sensazione, un’emozione, un avvenimento mio o del mondo intorno. L’arte serve a trasmettere qualcosa: un messaggio, una considerazione, un’emozione. Io spero che qualcosa arrivi guardando le mie lastre e perdendosi nei personaggi che ci metto dentro. Ma la cosa più importante è che quello che metto là dentro, libera me da qualcosa che avevo la necessità di raccontare.”

Quali consigli vorresti dare alle giovani attrici che si affacciano nel mondo del cinema e della televisione?

“Di studiare, di leggere, di essere curiosi sempre, di ascoltare, di essere generosi e non troppo concentrati su se stessi. Di cercare di migliorarsi sempre. Perché in questo lavoro non si finisce mai di imparare. Mai. E che a volte può essere molto complicato, le infinite attese per una chiamata, che forse non arriverà, lo sconforto quando si viene scartati, la paura di non essere abbastanza. E quindi bisogna amarlo sopra ogni cosa, per avere la forza di non rinunciare. E mi sento anche di dire, abbiate sempre un piano B, perché a volte l’occasione arriva tardi, e a volte, purtroppo, non arriva.”

Quali sono i tuoi progetti futuri?

“La prossima mostra, il film che sto scrivendo su una grande donna della storia, ma soprattutto vorrei la mia famiglia accanto e continuare a guardare il mare di Napoli, per molto tempo ancora.”

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Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Interviste

Cosimo Alberti: Teatro, TV e il sogno del cinema –...

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Ciao Cosimo, ben ritrovato sulle pagine virtuali di Sbircia la Notizia Magazine!

Sono trascorsi quasi tre anni dalla nostra ultima chiacchierata. Ora sei di nuovo qui con noi e ne siamo davvero entusiasti! In questo frattempo, il tuo percorso si è arricchito di nuovi capitoli e chissà quante altre cose hai da raccontarci. Dunque, rompendo gli indugi, partiamo subito con questa nuova intervista!

Negli ultimi anni ti sei dato molto da fare in ambito teatrale. Hai portato in scena spettacoli di grande successo al “Teatro Sannazaro”, allo ” IAV – In arte Vesuvio” e in altri luoghi storici di Napoli. Qual è stata l’emozione più forte di questa nuova fase?

In realtà, non è poi tanto nuova, perché faccio teatro da trentadue anni ormai. Nasco attore teatrale e, quando ho iniziato a respirare la polvere del palcoscenico, non sono più riuscito a farne a meno. Le tavole del palcoscenico e la sua polvere sono una droga per me, nonostante io lavori in televisione e mi cimenti nel cinema. Però, in effetti, una nuova fase c’è, ed è quella che sto sperimentando in questi ultimi anni nei miei lavori teatrali, ovvero l’abbattimento della “quarta parete”: arrivare al proscenio, scendere nel golfo mistico, giungere in platea e unirmi allo spettatore, facendolo diventare parte integrante dello spettacolo. Lo spettatore diventa protagonista e, insieme a me, formiamo la compagnia che si esibisce quella sera; ed ogni sera è una compagnia diversa. È una formula che funziona molto e diverte tutti, a cominciare da me. Si tratta di una messa in scena prevalentemente comica, ma con piccole incursioni drammatiche, che abbraccia tanti generi teatrali come il “Varietà”, la “Farsa”, l’avanspettacolo, e diversi stili di interpretazione come il “Macchiettista”, il “Cantante di giacca”, il “Cantatore popolare”. Lo spettacolo ha per titolo Il grande artista ed è dedicato ai capolavori di quei maestri che hanno reso celebre Napoli nel mondo. Siamo arrivati alla seconda edizione con nuovi e accattivanti quadri, ed è già pronta la terza.

Il tuo personaggio, Salvatore Cerruti, sembra essersi evoluto parecchio di recente. In che modo la scrittura della soap ha influenzato la tua recitazione e ci sono state caratteristiche inedite che ti hanno permesso di andare oltre la comicità?

