Intervista esclusiva a Gianluca Ramazzotti: «Nel tempo libero leggo, vedo qualche amico e faccio l’amore»
Ha fatto parte per diversi anni del Bagaglino, ma adesso produce i suoi spettacoli con Ginevra Media Production. Parliamo di Gianluca Ramazzotti, che attualmente è impegnato con la ripresa di Se Devi Dire Una Bugia Dilla Grossa, spettacolo da cui, in un certo senso, ha preso il via tutta la sua carriera. Ramazzotti si è raccontato in questa intervista esclusiva per Sbircia la Notizia Magazine.
Con la collaborazione di Roberto Mallò per Massmedia Comunicazione
Salve Gianluca, a quali progetti si sta dedicando in questo momento sia come attore, sia come produttore teatrale?
“In questo momento sto lavorando al progetto della ripresa di Se Devi Dire Una Bugia Dilla Grossa, che andrà in scena a Torino al mitico e storico Teatro Alfieri dal 18 al 21 novembre. In seguito, avremo della date sparse dal 16 al 23 dicembre, poi ci fermeremo per un po’, dato che a commedia riprenderà alla fine di gennaio e fino al 30 aprile 2022. Avremo piazze importanti, come Roma al Quirino, Milano al Manzoni, a Genova al Politeama. La commedia prevede nel cast me, Paola Quattrini, Paola Barale, Ninni Salerno. E’ un cast molto forte. Ha la regia originale di Pietro Garinei che Luigi Russo ha rinfrescato per fare una nuova messa in scena. Devo dire che la commedia è un evergreen; nella versione di Iaia Fiastri è una pietra miliare della commedia all’italiane e della farsa. In questo momento c’è bisogno di tornare a fare dei progetti con un grande divertissement per il pubblico”.
Di recente ha lanciato uno spettacolo totalmente innovativo, Contatto, per far fronte alle restrizioni imposte in materia di Covid19. Me ne parli un po’?
“Contatto è stato un’idea innovativa che veniva dalla Francia. Noi abbiamo fatto una versione italiana. E’ uno spettacolo che nasce per chi ancora ha paura del Covid, ma anche per chi non ne ha. Si tiene conto delle restrizioni. Viene fatto all’aperto, in spazi come piazzi, come quella di San Cosimato o il laghetto dell’Eur a Roma. E’ un progetto che prevede delle app che vengono scaricate dal pubblico. Dopo aver pagato il biglietto, si riceve una mail con scritto il posto dove presentarsi, con giorno e orario. Il pubblico si trova lì con altre persone sconosciute. A un certo punto si scarica questa app, dalla quale il pubblico potrà ascoltare lo spettacolo nelle proprie cuffie, sanificate perché sono personali. Lo spettacolo è silenzioso perché tutti seguono gli attori con le cuffie e con la app. E’ tutto ricreato al computer con delle sonorità estremamente innovative. E’ uno spettacolo nuovo, complesso, che ancora non ha preso piede, ma mi auguro che lo farà negli anni futuri. Lo faremo sempre. Al di là delle restrizioni future o no date dal Covid. In questo momento, le restrizioni non ci sono. Si è tornati al 100% di capienza del pubblico nei teatri al chiuso. Probabilmente, questo spettacolo verrà pensato in futuro anche per andare in scena in luoghi chiusi”.
Quest’ultimo anno e mezzo è stato segnato dalla pandemia. Immagino che non sia stato affatto facile per lei, anche per via delle varie leggi che, spesso, sono andate a sfavore delle piccole produzioni teatrali.
