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Donald Trump, ex consiglieri: “Se torna alla Casa...

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Donald Trump, ex consiglieri: “Se torna alla Casa Bianca ci farà uscire dalla Nato”

Il monito: "Chiederà formalmente il ritiro degli Stati Uniti dall'Alleanza Atlantica"

Donald Trump (Afp)

Donald Trump, se eletto presidente degli Stati Uniti, porterà gli Usa fuori dalla Nato. Ne sono convinti ex consiglieri del magnate, che punta dritto alla vittoria nelle elezioni in programma a novembre 2024. Trump, come è noto, ha detto che non muoverebbe un dito per difendere da un eventuale attacco della Russia ad alleati Nato che non sono in regola con i finanziamenti all'Alleanza. Le parole pronunciate durante un comizio in South Carolina, dice chi ha lavorato accanto all'ex presidente, non vanno sottovalutate. Se ritornerà alla Casa Bianca, Trump - affermano ex consiglieri - chiederà formalmente il ritiro degli Stati Uniti dall'Alleanza Atlantica di cui da 75 anni Washington è il motore e leader principale.

"Gli Usa saranno fuori dalla Nato", spiega un ex alto funzionario, che ha servito nelle amministrazioni Trump e Biden, riferendosi all'eventuale vittoria del tycoon a novembre, nell'intervista per il libro 'The Return of Great Powers' del giornalista della Cnn Jim Sciutto, in uscita negli Usa nelle prossime settimane. "La Nato sarebbe in grave pericolo, credo che lui cercherebbe di uscire", concorda John Bolton, ex consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump che da tempo ha assunto posizioni critiche nei suoi confronti.

A preoccupare maggiormente gli ex consiglieri di Trump il fatto di aver potuto appurare lavorando al suo fianco il disprezzo del tycoon non solo nei confronti della Nato, ma anche di altri impegni di sicurezza storici degli Usa, come gli accordi di reciproca difesa con Corea del Sud e Giappone.

"Il punto è che non vedeva nessuna ragione di essere nella Nato, era anche assolutamente contrario ad avere truppe in Corea del Sud come forza deterrente, e in Giappone, sempre come forza deterrente", racconta il generale John Kelly, che è stato capo dello staff della Casa Bianca tra il 2017 e il 2019, ed ha poi assunto posizioni fortemente anti-Trump arrivando a chiederne la rimozione con il 25esimo emendamento dopo l'assalto al Congresso.

Il generale poi torna a descrivere la nota infatuazione di Trump per dittatori e uomini forti: "Pensava che Putin fosse un tipo ok e che Kim Jong-un anche lo fosse e che avessimo messo la Corea del Nord in un angolo". "Secondo lui, era come se fossimo noi a provocarli: 'se non avessimo la Nato, allora Putin non farebbe queste cose'", racconta ancora Kelly, riferendo come Trump quindi accogliesse a pieno la propaganda del Cremlino.

Non solo. Kelly e altri ex membri dell'amministrazione Trump, intervistati nel libro, rivelano come il tycoon sia stato, durante il suo primo mandato, sul punto di far uscire Washington dalla Nato. E' avvenuto al vertice dell'Alleanza nel marzo del 2018 a Bruxelles.

"Continuava a sbraitare, delirare, fare su e giù, ripetendo cose tipo 'io sono più intelligente di loro'", racconta ancora l'ex capo dello staff ricordando il comportamento di Trump con gli altri leader al vertice, e come lui cercava di convincerlo che la Nato era importante e che un suo ritiro dall'Alleanza avrebbe leso la sua immagine.

Argomenti che non convinsero Trump, il quale - rivelano ancora ex funzionari - ordinò all'allora capo degli Stati Maggiori Riuniti, generale Mark Milley, e il segretario alla Difesa, Mark Esper, di preparare dei piani per il ritiro dalla Nato. Un ordine a cui loro si opposero con veemenza, raccontano ancora, ma che dovettero rispettare arrivando dal presidente e comandante in capo delle forze Usa. Anche Bolton ricorda il vertice del 2018 con vera paura: "Onestamente, era veramente spaventoso perché non sapevamo quello che avrebbe fatto fino all'ultimo. Voglio dire, è arrivato sul punto di dire che ci ritiravamo dalla Nato e poi ha fatto marcia indietro".

Molti veterani dell'amministrazione Trump poi avvisano che un suo ritorno alla Casa Bianca rischierebbe di mettere fine agli aiuti all'Ucraina, e altri alleati, come del resto il candidato alla Casa Bianca sta dimostrando usando tutta la sua influenza per bloccare il passaggio del pacchetto da 95 miliardi, con i fondi per Kiev, Israele e Taiwan passato al Senato.

"Il sostegno Usa all'Ucraina finirebbe", affermano fonti che hanno servito con l'amministrazione Trump e Biden. "Se io fossi Taiwan, sarei preoccupato per una nuova amministrazione Trump", gli fa eco Bolton che ricorda un 'numero' che Trump faceva nello Studio Ovale, mostrando la punta della penna e dicendo: "Questa è Taiwan". Poi invece mostrava la scrivania del presidente, il resolute desk, e diceva: "Questa è la Cina", ad intendere che Taiwan era troppo piccola per difendersi da un'invasione cinese e anche troppo piccola per interessare gli Stati Uniti.