La mia recitazione, in generale, è improntata sulla spontaneità e, nello specifico, per Sasà Cerruti cerco di recitare nel modo più naturale possibile. Desidero creare un personaggio che possa sembrare vero agli occhi dei telespettatori, permettendo a molti di identificarsi in lui e a tanti altri di riconoscere nell’interprete televisivo un parente, un amico, un collega. A volte, il mio personaggio si trova in dinamiche comiche che potremmo definire sopra le righe, difficilmente realizzabili nella realtà, ma non bisogna dimenticare che Sasà appartiene alla linea Comedy della soap.

Che ruolo hanno  i social nella tua comunicazione e nel tuo modo di essere artista?

Hanno un ruolo importantissimo. Sono il mezzo di comunicazione più veloce e divulgativo in assoluto. Ti danno una forte visibilità e, per chi fa un mestiere come il mio, basato proprio sulla visibilità, è indispensabile avere un profilo social. Io sono iscritto a tutte le piattaforme più importanti. Pubblicizzo i miei percorsi artistici, ho un folto numero di follower e un pubblico che partecipa ai miei spettacoli. Mi permette di seguire i miei colleghi, le loro carriere e di essere sempre aggiornato su tutto ciò che accade nel mondo. Uso i social solo per lavoro. Non condivido i miei stati d’animo, se non in sporadici momenti di gioia. Non mi piace assillare le persone con i miei problemi, che – ti assicuro – affliggono anche me come tutti. Perché, quindi, continuare ad affliggerli? Non giudico chi lo fa, ma a me non piace. A volte i social ci sfuggono di mano: molti non capiscono che postare un pensiero è come aprire la finestra e urlarlo in piazza. Inutile poi dilungarmi sui danni causati dai social quando non vengono usati correttamente: vedi il cyberbullismo e il body shaming. Insomma, credo fortemente che bisognerebbe introdurre una nuova materia: Educazione ai Social!

In passato avevi espresso il desiderio di cimentarti in parti drammatiche, lontane dalla vena comica. Hai avuto occasioni in questi ultimi mesi per metterti alla prova in ruoli più impegnati a livello emotivo?

Nel corso delle mie dieci edizioni in Un posto al sole non sono mancate scene drammatiche che mi hanno permesso di dimostrare che so recitare anche al di fuori dell’ambito comico. Le caratteristiche inedite, a cui facevi riferimento nella domanda precedente, le ho potute far emergere, ad esempio, quando il mio personaggio voleva compensare il suo senso paterno fingendo di essere il padre naturale del figlio di Mariella. Altre occasioni ci sono state quando Sasà ha dovuto affrontare la vergogna di essere stato scoperto omosessuale nel suo ambiente di lavoro, un comando di polizia municipale. In seguito, ha dovuto far fronte all’omofobia del padre, che lo detestava, e alla debolezza del fidanzato, che non riesce a fare coming out e che, per questo, decide di lasciarlo.

Ogni artista ha un sogno nel cassetto: un ruolo particolare, un palco prestigioso o magari un film in arrivo. Svelaci qualcosa di ciò che bolle in pentola e che ancora non hai avuto modo di realizzare...

Voglio diventare un attore affermato di cinema. Ogni tanto ottengo qualche ruolo che non definirei nemmeno secondario. Mi è capitato di rifiutarne qualcuno perché, oltre a essere secondari, erano personaggi davvero brutti. Ho passato lunghi periodi senza neanche una convocazione per un provino su parte. La mia agenzia dice che è difficile lavorare nel mondo dell’audiovisivo: in Italia esistono troppi attori e si è formata una casta. Io aggiungo che, se è per questo, anche nel teatro è difficile, specialmente a Napoli, dove siamo tutti attori e lavorano sempre gli stessi! Io non demordo, credo fortemente nel mio sogno nel cassetto di diventare un attore affermato di cinema. Infatti, all’inizio della risposta alla tua domanda, non ho usato il condizionale “vorrei diventare…”, ma l’indicativo presente “Voglio”.

La tua città ha un fascino unico. C’è un angolo di Napoli a cui sei particolarmente legato in questo momento, un luogo che ti ispira nuove idee o un rifugio in cui ti ricarichi?