“L’ultimo anno e mezzo ha caratterizzato una forte depressione per quanto riguarda gli eventi culturali. Ci siamo trovati nel mezzo di una bufera pandemica, economica e sociale che ha toccato principalmente il settore della cultura. Il nostro settore non è mai stato unito. Questo ha creato grandi divergenze e punti di vista differenti; lo Stato non è quindi riuscito a soddisfare anche la richiesta dei piccoli imprenditori. Quello che c’è stato mandato dallo Stato è veramente risibile; è stato veramente poco. Abbiamo tutti fatto fronte e stiamo facendo fronte con risorse personali da mettere dentro le nostre aziende, che sennò muoiono. Lo Stato non ci ha aiutato un po’ perché dicono che i soldi fossero finiti, un po’ perché la nostra categoria è separata sia per quanto riguarda gli organismi teatrali, sia per quanto riguarda gli organismi produttivi. Ognuno pensa solo a sé e questo è un grave problema. Sì, ci sono state delle grosse manifestazioni che hanno sicuramente puntato il dito e il faro su quella che è la condizione precaria, sia delle maestranze e sia degli organismi produttivi e teatrali in sé, ma ancora non basta. Adesso stiamo chiedendo soldi per le ripartenze, ma non ci vengono dati, se non delle piccole briciole. Cosa che invece ha fatto lo Stato, anche sbagliando, a determinati organismi, sia ministeriali, sia non ministeriali ma teatrali. Ha dato tanti soldi ai teatri ma si è dimenticato delle produzioni e di chi sta dentro gli stessi a lavorare, ossia gli spettacoli privati. Hanno dato tanti soldi, tipo 17 milioni di euro, ad alcuni organismi e non a tutti. E questo è già discriminatorio, sbagliato. Perché o li dai a tutti o non li dai a nessuno. Anche facendo, a volte, delle scelte poco intelligenti. Hanno premiato teatri che avevano dentro nelle loro programmazioni molte produzioni private, non sovvenzionate. E queste ultime sono state praticamente negativizzate; sfavorite al 100%. Purtroppo, è andata così. Adesso l’unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche e sperare che i soldi che ancora sono in pancia al Ministero della Cultura siano distribuiti equamente anche a quelli che non sono sovvenzionati e anche alle piccole, medie e grandi produzioni teatrali. Questo è quello che uno si aspetta per una ripartenza. Ad oggi, quelli che stiamo utilizzando sono soldi tutti privati, personali. Per la ripartenza, lo Stato e il Ministero della Cultura non hanno dato ancora un euro”.
Da produttore, spesso ricerca per primo gli spettacoli da portare in Italia. In base a cosa ne sceglie uno piuttosto che un altro?
“Da produttore cerco spettacoli che abbiano una trasversalità, che riguardino il pubblico. Spettacoli drammatici o comici che devono avere empatia con il pubblico. Prima della pandemia, di solito, andavo a vederli all’estero. Adesso con lo streaming riesco a fare questo tipo di lavoro; a vedere gli spettacoli già prodotti all’estero per capire se sono giusti o meno per il nostro pubblico italiano. Vero è che la pandemia ci ha messo di fronte ad una realtà: poter creare delle produzioni di spettacoli che abbiano non solo una commerciabilità, ma anche uno spessore. Devono provocare l’empatia che spinge il pubblico ad uscire di casa per vedere uno spettacolo che possa farlo divertire ed emozionare. La gente si deve o divertire tanto o immedesimare per dire al termine: ‘Uh che spettacolo che ho visto; che bei attori e che bella storia’. Ecco, le storie sono la cosa principale, il motore principale che muove uno spettacolo teatrale. Raccontare una storia, raccontarla dal vivo, come se accadesse in quel momento, è la cosa più bella del mondo. Molti spettacoli hanno drammaturgie in questo senso: spettacoli spagnoli, francesi, inglesi. Attualmente mi sto concentrando su una drammaturgia che sia internazionale, che abbia uno sbocco più tra l’Argentina e la Spagna e una drammaturgia italiana. Quindi, i progetti che riguardano la drammaturgia italiana che possa essere esportata all’estero. Ne facciamo tante esportate da lì, ma ne facciamo poche italiane. Come era negli anni ’70 e ’80, dobbiamo importare sempre di più la nostra drammaturgia all’estero”.
Veniamo al suo percorso d’attore. Come si è avvicinato alla professione?
