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Politica

Europee, da riforme a lavoro: a Trento il duello (mancato)...

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Europee, da riforme a lavoro: a Trento il duello (mancato) tra Meloni e Schlein

La sfida a distanza tra premier e segretaria Pd ospiti una di seguito all'altra al Festival dell'Economia

Giorgia Meloni ed Elly Schlein (Fotogramma/Ipa)

Il duello mancato in tv oggi si è riproposto come sfida a distanza al Festival dell'Economia di Trento dove Giorgia Meloni ed Elly Schlein si sono alternate, a stretto giro nel pomeriggio, sul palco della manifestazione. La forma è meno intensa e 'spettacolare' rispetto a quella del faccia a faccia, ma il botta e risposta, le distanze e le visioni alternative si sono comunque squadernate: dal premierato al lavoro passando per il redditometro e il Superbonus.

Sul lavoro l'attacco di Meloni è dritto al Pd: "Ringrazio la segretaria del Pd Schlein per ricordarci i disastri che la sinistra al governo in 10 anni ha portato in Italia. E' vero che i salari crescono meno di quanto crescano in Francia" ma "negli anni precedenti al Covid i salari diminuivano dell'1,5% mentre in Germania aumentavano del 16% e in Francia del 9%. Può chiedere questo alla segretaria del Pd, cosa pensa dei risultati portati sui salari dalla sinistra al governo".

Schlein non si sottrae e replica secca: "Cosa rispondo a Meloni? Che se la sinistra avesse fatto tutto bene in questi anni, una come me non avrebbe mai vinto le primarie del Pd... Sono io che chiedo a Meloni: per quanto tempo, dopo 19 mesi al governo, continuerà a scaricare sui governi precedenti anziché assumersi le responsabilità?".

Il capitolo premierato conferma le distanze e la netta opposizione del Pd. Meloni mette in chiaro che sulla sua riforma costituzionale non intende mollare e lo spiega così: "Attualmente la mia vita si svolge così: mi alzo la mattina, cerco di risolvere problemi, vado a dormire, rimane poco tempo per mia figlia. Davvero qualcuno pensa che il mio obiettivo è continuare a fare questa vita? Quindi, io voglio lasciare qualcosa: o la va o la spacca, nessuno mi chieda di scaldare la sedia".

E se Meloni non intende tirarsi indietro sul premierato e dal referendum che viene accennato da quel 'o la va o la spacca' sottolineato dalla premier, Schlein è pronta a raccogliere la sfida. Anche in un confronto faccia a faccia, che torna ancora una volta nelle parole delle due leader. "Io sono sempre disponibile a un confronto con Giorgia Meloni in qualsiasi momento, avevo persino accettato di farlo anche in Rai", sottolinea la segretaria Pd alludendo alle critiche dem al servizio pubblico che sarebbe ridotto a Tele-Meloni. E sul punto graffia la premier: "Il problema non è che c'è Tele-Meloni, ma che non c'è più Tele-Pd...".

Ma sul merito, al di là della disponibilità al confronto, Schlein tiene fermo un paletto: no all'elezione diretta del premier. Ma nemmeno se la riforma sarà accompagnata da una legge elettorale a doppio turno? Viene sollecitata la segretaria del Pd: "Qualsiasi proposta che contenga questa forzatura dell'elezione diretta del premier fa saltare l'equilibrio tra i poteri dello Stato. I poteri del Presidente della Repubblica, per noi, non vanno toccati".

Quindi il Superbonus. La presidente del Consiglio spiega: "Noi abbiamo, solo sul Superbonus e sui bonus edilizi, 17 miliardi di truffe, che sono l'intero valore prodotto da tutto il nostro settore del vino in un anno: se n'è andato con le truffe. Io sono una persona seria, non mi assumo la responsabilità di mandare avanti una cosa del genere". Ma qui Schlein rinfaccia a Meloni di aver votato la proroga del Superbonus: "La cosa che trovo molto ipocrita da parte di Meloni e il governo è che quando sono state votate le proroghe al Superbonus, loro le hanno votate. Loro nel gennaio 2023 hanno bloccato la cessione dei crediti e non hanno fatto nulla in questo anno se non dare la proroga alle villette su cui tanto si sono scagliati. Hanno sempre due facce".