Sono tantissimi i luoghi di Napoli che mi piacciono, ma ce ne sono due in particolare che mi affascinano e catturano. Uno è la Pignasecca e il suo mercato. Credo che, in una vita passata, io abbia abitato nella piazza nei pressi della stazione di Montesanto, perché ne subisco un fascino ancestrale. Il luogo in cui, invece, vorrei abitare è Santa Lucia, all’ultimo piano di uno di quei bei palazzi sul lungomare che porta a Castel dell’Ovo. Lì ho visto la luna specchiarsi sul mare, con dietro il Vesuvio, creando il panorama più bello al mondo che io abbia mai visto nella mia vita, finora.

Siamo arrivati alla fine e che dire… grazie, Cosimo. Ogni volta riesci a trasmettere qualcosa di unico, quasi magico. Ascoltare i tuoi racconti è come entrare in un mondo fatto di passione, emozioni e vita vera. Aspetteremo con ansia il momento in cui ti ritroveremo nei commenti sui social, con la tua allegria e il tuo calore. A presto, Cosimo… e grazie per la simpatia con cui ci contagi ogni giorno!

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Interviste

Intervista esclusiva a Marzio Honorato: frammenti di una...

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Marzio Honorato. Basta pronunciare il suo nome e subito ti ritrovi immerso nel profumo del teatro di Napoli, nei racconti del cinema più vero e nella lunga storia di una televisione che lo ha visto diventare una figura familiare per tutti.

Dal 1996 è Renato Poggi in Un Posto al Sole. Pensa: quasi trent’anni di vita intrecciati a quel personaggio. Renato è cresciuto con lui, si è trasformato, è diventato un amico per milioni di persone che si affezionano ogni giorno di più. Ma dietro quegli occhi che sorridono c’è molto altro: una carriera vissuta con passione e difficoltà, scelte coraggiose e una forza che continua a brillare. Oggi ci regala ricordi e verità, con una sincerità che arriva dritta al cuore.

La nostra intervista esclusiva

Nel tuo percorso teatrale hai iniziato con il teatro d’avanguardia a Napoli e Milano. Quali sono stati gli insegnamenti più significativi che hai tratto da quell’esperienza e come hanno plasmato il tuo approccio alla recitazione?

“La mia esperienza con il Teatro d’avanguardia è nata da una “fortunata” bocciatura al Liceo che frequentavo. Mio padre, per punizione, mi mandò a fare le pulizie in un “locale” vicino casa. Solo che in quel locale facevano teatro d’avanguardia! Ne rimasi affascinato e, oltre alle pulizie, iniziai a partecipare ad alcuni spettacoli. In seguito, in una tournée in giro per alcuni teatri d’avanguardia in Italia, capitammo a Milano al Teatro Uomo e rimasi lì per qualche mese scritturato nella loro compagnia teatrale. La paga era di 5000 lire al giorno. Dormivo e mangiavo dove capitava, ma riuscii a mettere da parte una somma che mi permise di comprare una Fiat 1300, naturalmente usata, per tornare a Napoli alla fine della stagione teatrale. Avevo 20 anni. Ricordo ancora quei tempi e già allora capii che fare il mestiere di “attore” significava rischiare una vita difficile e piena di punti interrogativi. Ma in realtà avevo già scelto. Ero molto timido e forse lo sono tutt’ora, ma mettersi nei panni di altri personaggi mi dava sicurezza.”

Cosa hai imparato da Eduardo?

“Eduardo è stato tutto per me. L’emozione di essere preso per mano da lui nei ringraziamenti alla fine degli spettacoli non penso di provarla mai più. Lui era un direttore d’orchestra e gli attori erano i suoi orchestrali. Ci dirigeva modulando i volumi e i toni delle nostre voci e limitando la nostra gestualità all’essenziale, senza mai esagerare. Da lui ho imparato l’arte di stare e camminare sul palcoscenico, il rispetto per il pubblico e per le rigorose battute del testo che si metteva in scena. Ogni virgola, pausa o fiato aveva un preciso significato. Da non tradire.”

Quali sono le differenze fondamentali tra cinema e teatro?

“Ho fatto tanto cinema, sicuramente più film che testi in teatro, specie dopo l’esperienza con Eduardo. Mi è sempre piaciuto tanto, perché il cinema si racconta con gli occhi e con l’espressione del viso, mentre il teatro più con il corpo e la voce.”

