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Cronaca

La sorella di Trump: “è crudele e bugiardo”

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Sono parole molto forti quelle pronunciate dalla sorella di Donald Trump. L’attuale inquilino della Casa Bianca, è un essere “crudele”, “bugiardo” e privo di principi, questo è quanto avrebbe detto la donna in segreto, che doveva rimanere privata. Ma così non è stato e la conversazione è stata riportata in seguito dal Washington Post.

“I suoi dannati tweet e le sue bugie”
Maryanne Trump Barry
ha attaccato in particolar modo la politica migratoria messa in atto dal presidente, che ha portato alla separazione dei bambini dai loro genitori, inviandoli ai centri di detenzione. “Tutto quello che vuole è accontentare la sua base elettorale – prosegue – non ha principi, pensa solo ai suoi dannati tweet e dice un sacco di bugie“.

Le registrazioni sono opera della nipote del presidente, Mary Trump, che ha recentemente pubblicato anche un libro che denuncia “la famiglia tossica” da cui proveniva. Robert Trump, fratello minore del presidente scomparso il 15 agosto , aveva intrapreso senza successo un’azione legale per cercare di impedire la pubblicazione del libro. Fin dal primo giorno sono state vendute circa 950.000 copie. La Casa Bianca lo ha denunciato come “diffamatorio”.

Ingresso fraudolento all’università
Anche se queste parole non dovevano rimanere private, espongono il dissenso all’interno del clan Trump. “Donald è crudele”, dice anche Maryanne Trump Barry a sua nipote nella registrazione. Afferma inoltre che il miliardario ha barato nei concorsi universitari, un’accusa presente anche nel libro di Mary Trump. “È entrato all’Università della Pennsylvania perché ha dato gli esami a qualcun altro“, ha detto, indicando che si ricordava il nome della persona.

Né il presidente, né la Casa Bianca hanno commentato immediatamente. Dovremo aspettare fino a novembre per scoprire se gli americani terranno Donald Trump contro queste nuove critiche.

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Cronaca

Roma, 17enne aggredito alla fermata della metro da 4...

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Al vaglio le immagini delle telecamere di videosorveglianza

Auto della polizia - Fotogramma

Ragazzo di 17 anni aggredito oggi, 7 maggio, a Roma, vicino alla fermata metro di San Paolo da 4 giovani che lo hanno preso a calci e a pugni e lo hanno poi colpito alla nuca con una pietra.

A scatenare la violenza, una banale discussione che due degli aggressori avevano avuto poco prima con la vittima. I due, non contenti dell'iniziale vantaggio numerico, hanno chiamato altri due amici perché li aiutassero nell'aggressione. Il ragazzo ha tentato di fuggire ma uno dei quattro lo ha rincorso fino ai binari colpendolo con la pietra.

Immediato l'intervento dei sanitari del 118 che hanno trasportato il ragazzo all'ospedale Sant'Eugenio dove è stato refertato come codice giallo. Sul posto gli agenti del commissariato Colombo impegnati nelle indagini. Al vaglio le immagini delle telecamere di videosorveglianza.

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Cronaca

Depistaggio, legale poliziotto: “Bo fedele servitore...

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L'avvocato Giuseppe Panepinto

(dall'inviata Elvira Terranova) - "Questo non è il più grande depistaggio dello Stato italiano ma il più grande accanimento che lo Stato italiano ha fatto. E' uno degli enormi errori giudiziari. Siamo davanti a uno Stato italiano che si vuole pulire la coscienza, ci si vuole pulire il coltello sulle spalle dei tre poliziotti. Il grande sconfitto e' lo Stato italiano". Parole dure, durissime, quelle dell'avvocato Giuseppe Panepinto, legale del poliziotto Mario Bo, ex vicequestore aggiunto oggi in pensione, uno dei tre poliziotti imputati per concorso in calunnia aggravata nel processo d'appello sul depistaggio sulla strage Borsellino, in corso davanti alla Corte d'Appello di Caltanissetta, presieduta da Giovanbattista Tona. Con Mario Bo sono alla sbarra Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, con l'accusa di avere istruito il falso collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino, a rendere dichiarazioni che sarebbero servite a sviare le indagini sulla strage di via d’Amelio. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. L’aggravante mafiosa resta l’ago della bilancia nel processo di appello, perché se dovesse nuovamente decadere, come già successo in primo grado, le imputazioni andrebbero ancora prescritte. La procura generale di Caltanissetta al termine della requisitoria aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

"Il mio assistito Mario Bo è una persona che non conoscevo prima di affrontare questo processo, ma nel corso di questi anni ho maturato stima e rispetto nei suoi confronti. Ne apprezzo le doti, il senso di abnegazione e quella che ritengo la dote più importante per una persona appartenente allo Stato, cioè il rispetto nelle istituzioni", ha detto nella sua arringa l'avvocato Giuseppe Panepinto. "Mario Bo ha dedicato la sua vita allo Stato italiano, alla Polizia di Stato, ha partecipato alle più grosse operazioni che hanno portato all'arresto e alla condanna di soggetti malavitosi", dice ancora. "Il grande valore che ha il dottor Bo non è solo sopportare la gogna mediatica, ma il fatto di dover sopportare il mettere in dubbio il rispetto che questo uomo per una vita ha portato allo Stato e il doversi difendere da questa accusa così infamante di avere tradito lo Stato italiano", aggiunge il legale di Mario Bo. Mario Bo è presente in aula, con i coimputati Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

Per l'avvocato Panepinto, "questo è un processo che poteva essere evitato già dopo la sentenza del cosiddetto 'Borsellino bis'. Quando gli avvocati degli imputati capirono e denunciarono nel corso del dibattimento, in quel processo, le anomalie nelle indagini nate dalle dichiarazioni di quelli che venivano considerati collaboratori di giustizia ma che in realtà erano falsi pentiti. Da loro non è nato il depistaggio ma un clamoroso errore giudiziario che vede oggi imputati dei fedeli servitori dello Stato".