Sul redditometro, la premier chiarisce di aver sospeso la norma "perché la voglio vedere meglio" e rivendica la lotta all'evasione: "Vengo accusata di essere amica degli evasori. E va bene, purtroppo i numeri non dicono questo. I numeri dicono che il 2023 è stato l'anno record nel recupero dell'evasione fiscale in Italia". Ma per Schlein quando si fanno "19 condoni in 19 mesi" di governo si fa una sola cosa: "Si strizza l'occhio ai furbi". E aggiunge: "Sul redditometro abbiamo visto un governo confuso: prima lo hanno messo, poi hanno fatto marcia indietro. Ha dimostrato grande incoerenza anche Giorgia Meloni".

C'è un tema su cui non c'è stato uno scambio a distanza: la questione Toti. E Schlein lasciando il Festival di Trento lo rinfaccia alla premier così: "Ho seguito con grande attenzione l'intervista di Giorgia Meloni al Festival di Trento e sono rimasta stupita che non cogliesse l'occasione per dire una parola sulla situazione della Liguria e l'arresto di Giovanni Toti: è il silenzio degli indecenti".

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Politica

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa...

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"A viale Mazzini dovrebbero fare una statua a me accanto al cavallo, ho salvato Rai Way dai piani della sinistra"

Gasparri sulla privatizzazione Rai: cosa si può fare e cosa non si farà mai

L’ipotesi di privatizzazione della Rai? “Le norme per farlo esistono da 20 anni, sono nella legge che porta il mio nome. Ma cedere Rai1, Rai2, e Rai3, non accadrà mai”. Esordisce così con l’Adnkronos il senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia. Che, da ministro delle Comunicazioni del governo Berlusconi, preparò il disegno di legge sul sistema radiotelevisivo italiano approvato dal Parlamento nell’aprile 2004. “Ci sono due possibilità: o una quotazione in borsa, e all’epoca la strada fu esplorata tanto che con l’amministratore delegato Flavio Cattaneo andammo a parlarne con i vertici di Borsa Italiana; oppure la cessione di rami d’azienda. Non bisogna dimenticare che la Rai ha più di dieci canali: oltre ai tre generalisti, ci sono quelli dedicati a storia, cinema, bambini, sport… Nulla vieta, se serve fare cassa, di cedere quelli, in tutto o in parte, o magari di fare delle joint venture con altri editori. Non mi pare che la Rai verrebbe meno al suo ruolo di servizio pubblico se Rai YoYo facesse un accordo con una società che produce contenuti per bambini”.

In un articolo del ‘Foglio’ si fa riferimento alla cessione di un 50% della società per abbattere il debito e gli oneri per le casse dello Stato. “Per un simile scenario ci vorrebbe una quotazione. E' vero, non serve avere il 50+1 di una società per controllarla, basta vedere cosa è successo con Enel, Eni e Leonardo. Ma attenzione: per portare in borsa un asset come la Rai bisogna prima valorizzarlo, renderlo appetibile per investitori e risparmiatori. E al momento mi sembra un compito difficile”. Altro discorso la cessione di rami d’azienda. “A viale Mazzini dovrebbero installare una statua dedicata a me, accanto a quella del cavallo. Fui infatti io nel 2001, da ministro, a oppormi all’operazione che era stata predisposta dal precedente governo di sinistra. Il piano era di cedere a una società privata un pezzo di Rai Way, ovvero le antenne e le infrastrutture di trasmissione, ma la Rai in cambio avrebbe avuto solo la minoranza nel consiglio di amministrazione. Dissi di no a questa idea balzana, sollevando grandi polemiche. Invece fu la scelta giusta: Rai Way è stata quotata anni dopo e ha garantito un ricco assegno per le casse pubbliche. Che hanno potuto monetizzare un asset strategico senza però perderne il controllo. Dico strategico perché con il Covid abbiamo avuto la dimostrazione del fatto che lo Stato deve avere il controllo sulle infrastrutture di comunicazione essenziali come quelle televisive. Durante i lockdown internet non arrivava ovunque, ma i canali del digitale terrestre sì, e hanno potuto informare anche quei cittadini che non sono dotati di smartphone o connessione veloce. Ora si parla di una possibile fusione con Ei Tower, su cui viaggiano le tv private. Non ho nulla in contrario, basta che alla fine dell’operazione la maggioranza di controllo resti in mano pubblica”.