Raccontaci come è nato il tuo personaggio in Un Posto al Sole.

“Quando seppi che al Centro Rai di Napoli avrebbero fatto dei provini per un esperimento produttivo di una lunga serialità, voluto fortemente da Giovanni Minoli, ho fatto in modo di partecipare ai provini. E poi è andata come è andata… sono ancora lì, a Un Posto al Sole e non avverto stanchezza.”

Ti occupi anche di produzione. Vuoi raccontarci qualcosa su questo tuo interesse?

“Molti attori della mia generazione, più o meno di base a Napoli, negli anni ’80 costituivano società produttive teatrali. Dato che ne fiorivano tante, decisi di costituire una società di produzioni audiovisive: cortometraggi, documentari, progetti video-sociali… Poi, anche grazie alla sicurezza economica che mi dava Un Posto al Sole, ho iniziato a produrre qualche film. Distribuire lavoro per giovani autori, attrici e attori e validissime risorse umane tecniche che vivono nel nostro territorio era doveroso per me. Napoli mi ha dato tutto.”

© Sbircia la Notizia Magazine, è vietata qualsiasi ridistribuzione o riproduzione del contenuto di questa pagina, anche parziale, in qualunque forma. Foto di Giuseppe D’Anna.

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Interviste

Intervista esclusiva a Fabrizio Eleuteri: successi in TV,...

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Sono tre gli importanti progetti che vedono attualmente impegnato Fabrizio Eleuteri. Formatosi al laboratorio Don Bosco diretto dal rettore Carlo Nanni, l’attore romano fa parte del cast fisso di Citofonare Rai 2, il programma della domenica condotto da Paola Perego e Simona Ventura, e prossimamente sarà al cinema con The Contract, il film internazionale prodotto da Massimiliano Caroletti che segna il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger. Lavori che vanno ad aggiungersi all’impegno in Vita da Carlo, la serie con protagonista Carlo Verdone. Tra sogni e progetti, Eleuteri ci ha spiegato come è nata la sua passione per la recitazione, svelandoci la sua passione per il ‘regista del brivido’ Alfred Hitchcock.

a cura di Roberto Mallò

Fabrizio, ogni domenica i telespettatori possono vederla, in diretta, a Citofonare Rai 2. Che tipo di esperienza è? Come si trova all’interno del cast?

“Citofonare Rai2 per me è partito in maniera sperimentale, con la doppia conduzione di Paola Perego e Simona Ventura. Sono entrato a far parte del cast a partire dalla seconda edizione ed ora mi ritrovo alla quarta stagione, la mia terza consecutiva. All’inizio mi avevano prospettato un ruolo del portiere che entrava, faceva il suo balletto fintamente sexy e non si curava delle due conduttrici. Le stesse che, ogni volta, mi rimproveravano simpaticamente in diretta: ‘Guarda che non sei qua nello spazietto tuo, che fai il sexy e così via. Qui hai un ruolo, devi portare le cose che ti chiediamo. Abbiamo bisogno dei tuoi servigi per sbrigare le cose della giornata. Se arriva un ospite lo fai entrare, se c’è una cosa da portare dentro lo fai tu’. Io, per tutta risposta d’accordo con gli autori, entravo con le noci e le olive, le mangiavo e non lasciavo loro niente. All’inizio, insomma, ero questo portiere un po’ matto e sciocco che faceva danni”.

E pian piano il personaggio si è evoluto…

“Esattamente. Dallo scorso anno ho iniziato ad annunciare qualche servizio, oltre che inserire qualche curioso aneddoto su qualche personaggio piuttosto che un altro. In questa edizione affianco Gene Gnocchi nelle sue follie estemporanee. Sono il suo ‘partner in crime’. Il mio personaggio è diventato quasi una spalla per Gene. All’interno della trasmissione mi trovo molto bene, c’è molto feeling con tutti, in special modo con l’autrice Serena Costantini, che è un pezzo di cuore. E non posso negare di trovarmi molto bene con Paola Perego. Oltre alla professionista che tutti conosciamo, lei è sempre dolcissima con tutto il cast. Si prende sempre cura di qualsiasi persona all’interno di Citofonare Rai 2 e del cast stesso. E Simona Ventura è sempre il solito uragano che va a destra e sinistra e stravolge tutto e tutti. Citofonare Rai 2 è davvero una delle poche trasmissioni in cui ci divertiamo anche nel backstage”.