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Esteri

Tragedia in Cina, crolla carreggiata in autostrada: 24 morti

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Trenta i feriti, venti i veicoli coinvolti nel crollo del tratto di strada nella provincia del Guangdong lungo circa 18 metri

I soccorsi sul luogo dell'incidente nelle immagini circolate sui social - TheInformant /Twitter

Tragedia in Cina dove il crollo di una carreggiata di un'autostrada nella provincia di Guangdong, nel sud del Paese, ha causato la morte di 24 persone. 20 i veicoli coinvolti nel crollo, hanno riferito le autorità locali, secondo cui almeno una trentina di persone sono rimaste ferite, mentre sarebbero 20 i veicoli coinvolti nel crollo. Le immagini diffuse sui social mostrano auto travolte da terra e fango, probabilmente dopo una frana.

Alle operazioni di soccorso partecipano circa 500 uomini dei servizi di emergenza. Il tratto di strada crollato era lungo circa 18 metri e copriva un'area di circa 184 metri quadrati. Ancora sconosciute le cause del crollo, ma nei giorni scorsi nella regione erano state registrate piogge torrenziali.

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Ucraina, Shoigu: “Più armi per la guerra contro...

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Così il ministro della Difesa russo dopo una riunione con la leadership militare e un resoconto fatto dal capo di Stato maggiore, il generale Valery Gerasimov. Ancora missili su Odessa

Putin e Shoigu - Fotogramma /Ipa

La Russia ha bisogno di più armi per la guerra in Ucraina. E' il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, a chiedere uno sforzo ulteriore alla macchina bellica. "Per mantenere il ritmo richiesto dell'offensiva... è necessario aumentare il volume e la qualità delle armi e degli equipaggiamenti militari forniti alle truppe, in primo luogo le armi", dice Shoigu dopo una riunione con la leadership militare e un resoconto fatto dal capo di Stato maggiore, il generale Valery Gerasimov.

La Russia da mesi esercita una pressione costante in particolare lungo il fronte orientale. Le forze di Mosca hanno guadagnato terreno, costringendo Kiev a scelte conservative e a abbandonare alcune posizioni. Ora, però, il quadro potrebbe progressivamente cambiare. L'Ucraina riceverà le armi che gli Stati Uniti invieranno dopo il varo dell'ultimo maxipacchetto da 61 miliardi di dollari. La Russia, che secondo analisti e esperti potrebbe sferrare una nuova offensiva tra fine primavera e inizio estate, nelle prossime settimane dovrà confrontarsi con nemici più preparati.

Ancora missili su Odessa

Intanto, si registra un nuovo attacco missilistico russo su Odessa, il secondo in tre giorni. Secondo quanto riferito dal governatore della città nel sud dell'Ucraina, almeno tre persone sono morte e altrettante sono rimaste ferite nell'ultimo raid, che ha provocato anche danni alle infrastrutture civili.

Bimbi ucraini deportati in Russia, telefonata Yemark-Zuppi

"Ho avuto un colloquio telefonico con il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Matteo Zuppi. Ho sottolineato che nel quadro del dialogo diplomatico con tutti gli stati, l'Ucraina presta costantemente particolare attenzione alla questione del ritorno dei bambini deportati illegalmente dalla Russia". Lo ha scritto su X, Andriy Yermak, capo dell'ufficio del presidente Volodymyr Zelensky.

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Covid, Zhang sfida ancora la Cina: la battaglia del...

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Lo scienziato, cacciato dal laboratorio, torna a far parlare di sé con una rara iniziativa pubblica di dissenso nel gigante asiatico

Covid in Cina - Afp

Sfida ancora la Cina di Xi Jinping il virologo cinese che all'inizio della pandemia di coronavirus, nel gennaio 2020, pubblicò la prima sequenza del Sars-Cov-2 senza l'autorizzazione di Pechino. Zhang Yongzhen torna a far parlare di sé con una rara iniziativa pubblica di dissenso nel gigante asiatico. Lo scorso fine settimana, ricostruisce il Telegraph, gli è stato impedito l'ingresso nel suo laboratorio a Shanghai.

Nel frattempo sui social hanno iniziato a rimbalzare foto di un uomo che dorme sotto la pioggia davanti alla porta del centro. Domenica si è messo seduto fuori dallo Shanghai Public Health Clinical Center, che sostiene che il laboratorio di Zhang sia stato chiuso per "motivi di sicurezza", con la possibilità di spazi alternativi durante i lavori di ristrutturazione.

Eppure secondo una dichiarazione diffusa online da Zhang e poi sparita, ma visionata dall'Associated Press citata dalla stampa internazionale, allo scienziato sarebbe stato offerto un altro spazio, ma solo dopo lo 'sfratto' e senza gli standard necessari per le sue ricerche. E nel post su Weibo fatto sparire, Zhang assicura che non mollerà dopo le misure scattate per lui e per il suo team.

E' "sconfortante vedere queste continue vessazioni e punizioni nei confronti di Zhang", ha commentato con il Telegraph Stuart Neil, virologo del King’s College London coinvolto nel lavoro di ricerca per tracciare le origini del Covid e convinto che "senza il coraggio di Zhang" ci sarebbe voluto molto più tempo per "la diffusione del primo vaccino" contro il Covid.

Scienziati che lavorano con collaboratori in Cina hanno denunciato al giornale come dopo la pandemia le collaborazioni internazionali siano divenute sempre più difficili. Il Guardian scrive che oggi Zhang, raggiunto al telefono, ha sottolineato come per lui - già rimosso dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive - sarebbe "inopportuno" parlare.

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