“Ho cominciato, come tutti i bambini, facendo le imitazioni dei personaggi dell’epoca; quelli degli anni ’80.Da lì c’è stata una forte passione per il teatro perché i miei genitori mi hanno portato al Sistina proprio a vedere Se Devi Dire Una Bugia Dilla Grossa. Insomma, il cerchio si chiude in un certo senso. Avevo 16 anni e andai a vedere, seduto tra il pubblico, quello spettacolo con Paola Quattrini e Johnny Dorelli. Facevo il liceo. Mi era piaciuto talmente tanto che dopo ritornai a vederlo un mese dopo. Ero rimasto affascinato dal teatro leggero, fatto in quella maniera. Ho così fatto l’Accademia e cominciato a mettere in pratica quello che avevo studiato. In tutti questi anni avevo sempre il pallino di riprendere Se Devi Dire Una Bugia Dilla Grossa e ci sono riuscito”.
Quali, dal suo punto di vista, sono stati i ruoli che hanno segnato maggiormente la sua carriera?
“Non ho piccoli o grandi ruoli. Ho sempre grandi ruoli che siano personaggi importanti, anche se magari non sono protagonisti. Anche quando produco, non sempre mi scelgo il ruolo protagonista, ma un comprimario o un alter ego. Perché scelgo il personaggio che possa raccontare attraverso la fisicità e il mio modo di recitare. Tutti i ruoli che ho fatto sono stati ruoli importanti, sempre. Da quando ho lavorato con tutti i più grandi registi sia internazionali e sia internazionali. Quando facevo solo lo scritturato o il produttore ho voluto interpretare personaggi che avesse un senso raccontare”.
E se le cito Il Bagaglino, quali ricordi le vengono in mente?
“Il Bagaglino è stato una grande esperienza di vita, di avventura, di forza, di teatro comico e leggero. Lì ho potuto veramente affinare le mie tecniche recitative leggere. Ho anche un lato drammatico, ma la comicità affianco a Oreste Lionello, Pingitore, Pippo, Leo Gullotta mi ha insegnato tanto. Tra l’altro, ho un grande debole per Lionello e Gullotta. Sono attori completamente diversi che hanno avuto una carriera, al di là del Bagaglino, formidabile. Sia Gullotta con il teatro e col cinema, sia Lionello col doppiaggio e alcune tra le poche scelte che faceva fuori dal Bagaglino. Sono personaggi che mi hanno insegnato molto quando li guardavo. Li ho guardati tanto. Li vivevo cinque e sei ore al giorno. Anche Pingitore ha sempre avuto un grande amore per gli attori. Era ed è un personaggio che lavora alla vecchia maniera, ossia provando. Anche le cose più ovvie bisogna provarle. Veniva da quel tipo di percorso, anche televisivo, dell’epoca. Dove tutto veniva provato. Adesso è tutto più veloce. Anche la televisione si fa mordi e fuggi. Pingitore è una persona che se tu gli dici di scrivere 80 pagine di copione le completa in 20 giorni. E’ una cosa che non ho mai più visto. Persone o autori televisivi adesso fanno solo scalette. Sono pochissimi quelli che, al giorno d’oggi, si mettono davanti al computer per scrivere una trasmissione o uno spettacolo di qualsiasi genere. E quelli che ci sono vengono soffocati dal fatto che si deve andare di corsa”.
Ha ancora un sogno nel cassetto da realizzare?
“I sogni nel cassetto sono quelli che uno può realizzare. Il sogno maggiore è quello di fare un grande testo drammatico per raccontare una grande storia che possa portare i giovani a teatro. Una storia drammatica o comica ma che sia un grande momento. Sarebbe molto bello raccontare una storia per tutta la famiglia, compresi i giovani. Anche non moderna, ma raccontandola in un certo modo. Speriamo di riuscirci”.
Che consiglio si sente di dare a chi vuole intraprendere il suo mestiere?
“Cosa consiglierei ad un giovane? Niente, di lasciar perdere. In questo momento, fare teatro è veramente un’impresa ardua e difficile. Riuscire ad uscire fuori e farsi notare non è semplice. Chi sceglie di fare teatro deve avere proprio una grande motivazione; altrimenti è meglio concentrarsi su altri mestieri”.
Cosa fa quando può concedersi un po’ di tempo libero?
“Nel tempo libero leggo, vedo qualche amico e faccio l’amore”.
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