Per chi fa il suo mestiere, un programma in diretta come Citofonare Rai 2 insegna tanto, no?

“Sì. E’ un discorso completamente diverso dalla formazione che uno può avere o al teatro o al cinema. In quest’ultimo ti prepari un determinato ruolo e sai che devi girare una determinata scena con altri attori, che comunque puoi ripetere qualora qualcosa non andasse bene. Al contrario, nella diretta deve filare tutto liscio. Si respira la tensione che è tipica del teatro, ma è diverso, a partire dalle telecamere che ti circondano. Ovviamente, tu cerchi sempre di fare il tutto in maniera egregia. Le aspettative sono abbastanza alte e cerchi di fare di più. Nonostante tutto è però bello avere quell’adrenalina tipica della diretta. Soprattutto considerando il fatto che Citofonare Rai 2 è una diretta nazionale, che tiene compagnia ai telespettatori per tante ore e li accompagna in tutta la domenica mattina fino all’ora di pranzo”.

A cosa si deve, dal suo punto di vista, il grande successo del programma? Cresce negli ascolti di anno in anno..

“La trasmissione conserva degli abiti molto leggeri, non parla di fatti di cronaca nera. Se ci pensa, nei primi appuntamenti, Paola e Simona venivano un pochino prese in giro quando cantavano insieme, ora è diventato un vero e proprio must atteso e coinvolgiamo gli ospiti a cantare con loro di volta in volta.. Il programma ha sempre avuto come obiettivo principale quello di mettere in risalto i personaggi che hanno fatto parte della televisione italiana. Gli ospiti spaziano dal comico, come Lopez e Solenghi che parlano del trio, Lino Banfi, Al Bano con le figlie, solo per fare alcuni esempi, che ti raccontano come è stato vivere con un gigante della musica italiana così in casa. Gli aneddoti, gli spazi qua e là, il collegamento di Antonella Elia e le gag di Gene Gnocchi danno poi al programma quell’atmosfera leggera e spiritosa della quale abbiamo bisogno adesso più che mai”.

La trasmissione di Rai2 non è l’unico progetto che la vede coinvolta in questo periodo. C’è anche il film internazionale The Contract, nel quale ha recitato al fianco di Jane Alexander.

“Esatto, interpreto il migliore amico del personaggio interpretato da Jane. Il film, come è stato detto all’anteprima mondiale de Il Cairo, è un thriller psicologico. Non di certo un action thriller. Al centro della scena c’è l’attore Eric Roberts, che interpreta un giornalista caduto in disgrazia che prova a intrufolarsi nella scena del crimine di un suo collega. Da lì cerca dunque di ricostruire tutto il puzzle che ha portato a questo efferato omicidio. Si rivolge così a tante personalità e personaggi diversi tra loro: ci sono il caporedattore, un prete e una ragazza che lavora in un night, interpretata da Jane Alexander e che fa parte della trama che mi vede coinvolto, dato che cammino al suo fianco in diverse situazioni. Più Roberts indaga, più c’è questa scia di sangue che si va piano piano ad allargare. E lui ha questo testimone, interpretato da Kevin Spacey, all’interno di una sorta di riformatorio/manicomio, che sembra abbia delle chiavi di interpretazione di questo omicidio ben più profonde di quanto non stia dicendo. Quindi man mano che accadono le cose, Eric Roberts torna a chiedere conto a Kevin Spacey di quello che sta accadendo. A volte questo personaggio dà di matto e non si capisce cosa voglia dire. Le altre volte cerca di infilare delle pulci nelle orecchie a Eric Roberts per dare un diverso punto di vista di ciò che sta accadendo. Era da parecchio che non si vedeva un film simile in Italia, dove per vedere un thriller bisogna ritornare ai tempi di Dario Argento. Ed è credo la primissima volta che un produttore indipendente come Massimiliano Caroletti annoveri nel cast due attori internazionali del calibro di Spacey, che ha vinto due premi Oscar, e Roberts. Da questo punto di vista, The Contract è un esperimento già riuscito”.