Poi l'avvocato Panepinto torna a parlare dei tre poliziotti, usando una metafora: "Oggi si chiede di pulire il coltello ancora intriso del sangue delle vittime sulla schiena di tre uomini che hanno fedelmente servito lo Stato italiano, servitori estratti quasi a sorte tra la pletora dei soggetti che sono stati coinvolti nella storia di questo processo. E vi chiedono di continuare a infangare il nome, per coloro che hanno ancora la fortuna di essere tra noi o ancora peggio di infangare la memoria di coloro che non sono più tra noi". "Mario Bo si deve difendere da una accusa così infamante come quella di avere tradito lo Stato", ha aggiunto Panepinto.

Ma per la Procura generale, i tre poliziotti sono "colpevoli" di avere "tradito lo Stato". "Un tradimento da parte degli apparati dello Stato che non può essere perdonato - aveva detto nell'aula della corte d'appello nissena il Procuratore generale Fabio D'Anna al termine della requisitoria- Perché questo depistaggio? L'unico interesse che spiega la pervicacia del gruppo investigativo Falcone-Borsellino è che loro sapevano perfettamente che con il loro comportamento stavano allontanando dalla verità delle indagini, vuoi per proteggere apparati dello Stato vuoi per proteggere apparati mafiosi".

Figura centrale è quella dell'ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto ventidue anni fa, a capo del pool investigativo sulle stragi di Palermo del 1992. Era proprio La Barbera il capo dei tre imputati e insieme, secondo l'accusa, avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino, piccolo delinquente della borgata Guadagna, a dare una ricostruzione dei preparativi della strage totalmente falsa accusando mafiosi che però con l'autobomba di via d'Amelio non c'entravano nulla.

Sempre oggi il legale di Bo ha parlato anche della "anomala collaborazione", come l'hanno chiamata i pm, con i magistrati da parte del Sisde sulle indagini di via D'Amelio. "Si è detto che è contro legge che il Sisde faccia azioni di polizia giudiziaria. Ma in questo processo non c'è un solo atto giudiziario fatto dal Sisde, o dai Servizi di sicurezza. Ha fatto solo quei tre appunti e basta. Non è stato svolto alcun tipo di attività da parte del Sisde, anche la sentenza di primo grado lo dice", spiega Giuseppe Panepinto. "Tutti i magistrati che abbiamo sentito, Ilda Boccassini, Annamaria Palma, e tutti gli altri, hanno escluso che qualunque delega di indagine svolta da loro, nessuna delega di indagine fu data al Sisde - dice ancora l'avvocato Panepinto - Loro non hanno avuto nessun tipo di rapporto con il Sisde. Anche la sentenza dice che non è possibile dimostrare il contrario. Cosa ha fatto? Si è limitato, come è naturale che fosse, a raccogliere per trasmettere al Nucleo centrale di Roma informazioni sullo stato delle indagini, su un fatto così grave, peraltro". Era stato lo stesso ex dirigente dei servizi segreti, Bruno Contrada, a raccontare anche in aula, al processo, e alla Commissione regionale antimafia, che era stato contattato dalla Procura di Caltanissetta, subito dopo la stra Borsellino, per chiedere un aiuto sulle indagini.

"La mattina del 20 luglio ricevo una telefonata del dottor Sergio Costa, genero del capo della Polizia di allora, il Prefetto Vincenzo Parisi, ed era anche lui un commissario di pubblica sicurezza, aggregato al Sisde. Costa mi dice: 'Don Vincenzo desidera che lei prenda contatti con il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra, per la strage che è accaduta, per la strage Borsellino, e io in quel momento seppi che il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta si chiamava Giovanni Tinebra, non lo sapevo…". Anche la Procura generale, nel corso della requisitoria, aveva parlato del Sisde: "Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona in particolare di Bruno Contrada''. ''C'è un incontro che avviene il 20 luglio all'indomani della strage, in cui c'erano Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra. Abbiamo una conferma di questa collaborazione negli appunti sull'agenda sequestrata a Bruno Contrada. La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali''. Ma oggi il legale di Mario Bo ribadisce che il Sisde non "fece alcun tipo di indagine su via D'Amelio".

Il processo è stato rinviato al 14 maggio, quando concluderà anche l'avvocato Giuseppe Seminara, legale di Ribaudo e Mattei. Nell'udienza successiva, probabilmente il 4 giugno, dovrebbe essere emessa la sentenza d'appello.

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Cronaca

Boccassini indagata a Firenze per false informazioni al pm

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Secondo i magistrati avrebbe taciuto dati su una fonte riguardante le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia su Silvio Berlusconi

Ilda Boccassini (Fotogramma)

L'ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini è indagata dalla Procura di Firenze per false informazioni al pm aggravate. La notizia è stata anticipata dal "Fatto". Secondo i magistrati fiorentini, l’ex pm oggi in pensione, durante l'interrogatorio del 14 dicembre del 2021, quando fu sentita in procura insieme con i colleghi di Caltanissetta nell'inchiesta sulle stragi mafiose del 1993, avrebbe taciuto ai magistrati informazioni di cui sarebbe stata in possesso. In particolare, su una fonte riguardante le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia su Silvio Berlusconi.

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