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Politica

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa,...

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Gli uffici di Viale Mazzini da mesi preparano il terreno per una possibile assunzione a tempo indeterminato del direttore generale

La Rai privatizzata e il dossier nomine. Sergio in ascesa, Rossi stabilizzato?

L’ipotesi di una privatizzazione della Rai, che oggi è tornata nel dibattito politico, ha fatto molto rumore a Viale Mazzini, rimettendo in moto un progetto che è sul tavolo da circa 30 anni, con altrettante declinazioni e ipotesi. Staccare un solo canale? Tenere Rai1, Rai2 e Rai3 ma cedere tutti gli altri, in blocco o creando delle joint venture con altri editori e produttori? Fare una ‘bad company’ da lasciare in mano pubblica, con i programmi del servizio pubblico che hanno minore ritorno commerciale, mentre una ‘newco’ con i pezzi più pregiati potrebbe essere messa sul mercato? I rumor sono ripartiti a partire dall’articolo di prima pagina del “Foglio” di oggi, che parlava della cessione di un 50% degli asset della tv e radio pubblica.

Come sottolinea Claudio Cerasa, la privatizzazione sarebbe una grande mossa politica, soprattutto in risposta a chi accusa la premier di aver messo in piedi ‘TeleMeloni’. Il problema è che il nuovo assetto sarebbe accolto con ostilità da Mediaset e gruppo Cairo: con l’abbandono dei tetti pubblicitari, la Rai privata sottrarrebbe inserzionisti agli altri broadcaster.

Il dossier è complicato inoltre dal rinnovo dei vertici: mercoledì 31 luglio il parlamento potrebbe (potrebbe) finalmente votare i componenti del cda che sostituiranno gli attuali, scaduti da due mesi. Nel frattempo sono arrivate le dimissioni della presidente Marinella Soldi (che non aveva alcuna possibilità di riconferma) e si aspetta la nomina dei nuovi membri votare al suo posto Simona Agnes, in quota Forza Italia.

Il rischio è però che anche l’appuntamento di mercoledì non sia risolutivo e che tutto slitti a settembre. Anzi a ottobre, mese in cui è attesa la sentenza del Tar sul ricorso contro l’attuale procedura di selezione per il cda. Sarebbe infatti inutile trovare l’accordo per poi rischiare di dover ripartire da capo con la scelta dei candidati.

Lo stallo sul rinnovo si spiega con le tensioni tra Lega e Fratelli d’Italia. Il partito della premier vorrebbe promuovere Giampaolo Rossi, attuale direttore generale, ad amministratore delegato. I salviniani temono però che una mossa simile darebbe troppo potere agli alleati di governo, e finora hanno preso tempo, sapendo di non poter imporre un nome alternativo. Nel frattempo, risalgono le quotazioni di Roberto Sergio, attuale ad, che non avendo appartenenze (se non quella, filosofica, alla regola democristiana) è l’unico nome in grado di tutelare tutte le parti in causa.

Una conferma di Sergio per il prossimo mandato potrebbe scatenare una reazione negativa di Rossi? Non necessariamente: l’Adnkronos può confermare che negli uffici della Rai da mesi si studia il modo per consolidare il suo ruolo in azienda, ad esempio con un’assunzione a tempo indeterminato nel ruolo di direttore generale, così da non essere più in balìa delle tempeste politiche ma in grado di restare a lungo ai vertici di un’azienda con cui in questi anni ha creato un rapporto sempre più stretto.

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Politica

Giovanni Toti si è dimesso, Liguria alle urne entro 90...

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Il governatore ha inviato una lettera all'ufficio protocollo della Regione

Con una lettera fatta pervenire all'ufficio protocollo della Regione Liguria il presidente Giovanni Toti ha rassegnato le sue irrevocabili dimissioni. L'addio del presidente comporta automaticamente lo scioglimento della del Consiglio ligure. Nuove elezioni dovranno avvenire entro 90 giorni.

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