C’è molta curiosità attorno al film perché rappresenta anche il debutto alla sceneggiatura di Eva Henger.

“Sì, c’è davvero molta curiosità. Ne hanno parlato anche varie testate americane. Forse in Italia siamo cintura nera nello scetticismo, magari però stavolta non trionferà il pregiudizio. Personalmente, ho avuto la fortuna di assistere all’anteprima ed è piaciuto molto. Tuttavia, sono curioso di capire come verrà accolto negli Stati Uniti e ovviamente qui da noi in Italia”.

Jane Alexander la conosceva già o vi siete incontrati per la prima volta su questo set?

“Avevo visto i lavori precedenti di Jane, tra cui quelli diretti da Cinzia TH Torrini. Non l’avevo mai incontrata prima, ma è stata davvero carina e siamo rimasti amici. E’ una di quelle persone che ti aiutano davvero sul set, che ti danno la loro energia. Al termine di una scena straziante di The Contract mi ha dato un abbraccio capace di trasmettermi davvero una grossa energia. Credo sia, davvero, una professionista di una caratura internazionale.

C’è anche un terzo lavoro: Vita da Carlo. La serie di Carlo Verdone. Il suo personaggio, nella terza stagione, è stato ampliato rispetto a quello che abbiamo visto nella seconda.

“Sì, il personaggio di Riccardo, il fidanzato di Sandra (Monica Guerritore), ha uno sviluppo carino. Viene coinvolto in una cena, in casa Verdone, nella settima puntata. E lì accade di tutto, nel buon segno della commedia italiana. C’è al centro un grande equivoco, condito da una rivelazione, e scoppia un vero e proprio parapiglia. Il tutto ha come sfondo la Santa Notte di Natale. Scherzi a parte, lavorare su un set con Verdone, Guerritore, Stefania Rocca e Filippo Contri è stata una bella opportunità da una parte ed un continuo divertimento dall’altra”.

Parlando un po’ di lei. Quando è nata la sua passione per il mondo della recitazione?

“Sono il terzo di quattro figli, tutti maschi. Nessuno aveva mai lavorato nel mondo dell’arte nella mia famiglia. Mi ricordo che, con le prime paghette, quando avevo circa 11 anni, mi andavo a comprare in edicola i film in bianco e nero di Alfred Hitchcock. Settimana dopo settimana investivo lì la mia paghetta. E mia madre non riusciva a capire cosa me ne importasse di quei film lì, dato che poi nel mio tempo libero andavo a giocare a calcetto con i miei amici. Tuttavia, ero totalmente folgorato da Hitchcock: andavo ad informarmi su ogni scena e ogni aspetto dei suoi lavori, compresi gli interpreti e i vari registi, passando per il trucco, il montaggio, gli effetti speciali. Avevo una passione dentro che è venuta fuori, senza che nessuno la sollecitasse. Pensi che una volta ho chiesto a mia madre quanto pagassero Bud Spencer e Terence Hill per fare uno dei loro film che trovavo bellissimi. E lì lei mi ha detto: ‘No, amore di mamma, questi sono attori ed è un lavoro. Loro interpretano una parte e vengono pagati per questa cosa’. Una cosa che a me non tornava, non pensavo che fosse un mestiere e che venissero pagati. Per me poter recitare era già di per sé un premio.  Anche perchè poi io ho mosso i primi passi in teatro e lì, quando hai il fuoco sacro della recitazione dentro, non stai tanto a guardare la remunerazione. E il lavoro dell’attore in sé è abbastanza precario, ci sono dei periodi in cui lavori tantissimo e in altri poco e niente. Se non sei abituato a prendere le porte in faccia stai malissimo. Ci saranno sempre delle persone che ti diranno che non sei in grado, che non sei preparato. Sei non hai una buona corazza o una famiglia che ti sostiene non riesci ad andare avanti. Potresti mollare, soprattutto quando ti sei preparato per un ruolo che sentivi davvero tuo e invece non ti prendono minimamente in considerazione. Per fortuna, oltre ai miei fratelli con i quali ho un bellissimo rapporto, ho una moglie e una figlia che mi supportano tantissimo e a cui devo praticamente tutto”.

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